Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 26 ottobre 2018, n. 27163

Presidente: Mammone - Estensore: Perrino

FATTI DI CAUSA

Il WWF Italia, in esito alla sentenza del 2 aprile 2014 del Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige - sezione autonoma di Bolzano, che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, ha proposto in data 7 luglio 2014 un nuovo ricorso, di contenuto identico al precedente, col quale ha reiterato l'impugnazione, stavolta dinanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche, della delibera della giunta provinciale di Bolzano n. 1158 del 30 luglio 2012, con la quale si era approvata la domanda della s.r.l. Rienza Energia per la concessione di una derivazione idroelettrica del Rio Ridanna, sito nel Comune di Racines.

Il ricorrente ha fatto leva, in particolare, sul giudizio negativo espresso in sede di valutazione d'impatto ambientale dalla Conferenza di servizi, che è stato posto a fondamento del rigetto di analoga domanda proposta dalla Hydro Energy, concorrente della società concessionaria. Si è costituita la Rienza Energia, che ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, del quale ha comunque chiesto il rigetto.

Il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha anzitutto rimarcato l'irrilevanza dell'omessa notificazione del nuovo ricorso al Comune di Racines, che, pure, era stato parte del precedente giudizio, perché l'ha ritenuto titolare di interessi di mero fatto.

Nel merito, il Tribunale ha accolto il ricorso, facendo leva sulla contraddittorietà della decisione impugnata, che ha escluso la rilevanza di un elemento, ossia del parere negativo della Conferenza di servizi, che, invece, ha ritenuto dirimente per rigettare l'analoga domanda della concorrente Hydro Energy.

Contro questa sentenza propone ricorso per ottenerne la cassazione la s.r.l. Alperia Fiber, subentrata a Rienza Energia, che affida a tre motivi, cui replica con controricorso il WWF-Italia Ong-Onlus.

Entrambe le parti depositano memoria ex art. 378 c.p.c.

Il pubblico ministero ha presentato requisitoria scritta, in esito alla quale la ricorrente ha prodotto documentazione.

Nel corso della discussione il pubblico ministero ha ritenuto superata dalla documentazione prodotta l'eccezione d'inammissibilità che aveva sollevato, riportandosi nel resto alle conclusioni rese per iscritto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La visura camerale prodotta dalla società, che dà conto del mutamento di denominazione della ricorrente da Rienza Energia in Alperia Fiber, consente di ritenere superata l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, proposta dalla Procura generale per la mancanza di esplicazione del titolo in base al quale la seconda è subentrata alla prima.

2. Infondata è poi l'eccezione d'inammissibilità del ricorso proposta dal WWF Italia, basata sull'affermata ricorribilità per cassazione, contro le sentenze rese in unico grado dal Tribunale superiore delle acque pubbliche, per i soli motivi attinenti alla giurisdizione.

Queste sezioni unite hanno difatti già avuto occasione di affermare (in particolare con le sentenze 29 ottobre 2002, n. 12521 e 1° ottobre 2003, n. 14624) che contro quelle decisioni il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione è esperibile, oltre che per i vizi indicati dall'art. 201 del regio decreto n. 1775/1933 (incompetenza ed eccesso di potere), per ogni violazione di legge, sostanziale e processuale, e non per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, poiché tale limitazione è operante, a norma dell'art. 111 Cost., unicamente per le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

3. Nel merito, i primi due motivi di ricorso, con i quali la società lamenta rispettivamente la violazione dell'art. 36, 2° comma, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, in relazione all'art. 208 del r.d. n. 1775/1933, per l'omessa notificazione del ricorso dinanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche al Comune di Racines, quale controinteressato e, in subordine, la mancata integrazione del contraddittorio (primo motivo) e la violazione e falsa applicazione dell'art. 11, 2° comma, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e del principio della translatio iudicii, per l'omessa riproposizione dinanzi al Tribunale superiore del giudizio già promosso dinanzi al giudice amministrativo anche nei confronti del Comune di Racines e, in subordine, l'omessa motivazione sull'eccezione d'irricevibilità del ricorso (secondo motivo), sono entrambi intesi a contestare la riproposizione dinanzi al Tribunale medesimo dell'impugnazione della delibera indicata in narrativa.

