Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione II
Sentenza 7 ottobre 2019, n. 1045

Presidente: Testori - Estensore: Malanetto

FATTO E DIRITTO

Il ricorrente è detenuto presso la Casa Circondariale di [omissis] e, in data 5 giugno 2019, ha presentato alla direzione del carcere una istanza di "accesso alla posizione giuridica integrale", richiesta rigettata dall'amministrazione in data [omissis].

Il ricorrente, in proprio, ha impugnato il diniego lamentando la violazione degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990 e dei principi di trasparenza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, oltre che degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione. Il ricorrente ha allegato di aver formulato l'istanza in quanto, in base ai provvedimenti dell'autorità giudiziaria ivi contenuti, intendeva richiedere al giudice dell'esecuzione sia l'estinzione delle pene che l'applicazione dell'istituto della continuazione.

Come si evince dal diniego in atti lo stesso è stato motivato in ragione del fatto che la richiesta non avrebbe in effetti ad oggetto una documentazione esistente presso il carcere, quanto piuttosto una elaborazione di dati che l'amministrazione penitenziaria predispone a proprio uso interno e che non potrebbe essere l'oggetto di una istanza di accesso.

All'udienza del 2 ottobre 2019 il Tribunale ha rilevato d'ufficio possibili profili di difetto di giurisdizione.

Deve premettersi che non sembra illogica la risposta dell'amministrazione posto che, a tutt'ora, non è chiaro quali documenti, come tali esistenti, il ricorrente richieda; l'amministrazione penitenziaria gestisce, complessivamente, la posizione del detenuto, a tal fine elaborando a proprio uso interno dati che non per questo divengono documenti accessibili.

A prescindere da tale profilo, ritiene tuttavia più in radice il collegio che la peculiare posizione di restrizione carceraria che caratterizza il ricorrente, il quale chiede di fatto a questo TAR di ingerirsi nei rapporti tra il medesimo e l'amministrazione penitenziaria, se da un lato non comprime o estingue ex se le posizioni giuridiche soggettive di cui il detenuto resta certamente titolare, le conforma secondo una gestione compatibile con l'ambiente carcerario e la funzione rieducativa della pena. Il rapporto carcerario vede il proprio giudice naturale nel magistrato di sorveglianza che, di tale rapporto, ha una necessaria gestione complessiva.

La giurisprudenza ordinaria e costituzionale e il legislatore hanno compiuto un lungo cammino di riconoscimento e tutela dei diritti dei detenuti; questi ultimi, da un lato, godono della tutela ordinaria per quanto concerne i "rapporti estranei all'esecuzione penale", dall'altro vantano, come detto, posizioni giuridiche soggettive nella gestione del rapporto penitenziario. La gestione di tali posizioni giuridiche soggettive, tuttavia, passa fisiologicamente attraverso la magistratura di sorveglianza.

Il rapporto di detenzione in senso stretto ha subito nel tempo una evoluzione, nel senso di una sempre maggiore sensibilità per i diritti dei detenuti, che implica anche la costruzione di sistemi giurisdizionali di tutela degli stessi, e un maggiore accento sulla funzione rieducativa. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale: "con la sentenza n. 212 del 1997, l'esigenza costituzionale del riconoscimento di un diritto d'azione in un procedimento avente caratteri giurisdizionali si è affermata indipendentemente dalla natura dell'atto produttivo della lesione, individuandosi la sede della tutela nella magistratura di sorveglianza, magistratura alla quale spetta, secondo l'ordinamento penitenziario vigente, una tendenzialmente piena funzione di garanzia dei diritti dei detenuti e degli internati. Una garanzia - è stato altresì precisato - che comporta il vaglio di legittimità pieno non solo del rispetto dei presupposti legislativi dettati all'amministrazione per l'adozione delle misure, ma anche dei loro contenuti, con particolare riferimento all'incidenza su non comprimibili diritti dei detenuti e degli internati, la cui garanzia rientra perciò, nel sistema attuale, nella giurisdizione del giudice ordinario" (Corte cost. n. 26/1999).

