Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 5 aprile 2019, n. 9680

Presidente: Cappabianca - Estensore: Frasca

FATTI DI CAUSA

1. Ortenzio M. e Sabrina O. hanno proposto ricorso per cassazione alle Sezioni unite avverso la sentenza n. 1306 del 7 dicembre 2016, con la quale la Sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti, provvedendo sull'appello proposto dal Procuratore regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, avverso la sentenza di quella Sezione n. 44 del 2012, che - decidendo anche riguardo ad altri soggetti - aveva ritenuto infondati gli addebiti di responsabilità per danno erariale, contestati in relazione ad un'operazione di c.d. finanza derivata, del tipo Interest Rate Swap, con clausola Floor e di Cap, eseguita dall'Amministrazione comunale del Comune di Polino ed imputata alla O. nella qualità di responsabile dell'Area Amministrativo-Finanziaria e al M. quale sindaco, ha invece, in parziale accoglimento dell'appello, riconosciuto la responsabilità dei ricorrenti (oltre che di alcuni degli altri incolpati, cioè degli assessori della giunta comunale), condannandoli al pagamento di somme per danno erariale.

2. Al ricorso per cassazione, che prospetta un motivo di giurisdizione sotto il profilo dell'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera dell'amministrazione, ha resistito il Procuratore generale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l'unico motivo di ricorso si deduce "difetto di giurisdizione della Corte dei conti per violazione e falsa applicazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice contabile. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della L. 14 gennaio 1994, n. 20".

L'illustrazione del motivo inizia ricordando che il disposto dell'art. 1, comma 1, della l. n. 20 del 1994 prevede l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti e, quindi, dopo la citazione di un principio di diritto affermato da Corte dei conti Siciliana con una sentenza del 1999, procede ad una riproduzione dalla metà della pagina 9 sino alla metà della pagina 12 di ampi brani della motivazione della sentenza delle Sezioni unite n. 7024 del 2006.

Quindi, si passa ad argomentare la doglianza esordendo con l'affermazione della «consapevolezza dei ridotti limiti di ammissibilità dell'impugnazione dinanzi alla Suprema Corte delle sentenze di appello emesse dalla Corte dei conti (come anche positivizzati nell'art. 207 del D.lgs. n. 174/2016)», ma ad essa fa seguire l'assunto che nel caso di specie, la decisione impugnata avrebbe travalicato «i limiti esterni di giurisdizione del giudice contabile».

Si sostiene che il giudice contabile d'appello contabile sarebbe giunto alla condanna a carico dei ricorrenti «facendo ricorso ad elementi motivazionali che esulano dalla sfera di competenza del Giudice contabile».

1.1. Tale assunto viene motivato con le seguenti considerazioni:

a) si osserva che «in prima istanza [...] la Corte dei conti di Perugia aveva assolto tutti i convenuti (tra i quali gli odierni ricorrenti), seguendo un ragionamento logico e lineare» ed in particolare osservando che: a1) il contratto swap sottoscritto dal Comune di Pelino [recte: Polino - n.d.r.] si era rilevato conforme alla normativa vigente; a2) non vi erano elementi di illegittimità (sotto il profilo della violazione di legge o di eccesso di potere) che rendevano "illogica" e "dannosa" l'operazione decisa dal Comune di Palino [recte: Polino - n.d.r.]; a3) la complessità, specificità del contratto e lo stesso comportamento tenuto dall'Istituto Bancario che aveva formulato la proposta e che aveva indotto l'Amministrazione tutta (Consiglieri comunali assolti anche in appello e amministratori invece condannati) a decidere (come molti altri piccoli Comuni) per la sottoscrizione di tali contratti, escludevano la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo a tutti i soggetti coinvolti.

Si prospetta, quindi, che «il percorso motivazionale che aveva condotto all'assoluzione» sarebbe «rimasto confinato ai limiti del sindacato giurisdizionale consentito al giudice contabile», mentre «il Giudice dell'appello, invece, con una motivazione profondamente ingiusta, illogica e soprattutto travalicante i limiti del sindacato giurisdizionale attribuito alla Corte dei conti, si» sarebbe «sostituito sostanzialmente all'Amministrazione».

