Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione I
Sentenza 23 settembre 2019, n. 1021

Presidente: Filippi - Estensore: Dato

FATTO

1. La ricorrente Oasi La Brussa S.r.l. espone di occuparsi prevalentemente di predisporre e attuare iniziative di educazione, animazione e divulgazione naturalistica a sostegno del turismo ambientale, nonché di gestire i servizi correlati a tali attività; rappresenta, inoltre, di trarre origine dalla ex "Cooperativa attività turistiche ed agricole Brussa", che riuniva alcuni dei principali imprenditori locali che operavano, a vario titolo, nel settore agricolo e turistico nella zona della Brussa e che gli stessi soci della cooperativa, che hanno successivamente costituito Oasi La Brussa S.r.l., ne fanno ancora parte e attualmente quest'ultima raggruppa la maggioranza degli imprenditori che operano in tale zona.

Rappresenta la società ricorrente che nei primi anni 2000 la suddetta cooperativa si era aggiudicata l'incarico di collaborazione per "la progettazione e l'esecuzione delle attività di educazione naturalistica e di sviluppo del turismo ambientale nonché per la gestione dei servizi correlati nel territorio di Vallevecchia" con il fine di educare i visitatori ad un uso consapevole dell'area e della pineta circostante.

Espone, altresì, che nel maggio 2017, Veneto Agricoltura aveva indetto apposita gara per la concessione in uso del solo casone ad uso piccolo bar per la durata di quattro anni, aggiudicata alla stessa società ricorrente (unica partecipante) che, tuttavia, non ha mai avviato a gestione il predetto casone non avendo le parti successivamente sottoscritto il relativo contratto. Atteso che l'aggiudicazione era avvenuta a stagione balneare già inoltrata (agosto 2017) e che il casone - prima dell'apertura - avrebbe necessitato di importanti lavori adeguamento igienico-sanitario, la società aveva chiesto di essere esonerata dal pagamento del canone relativamente alla stagione 2017. Tuttavia, su tali sollevate problematiche, le parti non hanno mai raggiunto un accordo definitivo tant'è che i primi mesi del 2018 Veneto Agricoltura ha indetto nuova gara avente oggetto complessivamente la concessione in uso del casone e dell'area adibita a parcheggio oggetto del presente ricorso, nonché i correlati servizi ecosistemici.

In particolare, espone la società ricorrente, con disposizione del direttore n. 104 del 15 giugno 2018, Veneto Agricoltura - quale ente strumentale della Regione Veneto istituito con legge reg. n. 37/2014 a cui è affidata la gestione dell'area di Vallevecchia di Caorle - indiceva apposita gara per la concessione in uso dell'area di sosta e dell'immobile casone ad uso piccolo bar, comprensiva dei servizi ecosistemici correlati, siti nell'area di Vallevecchia.

Secondo quanto previsto nel bando di gara, l'aggiudicazione sarebbe dovuta avvenire a favore del concorrente che avrebbe riportato il punteggio più alto attribuito insindacabilmente da Veneto Agricoltura, articolato sulla proposta gestionale e sul prezzo.

Entro la data indicata nel bando, il 1° ottobre 2018, pervenivano alla stazione appaltante tre offerte, tra le quali quella della società ricorrente.

Dopo aver proceduto all'apertura delle buste e alla valutazione delle offerte presentate da ciascun concorrente, in data 11 dicembre 2018, la commissione di gara - formata esclusivamente da dipendenti di Veneto Agricoltura - proponeva di aggiudicare la gara a Green Wave S.r.l. (mandataria), in costituenda ATI con Limosa Soc. Coop. nonostante - argomenta la società ricorrente - la prima rappresentasse una new co costituita appena dieci giorni prima rispetto alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, con un capitale sociale di appena 3.000,00 euro, il cui amministratore unico, sig. Umberto R., era al momento della presentazione dell'offerta dipendente della stazione appaltante addetto alla gestione del parcheggio di Vallevecchia (il medesimo oggetto di gara). In analoga situazione - si aggiunge - versa(va) anche uno dei soci della Green Wave, signora Carla T., anch'ella dipendente della stazione appaltante addetta alla gestione del parcheggio di Vallevecchia al momento della partecipazione alla gara de qua per sua stessa dichiarazione. L'aggiudicazione è stata proposta - rileva sotto altro profilo la società ricorrente - nonostante Limosa Soc. Coop avesse, sin dal 2004 ininterrottamente gestito l'area adibita a parcheggio e il centro visitatori (entrambi oggetto della gara de qua) in collaborazione con la Cooperativa A.p.E. e risultasse, quindi, già concessionaria del compendio immobiliare e affidataria dei connessi servizi a seguito di due distinte gare indette rispettivamente nel 2004 e nel 2009. L'ultimo soggetto che ha gestito in affidamento il parcheggio e l'area visitatori risulta essere proprio la cooperativa Limosa (odierna aggiudicataria in ATI con Green Wave S.r.l.).

L'aggiudicazione a favore di Green Wave S.r.l. in costituenda ATI con Limosa Soc. Coop. - espone la ricorrente - veniva confermata con decreto del direttore della Sezione Innovazione e sviluppo n. 9 del 28 gennaio 2019; Oasi La Brussa S.r.l. in costituenda ATS con il Distretto turistico Veneto Orientale si collocava al secondo posto e Adria Global Service al terzo.

Espone la società ricorrente che l'aggiudicazione a favore Green Wave S.r.l. in costituenda ATS con Limosa Soc. Cop. veniva comunicata con nota n. prot. del 4 febbraio 2019 e pubblicata sul sito di Veneto Agricoltura in pari data.

Dunque, con ricorso spedito per la notifica in data 5 marzo 2019 e depositato in data 8 marzo 2019 la società ricorrente ha proposto le domande in epigrafe.

1.1. Si sono costituite in giudizio Veneto Agricoltura - Agenzia Veneta per l'innovazione nel settore primario e Green Wave S.r.l., contrastando le domande avanzate dalla società ricorrente.

Non si è costituita in giudizio Limosa Soc. Coop.

1.2. Con ordinanza 21 marzo 2019, n. 127 è stata accolta la domanda cautelare, essendo stato ritenuto il gravame non del tutto sfornito del requisito del fumus boni iuris quanto, in particolare, alla dedotta violazione dell'art. 42 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

1.3. Con motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a. nonché, per quanto di ragione, ricorso autonomo, la medesima Oasi La Brussa S.r.l. proponeva le ulteriori domande in epigrafe.

La società ricorrente ha rappresentato, dopo la ricostruzione delle vicende sopra sintetizzate, che in data 3 aprile 2019 giungeva alla stessa l'invito a partecipare alla procedura negoziata per la concessione del servizio di gestione dell'area di sosta di Vallevecchia in Comune di Caorle, il medesimo (servizio) oggetto della gara "sospesa", per il periodo compreso tra il 1° maggio 2019 e il 31 ottobre 2019, senza previa pubblicazione del bando ai sensi dell'art. 63 del codice dei contratti, senza che fossero indicate le ragioni d'urgenza che avevano giustificato il ricorso alla procedura d'urgenza prevista dalla predetta disposizione e che avendo interesse ad espletare il servizio in questione decideva di partecipare.

In sede di apertura delle buste, la società ricorrente espone di aver appreso che tra le società invitate vi era anche la Green Wave S.r.l. la quale, peraltro, si aggiudicava la gara, aggiudicazione confermata con decreto del direttore della sezione ricerca e gestioni agroforestali n. 37 del 18 aprile 2019 con contestuale stipulazione del relativo contratto avvenuta in data 19 aprile 2019, come comunicato dalla stazione appaltante con nota di pari data.

Il ricorso per motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a. nonché, per quanto di ragione, ricorso autonomo, è stato notificato in data 24 aprile 2019 e depositato in data 25 aprile 2019.

