Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 30 maggio 2019, n. 29642

Presidente: Rago - Estensore: Pardo

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con sentenza in data 7 novembre 2017, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Milano datata 24 novembre 2016, rideterminava le pene inflitte a P. Massimo Luciano in anni 6, mesi 4 di reclusione ed euro 10.000 di multa ed a T. Enrico in anni 7, mesi 2 di reclusione ed euro 11.200 di multa, in ordine ai delitti di concorso in riciclaggio, falso materiale ed ideologico in atto pubblico, fabbricazione di documenti d'identità falsi ed, il solo T., di violazione alla sorveglianza speciale, commessi nel maggio del 2010, ritenuta per entrambi la recidiva reiterata.

1.2. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati tramite i rispettivi difensori di fiducia; P. lamentava:

- inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per avvenuta acquisizione ed utilizzazione della relazione di servizio della Polizia di Stato del 31 maggio 2011 senza che fosse mai stato dato consenso alla acquisizione del suddetto atto e dalla quale risultava il sequestro all'estero e precisamente in Germania della vettura tipo Porsche Cayenne con targa italiana;

- omessa assunzione di prova decisiva consistita nelle dichiarazioni testimoniali dei redattori della predetta nota di polizia;

- violazione dell'art. 648-bis c.p. poiché era mancata la dimostrazione dell'esistenza dell'autovettura clonata di cui non risultava alcuna traccia, come risultante anche dalla confessione del P. che riguardava la sola fabbricazione della falsa documentazione.

1.3. T. Enrico deduceva:

- violazione dell'art. 606, lett. c), in relazione agli artt. 234 e 431 c.p.p. quanto alla acquisizione della nota 31 maggio 2011 della polizia di stato su indagini condotte all'estero, che la corte di appello aveva ritenuto legittimamente acquisita in assenza di opposizione ma che doveva ritenersi utilizzabile solo in presenza di specifico accordo nel caso di specie mancante e che riguardava comunque una vettura tedesca con targa di quel paese e mai immatricolata in Italia, così come anche risultante dalla deposizione del teste L.;

- violazione dell'art. 606, lett. b), c.p.p. quanto alla individuazione dei presupposti del delitto di riciclaggio non essendovi prova dell'autovettura clone, riportante la targa italiana;

- travisamento della deposizione del teste R. che non aveva riferito con chiarezza di avere visto la vettura;

- violazione dell'art. 606, lett. b), c.p.p. in relazione alla negazione del vincolo della continuazione.

1.4. Fissato il procedimento per l'udienza del 17 maggio si disponeva il rinvio per impedimento documentato del difensore del P. alla successiva udienza del 30 maggio; a tale udienza il processo si trattava in assenza del suddetto difensore che non aveva diritto ad alcuna comunicazione secondo l'orientamento di questa corte in base al quale nel procedimento davanti alla Corte di cassazione, nel caso di rinvio ad udienza fissa disposto d'ufficio o su istanza di parte, anche per legittimo impedimento o per astensione dalle udienza, non deve essere comunicata la data della nuova udienza alle parti, atteso che queste, ricevuta notizia della data di trattazione della prima udienza, hanno l'onere di accertarsi presso la cancelleria della data del rinvio (Sez. 6, n. 26301 del 7 aprile 2017, Rv. 270375).

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi appaiono manifestamente infondati oltre che reiterativi di questioni già devolute all'esame della corte di appello e da questa esattamente affrontate e risolte e devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

2.1. Quanto al primo motivo comune, con il quale si contesta l'assenza di consenso alla acquisizione della nota di polizia del 31 maggio 2011, dalle sentenze di primo e secondo grado risulta che l'atto risultava fare parte del fascicolo del dibattimento e poiché le relazioni di servizio possono essere acquisite anche con il consenso tacito delle parti (Sez. 4, n. 23305 del 12 maggio 2015, Rv. 263874) era onere delle difese richiedere espressamente l'esclusione della stessa relazione dal fascicolo degli atti utilizzabili, dovendosi ritenere che in assenza di specifica domanda di esclusione sussista proprio un'ipotesi di consenso tacito.

In ogni caso, il primo comune motivo di ricorso non supera la c.d. prova di resistenza; invero secondo il costante orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 6, n. 18764 del 5 febbraio 2014, Rv. 259452). L'applicazione del suddetto principio al caso in esame comporta proprio l'inammissibilità del primo motivo di ricorso posto che la prova di cui i ricorrenti lamentano l'inutilizzabilità non ha avuto incidenza determinante nel giudizio di colpevolezza, affermato concordemente dai giudici di merito sulla base delle risultanze della deposizione del verbalizzante L. che ha integralmente ripercorso tutte le vicende relative al rinvenimento all'estero ed al sequestro dell'autovettura tipo Porsche Cayenne; così che anche a volere escludere l'utilizzazione della relazione di servizio del 31 maggio per assenza di consenso alla sua acquisizione, in ogni caso tutti gli elementi ricavati dalla stessa emergono proprio dalla suddetta deposizione testimoniale.