1.2. Tale prospettazione è giustificata osservando che il giudizio di condanna non sarebbe scaturito né dall'accertamento di violazione di legge o da profili di eccesso di potere, né sarebbe stato fondato «sull'astratto accertamento della violazione dei criteri di buona amministrazione delineati dalla Legge 241/1990», ma - per quanto attiene alla O. - dal rilievo che, secondo il giudice d'appello contabile, la medesima avrebbe dovuto «chiedere la consulenza preventiva alla società specializzata che era stata poi incaricata dal Comune nel 2008», mentre - per quanto attiene agli amministratori (e, quindi, all'altro ricorrente) dal rilievo che essi «avrebbero dovuto esigere una non meglio specificata clausola contrattuale che andava a compensare i c.d. "costi impliciti" non riconosciuti dalla Banca al momento della firma del contratto».

Secondo l'assunto della doglianza, si sarebbe «trattato, evidentemente, nel primo caso (O.) [del]l'attribuzione di una competenza funzionale non ammessa in capo alla dipendente e, soprattutto, [del]la sostituzione di una scelta amministrativa. Scelta peraltro recante una spesa per l'Ente e come tale non suscettibile di sindacato da parte della giudice contabile». A tanto si dovrebbe aggiungere «che - seguendo il ragionamento della Corte dei conti d'Appello - se la dr.ssa O. avesse conferito incarico preventivo ad una società di consulenza (e comunque non avrebbe potuto) alla stessa le si sarebbe potuto contestare di aver sostenuto un costo (probabilmente pari quello che è stato oggetto di contestazione della Procura) per un'attività (quella di sottoscrivere contratti di finanza derivata) che l'ordinamento consentiva di fare». Senonché tale prassi, negli anni 2000-2006 sarebbe stata diffusamente utilizzata (anche in Umbria) e mai sarebbe stata oggetto di condanna. Inoltre, andrebbe data rilevanza al fatto «che la stessa identica situazione a quella oggetto di causa aveva dato corso ad altro procedimento di accertamento contabile (nei confronti del Comune di Stroncone), concluso con l'assoluzione dei convenuti (amministratori e dipendenti)», e che tale assoluzione (a quanto consterebbe) sarebbe stata ritenuta con sentenza non impugnata dinanzi alla Corte dei conti in sede di appello.

Si considera, poi, sempre con riferimento alla posizione O. la seguente affermazione della sentenza impugnata: «"Invece, la O. ha fondato il suo affidamento in ordine alla convenienza dell'operazione per l'ente locale sulle sole dichiarazioni unilaterali del funzionario della BNL in quanto esperto nella materia, unitamente alle pregresse esperienze di altri enti locali, in tal modo agendo con una marchiana e deplorevole trascuratezza nell'adempiere ai doveri di servizio connessi allo specifico settore comunale, quello finanziario, di cui era responsabile"». E, quindi, si assume che «questa affermazione risulta essere del tutto contraddittoria ed illogica rispetto a quanto precedentemente affermato dalla stessa Corte, riconoscendo che la complessità delle operazioni di sottoscrizione in derivati richiedeva specifiche competente». Si tratterebbe «di una contestazione anche ingiusta ed avulsa rispetto al contesto valutativo nel quale il giudice contabile, proprio in relazione alla graduazione del giudizio valutativo sull'operato del dipendente della P.A.» deve giudicare: infatti, «la dr.ssa O. (all'epoca dei fatti assunta da circa tre anni e mezzo, responsabile dell'Area Amministrativo Finanziaria dal maggio 2004), copriva e copre sostanzialmente tutti gli uffici comunali del piccolo Comune di Palino [recte: Polino - n.d.r.] (il più piccolo della Provincia di Temi [recte: Terni - n.d.r.] con i su[o]i 242 abitanti) che conta solo due dipendenti e dove i segretari comunali sono presenti soprattutto "a scavalco". È responsabile non solo del settore finanziario, ma anche del settore anagrafe, stato civile, elettorale, leva, servizi sociali, ufficio relazioni con il pubblico, protocollo, segreteria, servizi informatici, ecc. ecc. L'unico ufficio non ricoperto è quello dell'edilizia e della polizia municipale».

Sarebbe, «evidente, pertanto, che l'estensione di profili di responsabilità andando a sindacare l'operato della dr.ssa O. - la quale si è limitata a stipulare il contratto perché è così che aveva deciso, nell'esercizio del legittimo potere discrezionale l'organo politico prima (Consiglio Comunale, D.C.C. n. 29/2004) e l'organo amministrativo poi (Giunta Comunale D.G.C. n. 29/2005 n. 91/2005) - risulta essere la manifestazione di un eccesso di sindacato giurisdizionale da parte del giudice contabile».

1.3. L'illustrazione del motivo si chiude assumendo che «a considerazioni analoghe soggiace la pronuncia riguardo agli amministratori e, segnatamente, alla posizione dell'ex Sindaco M.».