1.4. Veneto Agricoltura - Agenzia Veneta per l'innovazione nel settore primario e Green Wave S.r.l. hanno contrastato le domande avanzate della società ricorrente con motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a. nonché, per quanto di ragione, ricorso autonomo.

1.5. Con ordinanza 9 maggio 2019, n. 188 è stata respinta - sotto il profilo del periculum in mora - l'istanza cautelare proposta in relazione all'azione di annullamento.

Con lo stesso provvedimento giurisdizionale è stata ritenuta infondata l'istanza per l'esecuzione/ottemperanza dell'ordinanza cautelare 21 marzo 2019, n. 127, con conseguente declaratoria di inefficacia/nullità di tutti gli atti e provvedimenti indicati emessi in elusione/violazione dei contenuti della predetta ordinanza, essendo stato ritenuto che la diversità sul piano "oggettivo" e "temporale" dell'affidamento da ultimo disposto in favore della parte controinteressata, rispetto all'affidamento avversato con il ricorso introduttivo del giudizio, non consentiva di riscontrare la denunciata violazione o elusione della predetta ordinanza cautelare.

1.6. All'udienza pubblica del 17 luglio 2019, presenti i difensori delle parti, come da verbale, i quali, dopo breve discussione, si sono riportati alle conclusioni già prese chiedendone l'accoglimento, il Collegio si è riservato di provvedere e ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, ribadito quanto osservato in sede cautelare in ordine all'applicazione all'odierno contenzioso del c.d. rito ordinario appalti, il Collegio ritiene di poter prescindere, per ragioni di economia processuale, dall'esame delle eccezioni di rito frapposte dalle parti resistente e controinteressata, dovendo il ricorso introduttivo del giudizio, per le ragioni infra specificate, essere respinto siccome infondato.

Sul punto si ritiene utile rammentare come il giudice, secondo consolidata giurisprudenza, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali in connessione con quello del rispetto della scarsità della risorsa - giustizia (cfr. C.d.S., Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5; C.d.S., Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9; C.d.S., sez. III, 14 novembre 2018, n. 6420), possa derogare alla naturale rigidità dell'ordine di esame delle questioni, ove ritenga preferibile risolvere la lite rigettando il ricorso nel merito o nel rito in base ad una ben individuata "ragione più liquida", e purché sia stata preventivamente assodata, da parte del medesimo giudice, la giurisdizione e la competenza.

2. In limine litis, il Collegio dichiara l'inutilizzabilità dei documenti depositati dalla società ricorrente in data 26 giugno 2019 (alle ore 18:55, come risulta dal sistema) e della memoria depositata sempre dalla società ricorrente in data 1° luglio 2019 (alle ore 18:41, come risulta dal sistema).

Sul punto, quanto alla perentorietà del termine di deposito (combinato disposto degli artt. 73, comma 1, e 119, comma 2, c.p.a.) nonché in relazione all'orario di deposito effettuato nell'ultimo giorno utile (art. 4, comma 4, delle norme di attuazione c.p.a., allegato 2 c.p.a.), si richiamano i precedenti della Sezione (cfr., ex plurimis, T.A.R. Veneto, sez. I, 18 febbraio 2019, n. 211; Id., 7 gennaio 2019, n. 20; Id., 5 novembre 2018, n. 1024 e giurisprudenza ivi citata).

3. Con il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio la società esponente ha dedotto i vizi di Violazione di legge sotto duplice, alternativo, profilo: a) in relazione all'art. 60 dpr 3 del 10 gennaio 1957; ovvero in alternativa b) violazione art. 13.4 del Piano triennale per la prevenzione della corruzione della trasparenza 2019-2021 di Veneto Agricoltura "agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario" in relazione all'art. 53, comma 16 ter, del d.lgs. 165/2011 (introdotto dalla l. 190/2012, art. 1 comma 42 lett. l). Nonché, violazione dell'art. 42 del d.lgs. 50 del 2016.

Espone la società ricorrente che la concorrente rimasta aggiudicataria, mandataria in raggruppamento temporaneo con Limosa Soc. Coop., è rappresentata da un amministratore unico che ha dichiarato, in sede di gara, di essere dipendente della stessa stazione appaltante (circostanza che si evince anche nel curriculum dimesso), e così la socia Carla T., manifestando, entrambi, di aver partecipato alla gara ancorché rivestissero la duplice e contestuale veste di concorrenti e dipendenti della stazione appaltante.

Lamenta la società ricorrente che il conflitto di interessi è evidente essendo stato espressamente confermato dalla stessa società mandataria, aggiudicatasi l'affidamento, nelle dichiarazioni di gara (né essendovi ragione alcuna per pensare che in tali dichiarazioni sia stato attestato il falso).

Sussiste in forza di quanto affermato dallo stesso aggiudicatario, argomenta l'esponente, una perfetta sovrapposizione tra le mansioni svolte dai sig.ri Umberto R. e Carla T., in qualità di dipendenti della stazione appaltante, e il servizio che costoro andrebbero a svolgere nell'ambito del contratto aggiudicato, con ciò dimostrando integrato il vizio denunciato al capo a) a fronte di una disposizione tuttora vigente, ancorché risalente, che vieta espressamente al dipendente pubblico (senza distinzioni di sorta) di assumere cariche in società costituite a fine di lucro in costanza di rapporto di pubblico impiego (all'uopo parte ricorrente richiama un precedente giurisprudenziale circa la violazione dell'art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 e l'ipotesi di conflitto di interessi ai sensi dell'art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 tale da imporre l'esclusione dalla gara).

In via alternativa, argomenta l'esponente, la disposta aggiudicazione è da ritenersi comunque illegittima anche ove tale rapporto di dipendenza fosse cessato, in considerazione del fatto che consta che sia i sig.ri R. e T. abbiano svolto le mansioni dichiarate in sede di offerta alle dipendenze della stazione appaltante sino al settembre 2018. Osserva la società ricorrente che, in forza di ciò, deve considerarsi comunque integrata la violazione art. 13.4 del Piano triennale per la prevenzione della corruzione della trasparenza 2019-2021 di Veneto Agricoltura "agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario" in relazione all'art. 53, comma 16 ter, del d.lgs. 165/2011 (introdotto dalla l. 190/2012, art. 1 comma 42 lett. l). Violazione di legge in relazione all'art. 42, comma 1, del d.lgs. 50/2016 in uno con violazione dell'art. 95 del d.lgs. 50 del 2016.

Sotto tale specifico, alternativo, profilo, parte ricorrente precisa che il piano triennale anticorruzione dell'ente al punto 13.4, con una genericissima e ampia formulazione, annuncia il divieto espresso per tutti i lavoratori dipendenti (a prescindere dal tipo di rapporto d'impiego) di instaurare rapporti di lavoro autonomo o subordinato con soggetti privati che siano destinatari di accordi, contratti o provvedimenti con/da Veneto Agricoltura per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Secondo la società esponente la previsione del piano anticorruzione richiamata riproduce il c.d. divieto di pantouflage previsto all'art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, ampliandone ed estendendone la portata a tutti i dipendenti senza distinzioni di sorta (venendo a riguardare ogni tipo di lavoratore sia esso a tempo determinato o indeterminato e a prescindere da mansioni e ruoli, in una perfetta logica di contrasto alla corruzione).

Per la società esponente nel caso in esame è dimostrata per tabulas la violazione dell'art. 53 testé richiamato, nella portata estensiva prevista dall'art. 13.4 del piano anticorruzione di Veneto Agricoltura, in forza delle stesse dichiarazioni dei soci della mandataria Green Wave S.r.l.: se anche, infatti, costoro non dovessero essere tuttora dipendenti di Veneto Agricoltura certamente rivestivano tale posizione fino al settembre 2018 rientrando appieno nell'ambito del divieto in parola e senza dubbio l'aver ammesso e aggiudicato il servizio di gestione parcheggio all'ex dipendente integra la violazione della disposizione del piano anticorruzione richiamata.