La Corte costituzionale è poi più volte intervenuta ad affinare la giurisdizionalizzazione dei rimedi previsti innanzi al giudice di sorveglianza (in origine aventi struttura piuttosto amministrativa) e la giurisprudenza di legittimità, dal canto suo, ha tentato di supplire all'inerzia del legislatore in materia. In questo percorso la Corte di cassazione, nella sentenza Sez. un. 25079/2003, ha chiarito, proprio commentando la citata pronuncia del 1999 del giudice delle leggi, che: "può dirsi, dunque, che già la sentenza ora ricordata - pur alludendo ad una diversificazione, peraltro prospettata in via meramente ipotetica, fra diritti soggettivi e interessi legittimi del detenuto - faccia chiaramente scaturire l'esistenza di un microsistema entro il quale lo stato di detenzione, lasciando sopravvivere posizioni soggettive e spazi di tutela giurisdizionale coincidenti con il diritto di azione, anche a prescindere dalle tipizzazioni stratificate da novazioni legislative o da decisioni della Corte costituzionale, impone la verifica dello strumento attivabile da individuare sempre e comunque in un modello diretto ad investire della cognizione la magistratura di sorveglianza"; ancora: "le precisazioni sopra esposte fanno ritenere che alla giurisdizione della magistratura di sorveglianza vada riferita la tutela pure degli interessi legittimi scaturenti da un atto dell'autorità amministrativa (sempre che tali posizioni soggettive possano trovare accesso nel regime del trattamento); secondo una cognizione che non può ridursi agli usuali canoni di demarcazione tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, attesa la riserva di giurisdizione connaturata alla necessità del rispetto dell'art. 27, 3° comma, della Costituzione".

Con colpevole ritardo (d.l. n. 146/2013) il legislatore è intervenuto sul combinato disposto degli artt. 69 e 35-bis della legge di ordinamento penitenziario prevedendo un apposito rimedio giurisdizionale innanzi alla magistratura di sorveglianza relativamente ai reclami dei detenuti in generale e concernente il pregiudizio a diritti che possano loro occorrere nel contesto della detenzione; ha suscitato ampia critica in dottrina e giurisprudenza la scelta del legislatore, dopo il faticoso percorso giurisprudenziale, di apparentemente limitare, nel testo dell'art. 69, ai "diritti" il rimedio previsto.

Pur dopo la legge, in dottrina e giurisprudenza, si sono sostenute letture estensive del disposto normativo che ritengono giustiziabili innanzi al giudice di sorveglianza tutte le posizioni giuridiche soggettive dei detenuti ed inerenti il rapporto carcerario, prescindendo dalla loro qualificazione in termini di diritti.

Non compete a questo TAR prendere posizione nella disputa che richiede un percorso interno alla giurisprudenza pertinente, come per altro già accaduto con i plurimi interventi della Corte costituzionale e l'approvazione dell'art. 35-bis della legge di ordinamento penitenziario, fermo restando che le disposizioni si inseriscono nel contesto di indicazioni dettate dal giudice delle leggi che paiono, a questo collegio, tuttora valide nella parte in cui univocamente, in più occasioni, hanno individuato il giudice di sorveglianza come l'unico giudice specializzato per la gestione delle posizioni giuridiche soggettive dei detenuti in contesto di detenzione, proprio per la specifica funzione di detta magistratura e la particolare e bilanciata valutazione che le eventuali problematiche richiedono in ottica di corretta gestione della pena. Ciò resta tanto più vero là dove la posizione giuridica soggettiva azionata è l'accesso, devoluta ad una cognizione di giurisdizione esclusiva nelle ipotesi di ordinario rapporto privato/pubblica amministrazione.

Ritiene in definitiva il collegio che l'istanza del ricorrente, volta a conoscere specifici atti interni dell'amministrazione penitenziaria elaborati nel contesto della gestione del suo rapporto di detenzione, sia soggetta alla giurisdizione del GO quale magistratura di sorveglianza.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Stante la mancata costituzione dell'amministrazione, nulla in punto spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, la dichiara inammissibile, sussistendo la giurisdizione del GO; spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.