Previo rilievo che al medesimo e agli altri amministratori si è addebitato nella sentenza impugnata che "con assoluta ed inescusabile superficialità i predetti amministratori comunali (sindaco ed assessori) hanno dato il loro assenso all'operazione finanziaria, evidenziando nelle premesse della deliberazione che avrebbe prodotto, tra gli altri benefici, anche un "risparmio certo al 31 dicembre 2005 di euro 2.686,84 e al 30 giugno 2005 di euro 2.126,82, circostanza questa però non verificatasi in concreto, avendo il Comune di Palino [recte: Polino - n.d.r.] dovuto sopportare un costo, non esteriorizzatosi, connesso all'iniziale squilibrio finanziario dell'operazione, senza la previsione contrattuale di un premio di liquidità in suo favore da parte della banca", si sostiene che «l'assunto del Giudice di secondo grado si sostituisce alle parti, addirittura andando ad ipotizzare l'introduzione di una clausola negoziale». Attività invece «riconducibile ad una sfera operativa di tipo privatistico per la quale la Suprema Corte ha escluso la giurisdizione del giudice contabile (cfr. Cass., sez. un., 17 luglio 2001, n. 9649)». Si conclude, quindi, aggiungendo «che le operazioni oggetto di giudizio contabile erano afferenti alla scelta di mezzi finanziari in ordine alle quali già si è rilevato il difetto di sindacato del giudice contabile».

2. Il motivo di ricorso è inammissibile.

3. In via preliminare va disattesa l'eccezione formulata dalla Procura generale presso la Corte dei conti sotto il profilo che i ricorrenti non avrebbero sollevato alcuna contestazione della giurisdizione contabile in primo grado e nemmeno in appello, il che precluderebbe la prospettazione in questa sede di un motivo di giurisdizione.

3.1. È sufficiente osservare che il motivo di giurisdizione è stato dedotto assumendosi che sarebbe stata la sentenza di appello a rendere una decisione che avrebbe esorbitato dai limiti della giurisdizione contabile invadendo la sfera della discrezionalità dell'amministrazione per la quale operavano i qui ricorrenti nei diversi ruoli rivestiti.

Dunque, il vizio qui dedotto si sarebbe verificato per effetto della stessa decisione qui impugnata.

Ora, «con riferimento alla questione di giurisdizione prospettata sotto il profilo del c.d. eccesso di potere giurisdizionale la possib[i]le esistenza e la conseguente rilevazione da parte della Corte di cassazione della formazione di un giudicato interno sulla giurisdizione per effetto della sentenza di primo grado è configurabile solo allorquando l'eccesso sia stato commesso dal giudice speciale di primo grado, la sentenza non sia stata impugnata in appello sul punto ed il Giudice speciale abbia a sua volta giudicato confermandola».

«Qualora invece l'eccesso sia addebitato alla sentenza di appello assumendosi che vi sia incorso direttamente il giudice d'appello oppure qualora l'eccesso sia stato commesso dal primo giudice, sia stato fatto valere come tale con l'appello ed il giudice di esso abbia disatteso il relativo motivo di impugnazione, così avallando a sua volta l'eccesso, la formazione di un giudicato interno si verifica se la sentenza di appello non venga impugnata sul punto in Cassazione» (per riferimenti: Cass., Sez. un., n. 10265 del 2018).

Nel caso di specie si è prospettato un eccesso di potere giurisdizionale commesso direttamente dal Giudice d'appello ed è palese che esso poteva farsi valere solo con il proposto ricorso per cassazione.

Tanto evidenzia l'infondatezza dell'eccezione di esistenza del giudicato interno sulla giurisdizione.

4. L'inammissibilità del motivo di ricorso discende, viceversa, dalla circostanza che le stesse argomentazioni, con cui in esso si prospetta il denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale della Corte dei conti sotto il profilo di avere essa operato il suo giudizio compiendo una valutazione che apparteneva alla discrezionalità dell'amministrazione comunale di cui trattasi e per cui i ricorrenti hanno operato, risultano del tutto inidonee ad evidenziare detto vizio. Ed anzi rivelano che la Corte dei conti si è mossa nell'àmbito del sindacato ad Essa affidato.

Queste le ragioni.

4.1. Si rileva in primo luogo che la stessa illustrazione del motivo ha ben presente che la norma di riferimento dell'agire dei ricorrenti su cui è stata esercitata l'azione contabile di responsabilità era l'art. 1, comma 1, primo inciso, della l. n. 20 del 1994, secondo cui: «La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali».