Per la società ricorrente la violazione è a fortiori integrata in considerazione della non marginale circostanza per cui i sig.ri R. e T. in quanto aggiudicatari sono in predicato di svolgere, allorché sarà stipulato il contratto, un servizio del tutto identico a quello che costoro svolgevano alle dipendenze della stazione appaltante fino al giorno prima (se non addirittura in corso di svolgimento alla luce del fatto che nelle dichiarazioni formulate in seno all'offerta si conferma l'attualità del rapporto di dipendenza), circostanza che si traduce, secondo l'esponente, anche in una palese violazione della par condicio tra i partecipanti alla gara, dacché uno (Green Wave S.r.l.) tra i partecipanti si è trovato in posizione decisamente privilegiata rispetto a tutti gli altri avendo svolto (o svolgendo) fino al giorno prima della gara gli stessi compiti e servizi oggetto di appalto, potendo, con ciò, avvantaggiarsi della piena conoscenza di aspetti e caratteristiche (e persone) del servizio e della stessa stazione appaltante che hanno consentito di formulare una "offerta sartoriale" rispetto al servizio in gara. Anche la circostanza dell'essersi costituita, la Green Wave S.r.l., una settimana prima della presentazione dell'offerta non può apparire casuale secondo la società ricorrente.

Le ragioni sottese all'introduzione del divieto richiamato, argomenta la parte ricorrente, non sono solo funzionali ad impedire eventuali incompatibilità ma, anche, ad evitare le c.d. "rendite di posizione" da parte di qualche concorrente che si voglia avvantaggiare di un precedente rapporto di dipendenza con la stazione appaltante (certamente senza intenti dolosi ma pur sempre da evitare per non minare da un lato l'imparzialità della stessa Amministrazione e dall'altro per non compromettere la par condicio tra i partecipanti), che si possono tradurre, a seconda dei casi, in conoscenza di persone e situazioni in grado di influenzare l'esito finale della gara con buona pace dei principi di buon andamento, imparzialità, trasparenza e garanzie di par condicio dei concorrenti.

Nelle memorie successivamente versate in giudizio la società ricorrente ha ulteriormente argomentato le proprie doglianze.

Le parti resistente e controinteressata hanno contrastato i motivi dedotti.

3.1. Le articolate censure sono infondate.

In punto di fatto va osservato che i sig.ri Umberto R. e Carla T., indicati come, rispettivamente, amministratore unico e socio della Green Wave S.r.l. (cfr. pag. 4 del ricorso), al momento della proposizione dell'offerta della medesima Green Wave S.r.l. (1° ottobre 2018), in relazione alla procedura di gara oggetto del gravame introduttivo del giudizio, rivestivano la qualifica di dipendenti (a tempo determinato) di Agenzia Veneta per l'innovazione nel settore primario.

Tanto si ricava, in particolare, dal documento 6 depositato dalla parte resistente in data 18 marzo 2019, nel quale sono riprodotti contratti di lavoro subordinato a tempo determinato sottoscritti dai medesimi sig.ri Umberto R. e Carla T., in relazione al periodo 18 aprile 2018-31 ottobre 2018.

Entrambi i contratti prevedevano per i sig.ri Umberto R. e Carla T. la qualifica di operaio ex qualificato, con i seguenti profilo professionale e mansioni: "lavoratore in possesso di conoscenze e capacità professionali acquisite per pratica o per titolo, addetto a compiti esecutivi variabili non complessi e comunque di livello inferiore rispetto a quelli propri della qualifica di ex qualificato super in area 2 inerenti la qualifica assegnata".

Ciò premesso, deve essere evidenziato che l'art. 53, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 dispone: "Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall'articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Restano ferme altresì le disposizioni di cui agli articoli 267, comma 1, 273, 274, 508 nonché 676 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, all'articolo 9, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, all'articolo 4, comma 7, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ed ogni altra successiva modificazione ed integrazione della relativa disciplina".

Il richiamato art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 stabilisce che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente.

Orbene, va innanzitutto evidenziato che la resistente Veneto Agricoltura - Agenzia Veneta per l'innovazione nel settore primario rientra nella categoria degli "enti pubblici economici", id est degli "[...] enti pubblici, comunque denominati, operanti nel campo della produzione e dediti ad attività esclusivamente o prevalentemente economica, ossia quegli enti che svolgono, per la realizzazione dei propri fini istituzionali, un'attività di conservazione, di scambio, di produzione di beni o di servizi secondo criteri di economicità: un'attività, cioè, funzionale non soltanto al perseguimento di fini sociali, ma anche al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi, dal carattere puramente imprenditoriale, ovvero misto (in parte imprenditoriale, in parte autoritativo), ma a condizione che l'imprenditorialità ne risulti pur sempre il connotato predominante [...]" (cfr. Cass. civ., Sez. un., 18 gennaio 2018, n. 1203).

Sul punto, il Giudice delle leggi ha di recente evidenziato - in relazione ad un giudizio riguardante proprio la parte resistente - che "[...] dalla formale natura di enti pubblici economici della Azienda regionale "Veneto Agricoltura" e della Agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario deriva la natura privatistica dei rapporti di lavoro dei loro dipendenti, regolata dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. Infatti, secondo un consolidato ed univoco indirizzo della giurisprudenza civile, il rapporto tra enti pubblici economici e i propri dipendenti non può che assumere natura privatistica, in quanto l'art. 2093 del codice civile, «con l'estendere lo stato giuridico degli impiegati privati ai dipendenti degli enti pubblici economici, costituisce prova sufficiente della natura del rapporto, non essendo consentito attribuire ad una categoria di dipendenti lo stato giuridico dei dipendenti delle imprese private e nello stesso tempo conservare al relativo rapporto di impiego il carattere ed il contenuto di un rapporto di pubblico impiego» [...]" (cfr. Corte cost. 19 aprile 2019, n. 100).

Orbene la giurisprudenza ha chiarito che, ai fini dell'applicazione della disciplina di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non rientrano nella nozione di amministrazione pubblica, appunto, gli enti pubblici economici, non ricompresi nell'elencazione contenuta nell'art. 1, comma 2, dello stesso decreto (che si riferisce a "tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali"), cosicché i dipendenti di un ente pubblico economico non hanno lo status di pubblico dipendente ai sensi dell'art. 1, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (arg. ex C.d.S., sez. V, 7 febbraio 2012, n. 241).

In disparte tale dirimente considerazione, giova osservare che le conseguenze derivanti dall'inosservanza della disciplina normativa evocata dalla società ricorrente (art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) non hanno incidenza alcuna sugli affidamenti di contratti pubblici.

In altri termini, la disciplina dell'incompatibilità prevista dagli art. 60 e ss. d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 prevede che l'impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall'incarico (decadenza che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro). Nel caso in cui l'impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all'art. 55 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (cfr. Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 2018, n. 20555).

Inoltre, il legislatore ha stabilito che per il caso di inosservanza del divieto a carico dei dipendenti pubblici di svolgimento di incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'Amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti, mentre l'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (cfr. art. 53, commi 7 e 7-bis, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165).

Ciò precisato, e fermo quanto osservato sopra in relazione alla natura di ente pubblico economico di Veneto Agricoltura, nessuna conseguenza sul piano della legittimità dell'affidamento contestato discenderebbe dalla violazione dell'art. 60 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

Parimenti, il Collegio ritiene che le dedotte censure riguardanti il divieto di c.d. pantouflage (o di c.d. revolving doors) - di matrice legale ovvero discendente dal piano anticorruzione di Veneto Agricoltura - non risultino fondate.

