Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 13 luglio 2018, n. 45341
Presidente: Pezzullo - Estensore: Settembre
RITENUTO IN FATTO
1. D.L. Carmelo è stato condannato dalla Corte d'appello di Torino per l'uso di una carta di identità contraffatta (artt. 489 in relazione agli artt. 477 e 482 c.p.) e per la contraffazione del certificato di codice fiscale (artt. 477 e 482 c.p.).
2. Ricorre per cassazione l'imputato deducendo la prescrizione dei reati, commessi il primo nel mese di giugno del 2006 ed il secondo il 5 aprile 2008. Tale conclusione è resa obbligata - argomenta il ricorrente - dal fatto che deve ritenersi insussistente la recidiva reiterata infraquinquennale, contestata e ritenuta dal giudice di merito, perché la condanna che vi aveva dato causa (il decreto penale n. 1159/2006 emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Novara in data 11 dicembre 2006, esecutivo il 24 dicembre 2007) è relativo a reato (quello di cui all'art. 2 della l. n. 638 dell'11 novembre 1993) che è stato depenalizzato dal d.lgs. n. 8 del 15 gennaio 2016.
3. Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 25 giugno 2018, il ricorrente ha insistito nei motivi di ricorso e allegato documentazione da cui risulta l'attivazione del procedimento per la revoca di sentenze emesse nel 1979 (per emissione di assegni a vuoto), il 22 maggio 1980 (per emissione di assegni a vuoto) e nel 2006 (per omesso versamento di ritenute).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato, anche se va disatteso l'unico motivo di ricorso.
1. La recidiva reiterata e infraquinquennale è stata, infatti, contestata e regolarmente applicata, giacché D.L. ha riportato condanne nel 1980 (per omissione di atti d'ufficio), nel 1987 (per detenzione illegale di armi), nel 1995 (per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice), nel 1998 (per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti), nel 2001 (per violazione delle norme sull'immigrazione e la condizione dello straniero) e nel 2006 (per omesso versamento di ritenute previdenziali). L'applicazione della recidiva reiterata e infraquinquennale non era stata contestata nei motivi di appello, né all'esito del giudizio d'appello (conclusosi a febbraio del 2018), sebbene l'abrogazione dell'art. 2 della l. n. 638 dell'11 novembre 1993 fosse già avvenuta nel 2016 (con d.lgs. n. 8 del 15 gennaio 2016). Sul punto si è formato, pertanto, il giudicato parziale, per cui nessuna ulteriore impugnazione è possibile.
A parte tale rilievo, va considerato che la recidiva reiterata (aggravata o meno) comporta, in ogni caso, il prolungamento del termine di prescrizione di due terzi (art. 161, comma 2, c.p.), con l'effetto che uno dei reati contestati non è - come si vedrà - prescritto (è l'aumento di pena che varia - ex art. 99 c.p. - dalla metà ai due terzi, a seconda che si tratti di recidiva reiterata semplice o aggravata. Il prolungamento del termine di prescrizione è, invece, sempre di due terzi in caso di recidiva reiterata, ex art. 161, comma 2, c.p.p.). A nulla rileva, quindi, che sia in corso di revoca, e sia revocata, la sentenza - emessa nel 2006 - per l'omesso versamento dei contributi previdenziali, giacché il provvedimento richiesto eliminerebbe l'infraquinquennalità della recidiva, ma non il suo carattere di recidiva reiterata.
2. Tanto premesso, si rileva che l'uso della carta di identità contraffatta, commesso nel 2006, si era prescritto, anche tenendo conto della recidiva reiterata e del prolungamento del termine di prescrizione ad essa connesso, nel 2016; cioè, prima della sentenza d'appello (che è del febbraio 2018). Lo stesso non può dirsi, invece, per la contraffazione del certificato di codice fiscale, commesso ad aprile (o giugno) del 2008 (epoca in cui fu utilizzato nella filiale di Borgomanero della Banca del Piemonte), in quanto, tenendo conto dell'interruzione dovuta alla recidiva reiterata (2/3 della pena massima), tale reato si sarebbe prescritto dopo la sentenza d'appello (ad aprile o giugno del 2018). Trova quindi applicazione il principio, affermato da questa Corte nel lontano anno 2000 (Sezioni unite, sent. n. 32 del 22 novembre 2000) e da allora mai più messo in discussione, secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. Tanto, sebbene il ricorso abbia trovato accoglimento in relazione ad uno dei reati contestati, giacché l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Cass., Sez. un., n. 6903 del 27 maggio 2016, Rv. 268966).
Di conseguenza, va eliminata la pena di mesi uno di reclusione inflitta per l'uso della carta di identità contraffatta (artt. 489-477-482 c.p.); va dichiarato inammissibile, nel resto, il ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato di cui all'art. 489 c.p., in relazione agli artt. 477 e 482 c.p., di cui al capo A), estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Depositata il 9 ottobre 2018.