In secondo luogo, il ricorso mostra di avere ben presente, là dove muove dall'ampia riproduzione della motivazione di Cass. n. 7024 del 2006, quali siano i presupposti per dedurre l'eccesso di potere giurisdizionale della Corte dei conti per c.d. invasione della sfera della discrezionalità dell'amministrazione.

Essi sono espressi dal principio di diritto affermato da detta sentenza nel senso che: «Il sindacato della Corte dei conti in sede di giudizio di responsabilità (ma anche in sede di giurisdizione di conto), alla luce del principio, posto dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo il quale l'esercizio dell'attività amministrativa deve ispirarsi a criteri di economicità e di efficacia, criteri rilevanti sul piano della legittimità, e non della mera opportunità, non è circoscritto alla verifica se l'agente abbia compiuto l'attività per il perseguimento di finalità istituzionali dell'ente, ma deve estendersi alle singole articolazioni dell'agire amministrativo, escludendone soltanto quelle in relazione alle quali la legge attribuisce all'amministrazione - riconducendone l'agire discrezionale al principio di legalità - una scelta elettiva fra diversi comportamenti, negli stretti limiti di tale attribuzione. Uno scorretto esercizio, da parte del giudice contabile, del potere di riesame in ordine all'applicazione delle clausole generali contenute nel detto art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, non costituisce pertanto invasione della sfera discrezionale dell'amministrazione, ma error in iudicando, non denunciabile in cassazione quale vizio attinente alla giurisdizione».

Tale principio di diritto si pone - come emerge dalla motivazione della sentenza del 2006 - in stretta continuità con quanto già affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 14488 del 2003, nel senso che: «La Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell'ente pubblico. Infatti, se da un lato, in base all'art. 1, primo comma, della legge n. 20 del 1994, l'esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei conti; dall'altro lato, l'art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che l'esercizio dell'attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di "economicità" e di "efficacia", che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell'azione amministrativa. Pertanto, la verifica della legittimità dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obbiettivi conseguiti e i costi sostenuti».

I principi affermati dalla sentenza del 2003 sono stati dalla giurisprudenza delle Sezioni unite costantemente ribaditi, come non ha mancato di osservare la Procura contabile resistente, evocando Cass., Sez. un., n. 25037 del 2013 e n. 6820 del 2017, che, peraltro, sono solo alcune fra le numerosissime pronunce che hanno dato continuità al principio affermato nel 2003 (da ultimo, Cass., Sez. un., n. 33366 del 2018).

Con detto principio si diede un'esegesi dell'art. 1 della l. n. 20 del 1994 in punto di esclusione del sindacato sulle scelte discrezionali, che: a) confinò la discrezionalità ricadente in tale esclusione nel limite segnato dalla rilevanza delle clausole generali di cui all'art. 1 della l. n. 241 del 1990 siccome individuatrici di veri e propri profili di legittimità dell'azione amministrativa, come tali necessariamente connotanti pure l'attività discrezionale della P.A. e dei suoi agenti ed in tale veste riconducibili al controllo contabile di legittimità e non ad un controllo sul merito dell'azione amministrativa: ciò, con riferimento al profilo del controllo sulla scelta esercitata e sul modo del suo esercizio; b) ma, nel contempo, precisò che anche la stessa scelta in sé, attribuita dalla legge all'amministrazione come scelta elettiva fra diversi comportamenti, fosse di per sé sindacabile al di là dei limiti con cui la legge avesse fissato la discrezionalità dell'esercizio dell'attribuzione e ciò, evidentemente, perché i confini segnati da detti limiti implicano pur sempre una rilevanza di profili di legittimità dell'azione amministrativa.

4.2. Tanto premesso, si rileva che la riproduzione della motivazione della sentenza n. 7024 del 2006, cui procede inizialmente ampiamente l'illustrazione del motivo, implica, ed anzi i ricorrenti lo dichiarano, piena consapevolezza dei ricordati principi.

Tuttavia, essa si conclude con la riproduzione del passo motivazionale in cui quella sentenza affermò che «Posta la questione in questi termini [cioè nei sensi emergenti dai detti principi], non vi è dubbio che la scelta di mezzi finanziari e la stessa previsione di spesa - pur nel quadro dei principi di economicità e di efficienza - costituisce il vero e proprio eldorado delle valutazioni discrezionali. Sicché può convenirsi col ricorrente che non può essere rimesso al giudice - qualunque esso sia, purché abbia il compito di effettuare un riesame della legittimità dell'azione amministrativa - un diretto sindacato circa la scelta dei mezzi più idonei - ad erogare la spesa».