In primo luogo, va ricordato che l'art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall'art. 1, comma 42, lett. l), della l. 6 novembre 2012, n. 190, recita: "I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti".

La finalità della disposizione è quella del contenimento del rischio di situazioni di corruzione (latu sensu intesa, e quindi, più in generale di c.d. maladministration): in particolare, il rischio valutato dalla norma è che durante il periodo di servizio il dipendente possa artatamente precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose e così sfruttare a proprio fine la sua posizione e il suo potere all'interno dell'Amministrazione per ottenere un lavoro per lui attraente presso l'impresa o il soggetto privato con cui entra in contatto; la norma prevede quindi una limitazione della libertà negoziale del dipendente per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto per eliminare la "convenienza" di accordi fraudolenti (arg. ex T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 24 novembre 2017, n. 2737).

Appare evidente come la disposizione in esame abbia una diretta derivazione dal principio costituzionale di imparzialità dell'Amministrazione e dal principio che impone ai pubblici impiegati di essere "al servizio esclusivo della Nazione" (cfr. artt. 97 e 98 Cost.).

Ciò premesso, un primo ostacolo all'applicazione della disposizione di fonte primaria in questione al caso che occupa deriva proprio dalla circostanza che essa si riferisce espressamente ai dipendenti che hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 fra le quali, come sopra detto, non rientrano gli enti pubblici economici.

In disparte tale aspetto, difetta in via radicale un presupposto perché la disposizione di fonte primaria possa trovare applicazione al caso in esame: ed invero, i dipendenti interessati dalla norma (ai quali sono "equiparati" i soggetti indicati nell'art. 21 del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39), come sopra anticipato, sono quelli che hanno esercitato poteri autoritativi e negoziali, e nel caso in esame non risulta affatto dimostrato tale esercizio in capo ai sig.ri T. e R. (non è dimostrato, esemplificativamente, che abbiano adottato provvedimenti amministrativi ovvero stipulato contratti).

Le conclusioni raggiunte non muterebbero neppure ove volesse abbracciarsi la tesi estensiva - patrocinata dall'Autorità Nazionale Anticorruzione - secondo la quale la norma in esame è idonea a ricomprendere non solo i titolari di poteri autoritativi e negoziali ma anche quelli che, pur non essendo titolari di tali poteri, collaborano al loro esercizio svolgendo istruttorie (pareri, certificazioni, perizie) che incidono in maniera determinante sul contenuto del provvedimento finale, ancorché redatto e sottoscritto dal funzionario competente (cfr., ex multis, ANAC, delibera 5 giugno 2019, n. 537; Id., delibera 5 giugno 2019, n. 506).

Ed invero, non risulterebbe parimenti dimostrata la collaborazione, nei termini anzidetti, da parte degli stessi sig.ri T. e R. all'esercizio di poteri autoritativi e negoziali.

Quanto all'art. 13.4 (Attività successiva alla cessazione del rapporto di lavoro dei dipendenti) racchiuso nel Piano triennale per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza 2019 - 2021 adottato dall'Agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario "Veneto Agricoltura", esso prevede espressamente che "I dipendenti nel triennio successivo alla cessazione del rapporto con l'amministrazione, qualunque sia la causa di cessazione, non possono avere alcun rapporto di lavoro autonomo o subordinato con i soggetti privati che sono stati destinatari di provvedimenti, contratti o accordi [...]".

Va osservato che si tratta - se è possibile così dire - di una disposizione imperfecta, in quanto pone il divieto a carico dei dipendenti di Veneto Agricoltura (senza distinzioni di sorta) di avere alcun rapporto di lavoro autonomo o subordinato con i soggetti privati che sono stati destinatari di provvedimenti, contratti o accordi nel triennio successivo alla cessazione del rapporto con l'ente medesimo, qualunque sia la causa di cessazione, e tuttavia non predispone alcun apparato "sanzionatorio" a presidio dell'osservanza dello stesso.

In particolare e ai fini di interesse, a differenza di quanto visto a proposito della disciplina dettata dall'art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il cit. art. 13.4 del Piano triennale per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza 2019-2021 della parte resistente non prevede né la nullità dei contratti conclusi e degli incarichi conferiti né il divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.

Si rinvia all'esame del terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio l'analisi della questione riguardante l'affermata violazione degli artt. 42 e 95 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

4. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio la società esponente ha dedotto il vizio di Violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 30 e 36.1 d.lgs. n. 50/2016 per violazione dei principi di concorrenza, non discriminazione e di rotazione.

Dopo aver richiamato la disciplina dettata dall'art. 36, comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 nonché il fondamento e la finalità del principio di rotazione, la società ricorrente ha argomentato nel senso che, per effetto del suddetto principio, l'impresa che in precedenza ha svolto un determinato servizio non ha più alcuna possibilità di vantare una legittima pretesa ad essere invitata/partecipare ad una nuova procedura di gara per l'affidamento di un contratto pubblico di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, né può risultare aggiudicataria.

Secondo la prospettazione della parte ricorrente, dunque, Green Wave S.r.l., in costituenda ATI con Limosa Soc. Coop. (quest'ultima gestore uscente), non solo non avrebbe potuto aggiudicarsi la gara, ma non avrebbe dovuto nemmeno esservi ammessa: ne discende che l'aggiudicazione - e prima ancora l'ammissione di Green Wave S.r.l. in costituenda ATI con Limosa Soc. Coop. - è illegittima in quanto idonea di per sé a ledere i principi di libera concorrenza e non discriminazione a cui presidio è posto il "criterio della rotazione".

È pur vero - dà lealmente atto la stessa società ricorrente - che le Linee guida ANAC. n. 4 limitano l'applicazione del principio di rotazione ai soli casi in cui la stazione appaltante eserciti limitazioni al numero di operatori da invitare, tuttavia, argomenta l'esponente, tale limitazione deve essere applicata "caso per caso" in considerazione delle peculiarità della fattispecie concreta.

Non senza considerare - argomenta la parte ricorrente - che se il principio di rotazione potesse valere solo in caso di procedure negoziate o su invito, per la stazione appaltante sarebbe agevole eludere tale principio ricorrendo alla gara in caso di contratto sottosoglia; nel caso di specie, la scelta di indire la gara in luogo della procedura negoziata potrebbe essere ritenuta strumentale a eludere il divieto previsto dall'art. 36, comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 per aggiudicare (ancora una volta) allo stesso soggetto che per oltre 10 anni ha gestito il sito di Vallevecchia, come dichiarato dalla stessa Cooperativa Limosa.

Inoltre, osserva la società ricorrente, se la ratio del principio di rotazione è appunto quella di escludere posizioni di rendita in capo al gestore uscente, la partecipazione e, a fortiori, l'aggiudicazione a favore di quest'ultimo costituisce sempre una violazione del predetto principio a prescindere dalla tipologia di procedura (aperta o negoziale) scelta dalla stazione appaltante.

Nelle memorie successivamente versate in giudizio la società ricorrente ha ulteriormente argomentato la propria doglianza.

Le parti resistente e controinteressata hanno contrastato il motivo dedotto.

4.1. La censura è infondata.

L'art. 36 (Contratti sotto soglia), comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, così come modificato dall'art. 25, comma 1, lett. a), del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, prevede: "1. L'affidamento e l'esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e in modo da assicurare l'effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese. Le stazioni appaltanti possono, altresì, applicare le disposizioni di cui all'articolo 50".

Al riguardo il Collegio ritiene che il principio di rotazione di cui alla sopra richiamata disposizione normativa non si applichi a tutti gli appalti sotto soglia.

