Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 21 maggio 2019, n. 3269
Presidente: Santoro - Estensore: Gambato Spisani
FATTO
Il Comune intimato appellato, a seguito di una relazione di sopralluogo del 1° aprile 2009, ha emesso l'ordinanza 21 settembre 2009, n. 289 e prot. n. 57880, notificata all'interessato il giorno 2 ottobre 2009, con la quale ha ingiunto al ricorrente appellante quale proprietario di un terreno che si trova in via Vicinale delle Valli, è distinto al catasto al foglio 36 mappale 36 ed è classificato dallo strumento urbanistico vigente come zona E2 parco locale di interesse sovracomunale, ovvero zona 3 del piano particolareggiato "Parco Brianza Centrale", di rimuovere in quanto abusive opere realizzate senza titolo alcuno sul terreno in questione, costituite da due capannoni per ricovero animali, rispettivamente di circa 330 e 200 mq e da una recinzione di tutto il lotto, realizzata in paletti e rete metallica plastificata, con un accesso carraio (doc. 7 in I grado ricorrente appellante, ordinanza citata).
L'interessato non ha impugnato tale ordinanza, ma ha presentato il giorno 30 novembre 2009 al Comune una richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, propriamente di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del t.u. 6 giugno 2001, n. 380, che riceveva il numero di pratica edilizia 616/09 e su richiesta del Comune stesso la ha corredata di alcune integrazioni documentali, fra cui le tavole planovolumetriche degli immobili interessati (doc.ti 8, 11 e 12 in I grado ricorrente appellante, domanda di sanatoria, integrazioni e richiesta di esse).
A fronte di tale istanza, il Comune ha pronunciato un diniego, con provvedimento 3 settembre 2010, prot. n. 51611, che a sua volta non consta impugnato (doc. 13 in I grado ricorrente appellante, diniego).
Successivamente, l'interessato, con istanza del 21 febbraio 2011, ha presentato una nuova richiesta di accertamento di conformità, relativa al medesimo compendio immobiliare, per cui ha ricevuto il numero di pratica edilizia 87/2011 (doc. 15 in I grado ricorrente appellante, istanza citata).
A tale istanza, il Comune ha risposto con l'atto 30 maggio 2011, prot. n. 33789 di cui in epigrafe, nel quale testualmente comunica che "la pratica edilizia in oggetto", ovvero la pratica 87/2011, "non è ricevibile in quanto il progetto è la riproposizione di quanto già richiesto con la pratica edilizia n. 616/2009, che in data 3 settembre 2009 con nota prot. n. 51611 ha ottenuto il diniego... si avvisa che a seguito dell'archiviazione della pratica edilizia n. 87/2011, l'amministrazione comunale provvederà agli adempimenti conseguenti relativamente al procedimento sanzionatorio" (doc. 1 in I grado ricorrente appellante).
Successivamente, infatti, il Comune ha emanato l'atto 23 giugno 2011, prot. n. 39548, con il quale ha notificato il verbale di accertamento di inottemperanza all'ordinanza 289/2009 sopra citata, avvisando che l'accertamento stesso "costituisce titolo per l'immissione in possesso al patrimonio del Comune dell'area indicata", che risultava infatti da apposita planimetria allegata già all'ordinanza di cui si è detto (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, atto citato).
Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro questi due atti, ritenendo in motivazione che la nuova istanza di accertamento di conformità, corrispondente alla pratica edilizia 87/2011, fosse effettivamente semplice reiterazione di quella di cui alla pratica 616/2009, e che la comunicazione di accertamento dell'inottemperanza fosse atto consequenziale all'ordinanza di demolizione e al primo diniego di sanatoria, entrambi inoppugnabili.
Il ricorrente ha proposto impugnazione contro tale sentenza, con appello che contiene tre censure, riconducibili secondo logica ai due motivi che seguono:
- con il primo di essi, corrispondente alle censure prima e terza alle pp. 10 e 20 dell'atto, critica la sentenza impugnata secondo logica per falso presupposto. Premesso che a suo dire non esisterebbe un provvedimento che consente di ritenere non ricevibile un'istanza amministrativa, il ricorrente appellante infatti sostiene che la nuova domanda di sanatoria sarebbe sostanzialmente diversa dalla precedente, e che quindi il Comune la avrebbe dovuta esaminare nel merito, nonché accogliere, perché le opere interessate sarebbero da un lato consentite dalla normativa di zona, dall'altra necessarie per l'alloggio dei cavalli di cui egli è proprietario, i quali diversamente si troverebbero in condizioni "assimilabili al maltrattamento di animali" (appello, p. 20 penultimo rigo);
- con il secondo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 17 dell'atto, critica la sentenza impugnata per avere ritenuto inammissibile l'impugnazione dell'atto di accertamento dell'inottemperanza, che a suo dire si fonderebbe su un'ordinanza di demolizione e su un diniego di sanatoria resi inefficaci dalla presentazione della nuova istanza in quest'ultimo senso.
Il Comune ha resistito, con atto 6 giugno e memoria 25 luglio 2013, in cui chiede che l'appello sia respinto, evidenziando in particolare come l'identità fra le due domande di accertamento di conformità si ricavi dagli elaborati tecnici ad esse allegati.