Tanto sottende l'idea che la successiva esposizione avrebbe dovuto articolarsi con l'evidenziazione della ricorrenza negli addebiti riconosciuti a carico dei ricorrenti di un sindacato effettuato circa la scelta dei mezzi più idonei per provvedere nel caso di specie non ad una spesa, non trattandosi nella specie di provvedere ad una spesa, bensì per rinvenire una forma di finanziamento per far fronte ad una situazione di indebitamento attraverso la stipulazione del contratto diretto a realizzare un'operazione di c.d. finanza derivata (del tipo Interest Rate Swap, con clausola di Floor e di Cap) su debito, alla stregua dell'art. 41 della l. n. 448 del 2001 e delle norme attuative.

Si vuol dire cioè che il rilievo dato all'affermazione della motivazione della sentenza del 2006 con cui si chiude l'ampia riproduzione della sua motivazione parrebbe implicare l'addeb[i]to alla sentenza impugnata di avere censurato la scelta stessa di procedere ad un'operazione di finanza derivata piuttosto che di provvedere in altro modo all'esigenza di c.d. "ristrutturazione" della situazione di indebitamento.

Senonché, la successiva illustrazione del motivo non prospetta affatto - e non potrebbe prospettarlo, atteso che nella relativa motivazione non lo ha fatto - che il giudice contabile abbia sindacato la scelta dei ricorrenti di far fronte all'esigenza di "ristrutturazione" dell'indebitamento con il mezzo dell'operazione di cui si è detto piuttosto che con un diverso mezzo, ma si risolve soltanto nel sostenere che il giudice contabile avrebbe apprezzato come fonte di responsabilità la decisione di fare l'operazione con la stipula di un contratto avente un certo contenuto e, quindi, un momento di svolgimento dell'attività amministrativa successiva alla scelta di effettuarla.

L'evocazione del sopra riportato passo della motivazione della sentenza n. 7024 del 2006 risulta, dunque, inconferente, perché quanto si argomenta successivamente non è, rispetto ad esso, affatto pertinente.

Tanto più che, immediatamente dopo di esso, le Sezioni unite in quell'occasione scrissero che: «Applicando tali principi al caso di specie si deve escludere che vi sia stato un diretto sindacato della discrezionalità, in quanto, come esattamente rilevato nella decisione impugnata, si addebitava all'organo esecutivo regionale, non già di aver effettuato una scelta anziché un'altra, ma di aver omesso di adottare una qualunque scelta che consentisse di far fronte con la maggiore rapidità (e quindi evitando l'onere di maggiori spese legali, danni ed interessi) alle obbligazioni assunte».

Nella fattispecie in allora decisa, dunque, veniva in rilievo un'inerzia nell'effettuare una scelta e non una scelta fra diverse soluzioni possibili.

4.3. Tanto considerato, si osserva che la circostanza che l'illustrazione del motivo non censuri la scelta del mezzo in sé ma il concreto contenuto con cui la scelta è stata realizzata è dimostrata in primo luogo dalla contrapposizione iniziale (sopra riportata) fra gli elementi che avevano indotto il giudice contabile di primo grado ad escludere la responsabilità e, dunque, a farlo nell'esercizio della sua giurisdizione, e le ragioni che invece hanno indotto la sentenza di appello qui impugnata ad affermarla, le quali sono state espresse sulla base di una valutazione che non è riferita alla scelta del mezzo, bensì alla diligenza dei ricorrenti nella gestione ed attuazione della scelta di avvalersene una volta fatta, cioè nel procedere alla stipulazione del contratto con il suo concreto contenuto.

La sentenza impugnata non ha affermato la responsabilità sulla base della considerazione come illegittima della scelta in sé della stipulazione di un contratto di finanza derivata piuttosto che di un altro mezzo per far fronte all'esigenza di ristrutt[u]razione dell'indebitamento, bensì considerando gravemente imprudente la concreta realizzazione ed esecuzione della scelta di dare corso all'operazione di finanza derivata attraverso la stipulazione di un contratto alle condizioni alle quali è stato stipulato. Si è, dunque, censurato il modo di attuazione della scelta.