Ed invero, come condivisibilmente chiarito dalla giurisprudenza (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 23 luglio 2018, n. 4883), alla luce dell'orientamento espresso dall'Autorità Nazionale Anticorruzione (punto 3.6 della delibera n. 206 del 1° marzo 2018, Aggiornamento al decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 delle Linee guida n. 4, di attuazione del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 recanti: «Procedure per l'affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici»), la rotazione non si applica laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione.

Ed invero, allorquando la stazione appaltante apre al mercato dando possibilità a chiunque di candidarsi a presentare un'offerta senza determinare limitazioni in ordine al numero di operatori economici ammessi alla procedura, ha per ciò stesso rispettato il principio di rotazione che non significa escludere chi abbia in precedenza lavorato correttamente con un'Amministrazione, ma significa non favorirlo (arg. ex T.A.R. Sardegna, sez. I, 22 maggio 2018, n. 493).

Orbene, nel caso in esame, come si legge all'art. 6 (Soggetti ammessi) dell'avviso pubblico di gara (documento 11 depositato dalla società ricorrente in data 8 marzo 2019), "Sono ammessi a presentare la propria migliore offerta tutti quei soggetti in possesso dei requisiti di cui alla dichiarazione da presentarsi ai sensi del successivo paragrafo "Modalità di presentazione dell'offerta"".

Alla luce del sopra richiamato orientamento e in presenza della citata previsione della lex specialis, la censura relativa alla violazione del principio di rotazione deve ritenersi infondata.

Né appare condivisibile la tesi sostenuta dalla società ricorrente circa la natura strumentale della scelta di indire la gara in luogo della procedura negoziata (per eludere il divieto posto dall'art. 36, comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e aggiudicare ancora una volta allo stesso soggetto) posto che la censurata scelta della parte resistente va nella direzione di prediligere il "principio generale" (arg. ex T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-ter, 4 settembre 2018, n. 9145) della pubblicità e della massima concorrenzialità tipica della procedura aperta.

5. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio la società esponente ha dedotto i vizi di Violazione di legge in relazione all'art. 42, comma 1, del d.lgs. 50/2016 in uno con violazione dell'art. 95 del d.lgs. 50 del 2016 e la violazione dell'art. 80 comma 5 lettera d) del d.lgs. 50 del 2016; infine, eccesso di potere per violazione della par condicio e principio di imparzialità, nonché arbitrarietà del giudizio della commissione di gara e difetto di motivazione.

Secondo la società ricorrente, la composizione della commissione di gara (formata da tutti dipendenti di Veneto Agricoltura) unita al fatto che essa si è trovata a giudicare dell'offerta presentata da un "ex collega" (o tuttora collega), avendo quest'ultimo svolto le proprie mansioni (quali poco importa) alle dipendenze del medesimo ente-stazione appaltante, integra evidente violazione dell'art. 42, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016, per conflitto di interesse, integrando, tale concomitanza di circostanze, fattispecie distorsiva della concorrenza e violazione del principio di parità di trattamento.

Ritiene la società ricorrente finanche scontato sottolineare che la parzialità di giudizio tra soggetti legati da "rapporto di colleganza" (non potendosi negare, tra i diversi dipendenti pubblici, a prescindere da ruolo e mansioni, quel minimo di conoscenza che mina in radice ogni garanzia di imparzialità) crea una situazione che impone un dovere di astensione da parte dei commissari che si trovino a giudicare dell'offerta formulata da un ex o attuale collega di lavoro; il che si riflette, ove sia mancata tale astensione, quale sintomo di illegittimità, per violazione dei canoni di imparzialità e par condicio, di tutti gli atti di gara, ivi compresa l'aggiudicazione.

La denunciata situazione di incompatibilità per la società esponente è ancor più grave in considerazione dei criteri di aggiudicazione formulati nel bando, la cui generica portata appare oggi "cangiante" (alla luce della mancata esclusione dell'ex dipendente o alla luce della mancata astensione e riformazione della commissione di gara), se messa in relazione a tutti i vizi precedentemente denunciati: tale genericità dei criteri (cui ha fatto seguito il difetto motivazionale infra declinato) - per l'esponente - non è improbabile che possa essere percepita come funzionale o strumentale a consentire l'esito di favorire taluno, minando in radice l'imparzialità del giudizio finale.

Secondo la società ricorrente, la strutturazione dei criteri di aggiudicazione c.d. "a maglia larga" (in cui si imputano 15 punti al massimo in relazione alle caratteristiche aziendali indicate senza esplicitazione del sub-punteggio da attribuire a ciascuna di queste, ben 35 punti alla proposta gestionale da articolarsi su attività specifiche senza alcuna indicazione del peso specifico di taluna di queste), insieme alla valutazione delle proposte formulate dai concorrenti e relativo giudizio che si riscontrano nel verbale di gara relativo alla seduta del 26 ottobre 2018, prive di idonea puntuale motivazione (ove alla Green Wave S.r.l. viene imputata competenza degli addetti dimostrata dalle caratteristiche aziendali, di un'azienda che è neo costituita) producono un'aggiudicazione priva di ogni elemento di obiettività che non lascia nemmeno intravvedere le eventuali differenze tra una proposta e l'altra, non rispettosa dei principi di imparzialità e par condicio e scarsamente motivata, oltre che illogica.

Tali circostanze, osserva l'esponente, se messe in relazione a quelle denunciate al primo e secondo motivo, rischiano di dar luogo ad un vero e proprio mercato chiuso caratterizzato da plateale arbitrarietà che vede protagonisti assoluti l'ex affidatario, da un lato, e l'ex dipendente, dall'altro, senza alcuna possibilità di una vera apertura al mercato dei servizi messi a gara.

La società ricorrente rimarca inoltre che sia per la stessa che per Adria global service vengono spese sostanzialmente identiche valutazioni, frutto quasi di "un taglia e cuci", che si limitano a declinare genericamente "una descrizione poco esauriente delle caratteristiche aziendali" e che non consentono di apprezzare nemmeno le differenze tra le due proposte; donde, osserva la stessa esponente, la carenza di motivazione.

Secondo la società ricorrente è possibile presumere che l'intera procedura potesse essere proprio funzionale alla conservazione del servizio di gestione del parcheggio in capo chi vi aveva provveduto fino al giorno prima (R. e T.) e la gestione del centro visite a chi vi aveva provveduto fino a quel momento (Limosa Soc. Coop.): quantomeno questa è la situazione finale che si viene a configurare. Quanto, invece, in relazione a quanto previsto dall'art. 80, comma 5, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 e alla posizione di conflitto di interessi di Green Wave S.r.l., quest'ultima doveva essere esclusa dalla gara e la mancata esclusione determina violazione anche di tale ultima richiamata disposizione.

I vizi appena denunciati, argomenta la società ricorrente, si riflettono anche sugli stessi criteri di aggiudicazione previsti nel bando che, proprio in conseguenza dei denunciati conflitti ed incompatibilità, non possono che essere giudicati illegittimi ove appaiono strumentali/a servizio di una scelta (l'aggiudicazione impugnata) arbitraria e carente di motivazione in forza di quanto già in precedenza affermato. Criteri, secondo la società ricorrente, privi completamente di alcuna base scientifica.

Osserva l'esponente che l'art. 95 del d.lgs. n. 50 del 2016 dispone che per quanto i criteri di aggiudicazione, e la relativa applicazione, possano essere connotati da discrezionalità, nondimeno "essi non conferiscono alla stazione appaltante un potere di scelta illimitata dell'offerta" perché in ogni caso essi devono essere formulati ed applicati in modo da garantire una effettiva concorrenza (non apparente), e devono essere specificati al punto da consentire la "verifica efficace" delle informazioni fornite dai concorrenti in modo da consentire la valutazione del relativo grado di soddisfacimento da parte delle offerte presentate. In particolare nell'offerta economicamente più vantaggiosa tali criteri, soprattutto rispetto alla valutazione degli elementi c.d. qualitativi, devono essere oggettivi al fine di consentire il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento (all'uopo parte ricorrente riporta a pag. 13 del ricorso introduttivo del giudizio ampi stralci delle linee guida ANAC).