3.1. Irrilevante è l'obiezione mossa in controricorso concernente l'abrogazione dell'art. 36 del testo unico sul Consiglio di Stato, che col primo motivo di ricorso la società invoca.

Ciò perché il rinvio operato dall'art. 208 del r.d. n. 1775/1933 per i ricorsi previsti nell'art. 143 del medesimo decreto è di tipo formale, perché rinvia alla fonte di produzione (da ultimo, Cass., sez. un., 13 ottobre 2017, n. 24146) e, quindi, nel caso in esame, al d.lgs. n. 104 del 2010, applicabile ratione temporis.

Inoltre, anche l'art. 192 del r.d. n. 1775/1933 prevede che «i ricorsi al Tribunale superiore delle acque pubbliche indicati nell'art. 143 devono essere notificati... tanto all'autorità, dalla quale è emanato l'atto o provvedimento impugnato, quanto alle persone alle quali l'atto o provvedimento direttamente si riferisce».

3.2. I due profili in cui si articola la censura sono concorrenti.

Per un verso, la società sostiene che la riproposizione del ricorso da parte del WWF Italia non abbia determinato la translatio del giudizio originario dal giudice amministrativo al Tribunale superiore delle acque pubbliche.

E ciò perché, argomenta, il ricorrente, non evocando in giudizio dinanzi al Tribunale superiore delle acque pubbliche il Comune di Racines, non ha proseguito il medesimo processo iniziato dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa, del quale il Comune era parte. Sicché, conclude, il WWF non può valersi della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio in esame, a suo avviso irritualmente riattivato dinanzi al giudice che ne è munito.

Per altro verso, la società afferma che comunque il nuovo giudizio non è stato correttamente instaurato, perché è stato pretermesso uno dei controinteressati, appunto il Comune di Racines.

4. La sentenza impugnata mostra di muoversi soltanto su questo secondo piano, in quanto il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha puntato sull'esclusione della qualità di controinteressato del Comune di Racines.

Questo piano, tuttavia, è logicamente e cronologicamente successivo a quello coinvolto dal secondo motivo di ricorso, perché, decidendo nel merito, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha implicitamente, ma inequivocabilmente ritenuto operante il meccanismo utile a evitare le decadenze, tra le quali quella dall'impugnativa, che altrimenti si sarebbe prodotta, inibendo l'esame del merito della vicenda.

5. La società identifica il meccanismo con la translatio iudicii e ne esclude l'operatività a causa della mancanza d'identità tra il giudizio iniziato dinanzi al giudice amministrativo e quello nuovamente instaurato avanti al Tribunale superiore delle acque pubbliche, evincibile dall'assenza nel secondo di una delle parti del primo.

La tesi è infondata.

Come correttamente sottolineato dalla Procura generale, la circolazione del processo che provenga da un diverso comparto di giurisdizione non necessariamente deve corrispondere al congegno della translatio iudicii per essere idonea a salvaguardare gli effetti della domanda proposta dinanzi al giudice a quo.

Si era ritenuto, in passato (Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109), che il meccanismo in questione, espressamente previsto in tema di competenza, fosse immanente nell'ordinamento, in base a una lettura adeguatrice e costituzionalmente orientata del sistema processuale.

La Corte costituzionale (con la quasi coeva sentenza 12 marzo 2007, n. 77), tuttavia, nel rimarcare che l'art. 362 c.p.c. prevede uno strumento atto sì, «in ogni tempo», e quindi anche anni dopo il manifestarsi del conflitto, a eliminarlo, ma del tutto inidoneo a salvaguardare gli effetti della domanda giudiziale, ha circoscritto l'applicabilità della translatio alle sole questioni di competenza.

5.1. Di qui è scaturita la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 30 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (istitutiva dei Tar); ma, come la stessa Corte costituzionale ha chiarito, quel che è stato espunto dall'ordinamento è soltanto il «principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l'esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio».

Al legislatore, dunque, sollecitato dalla stessa Corte, si è fissato il compito di superare l'incomunicabilità tra il giudice ordinario e quello speciale; e, a tal fine, si è posto l'obiettivo di porre rimedio all'errore commesso dall'attore nel rivolgersi al giudice a quo, mediante, appunto, la salvaguardia degli effetti sostanziali e processuali della domanda, senza la quale la riattivazione del processo non sarebbe soddisfacente, perché non porrebbe riparo all'errore.

