Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 4 luglio 2019, n. 43103

Presidente: Di Nicola - Estensore: Liberati

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 giugno 2018 la Corte d'appello di Napoli, provvedendo sulla impugnazione proposta da Enrico Carlo D.G. nei confronti della sentenza del 31 gennaio 2018 del Tribunale di Nola, con cui era stato condannato alla pena di sei anni di reclusione e 25.000,00 euro di multa, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 71, comma 1, d.P.R. 309/1990 (per avere detenuto a fine di spaccio 30 involucri di cocaina-crack del peso complessivo di 10,43 grammi, pari a 47,8 dosi medie singole, nonché 5 dosi di cocaina del peso complessivo di 1,20 grammi, e 27,68 grammi di hashish, pari a 98,9 dosi singole), ha ridotto la pena a cinque anni e quattro mesi di reclusione ed euro 25.000,00 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e processuale e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c) et e), c.p.p.

Dopo aver richiamato i criteri ermeneutici stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al vizio di motivazione, ha lamentato la mancata considerazione da parte della Corte territoriale dei motivi d'appello, mediante i quali era stata sottolineata l'insufficienza degli elementi a disposizione per poter affermare la responsabilità del ricorrente, in quanto la sostanza stupefacente oggetto della contestazione non era stata rinvenuta indosso all'imputato, ma in una parte comune del condominio nel quale abitava l'imputato, che in occasione dell'accesso della polizia giudiziaria si trovava seduto di fianco al portone di ingresso dell'edificio e aveva tentato di darsi alla fuga non avendo riconosciuto gli agenti di polizia giudiziaria, che erano in abiti civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, tra l'altro pressoché riproduttivo dell'atto d'appello, è inammissibile, ma deve essere egualmente rilevata la sopravvenuta illegalità della pena, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni.

2. Le doglianze formulate con l'unico motivo di ricorso, mediante il quale sono state lamentate violazioni di legge penale e processuale e vizi della motivazione, nella parte relativa alla conferma della responsabilità dell'imputato, alla quale i giudici dell'impugnazione sarebbero pervenuti omettendo di adeguatamente considerare le censure formulate con l'atto d'appello, mediante le quali era stata ribadita l'estraneità dell'imputato alla detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta nei pressi dell'ingresso dell'edificio innanzi al quale l'imputato si trovava seduto, sono inammissibili, essendo volte a conseguire una rivisitazione degli elementi di fatto considerati dai giudici di merito, allo scopo di pervenire a una loro diversa valutazione, tale da escludere l'attribuzione del fatto contestato all'imputato, non consentita nel giudizio di legittimità.

Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5 maggio 2011, Tosto, Rv. 250362). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22 gennaio 2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 5 giugno 2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12 febbraio 2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 dell'11 gennaio 2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

Inoltre, è opportuno ribadire che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18 luglio 2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 dell'11 marzo 2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27 gennaio 2005, Giagnorio, Rv. 231708).

Nel caso in esame la Corte d'appello ha ribadito la responsabilità dell'imputato in ordine alla detenzione delle sostanze stupefacenti indicate nella contestazione sulla base di una valutazione pienamente logica degli elementi a disposizione (costituiti da quanto dichiarato dagli agenti di polizia giudiziaria, che avevano avuto modo di vedere l'imputato seduto su una sedia all'ingresso dello stabile, e, insospettiti da una busta posta sul davanzale di una finestra del piano terra dell'edificio, a pochi centimetri dall'imputato, si erano avvicinati a quest'ultimo, che si era dato alla fuga, bloccandolo e procedendo al sequestro della busta, nella quale si trovava la sostanza stupefacente), sottolineandone la univocità ed evidenziando la assoluta inverosimiglianza della versione alternativa proposta dall'imputato (che si sarebbe dato alla fuga per paura dei Carabinieri, che non erano in divisa, e si era detto estraneo alla detenzione della droga).

Di tali considerazioni il ricorrente ha riproposto una rivalutazione sul piano del merito, ribadendo la propria estraneità alla detenzione della droga, posta al suo fianco a pochi centimetri dall'ingresso dell'edificio innanzi al quale si trovava seduto, e fornendo una giustificazione alternativa della propria fuga, in tal modo proponendo doglianze non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto volte a conseguire una mera rivalutazione sul piano del merito degli elementi a disposizione, non consentita, come evidenziato, in sede di legittimità.

Ne consegue l'inammissibilità del ricorso, affidato a censure non consentite nel giudizio di legittimità e manifestamente infondate.

3. L'inammissibilità del ricorso non impedisce, però, di rilevare la sopravvenuta illegalità della pena detentiva, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni, avendo la Corte territoriale considerato, nella rideterminazione della pena, la cornice edittale dichiarata costituzionalmente illegittima, che prevedeva la pena detentiva minima di otto anni di reclusione.

La Corte d'appello ha, infatti, considerato quale base di computo la pena detentiva minima di 8 anni di reclusione e quella pecuniaria di 30.000,00 euro di multa, ridotta nel massimo di un terzo per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a 5 anni e 4 mesi di reclusione e 20.000,00 euro di multa, aumentata per la continuazione di 2 mesi e 5.000,00 euro di multa, così determinando la pena finale in 5 anni e 6 mesi di reclusione e 25.000,00 euro di multa.

Tale pena, illegale a causa della suddetta declaratoria di illegittimità costituzionale del minimo edittale previsto per la pena detentiva dall'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, può essere rideterminata da questa Corte, ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p., non occorrendo procedere ad attività valutative o che implichino l'esercizio di poteri discrezionali, essendo stata considerata quale base di computo la pena detentiva minima ed applicata la riduzione massima consentita per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e non essendo toccato dalla pronunzia di illegittimità costituzionale l'aumento di pena disposto per la continuazione in relazione alla detenzione di hashish, in quanto la sentenza della Corte costituzionale ha riguardato solamente il trattamento sanzionatorio delle droghe cosiddette pesanti, previsto dal comma 1 dell'art. 73 t.u. stupefacenti, e non ha quindi incidenza sul trattamento sanzionatorio, sub specie di aumento di pena, stabilito per la continuazione con il reato di detenzione di droghe leggere del tipo hashish, che quindi non richiede di essere riesaminato (argomenta, a contrario, ex Sez. un., n. 22471 del 26 febbraio 2015, Sebbar, Rv. 263717-01, che hanno affermato la necessità di rivalutare l'aumento di pena calcolato a titolo di continuazione per i reati-satellite in relazione alle così dette "droghe leggere" alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies ter della l. 21 febbraio 2006, n. 49 - che ha convertito il d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 - e ha determinato, in merito, la reviviscenza della più favorevole disciplina anteriormente vigente).

La pena, stabilita sulla base di una cornice divenuta illegale, può, dunque, essere rideterminata come segue:

- pena base: anni 6 di reclusione ed euro 30.000,00 di multa;

- ridotta di un terzo, per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, a 4 anni di reclusione ed euro 20.000,00 di multa;

- aumentata nella medesima misura già stabilita dalla Corte d'appello per la continuazione per la detenzione di droghe leggere, e cioè di due mesi di reclusione e 5.000,00 euro di multa.

4. Previo annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto si ridetermina, dunque, la pena inflitta all'imputato in 4 anni e 2 mesi di reclusione e 25.000,00 euro di multa.

Nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni quattro e mesi due di reclusione ed euro 25.000,00 di multa.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Depositata il 21 ottobre 2019.