Inoltre, lamenta l'esponente, in assenza di predisposizione di sub criteri o griglie di valutazione particolarmente dettagliate la commissione di gara deve provvedere ad esplicitare le ragioni del giudizio (come qui ha fatto rispetto alle offerte della seconda e terza classificata, con formule succinte e analoghe, quasi fossero "clausole di stile"/copia e incolla); all'uopo parte ricorrente richiama un precedente giurisprudenziale.

Nel caso di specie, lamenta l'esponente, pur essendo diversi gli elementi qualitativi di valutazione rispetto ai quali si articolava ogni criterio (A1 e A2), nondimeno la genericissima valutazione formulata dalla commissione di gara non ha permesso di enucleare per ciascuno di essi le ragioni di attribuzione del punteggio.

Le violazioni denunciate, conclude la ricorrente, integrano anche i profili di eccesso di potere denunciati ed un macroscopico difetto di motivazione in relazione all'attribuzione dei punteggi, tale non consentire di ricostruire adeguatamente le ragioni che hanno portato all'aggiudicazione.

Nelle memorie successivamente versate in giudizio la società ricorrente ha ulteriormente argomentato le proprie doglianze.

Le parti resistente e controinteressata hanno contrastato i motivi dedotti.

5.1. Le censure sono infondate.

Quanto alla affermata sussistenza del conflitto di interessi, il Collegio osserva che la nozione fissata dall'art. 42, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - cui rimanda il successivo art. 80, comma 5, lett. d), che ne fa una causa di esclusione dell'operatore economico - ("[...] quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62"), non consente di avvalorare la tesi di parte ricorrente, non risultando comprovata, nel caso che occupa, la sussistenza in capo ai componenti la commissione - in via diretta o indiretta - di "un interesse finanziario, economico o altro interesse personale".

Ed invero, deve ritenersi che con tali espressioni il legislatore abbia voluto compendiare (in termini generali ed astratti) tutte le situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l'imparzialità richiesta nell'esercizio del potere decisionale, ipotesi che si verificano quando il soggetto chiamato a svolgere una funzione strumentale alla conduzione della gara d'appalto è portatore di interessi della propria o dell'altrui sfera privata, che potrebbero influenzare negativamente l'esercizio imparziale ed obiettivo delle sue funzioni (cfr. C.d.S., sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415).

Ma, appunto, nella vicenda che occupa non è stato comprovato che i componenti la commissione di gara si siano resi portatori di interessi della propria o dell'altrui sfera privata, non essendo sufficiente allo scopo - in quanto espressione di un approccio congetturale - evocare il mero rapporto di "colleganza" ovvero di "conoscenza".

In altri termini, deve escludersi che il conflitto di interessi ex art. 42, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, sussista in via astratta, richiedendo verifiche in concreto e sulla base di prove specifiche (arg. ex C.d.S., sez. V, 17 aprile 2019, n. 2511).

Va inoltre osservato che la fattispecie in esame non è sovrapponibile a quelle esaminate dalla giurisprudenza in recenti vicende processuali; a titolo esemplificativo:

- il precedente giurisprudenziale evocato dalla parte ricorrente (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 26 febbraio 2018, n. 337) concerneva un medico e un funzionario amministrativo, dipendenti in servizio della ASL committente e contestualmente legale rappresentante e consigliere di una cooperativa partecipante alla procedura di affidamento indetta dalla medesima ASL. Orbene, in disparte il diverso ruolo e posizione rivestiti nell'ente di appartenenza rispetto alla vicenda in esame (va ribadito che i sig.ri R. e T. erano al tempo della proposizione dell'offerta dipendenti a tempo determinato con la qualifica di operaio ex qualificato), ai fini della decisione in quella vicenda è apparso al giudicante dirimente lo specifico "Regolamento per la disciplina delle autorizzazioni concernenti l'espletamento di incarichi non compresi nei compiti e doveri d'ufficio, in applicazione dell'art. 53 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modifiche ed integrazioni" dell'ente, in punto di incompatibilità;

- nella più recente sentenza C.d.S., sez. III, 14 gennaio 2019, n. 355 veniva in evidenza - ai fini della accertata sussistenza del conflitto di interessi - una "figura dirigenziale di rilievo nella struttura organizzativa della stazione appaltante" che risultava inclusa nel gruppo di lavoro di un operatore economico concorrente.

Orbene, come sopra anticipato, il caso in esame appare sensibilmente diverso, in ragione del ruolo e della posizione dei sig.ri R. e T. nell'ambito dell'ente resistente, e anche le "asimmetrie informative" denunciate dalla parte ricorrente, alla luce di quanto dianzi osservato, sono rimaste a livello di mera e congetturale ipotesi.

Quanto all'ulteriore censura riguardante i criteri di aggiudicazione previsti dalla lex specialis, in primo luogo, va osservato che l'assenza di sub-criteri non ridonda in illegittimità alla luce dell'orientamento giurisprudenziale - formatosi nella vigenza dell'art. 83, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ma valevole anche in relazione al vigente art. 95, comma 8, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - secondo cui la mancata previsione di sub-criteri di valutazione non costituisce, di per sé, motivo di illegittimità della lex specialis di gara.

Infatti, la mancata previsione di sub-pesi e sub-punteggi per ciascun criterio di valutazione qualitativa dell'offerta non è indice di indeterminatezza dei criteri di valutazione, in quanto la possibilità di individuare sub-criteri è meramente eventuale (com'è palese dalla riportata espressione "ove necessario": cfr., ex multis, C.d.S., sez. III, 11 marzo 2019, n. 1637; C.d.S., sez. V, 14 novembre 2017, n. 5245).

Risulta, inoltre, che in relazione agli elementi di valutazione relativi concernenti la qualità dell'offerta, fissati dall'art. 9 dell'avviso pubblico di gara, distinti in A1 Valutazione delle caratteristiche aziendali in relazione agli obiettivi (con punteggio massimo di 15 punti) e A2 Valutazione della proposta gestionale (con punteggio massimo di 35 punti), e con declinazione per ciascuno di essi degli aspetti o profili che sarebbero stati valutati, Veneto Agricoltura abbia anche precisato i parametri motivazionali: "[...] chiarezza e completezza, coerenza con le finalità e gli obiettivi della concessione, aspetti di innovazione e di impegno finanziario, concretezza delle proposte e modalità di attuazione", la cui specificazione non è prevista come obbligatoria (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. I, 12 giugno 2018, n. 572).

Inoltre, la giurisprudenza ha chiarito che la scelta operata dall'Amministrazione, in una procedura di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, relativamente ai criteri di valutazione delle offerte, ivi compreso il peso da attribuire a tali singoli elementi, specificamente indicati nella lex specialis e anche la disaggregazione eventuale del singolo criterio valutativo in sub-criteri, è espressione dell'ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l'interesse pubblico, e come tale è sindacabile in sede di legittimità solo allorché sia macroscopicamente illogica, irragionevole ed irrazionale ed i criteri non siano trasparenti ed intellegibili, non consentendo ai concorrenti di calibrare la propria offerta (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2075); tali ipotesi, però, non ricorrono nel caso in esame.

