Corte di cassazione
Sezione III civile
Ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4309

Presidente: Travaglino - Relatore: Positano

Rilevato che:

con atto di citazione del 28 marzo 2007 G.B. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Perugia, la Gestione Liquidatoria della disciolta ULSS n. 3, nonché la regione Umbria e il Ministero della Salute chiedendo la condanna delle parti convenute al risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla circostanza di avere contratto, in data 15 agosto 1990, epatopatia HVC presso l'ospedale di Perugia, clinica ostetrica e ginecologica, a seguito di due trasfusioni eseguite in occasione di un intervento chirurgico. Faceva presente che la Asl aveva riconosciuto il diritto all'indennizzo in favore della B. disponendo la relativa liquidazione;

si costituiva l'ente sanitario convenuto eccependo la prescrizione del diritto, l'assenza di nesso causale e la mancanza di colpa rispetto alle procedure esistenti all'epoca dei fatti. Contestava anche la quantificazione del danno, rilevando che l'indennizzo liquidato ai sensi della l. n. 210 del 1992 doveva essere, comunque, decurtato nella determinazione della somma eventualmente riconosciuta a titolo di risarcimento del danno. Chiedeva di chiamare in causa l'assicuratore Unipol S.p.A. Si costituiva la Regione Umbria che eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva e il Ministero della Salute, formulando conclusioni analoghe a quelle della Gestione Liquidatoria della Asl. La compagnia Unipol eccepiva la prescrizione del diritto alla copertura;

con sentenza del 2 dicembre 2013 2014 il Tribunale di Perugia rigettava le eccezioni dei convenuti, condannandoli in solido al risarcimento dei danni;

avverso tale decisione proponeva appello il Ministero della Salute eccependo la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni, facendo decorrere il termine dall'anno 1999 cui si riferiva la domanda di erogazione dell'indennizzo e la conseguente percezione della illiceità della malattia. Contestava la sussistenza del nesso di causalità tra le trasfusioni e l'epatite C diagnosticata e la sussistenza di una condotta colposa o omissiva, oltre alla quantificazione del danno. Si costituiva G.B. chiedendo il rigetto dell'appello. La Regione Umbria contestava la decisione di primo grado, perché non aveva riconosciuto il difetto di legittimazione passiva dell'ente pubblico. Si costituiva la Gestione Liquidatoria della soppressa ULSS n. 3 contestando i presupposti della pretesa e lamentando la mancata compensazione tra le somme dovute a titolo di risarcimento del danno e quelle percepite da G.B. a titolo di indennizzo, ai sensi della l. n. 210 del 1992. Si costituiva l'assicuratore Unipol S.p.A. chiedendo la conferma della decisione del Tribunale che aveva accolto l'eccezione dell'assicuratore di intervenuta decadenza ai sensi dell'art. 2952 c.c. in quanto nessun avviso di sinistro gli era stato comunicato;

con sentenza del 12 febbraio 2016 la Corte d'Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda proposta da G.B. nei confronti del Ministero della Salute per intervenuta prescrizione. Aggiungeva che la Regione Umbria e la Gestione liquidatoria nulla dovevano alla predetta B. in virtù della compensatio lucri cum damno con l'indennizzo da questa percepito;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione G.B. affidandosi a quattro motivi che illustra con memoria ex art. 380-bis c.p.c. Resistono con controricorso UnipolSai Assicurazioni S.p.A., nonché la Gestione liquidatoria disciolta ULSS n. 3 rappresentante della USL n. 1, Azienda unità sanitaria locale Umbria, che spiega autonomo ricorso incidentale; la Regione Umbria deposita controricorso e ricorso incidentale condizionato. Il Procuratore generale conclude per il rigetto del ricorso principale ed assorbimento dei ricorsi incidentali.