4.4. Il giudice contabile ha proceduto, con riferimento all'operato della O., a vagliare in che modo Essa, nell'àmbito delle sue funzioni amministrative, ha attuato la scelta, effettuata a monte dagli organi comunali, nel procedere alla stipula del contratto, con un certo contenuto piuttosto che con un altro e nel farlo senza avere le competenze idonee a garantire che quella stipula avvenisse con la piena consapevolezza delle sue implicazioni poi rivelatesi dannose per il Comune. Con riferimento all'operato degli amministratori comunali e, quindi, del ricorrente M. ha parimenti censurato come fonte di responsabilità non già la scelta di procedere all'utilizzo del mezzo, ma la decisione di autorizzare la stipula del mezzo prescelto con il contenuto che poi si è rivelato dannoso, anche qui senza vagliare la convenienza della scelta effettuata a monte.

Con riguardo all'operato della O. è palese che ciò che le si è imputato concerne l'attuazione della scelta dell'organo amministrativo giuntale nello svolgimento della sua attività organica e dunque il modo in cui Essa ha esercitato tale attività. Attività che comprende, naturalmente, il vaglio dei contenuti del contratto da stipulare. Il sindacato sullo svolgimento di tale attività ha riguardato profili del tutto esulanti dalla discrezionalità - quale che fosse nella materia di cui trattasi, cioè la gestione della situazione di indebitamento - evocata dall'art. 1 della l. n. 20 del 1994, una volta interpretato alla luce dell'art. 1 della l. n. 241 del 1990 e data rilevanza ai criteri dell'economicità ed efficacia dell'azione dell'amministrazione. L'apprezzamento svolto sull'operato della O. è giustificato dall'operatività di tali criteri.

La stessa cosa dicasi per l'operato del Sindaco M.

Del tutto privo di pertinenza è il rilievo finale dell'illustrazione del motivo là dove, con riferimento alla condotta del M., si adombra, richiamando un precedente che riguarda l'agire degli enti pubblici economici, che il giudice contabile avrebbe preteso di sindacare, con l'addebito del mancato inserimento di una clausola contrattuale, di previsione di un premio di liquidità a carico della Banca: è sufficiente osservare, senza peraltro esaminare la problematica, che nella specie l'agire dei ricorrenti non ha riguardato un ente di quella natura.

La valutazione da parte del giudice contabile dell'operato dei due ricorrenti si è, dunque, collocata sul piano del controllo ad esso affidato circa la sussistenza della responsabilità per danno erariale attraverso la valutazione del loro operato alla stregua dei criteri che dovevano ispirare la loro azione alla stregua dell'art. 1 del[l]a l. n. 241 del 1990 e tale valutazione, come emerge dalla giurisprudenza che sopra si è ricordato e che i ricorrenti stessi hanno assunto come rilevante, è una valutazione in iure, come tale pienamente spettante al Giudice contabile nell'àmbito della sua giurisdizione.

Questo per quanto attiene all'estensione dell'attività di giudizio.

4.5. A maggior ragione, poi, si rileva che le doglianze dei ricorrenti che concernono poi il risultato in concreto dell'esercizio del sindacato dei comportamenti dei due ricorrenti effettuato dal giudice contabile, cioè la loro valutazione sotto il profilo degli elementi costitutivi della responsabilità per danno erariale, esprimono censure che concernono il modo in cui quel giudice ha esercitato la sua giurisdizione e, dunque, una problematica che si colloca all'interno della giurisdizione contabile. Così dicasi sia per l'addebito alla O. di non essersi avvalsa di una consulenza esterna data la sua inesperienza in ordine alla c.d. finanza derivata, sia per l'addebito al M. (e agli altri assessori), ivi compreso quello, per la verità ignorato nel motivo, in ordine ai pareri previsti dall'art. 49 del d.lgs. n. 267 del 2000 (pag. 20 della sentenza impugnata).

Se il risultato di queste valutazioni fosse frutto di errores in iudicando nell'applicazione delle norme regolatrici di detta responsabilità o anche dell'apprezzamento erroneo del significato di risultanze fattuali, l'ipotetica esistenza di questi vizi rileverebbe solo come cattivo esercizio di una giurisdizione esistente del Giudice contabile e non già come fonte di un eccesso di giurisdizione per invasione della sfera riservata al "merito" dell'azione amministrativa.

Il relativo controllo è del tutto estraneo - per quanto si è detto - al sindacato sulla giurisdizione relativo all'ipotesi in cui il giudice speciale, nell'esercizio della sua giurisdizione, invada la sfera della discrezionalità dell'amministrazione. Ed inoltre esorbita anche da ogni altra ipotesi di vizio di giurisdizione. Detto controllo si esaurisce all'interno della giurisdizione contabile e, dunque, se gli errores in iudicando sono stati commessi dalla sentenza impugnata come sentenza di ultimo grado di quella giurisdizione, restano senza rimedio, atteso che il Giudice contabile di secondo grado rende sentenze che riguardo a quegli errori non sono ulteriormente impugnabili.