Giova peraltro evidenziare che - sempre per la giurisprudenza - i criteri di valutazione possono contenere anche previsioni di massima, pur idonee a introdurre specifici limiti alla sfera di discrezionalità valutativa della commissione, essendo essenziale al giudizio di merito della commissione la presenza di un margine di discrezionalità, che non può essere assorbito in un contesto di criteri e sub-criteri di dettaglio tale da rendere vincolato un giudizio che per definizione non può rivestire siffatta natura (cfr. C.d.S., sez. III, 23 febbraio 2015, n. 907; T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 7 marzo 2018, n. 71; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 5 febbraio 2018, n. 743).

Ciò chiarito, si ribadisce che l'avviso pubblico di gara stabiliva i parametri motivazionali in relazione ai criteri di valutazione, così prospettando ai partecipanti secondo quali criteri sarebbero stati valutati i pertinenti contenuti dell'offerta; inoltre, come già detto, vi era facoltà (e non obbligo) di predeterminazione dei sub-criteri.

Infine, a differenza di quanto dedotto dalla parte ricorrente, nei verbali della commissione di gara in relazione alle sedute riservate del 7 e del 13 novembre 2018 sono riportate, con apparato discorsivo, le valutazioni espresse - anche in termini di raffronto - dalla stessa commissione (che ha utilizzato il metodo del confronto a coppie) in relazione agli elementi di valutazione A1 e A2, e ciò permette di delineare con sufficiente chiarezza l'iter logico-giuridico seguito nella valutazione delle offerte.

Né, peraltro, dette valutazioni sono state fatto oggetto di critiche puntuali, con il che deve escludersi la fondatezza della censura in esame.

6. Quanto all'azione di annullamento proposta con il ricorso per motivi aggiunti, la società esponente ha dedotto, innanzitutto, i vizi di Violazione di legge in relazione all'art. 63 del d.lgs. 50 del 2016; nonché eccesso di potere per difetto di motivazione.

Secondo la società ricorrente la stazione appaltante non ha declinato - in alcuno degli atti gravati - le ragioni che hanno giustificato il ricorso alla procedura c.d. d'urgenza prevista dalla predetta disposizione che, attesa la portata acceleratoria e compressiva del principio di concorrenza, deve essere intesa come di stretta interpretazione. Ne discende che, presupposto per la sua applicazione, è che vi sia una assoluta impossibilità di rispettare i termini previsti rispettivamente dagli artt. 60 e 61 del codice dei contratti per le procedure aperte e/o ristrette, che possono essere ridotti in presenza di ragioni d'urgenza debitamente motivate da parte dell'Amministrazione aggiudicatrice.

Pertanto, osserva la ricorrente, il codice dei contratti impone sempre il ricorso alle procedure ordinarie, sebbene in "regime accelerato" (inteso con riduzione dei termini procedimentali), e solo in via eccezionale ammette il ricorso all'istituto previsto dall'art. 63 del codice dei contratti (all'uopo parte ricorrente richiama un precedente giurisprudenziale): nel caso di specie, lamenta l'esponente, la stazione appaltante ha direttamente applicato tale istituto senza, peraltro, dare conto delle "ragioni di estrema d'urgenza derivate da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice" che hanno giustificato il ricorso alla procedura d'urgenza.

In ogni caso, osserva la società ricorrente, non sussistono proprio ragioni di estrema d'urgenza tali da giustificare il ricorso alla procedura ex art. 63 del codice dei contratti non rientrando, ad esempio, il servizio de quo tra quelli di pubblico interesse (come quelli sanitari, scolastici, ecc.), né sussistono ragioni d'urgenza tali da non consentire di attendere la celebrazione dell'udienza di merito.

Lamenta l'esponente che l'improvvisa accelerazione "impressa" da Veneto Agricoltura altro non rappresenta che un malcelato tentativo di impedire alla stessa ricorrente di approntare ogni utile difesa, "mettendola di fronte al fatto compiuto" per rendere inutiliter data l'eventuale accoglimento del ricorso proposto; anche la decisione di Veneto Agricoltura di anticipare l'avvio del servizio rispetto al termine indicato nel disciplinare conferma ciò, con conseguente frustrazione dell'eventuale diritto della società esponente a subentrare nel predetto servizio.

Nelle memorie successivamente versate in giudizio la società ricorrente ha ulteriormente argomentato le proprie doglianze.

Le parti resistente e controinteressata hanno contrastato i motivi dedotti.

6.1. Il motivo è infondato.

Il Collegio intende premettere che per la consolidata giurisprudenza amministrativa, la procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara - disciplinata dall'art. 63 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 - riveste carattere di eccezionalità rispetto all'obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di selezionare il loro contraente attraverso il confronto concorrenziale, sicché la scelta di tale modalità richiede un particolare rigore nell'individuazione dei presupposti giustificativi, da interpretarsi restrittivamente, ed è onere dell'Amministrazione committente dimostrarne l'effettiva esistenza (arg. ex C.d.S., sez. III, 26 aprile 2019, n. 2687).

Ciò posto, la censura di parte ricorrente non coglie nel segno atteso che la disposizione del direttore di Veneto Agricoltura n. 57 del 3 aprile 2019 - espressamente richiamata nel verbale delle operazioni in data 15 aprile 2019 e nel successivo decreto del direttore n. 37 del 18 aprile 2019 - dopo aver ricostruito la vicenda concernente la procedura contestata con il ricorso introduttivo del giudizio fino alla pronuncia dell'ordinanza cautelare 21 marzo 2019, n. 127, ha osservato che «[...] tra i servizi oggetto della concessione che si sarebbe dovuto affidare a seguito della predetta procedura di gara, vi è anche la gestione del parcheggio di Vallevecchia, la cui operatività è indispensabile per assicurare l'ordinata fruizione dell'area ove insistono zone di particolare pregio naturalistico (Sito di Importanza Comunitaria (IT3250033 Laguna di Caorle - Foce del Tagliamento) e Zona di Protezione Speciale (IT3250041 Valle Vecchia - Zumelle - Valli di Bibione) della Rete europea Natura 2000 per la conservazione della biodiversità, ai sensi delle Direttive Comunitarie "Habitat" ed "Uccelli", le quali rischierebbero di essere danneggiate da flussi di auto non regolamentati particolarmente intensi nel periodo primaverile ed estivo», ritenendo «necessario e urgente assicurare al più presto il servizio di gestione del parcheggio di Vallevecchia da svolgersi nel corso della corrente stagione 2019 in attesa che l'adito TAR si pronunci sulla regolarità della procedura di gara in oggetto».

Alla luce di quanto sopra, il Collegio ritiene che le ragioni d'urgenza siano state espressamente declinate e che le stesse si sottraggano alle critiche formulate dalla società ricorrente, essendo stato precisato il rischio che si è inteso fronteggiare e non risultando il relativo apprezzamento macroscopicamente illogico, irrazionale o frutto di un travisamento dei fatti.

Inoltre, non sono ravvisabili carenze di organizzazione o di programmazione ovvero inerzie di Veneto Agricoltura e, dunque, complessivamente, le circostanze invocate a giustificazione del ricorso alla procedura di cui trattasi non sono imputabili alla parte resistente.

Quanto all'affermato anticipato avvio del servizio, v'è da precisare che l'art. 4 del disciplinare prevedeva la data di consegna dell'area di sosta "entro" la data del 1° maggio 2019: ne consegue che non si pone in distonia rispetto a tale previsione l'affidamento avvenuto prima di tale data.

7. Sempre in relazione all'azione di annullamento proposta con il ricorso per motivi aggiunti, la società esponente ha poi dedotto i vizi di Violazione art. 13.4 del Piano triennale per la prevenzione della corruzione della trasparenza 2019-2021 di Veneto Agricoltura "agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario" in relazione all'art. 53, comma 16 ter, del d.lgs. 165/2011 (introdotto dalla l. 190/2012, art. 1 comma 42 lett. l). Nonché, violazione degli artt. 42 e 80 del d.lgs. 50 del 2016.