Considerato che:

con il primo motivo G.B. lamenta la violazione degli artt. 1223, 1225, 1226, 2056, 2059 e 2697 con riferimento al principio della compensatio lucri cum damno, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. Ritiene errato il ragionamento della Corte territoriale che avrebbe omesso di considerare che non vi era coincidenza tra i soggetti tenuti a corrispondere l'indennizzo e quelli obbligati al risarcimento dei danni. Tale profilo impedirebbe la compensatio. In particolare, quando la domanda di risarcimento sia proposta, non verso l'ente pubblico che ha già erogato l'indennizzo, ma verso altri soggetti, come la Gestione liquidatoria della Regione Umbria, in questo caso, aderendo alla tesi della Corte territoriale, si perverrebbe ad una indebita inversione dei principi in tema di arricchimento senza causa, poiché il responsabile dell'illecito si arricchirebbe in maniera indebita a causa della riduzione del carico risarcitorio posto nei suoi confronti;

con il secondo motivo deduce la violazione delle medesime disposizioni oggetto del primo motivo rilevando che la Corte non avrebbe considerato la mancanza di omogeneità tra il pregiudizio indennizzato dal Ministero e il danno riconosciuto a G.B. in sede di consulenza tecnica. Infatti, nell'indennizzo non sono ricompresi i danni psichici e quelli morali. G.B. oltre ad avere contratto l'epatite a seguito della trasfusione, presentava una serie di menomazioni che prescindevano da quella epatica la quale, in realtà, era completamente regredita, mentre i postumi invalidanti riguardano la patologia tiroidea, dipendente dalle cure eseguite dalla danneggiata a causa del contagio da virus HCV;

con il terzo motivo lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. rilevando che la Corte territoriale non aveva considerato il contenuto delle precisazioni formulate dalla difesa di G.B. riguardo ai singoli danni dei quali si chiedeva il ristoro e, in particolare, l'estraneità di questi rispetto a quelli indennizzati dal Ministero della Salute ai sensi della l. n. 210 del 1992;

con il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c. e 132 c.p.c., ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. La violazione dell'art. 112 c.p.c. risiede nell'omessa valutazione delle deduzioni di G.B. sull'impossibilità di operare una compensatio lucri cum damno nel momento in cui il danneggiato richiede un pregiudizio del tutto autonomo da quello oggetto di indennizzo. G.B., oltre al ristoro del danno biologico epatico, aveva chiesto soprattutto il risarcimento del danno fisico di natura iatrogena, il risarcimento del danno morale e di quello esistenziale. La violazione dell'art. 132, n. 4, c.p.c., riposerebbe nell'errata applicazione del principio della compensatio lucri cum damno in presenza di una diversità di danni richiesti e di pregiudizi indennizzato atti;

i quattro motivi possono essere trattati congiuntamente perché strettamente connessi in quanto la medesima censura viene prospettata ai sensi dell'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. muovendo dalla mancata considerazione dell'esistenza di pregiudizi non omogenei e segnalando la presenza di una richiesta di danni relativi a voci risarcitorie (danno biologico iatrogeno, danno morale e danno esistenziale) non ricomprese nell'ambito di quelle indennizzate ai sensi della l. n. 210 del 1992;

i motivi sono infondati:

il tema della configurabilità della compensatio lucri cum damno tra somme percepite a titolo di indennità, ai sensi della l. n. 210 del 1992 e quelle richieste a titolo di risarcimento del danno, è stata recentemente affrontato dalle Sezioni unite di questa Corte nelle sentenze n. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 22 maggio 2018, confermando la correttezza delle argomentazioni poste a sostegno delle decisioni impugnate;

si tratta, dunque, di verificare se, ed in quali termini, l'istituto della compensatio fra indennizzo ex l. n. 210/1992 e risarcimento del danno risulti applicabile ove sia accertata una responsabilità risarcitoria di un'azienda sanitaria locale (o, come nel caso, della Azienda Sanitaria Locale) e, in generale, di una struttura del S.S.N., alla luce della pregressa giurisprudenza di legittimità e delle più recenti pronunce delle Sezioni unite di questa Corte (nn. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 2018);

è consolidato l'indirizzo secondo cui «il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla l. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l'indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo» (Cass., Sez. un., n. 584/2008; conformi, ex multis, Cass. n. 11302/2011, Cass. n. 6573/2013, Cass. n. 991/2014 e Cass. n. 20111/2014);

tale orientamento è stato richiamato da Cass., Sez. un., n. 12564/2018, che - pur rilevando che restavano al di fuori del quesito ad essa sottoposto le ipotesi di «unicità del soggetto responsabile del fatto illecito fonte di danni ed al contempo obbligato a corrispondere al danneggiato una provvidenza indennitaria» - ha ribadito che «la compensatio opera in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra il soggetto autore dell'illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l'effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni»;