Anche quanto espone l'illustrazione del motivo criticando la motivazione della sentenza impugnata ed invocando l'esattezza della motivazione del primo giudice segna soltanto una critica alla prima quale espressione dell'esercizio da parte del Giudice contabile della sua giurisdizione.

4.6. Mette conto di rilevare, in fine, che, non avendo la vicenda di cui è processo riguardato una responsabilità per la scelta del mezzo e non avendo la sentenza impugnata - come s'è veduto - censurato e sindacato tale scelta, nemmeno si pone un problema di valutare se essa sia avvenuta nell'espressione di una discrezionalità esimente ai sensi dell'art. 1 della l. n. 20 del 1994.

Tanto non rende necessario prendere posizione su quella che, sulla base di Cass., Sez. un., n. 7024 del 2006, avrebbe dovuto essere l'idea che avrebbe dovuto sorreggere il motivo, cioè che di per sé il potere di scelta discrezionale dell'amministrazione circa il mezzo da utilizzare non sia sindacabile.

In realtà, tale idea non risultava nemmeno esatta, atteso che si è già detto che nella giurisprudenza di questa Corte la stessa scelta del mezzo è sindacabile in sede di giurisdizione contabile allorquando la discrezionalità dell'Amministrazione abbia una regolamentazione nell'àmbito delle norme che la disciplinano e, quindi, debba compiersi nell'osservanza di criteri indicati dal[l]e norme che restringano lo spazio di discrezionalità.

Va detto anzi che la pacifica esistenza del controllo sull'attuazione della scelta e, quindi, sul risultato che essa ha determinato, disvela che la stessa adozione di essa finisce per non essere veramente di per sé insindacabile in sede di giudizio contabile. Attraverso il controllo sull'attuazione della scelta per il tramite dei principi di cui all'art. 1 della l. n. 241 del 1990 e, dunque, secondo il limite della corrispondenza ai criteri di economicità ed efficacia, in definitiva si perviene, per così dire ex post, ad un controllo sulla legittimità della scelta stessa: se essa, a fronte di quei criteri si riveli lesiva di essa e non emerga che poteva attuarsi in alto modo, perché la modalità di attuazione era l'unica possib[i]le, allora questo è suscettibile di palesare la stessa illegittim[i]tà contabile della scelta anche al di là dei limiti segnati alla discrezionalità nel procedere ad essa.

Le complessive considerazioni svolte emergono sostanzialmente dalla giurisprudenza di questa Corte.

Si vedano, ex multis:

Cass., Sez. un., n. 1376 del 2006, secondo cui: «L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l'attività amministrativa. Il giudice contabile non viola, pertanto, i limiti esterni della propria giurisdizione quando accerta la responsabilità per danno erariale in conseguenza delle somme erogate quale compenso di un incarico di consulenza conferito in difetto dei presupposti richiesti dall'art. 7, ultimo comma, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, secondo il quale "per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione". Da una parte, infatti, il conferimento di una consulenza continuativa, indefinita nel contenuto e non destinata ad esaurirsi in relazione a singole, specifiche situazioni (concernente, nella specie, "le problematiche relative alla gestione" di un'azienda ospedaliera "nei casi ritenuti necessari dalla Direzione Generale, comprese la partecipazione a riunioni, incontri e lavori di commissioni esterne ed interne in rappresentanza e per delega del Direttore Generale"), contrasta con il principio sotteso all'art. 7 citato della necessaria specificità, in presenza di ben determinati presupposti, dell'incarico da conferire - l'incarico in esame aveva comportato la creazione di una struttura burocratica, parallela a quella ufficiale, affidata a persona che, pur mantenendo lo status di libero professionista, intratteneva con l'azienda un rapporto permanente con i caratteri della parasubordinazione -, e dall'altra, alla collaborazione di un consulente esterno all'azienda si sarebbe potuto ricorrere, secondo la norma richiamata, solo in ipotesi di inadeguatezza del personale interno in servizio»;

