Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 10 ottobre 2018, n. 58485

Presidente: Mazzei - Estensore: Boni

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 12 marzo 2018 il G.i.p. del Tribunale di Torino, pronunciando quale giudice dell'esecuzione, disponeva nei confronti del condannato Alberto P. la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità ed il ripristino della pena sostituita di euro 2.250,00 di ammenda e della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per il periodo di sei mesi, inflittegli con decreto penale di condanna del 26 luglio 2017, emesso dallo stesso G.i.p. del Tribunale.

1.1. A fondamento della decisione rilevava che l'istanza di conversione della pena pecuniaria in lavoro di pubblica utilità era stata avanzata dal condannato a mezzo di un difensore privo della procura speciale in contrasto con quanto prescritto dall'art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285 del 1992 e con la natura di rito alternativo del procedimento che si era inteso introdurre.

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l'interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l'annullamento per:

a) violazione dell'art. 99 c.p.p., dell'art. 122 c.p.p. e degli artt. 459 e ss. c.p.p. e 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992. Secondo il ricorrente, il giudice dell'esecuzione ha errato nel ritenere che l'istanza del condannato avesse determinato la conversione del rito da ordinario a speciale, in quanto la stessa non modifica il rito alternativo monitorio, ma esprime adesione, che potrebbe compiersi anche mediante la mancata opposizione, alla sostituzione della pena già operata col decreto penale di condanna senza che una esplicita norma, contenuta nel codice di rito, oppure nel codice della strada, imponga all'imputato di agire personalmente, oppure a mezzo di procuratore speciale. Del resto l'art. 99 c.p.p. attribuisce al difensore tutti i diritti spettanti all'imputato, salvo che siano riservati alla persona dello stesso per effetto di apposita disposizione di legge. Poiché il conferimento di procura speciale non è prescritto, il deposito dell'istanza di adesione alla sostituzione mediante un difensore delegato, non priva l'atto della sua natura e del suo valore di manifestazione di volontà dell'imputato di eseguire il lavoro di pubblica utilità. Pertanto, la disposta revoca è fondata su un presupposto errato, che conduce a risultati assurdi, contrari al testo della legge ed alla logica, in quanto pretende la procura speciale per esprimere l'adesione alla sostituzione della pena nell'ambito del medesimo rito monitorio, mentre la procura speciale non è richiesta per mutare il rito con l'opposizione.

3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr.ssa Maria Francesca Loy, ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato e va accolto per quanto in seguito specificato.

1. L'ordinanza impugnata, richiamati i precedenti provvedimenti del 4 ottobre 2017 e del 6 febbraio 2018, ha giustificato la decisione assunta di revoca del beneficio dell'ammissione al lavoro di pubblica utilità in ragione della manifestazione della volontà del condannato di sottoporsi all'attività mediante atto non proposto da difensore munito di procura speciale. In particolare ha considerato indispensabile la procura speciale "ai fini della attivazione della procedura di cui all'art. 186, comma 9-bis, D.L.vo 285/1992, trattandosi qui di rito alternativo allo svolgimento ordinario del giudizio".

1.1. Tale affermazione non può essere condivisa per plurime concorrenti ragioni.

1.1.1. In primo luogo, è opportuno rievocare le vicende fattuali sottese alla decisione avversata dall'interessato. Nel caso specifico a carico del P. era stato emesso decreto penale di condanna alla pena di euro 2.250,00 di ammenda e col medesimo provvedimento era stata già disposta la sostituzione di tale sanzione pecuniaria con lavoro di pubblica utilità per diciotto ore con l'indicazione che, per dare corso all'effettiva conversione, l'imputato doveva rivolgersi personalmente o a mezzo di procuratore speciale all'ufficio G.i.p. del Tribunale di Torino entro quindici giorni dalla notifica. Nel termine prescritto il 13 luglio 2017 il P. aveva aderito alla sostituzione ed aveva espresso il proprio assenso mediante atto predisposto in base al modulo fornito dall'ufficio giudiziario, redatto materialmente dall'avv.to Angela Figone, destinataria di apposita delega da parte dell'avv.to Andrea Panero, procuratore speciale del predetto condannato, giusto atto allegato all'istanza.

Era seguita la comunicazione in data 27 settembre 2017 dell'Ente prescelto per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, ma il G.i.p. che aveva emesso il provvedimento monitorio, con ordinanza del 4 ottobre 2017, aveva disposto di non confermare la sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità per essere stata l'istanza presentata da legale sprovvisto di procura speciale, quanto piuttosto da delegato del difensore procuratore speciale, senza che l'imputato avesse attribuito in modo specifico a costui il potere di delegare altri alla proposizione della dichiarazione di assenso alla sostituzione. Nell'ignoranza di tale decisione, per non essere stata l'ordinanza notificata al destinatario e nemmeno all'Ente indicato, nel frattempo dall'11 al 23 ottobre 2017 il P. aveva svolto l'attività indicata, ma il G.i.p., resone edotto, aveva dichiarato di non provvedere all'estinzione del reato poiché non era stato confermato il provvedimento di sostituzione contenuto nel decreto penale di condanna ed in seguito, a fronte dell'istanza di revoca del provvedimento del 4 ottobre 2017 e, in subordine, di restituzione nel termine per presentare nuovamente istanza di sostituzione, con ordinanza dell'8 gennaio 2018 aveva respinto tutte le richieste difensive.