In tale valutazione rimane assorbito il secondo motivo del ricorso P. con il quale si deduce omessa assunzione di prova decisiva, costituita proprio dalla deposizione dei redattori della nota 31 maggio, che pare non rilevante sia per le considerazioni precedenti sia perché non risulta mai formulata una siffatta richiesta in fase di appello.

2.2. Gli altri motivi paiono tutti reiterativi di aspetti di mero fatto già devoluti all'esame dei giudici di merito; al proposito va ricordato come il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", e cioè di condanna in primo e secondo grado, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22 ottobre 2013, Rv. 256837). Inoltre ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello di conferma si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16 luglio 2013, Rv. 257595). Nel caso in esame, non si ravvisa né il presupposto della valutazione da parte del giudice di appello di un differente materiale probatorio utilizzato per rispondere alle doglianze proposte avverso la sentenza di primo grado né, tantomeno, il dedotto macroscopico travisamento dei fatti denunciabile con il ricorso per cassazione; in particolare, il giudice di merito, ha già risposto con adeguata motivazione a tutte le osservazioni della difesa dell'imputato che in sostanza ripropongono motivi di fatto osservando che il compendio probatorio a carico dei ricorrenti è costituito dalla riconosciuta complessa falsificazione di tutta la documentazione dell'autovettura tipo Porsche Cayenne nonché dal rinvenimento di un siffatto mezzo con targa italiana successivamente in Germania e dalla riconosciuta esistenza di tale vettura in forza della deposizione del teste R.

Le conclusioni circa la responsabilità dei ricorrenti risultano quindi adeguatamente giustificate dai giudici di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

2.3. Quanto, infine, alla negazione dei presupposti della continuazione da parte del giudice di appello nei riguardi del T., la valutazione compiuta alle pagine 9-10 della pronuncia impugnata appare priva delle lamentate censure, facendo riferimento alla rilevante distanza temporale tra i diversi fatti ed alla sussistenza non di un unico disegno criminoso quanto di uno stile di vita del ricorrente soggetto abitualmente dedito alla consumazione di furti di autovettura di grossa cilindrata. Ed a fronte di tali considerazioni in punto di fatto, che paiono prive di manifesta illogicità o contraddizione, il ricorso insiste su una lettura alternativa delle condotte delittuose evidentemente non deducibile nella presente fase di legittimità.

2.4. L'inammissibilità del ricorso avanzato nell'interesse del T. non preclude però la eliminazione della condanna dello stesso in relazione al delitto di cui all'art. 75 codice antimafia; ed invero con la recente sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 2019 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 75, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell'inosservanza delle prescrizioni di "vivere onestamente" e di "rispettare le leggi", essendosi valutato tale precetto non conforme al principio costituzionale di prevedibilità della condotta sanzionata dalla norma incriminatrice penale in quanto facente riferimento ad obblighi indistinti e generici la cui violazione sarebbe consumata in presenza di qualsiasi violazione di legge e non soltanto di quella penale.

Tanto premesso, nel caso in esame va fatta applicazione della regola stabilita dalle Sezioni unite di questa corte e secondo cui nel giudizio di cassazione l'illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d'ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo (Sez. un., n. 33040 del 26 febbraio 2015, Rv. 264207); principio affermato anche in relazione all'abolitio criminis con altra pronuncia secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione, per qualunque causa verificatasi, non impedisce la possibilità di dichiarare la depenalizzazione del reato nel frattempo intervenuta, né di revocare le statuizioni civili e di annullare le sanzioni civili illegittimamente irrogate (Sez. 5, n. 8735 del 5 dicembre 2017, Rv. 272511).

L'applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame, comporta affermare che l'inammissibilità del ricorso per cassazione tranne che per tardività, non preclude la possibilità di dichiarare l'annullamento della sentenza impugnata relativamente alla condanna per il reato di cui all'art. 75 codice antimafia a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata con la sentenza n. 25 del 2019 del giudice delle leggi.

Ne consegue, pertanto, che la sentenza impugnata deve essere sul punto annullata senza rinvio e la frazione di pena irrogata al T. in relazione al predetto delitto di cui all'art. 75, pari a mesi 2 di reclusione ed euro 200,00 di multa, deve essere eliminata; conseguentemente la pena finale irrogata al predetto va ridotta in anni sette di reclusione ed euro 11.000 di multa.

Alla declaratoria di inammissibilità della impugnazione del P. consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro 2.000,00.

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di T. Enrico con riguardo al delitto di cui all'art. 75 d.lgs. n. 159/2011 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione ed euro 200,00 di multa.

Dichiara inammissibile il ricorso del T. nel resto e ridetermina la pena allo stesso inflitta in ordine ai rimanenti reati in anni sette di reclusione ed euro 11.000 di multa.

Dichiara inammissibile il ricorso di P. Massimo Luciano che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Depositata l'8 luglio 2019.