Cass., Sez. un., n. 5490 del 2014, secondo la quale: «L'insindacabilità "nel merito" delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l'attività amministrativa, con la conseguenza che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando accerta la mancanza di tale conformità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che fosse affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale la decisione con cui la Corte dei conti aveva ravvisato un'ipotesi di responsabilità per danno erariale a carico di un Rettore universitario per avere pattuito - nello stipulare un contratto di diritto privato per il conferimento dell'incarico di direttore generale dell'azienda ospedaliera universitaria - un compenso annuo e una indennità di risultato in violazione del limite stabilito - ai sensi dell'art. 3, comma 6, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 - dall'art. 1 del d.P.C.m. 19 luglio 1995, n. 502, come modificato dall'art. 1 del d.P.C.m. 31 maggio 2001, n. 319)»;

Cass., Sez. un., n. 6820 del 2017, secondo cui: «La Corte dei conti può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell'ente pubblico, che devono essere ispirati ai criteri di economicità ed efficacia, ex art. 1 della l. n. 241 del 1990, i quali assumono rilevanza non già sul piano della mera opportunità, ma della legittimità dell'azione amministrativa e consentono, in sede giurisdizionale, un controllo di ragionevolezza sulle scelte della pubblica amministrazione, onde evitare la deviazione di queste ultime dai fini istituzionali dell'ente e consentire la verifica della completezza dell'istruttoria, della non arbitrarietà e proporzionalità nella ponderazione e scelta degli interessi, nonché della logicità ed adeguatezza della decisione finale rispetto allo scopo da raggiungere. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva escluso la rispondenza ai criteri di economicità ed efficienza della scelta, operata da un ente pubblico consortile, di esternalizzare i compiti e servizi necessari alla propria attività ad un soggetto privo non solo di personale, ma anche di sede sociale)»;

Cass., Sez. un., n. 10774 del 2018, secondo cui: «La Corte dei conti può e deve verificare la compatibilità con i fini pubblici delle scelte amministrative effettuate dal concessionario di un servizio pubblico, ancorché nei limiti del controllo di ragionevolezza e di efficacia ed efficienza dei risultati; non rientra quindi fra le scelte discrezionali insindacabili del concessionario la determinazione di omettere o differire la realizzazione degli interessi pubblici perseguiti dalla legge. (Nella specie, la S.C. ha affermato la giurisdizione del giudice contabile sull'azione di responsabilità per danno erariale, promossa nei confronti dei concessionari del servizio pubblico di attivazione e conduzione della rete per la gestione telematica degli apparecchi per il gioco lecito, ex art. 110 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza, che avevano omesso di attivare tempestivamente il servizio di collegamento telematico per il controllo dell'andamento del gioco».

5. In base ai rilievi svolti il motivo è inammissibile sulla base del seguente principio di diritto: «Nel regime dell'art. 1, comma 1, primo inciso, della l. n. 20 del 1994, con riferimento ad una sentenza con cui la Corte dei conti abbia ritenuto la responsabilità del sindaco e degli assessori comunali e di un funzionario in relazione alla conclusione, rivelatasi dannosa, di un'operazione di finanza derivata (del tipo Interest Rate Swap, con clausola Floor e di Cap) in funzione di un'esigenza di c.d. ristrutturazione del debito comunale ai sensi dell'art. 41 della l. n. 448 del 2001 e norme attuative, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si censuri la decisione del Giudice contabile per pretesa invasione della sfera della discrezionalità dell'am[m]inistrazione e, quindi, per eccesso di potere giurisdizionale, lamentando l'erroneità della valutazione cui il Giudice contabile, per affermare la responsabilità, abbia proceduto a valutare l'operato del funzionario e degli amministratori comunali, addebitando rispettivamente al primo di avere concluso il relativo contratto senza avere esperienza sulle operazioni derivate e senza avvalersi di una preventiva consulenza sul contenuto del contratto, ed agli amministratori di avere consentito tale conclusione e di avere adottato la deliberazione senza i pareri previsti dall'art. 49 del d.lgs. n. 267 del 2000. L'inammissibilità del motivo è giustificata perché la censura così prospettata inerisce ad una valutazione che il Giudice contabile ha effettuato sull'azione del funzionario e degli amministratori secondo i criteri di efficacia ed economicità di cui all'art. 1 della l. n. 241 del 1990 e, dunque, secondo parametri di legittimità che la collocano all'interno della giurisdizione contabile e non esprimono un sindacato del merito delle scelte discrezionali dell'am[m]inistrazione di cui al citato art. 1 della l. n. 20 del 1994, come tale fonte del prospettato eccesso di potere giurisdizionale».

6. L'inammissibilità del motivo comporta l'inammissibilità del ricorso.

Non è luogo a provvedere sulle spese.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto, invece, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.