1.1.2. È necessario considerare attentamente la disciplina normativa che regola il caso.

L'art. 186 c.d.s., comma 9-bis, introdotto dalla l. n. 120 del 2010, dispone che, al di fuori dei casi in cui il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale, la pena detentiva e pecuniaria che il giudice intenda irrogare può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 54, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso centri specializzati di lotta alle dipendenze.

La giurisprudenza di legittimità ha già segnalato (sez. 4, n. 4927 del 2 febbraio 2012, Ambrosi, rv. 251956) in senso contrario al precedente orientamento, che il richiamo all'art. 54 del d.lgs. n. 274 del 2000 non comporta l'integrale sovrapposizione dei due istituti. La più marcata differenza è ravvisabile nel fatto che, mentre l'art. 54, comma 1, dispone che il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità "solo su richiesta dell'imputato", il novellato art. 186 c.d.s., comma 9-bis, dispone che la pena, detentiva e pecuniaria, può essere sostituita "se non vi è opposizione da parte dell'imputato". Inoltre anche sul piano della durata del lavoro di pubblica utilità la regolamentazione è differente: per l'art. 54 cit. non può essere inferiore a dieci giorni e superiore a sei mesi; per l'art. 186 c.d.s., comma 9-bis, deve avere una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria, previo ragguaglio della stessa secondo il criterio che parifica 250,00 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. Altri profili di diversità sono riscontrabili nell'individuazione degli enti e dei soggetti a favore dei quali il lavoro di pubblica utilità può essere prestato, essendo più ampia la previsione contenuta nell'art. 186 cit.

Inoltre, mediante il richiamo, operato dall'art. 186 cit., alla disposizione dettata nell'ambito della disciplina della competenza penale del giudice di pace, la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità è stabilita da un decreto del Ministro della giustizia da adottare d'intesa con la Conferenza unificata di cui al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, art. 8, che è stato poi emanato il 26 marzo 2001 e che, individuato il tipo di prestazioni dovute e prescritta la stipulazione di convenzioni con il ministro della giustizia o, su delega di quest'ultimo, con il presidente del tribunale, all'art. 3 prevede: "con la sentenza di condanna con la quale viene applicata la pena del lavoro di pubblica utilità, il giudice individua il tipo di attività, nonché l'amministrazione, l'ente o l'organizzazione convenzionati presso il quale questa deve essere svolta. A tal fine il giudice si avvale dell'elenco degli enti convenzionati".

1.1.3. Le previsioni dell'art. 186, comma 9-bis, e del decreto ministeriale citato attribuiscono dunque alla sfera di discrezionalità del giudice il potere-dovere di individuare il soggetto presso il quale far svolgere il lavoro di pubblica utilità ed il tipo di attività in coerenza con le scelte sanzionatorie effettuate nella commisurazione della pena, orientata alla rieducazione del condannato; né, in senso contrario, assume rilievo la previsione dello stesso art. 3, secondo cui "dello stesso elenco si avvalgono il difensore o il condannato quando formulano le richieste di cui al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 33, comma 3, sulla scorta del medesimo elenco", perché riferita alla specifica ipotesi in cui, pronunciata sentenza di condanna alla pena della permanenza domiciliare, l'imputato o il difensore munito di procura speciale chiedano l'esecuzione continuativa della pena ed il giudice, "se ritiene di poter applicare in luogo della permanenza domiciliare la pena del lavoro di pubblica utilità, indica nella sentenza il tipo e la durata del lavoro di pubblica utilità che può essere richiesto dall'imputato o dal difensore munito di procura speciale".

È dunque evidente che la disposizione dell'art. 33, che affida all'iniziativa dell'imputato o del suo patrocinatore munito di procura speciale la formulazione dell'istanza di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, trova applicazione esclusivamente nell'ambito del procedimento di competenza del giudice di pace. Diversamente dispone l'art. 186 c.d.s., comma 9-bis, secondo la cui formulazione testuale non si pretende dall'imputato una esplicita domanda per procedere alla sostituzione, essendo sufficiente la sua non opposizione: se dunque nella prassi può accadere che sia il diretto interessato a sollecitare l'applicazione del beneficio, è però altrettanto certo che il sistema normativo non pone a suo carico un onere di attivazione, potendo egli rimanere inerte e silente poiché al suo silenzio, così come ad eventuale espressa richiesta, viene attribuito per legge il significato di mancata opposizione alla sostituzione della pena.