deve pertanto verificarsi se e come incidano nella materia in esame i principi espressi dalle Sezioni unite del 2018, secondo cui, ai fini dell'operatività della compensatio, debbono ricorrere un collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale e l'obbligazione risarcitoria (nel senso che entrambe siano volte a rimuovere il pregiudizio derivante dall'illecito) e, al contempo, la previsione di un meccanismo di surroga o di rivalsa volto ad evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per l'autore dell'illecito, così individuandosi un punto di equilibrio fra l'esigenza di evitare una indebita locupletazione del danneggiato mediante il cumulo del risarcimento e delle provvidenze indennitarie e quella di impedire che la compensatio finisca per "premiare" ingiustificatamente l'autore dell'illecito; al riguardo, si è precisato che «non corrisponde infatti al principio di razionalità-equità [...] che la sottrazione del vantaggio sia consentita in tutte quelle vicende in cui l'elisione del danno con il beneficio pubblico o privato corrisposto al danneggiato a seguito del fatto illecito finisca per avvantaggiare esclusivamente il danneggiante, apparendo preferibile in tali evenienze favorire chi senza colpa ha subito l'illecito rispetto a chi colpevolmente lo ha causato» (Cass., Sez. un., n. 12564/2018);

alla luce gli anzidetti principi, ritiene il Collegio (nell'ambito di una lettura che deve necessariamente tener conto della peculiarità dell'ipotesi qui esaminata) che, in caso di infezione conseguente ad emotrasfusioni o ad utilizzo di emoderivati, possa confermarsi il consolidato orientamento di questa Corte predicativo dell'operatività della compensatio lucri cum damno fra l'indennizzo ex l. n. 210/1992 e il risarcimento del danno anche laddove non sussista apparente coincidenza - nella specie, di carattere soltanto formale - fra il danneggiante e il soggetto che eroga la provvidenza - nella specie, rispettivamente, Azienda Sanitaria Locale e Regione Umbria -, allorquando possa comunque escludersi che, per effetto del diffalco, si determini un ingiustificato vantaggio per il responsabile, benché la l. n. 210/1992 non preveda un meccanismo di surroga e rivalsa in favore di chi abbia erogato l'indennizzo;

va infatti considerato che:

l'erogazione dell'indennizzo, originariamente gravante sul Ministero della Salute, è stata successivamente demandata alle Regioni, per effetto dell'art. 114 del d.lgs. n. 112/1998 (e dei dd.P.C.M. 26 maggio 2000, 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003, sia pur fatta salva la persistente legittimazione passiva del Ministero nelle controversie volte al riconoscimento dell'indennizzo, ai sensi dell'art. 123 del medesimo d.lgs.: cfr. Cass., Sez. un., n. 12538/2011; cfr. anche Cass. n. 6336/2014 e Cass. n. 8957/2018): nella materia sussiste, pertanto, una legittimazione processuale passiva soltanto formale del Ministero, attesa l'attribuzione delle relative funzioni amministrative alle Regioni, che godono (e dispongono in via autonoma), allo scopo, di trasferimenti di risorse dal bilancio statale e che risultano, conseguentemente, i soggetti materialmente obbligati all'erogazione della prestazione indennitaria;

le Regioni, in particolare, operano nell'ambito delle funzioni di tutela pubblica della salute che sono proprie del Servizio Sanitario Nazionale, di cui costituiscono articolazioni anche le aziende sanitarie locali alimentate in massima parte con finanziamenti che, dallo Stato, vengono trasferiti in parte qua alle singole Regioni stesse; alla pluralità dei soggetti operanti in campo sanitario (Regioni e Aziende) corrispondono la comunanza delle finalità, la convergenza delle attività e una commistione delle risorse finanziarie che consentono di individuare - sul piano sostanziale - un'unica "parte pubblica", pur variamente articolata sul piano delle strutture e delle soggettività giuridiche, che è chiamata a rapportarsi con chi sia stato danneggiato da emotrasfusioni, provvedendo all'erogazione dell'indennizzo e all'eventuale risarcimento del danno;

non appare quindi possibile individuare alcuna "estraneità", sul piano funzionale, dell'Azienda sanitaria locale tenuta a risarcire il danno rispetto alle Regioni deputate al pagamento dell'indennizzo;