La società ricorrente richiama il punto 13.4 del piano triennale anticorruzione dell'ente evidenziando che lo stesso riproduce il c.d. divieto di pantouflage previsto dall'art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, ampliandone ed estendendone la portata a fini "c.d. anticorruttivi" a tutti i dipendenti senza distinzioni di sorta e richiamando le ragioni sottese all'introduzione del divieto richiamato.

Nel caso de quo, argomenta la società ricorrente, gli stessi soci di Green Wave S.r.l. hanno ammesso di essere stati dipendenti della stazione appaltante fino al 31 ottobre 2018 e l'aver ammesso e aggiudicato il servizio di gestione parcheggio agli stessi integra appieno la violazione della disposizione del piano anticorruzione richiamata.

La violazione è a fortiori integrata - secondo la società ricorrente - in considerazione della circostanza per cui i sig.ri R. e T. stanno attualmente svolgendo un servizio del tutto identico a quello che svolgevano alle dipendenze della stazione appaltante fino al 31 ottobre 2018.

Inoltre argomenta la società esponente, come già avvenuto nella precedente gara, la commissione giudicatrice era formata da componenti, tutti, dipendenti di Veneto Agricoltura ed ex colleghi dei sig.ri R. e T.; in particolare, l'attuale RUP della procedura negoziata (e presidente della commissione nella gara "sospesa"), dott. F., aveva svolto compiti di ispezione e vigilanza proprio con riferimento al sito di Vallevecchia e, quindi, non poteva non conoscere i sig.ri R. e T. al di là delle mansioni effettivamente svolte da questi ultimi.

Secondo la parte ricorrente è evidente la violazione dell'art. 42, comma 1, del d.lgs. 50 del 2016, per conflitto di interesse, integrando, tale concomitanza di circostanze, fattispecie distorsiva della concorrenza e violazione del principio di parità di trattamento cui si devono attenere sia la stazione appaltante, che la commissione di gara da questa nominata, verso tutti i concorrenti (all'uopo parte ricorrente evoca l'argomentazione della parzialità di giudizio tra soggetti legati da "rapporto di colleganza" e l'omessa astensione, quale sintomo di illegittimità, per violazione dei canoni di imparzialità e par condicio di tutti gli atti di gara).

La società ricorrente richiama, inoltre, il parere n. 667 del 2019 e la sentenza n. 5158 del 2018 del Consiglio di Stato.

Nelle memorie successivamente versate in giudizio la società ricorrente ha ulteriormente argomentato le proprie doglianze.

Le parti resistente e controinteressata hanno contrastato i motivi dedotti.

7.1. Le censure sono infondate.

Il Collegio, in considerazione della tendenziale coincidenza delle censure e delle argomentazioni sviluppate dalla parte ricorrente, rinvia a quanto detto sopra ai punti 3.1 e 5.1. in Diritto ai fini del giudizio di infondatezza delle doglianze.

8. Infine, parte ricorrente - con il ricorso per motivi aggiunti - ha proposto azione di ottemperanza, deducendo l'inefficacia e/o nullità e/o annullabilità degli atti impugnati per violazione e/o elusione del giudicato cautelare in relazione agli artt. 21 septies della l. n. 241 del 1990 e 112 c.p.a.

Secondo la ricorrente, la stazione appaltante ha indetto una procedura negoziata avente ad oggetto il medesimo servizio (gestione del parcheggio) oggetto dell'appalto sub iudice, in spregio ai contenuti dell'ordinanza cautelare pronunciata dal Tribunale adito; secondo la società esponente il fatto stesso di aver "scorporato" una parte - la più importante dal punto di vista economico - dell'oggetto della precedente gara altro non rappresenta che un malcelato tentativo di ottenere il medesimo risultato della prima aggiudicazione, attualmente sospesa, per "ragion fattasi", impedendo così alla ricorrente di approntare ogni utile difesa "mettendola di fronte al fatto compiuto" e negandole la possibilità di espletare il servizio sub iudice.

Sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale prevalente, argomenta la società ricorrente, i provvedimenti emessi in violazione/elusione di giudicato devono considerarsi nulli (all'uopo l'esponente evoca l'art. 21-septies della l. 7 agosto 1990, n. 241, la nozione di "giudicato cautelare, nonché il relativo corredo giurisprudenziale).

In ogni caso, argomenta l'esponente, i provvedimenti impugnati sarebbero comunque annullabili poiché contrastanti con il generale dovere di esecuzione delle sentenze e degli altri provvedimenti del giudice sancito dall'art. 112, comma 1, c.p.a. e con i principi di logicità e ragionevolezza che avrebbe imposto alla stazione appaltante di attendere la definizione del giudizio.

Negli scritti successivamente versati in giudizio l'esponente ha ribadito le proprie tesi.

Le parti resistente e controinteressata hanno contrastato l'azione proposta.

8.1. La domanda, come già rilevato con ordinanza 9 maggio 2019, n. 188, risulta infondata atteso che la diversità sul piano "oggettivo" (solo il servizio di gestione dell'area di sosta) e "temporale" (solo per il periodo 1° maggio-31 ottobre 2019) dell'affidamento da ultimo disposto in favore della parte controinteressata, rispetto all'affidamento avversato con il ricorso introduttivo del giudizio, non consente di riscontrare la denunciata violazione o elusione dell'ordinanza cautelare 21 marzo 2019, n. 127.

Va peraltro richiamato, mutatis mutandis, l'orientamento in base al quale l'atto emanato dall'Amministrazione dopo l'annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo può considerarsi adottato in violazione o elusione del giudicato solo quanto da esso derivava un obbligo talmente puntuale che il suo contenuto era desumibile nei suoi tratti essenziali direttamente dalla sentenza (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I-bis, 2 maggio 2019, n. 5510).

9. In conclusione, le domande di annullamento avanzate con il ricorso introduttivo del giudizio e con i successivi motivi aggiunti devono essere respinte siccome infondate.

Vanno altresì respinte le domande con le quali la società ricorrente ha chiesto la condanna della parte resistente a dichiarare le aggiudicazioni e a stipulare i contratti con la stessa esponente, previa declaratoria dell'inefficacia dei contratti eventualmente medio tempore stipulati nonché a disporre il subentro ovvero, in caso di impossibilità, il risarcimento del danno per equivalente.

Ed invero, il mancato accoglimento delle domande di annullamento degli atti avversati determina, in via conseguenziale, il rigetto delle domande di declaratoria di inefficacia dei contratti (che postula l'annullamento dei provvedimenti di aggiudicazione: cfr. artt. 121 e 122 c.p.a.), nonché il rigetto delle domande di risarcimento in forma specifica (parimenti in ragione del difetto di caducazione dei provvedimenti di aggiudicazione) e per equivalente monetario (atteso che in assenza di declaratoria di illegittimità degli atti gravati, si palesano prive del requisito imprescindibile dell'antigiuridicità del fatto ritenuto foriero di danno).

Va parimenti respinta, attesa la sua infondatezza, l'azione di ottemperanza.

L'infondatezza delle azioni proposte consente di disattendere le richieste istruttorie, peraltro inconferenti, formulate dalla parte ricorrente con il ricorso per motivi aggiunti.

10. La peculiarità delle questioni sottese alla vicenda contenziosa ed il complessivo andamento della controversia giustificano l'integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti costituite, ferma la statuizione sulle spese racchiuse nella richiamata ordinanza 9 maggio 2019, n. 188.

Non si fa luogo a pronuncia sulle spese nei confronti di Limosa Soc. Coop., non costituitasi in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge in ogni loro domanda.

Spese di merito compensate tra le parti costituite.

Nulla spese nei confronti di Limosa Soc. Coop.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.