1.2. Tanto premesso, alla luce dei rilievi testuali e sistematico-comparativi svolti merita condivisione l'assunto difensivo, secondo il quale, né nel testo dell'art. 186, comma 9-bis, né in altra disposizione di legge riferibile alla fattispecie in esame è rinvenibile la disposizione che impone al condannato di aderire all'indicazione di sostituzione della pena con l'attività di pubblica utilità mediante una dichiarazione formulata personalmente, oppure dal solo difensore procuratore speciale, valendo tale prescrizione per altri istituti similari, ma differenti da quello applicabile in caso di trasgressione dell'art. 186 c.d.s. e nell'ambito di un diverso meccanismo di accesso alla sostituzione. Infatti, come già detto, nel caso dei reati di competenza del giudice di pace, puniti con la permanenza domiciliare, spetta all'imputato avanzare la richiesta di conversione di tale sanzione nel lavoro di pubblica utilità ed altrettanto è previsto nell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990 quando per il reato ivi previsto, commesso da soggetto tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, il lavoro di pubblica utilità. In queste situazioni, richiamate in modo non pertinente anche nella requisitoria scritta del Procuratore Generale, si esige un impulso personale dell'imputato, da realizzare eventualmente per il tramite del procuratore speciale, per garantire che il diretto interessato sia consapevole delle modalità di emenda e delle conseguenze in caso di violazione degli obblighi connessi all'attività da svolgere. Al contrario, nella diversa ipotesi prevista dall'art. 186 cit. non si richiede all'imputato di sollecitare la sottoposizione al lavoro di pubblica utilità, né di esprimere una esplicita determinazione adesiva all'indicazione contenuta nel titolo di condanna, ma soltanto di non opporsi alla sostituzione già disposta per decisione giudiziale con la sentenza o col decreto penale di condanna. Non si vede dunque per quale ragione se il consenso possa desumersi per "facta concludentia" dall'inerzia, qualora esso sia espresso in atto scritto, di per sé ritenuto dal legislatore superfluo, debba provenire esclusivamente dall'imputato o dal suo procuratore speciale.

1.3. La diversa opinione espressa dal giudice dell'esecuzione, come del resto le indicazioni già contenute nel decreto penale di condanna, contrastano con il testo dell'art. 186, comma 9-bis, e non trovano giustificazione sul piano della regolamentazione normativa e della natura speciale della disposizione rispetto a quella valevole per i procedimenti di competenza del giudice di pace.

1.4. Infine, si deve dissentire da altra affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata: la pretesa del rilascio di procura speciale al difensore per formare l'atto di assenso al lavoro di pubblica utilità ed introdurre un rito alternativo allo svolgimento ordinario del giudizio non ha fondamento giuridico ed è frutto di errata interpretazione ed applicazione degli artt. 459 c.p.p. e ss., contrastando con il dato testuale e sistematico. In realtà, il rito speciale è introdotto allorché il pubblico ministero procedente in ordine a specifiche tipologie di reati, ritenendo applicabile soltanto una pena pecuniaria, anche se in sostituzione di pena detentiva, presenta al giudice per le indagini preliminari, entro il termine di sei dall'iscrizione nel registro degli indagati del nominativo del soggetto cui il reato è ascritto e previa trasmissione del fascicolo processuale, richiesta motivata di emissione del decreto penale di condanna con indicazione della misura della pena, eventualmente diminuita sino alla soglia limite della metà rispetto al minimo stabilito dal legislatore e tale richiesta è accolta dal giudice cui è rivolta con emissione del decreto, suscettibile di divenire irrevocabile per mancata opposizione e di fungere da titolo esecutivo.

Con la presentazione dell'istanza il p.m. esercita l'azione penale in ordine all'ipotesi di reato individuata ed il giudice cui è rivolta, ai sensi del terzo comma dell'art. 459 c.p.p., senza esserne vincolato, può accoglierla con emissione del decreto, respingerla per la contestuale pronuncia di sentenza di proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. e, al di fuori di quest'ultima ipotesi, può respingerla con ordinanza di restituzione degli atti al pubblico ministero.

Qualora poi, a norma dell'art. 186, comma 9-bis, c.d.s., si innesti nel contenuto del decreto di condanna la prescrizione di sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità il rito non muta e non si trasforma in ordinario nemmeno quando l'imputato vi aderisca in via tacita o esplicita, essendo affidato soltanto all'eventuale opposizione l'effetto di trasformazione del rito da speciale ad ordinario.

In definitiva, ritiene il Collegio che debba formularsi il seguente principio di diritto: "Qualora a norma dell'art. 186, comma 9-bis, c.d.s. il giudice disponga con decreto penale di condanna la sostituzione della pena pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, non è richiesto all'imputato di esprimere una manifestazione di volontà adesiva, essendo sufficiente la sua mancata opposizione, né, qualora l'assenso sia formulato con atto scritto, questo deve essere redatto dall'imputato personalmente o dal suo difensore munito di procura speciale".

Per le considerazioni svolte il provvedimento impugnato, così come quelli in esso richiamati ed emessi in data 4 ottobre 2017 e 6 febbraio 2018, va annullato con rinvio al G.i.p. del Tribunale di Torino per nuovo esame dell'istanza di estinzione del reato, che dovrà svolgersi nel rispetto dei principi di diritto sopra esposti.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata ed i provvedimenti presupposti, emessi il 4 ottobre 2017 ed il 6 febbraio 2018, e rinvia per nuovo esame al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino.

Depositata il 28 dicembre 2018.