non sussiste pertanto quella situazione di alterità fra soggetto danneggiante e soggetto erogante la provvidenza che, nell'ottica delle pronunce delle Sezioni unite del 2018, giustifica la necessità di un meccanismo di surroga o rivalsa volto a neutralizzare un indebito vantaggio in favore del terzo responsabile;

non rileva, dunque, la circostanza che la l. n. 210/1992 non preveda un meccanismo che consenta a chi eroga l'indennizzo di rivalersi sul danneggiante, giacché un siffatto meccanismo non ha ragion d'essere quando il soggetto danneggiante condivida finalità, attività e risorse finanziarie con il soggetto che eroga la provvidenza;

può pertanto concludersi che, risultando sussistente il requisito del collegamento funzionale tra la causa dell'attribuzione patrimoniale ex l. n. 210/1992 e l'obbligazione risarcitoria e non prospettandosi la possibilità di un indebito vantaggio per il danneggiante, la compensatio trova giustificazione nell'esigenza di impedire un ingiustificato arricchimento per il danneggiato;

in definitiva, va affermato il principio che, anche nel caso in cui il danno conseguente a emotrasfusioni o alla somministrazione di emoderivati sia imputabile ad un'azienda sanitaria locale, deve trovare applicazione la compensatio lucri cum damno, mediante diffalco dell'indennizzo erogato ex l. n. 210/1992 dall'importo da liquidare a titolo di risarcimento del danno;

alla luce di quanto precede deve, quindi, estendersi il principio affermato dalle Sezioni unite nelle citate decisioni anche al caso di specie, che coinvolge rispettivamente Azienda Sanitaria Locale e Regione Umbria, da una parte, e Ministero della Salute, dall'altra;

con il ricorso incidentale la Gestione liquidatoria della disciolta ULSS n. 3 lamenta la violazione del principio dell'onere probatorio rispetto alla responsabilità dell'ente nella determinazione dell'evento dannoso, con riferimento agli artt. 2697, 2049 e 2059 c.c., riguardo i vizi previsti all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c. In particolare, la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto dell'attività istruttoria espletata e soprattutto del contenuto della consulenza tecnica la quale, con riferimento al terzo quesito, che riguardava la verifica dell'espletamento dei controlli sul sangue destinato al paziente in considerazione della normativa vigente all'epoca, aveva rilevato che al tempo della donazione, anno 1990, sussisteva l'obbligo della determinazione dei donatori degli anticorpi anti-HCV, come criterio diagnostico di infezione da virus epatico C. Ma nonostante tali test vi era un periodo di una o due settimane dopo il contagio in cui, sebbene fosse presente il virus, tali anticorpi non erano ancora determinabili per cui il test risultava falsato. Il consulente concludeva che le trasfusioni erano state eseguite nel rispetto della normativa all'epoca vigente ed il contagio si spiegava proprio nel fatto che la donazione in oggetto era verosimilmente avvenuta nel "periodo finestra" di cui sopra. Tali elementi avrebbero dovuto escludere la responsabilità della azienda sanitaria;

il ricorso incidentale è assorbito per carenza di interesse, in considerazione dell'infondatezza di quello principale;

con ricorso incidentale condizionato la Regione Umbria deduce la violazione l'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c. in quanto, in sede di appello, le amministrazioni resistenti avevano rilevato la mancata prova del nesso di causalità tra le trasfusioni e il danno lamentato da G.B. La Corte territoriale, pur dando atto di tali censure, non si sarebbe espressa sui motivi di impugnazione;

con il secondo motivo deduce l'omesso esame di un fatto decisivo del giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. formulando argomentazioni analoghe a quelle oggetto del ricorso incidentale della Gestione liquidatoria;

trattandosi di ricorso incidentale condizionato lo stesso resta assorbito per l'ipotesi di inammissibilità o rigetto di quello principale;

ne consegue che il ricorso principale deve essere rigettato e quelli incidentali dichiarati assorbiti; le spese del presente giudizio di cassazione, in considerazione dell'esito della lite e della novità della questione relativa alla operatività della compensatio lucri cum damno, possono essere compensate integralmente tra le parti;

va dato atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez. un., 27 novembre 2015, n. 24245) - della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.T.M.

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbiti quelli incidentali. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.