Con ordinanza 31 luglio 2013, n. 2948, la Sezione ha respinto la domanda cautelare.
Con memoria 8 marzo 2019 per il Comune e con repliche 13 marzo 2019 per l'appellante e 20 marzo 2019 per il Comune stesso, le parti hanno insistito sulle rispettive tesi.
All'udienza del giorno 11 aprile 2019, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. L'appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.
2. Il primo motivo, fondato su un presunto travisamento del fatto da parte del Comune, è infondato.
2.1. Preliminarmente, occorre qualificare in modo esatto l'atto 30 maggio 2011 del Comune, con particolare riguardo alla dichiarazione in esso contenuta, per cui la domanda del ricorrente appellante sarebbe stata irricevibile. Il ricorrente appellante infatti ha affermato che non esisterebbe alcuna norma che consente tale dichiarazione, ovvero che consente di dichiarare irricevibile l'istanza del privato.
2.2. L'espressione usata dal Comune va intesa evidentemente in senso non tecnico, dato che l'irricevibilità in senso proprio è come noto un concetto del diritto processuale. Come si è detto in premesse, il privato ricorrente appellante aveva inoltrato una prima istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 t.u. 380/2001, istanza che il Comune aveva respinto con il provvedimento 3 settembre 2010, non impugnato. A fronte di ciò, lo stesso privato ha presentato una nuova istanza: il senso di quanto affermato a fronte di ciò dal Comune nell'atto impugnato 30 maggio 2011 è che tale istanza non conteneva nulla di nuovo rispetto alla precedente, dato che riguardava la stessa costruzione, e di conseguenza, in termini semplici, non era necessario esaminarla.
2.3. Nel far ciò, l'amministrazione ha applicato il principio pacifico, ribadito da costante giurisprudenza, per cui non vi è obbligo di provvedere sull'istanza del privato che sia meramente reiterativa di una precedente, sulla quale si sia già provveduto: in tal senso, per tutte C.d.S., sez. IV, 21 novembre 2016, n. 4836, e sez. IV, 24 maggio 2010, n. 3270. Semplicemente, all'evidenza per maggior chiarezza nei rapporti con il privato, ha ritenuto di rendere esplicito quanto tale principio prevede, e anziché mantenere un contegno inerte, dichiarare in modo esplicito che non avrebbe provveduto. Il significato del termine "irricevibilità" in tale contesto è del tutto chiaro, ed è confermato dal successivo testo dell'atto, che parla di "archiviazione" dell'istanza, per indicare appunto che su di essa non si sarebbe provveduto.
2.4. Tanto premesso, al di là della critica alla terminologia usata, il ricorrente sostiene che nel far ciò il Comune sarebbe incorso in un errore, perché la domanda da lui successivamente presentata non sarebbe a suo dire mera reiterazione della precedente. Ciò tuttavia non risponde al vero, come dedotto dal Comune nelle proprie difese citate in premesse, e in particolare alle pp. 16-17 della memoria 25 luglio 2013. È sufficiente infatti confrontare le due pratiche di richiesta dell'accertamento, nn. 616/2009 e 87/2011 (doc.ti 8 e 15 in I grado ricorrente appellante, cit.), per rilevare che le relazioni tecniche allegate sono praticamente identiche, mentre è identica la planimetria pure allegata a ciascuna pratica, a dimostrazione del fatto che si chiedeva la sanatoria per lo stesso intervento sullo stesso terreno. Le differenze esteriori fra le due pratiche riguardano l'intestazione, perché la prima è formalmente presentata dal solo ricorrente appellante e riguarda il solo mappale 36, la seconda è presentata dal ricorrente appellante e da due altri soggetti, proprietari dei mappali 27, 44 e 46, pure considerati nella pratica edilizia 87/2011. La differenza però è soltanto apparente, dato che, come spiega il Comune (memoria citata, p. 16 dall'ottavo rigo) i mappali 27, 44 e 46 vennero anch'essi considerati nella pratica 616/2009, se pure solo in un secondo momento, a seguito di una integrazione documentale: a riprova, essi sono contemplati nel relativo provvedimento di diniego (doc. 13 in I grado ricorrente appellante).
2.5. Solo per completezza si ricorda che non possono essere valutate in questa sede, perché evidentemente estranee all'oggetto di causa, le ulteriori considerazioni svolte dal ricorrente appellante nel motivo in esame, secondo il quale l'abuso in questione sarebbe una sorta di abuso di necessità, dettato dall'intento di dare decorosa e confortevole sistemazione ai propri cavalli.
3. Quanto si è fin qui esposto comporta infine che vada respinto anche il secondo motivo di appello, la cui argomentazione di base viene a cadere. Poiché infatti, come si è dimostrato, la pratica edilizia 87/2011 costituiva mera reiterazione della pratica 616/2009, nel senso che si è visto, non si può dire che, in presenza di un diniego inoppugnabile pronunciato in quest'ultima pratica, il Comune non potesse dare ulteriore corso alla repressione dell'abuso senza prima provvedere nel merito della pratica 87/2011 stessa. L'atto di accertamento dell'inottemperanza è quindi privo del vizio dedotto.
4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 4269/2013), lo respinge.
Condanna il ricorrente appellante a rifondere al Comune intimato appellato le spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.