5.2. È rimasta, peraltro, piena la discrezionalità del legislatore nella scelta della tecnica atta allo scopo - l'esame della quale è affidato al giudice della controversia -, ossia degli strumenti processuali utili a rendere operante il principio di salvaguardia degli effetti (così Corte cost. 13 luglio 2011, n. 223).

Per un verso, difatti, la trasmigrazione, di per sé, «è strumento necessario, ma non sufficiente perché il giudice ad quem possa giudicare della domanda dinanzi a lui riassunta come se essa fosse stata proposta davanti a lui nel momento in cui lo fu al giudice privo di giurisdizione» (così ancora Corte cost. n. 77/2007); per altro verso, la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda non è ineludibilmente correlata alla riassunzione.

Gli effetti della domanda pertengono al merito di essa, il cui esame è devoluto al giudice munito di giurisdizione; e la riassunzione identifica soltanto uno dei possibili strumenti per mezzo dei quali il processo riesce a pervenire al giudice che può conoscerlo, nel rispetto del principio della necessaria salvaguardia degli effetti, che, essendo immanente nell'ordinamento, va comunque salvaguardato.

Non può essere condivisa, dunque, l'affermazione, sulla quale la ricorrente torna anche in memoria, che la salvezza degli effetti processuali e sostanziali di una domanda erroneamente incardinata dinanzi a un giudice privo di giurisdizione "presuppone ed anzi postula" che sia riattivato lo stesso identico processo così come incardinato dinanzi al primo giudice.

E ciò perché l'affermazione suona come petizione di principio, in base all'esame del diritto positivo.

6. Il legislatore ha esercitato la discrezionalità di cui era munito con una disciplina di carattere generale, dettata dall'art. 59 della l. 18 giugno 2009, n. 69, della quale v'è eco nell'art. 17 del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, che ha delineato il codice di giustizia contabile, e con una speciale, fissata dall'art. 11 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.

Che l'art. 59 della l. n. 69/2009 abbia valenza di norma generale è esso stesso a stabilirlo, là dove al 1° comma si riferisce al giudice privo di giurisdizione «... in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali»: la norma detta le regole di circolazione del giudizio dal giudice ordinario a quelli speciali, e viceversa.

L'art. 11 del d.lgs. n. 104/2010 governa, invece, le relazioni tra la giurisdizione amministrativa e le altre giurisdizioni, ordinaria e speciali e fissa al riguardo le regole di condotta che il giudice deve seguire.

Ne deriva che, secondo il canone di specialità, nei rapporti tra il giudice amministrativo e quelli ordinario e speciali, l'applicazione dell'art. 59 della l. n. 69/2009 interviene soltanto in via sussidiaria, al cospetto di lacune della regolamentazione fornita dall'art. 11 del codice del processo amministrativo.

6.1. La disciplina speciale differisce da quella generale soprattutto per il profilo che viene in considerazione nell'odierna controversia.

L'art. 11 si riferisce esclusivamente alla riproposizione del giudizio o del processo, la quale, già sul piano lessicale, implica una nuova instaurazione del processo o del giudizio dinanzi al giudice ad quem.

L'art. 59 evoca sia la riassunzione (nel 3° e nel 4° comma), che è atto d'impulso endoprocessuale volto alla riattivazione di un processo pendente, sia la riproposizione della domanda (nel 2° e nel 5° comma), sia la prosecuzione del giudizio (nel 4° comma).

La dottrina dibatte molto le distinzioni.

Si evidenziano i profili d'incoerenza dei meccanismi delineati: la conservazione delle preclusioni endoprocessuali maturate (stabilita e dal 2° comma dell'art. 59, e dal 2° e dal 4° comma dell'art. 11) e l'estinzione del processo non tempestivamente riassunto o proseguito (art. 59, 4° comma) militano per la prosecuzione del giudizio originario, al punto che un corposo orientamento della dottrina derubrica la terminologia utilizzata, reputandola equivoca e confusionaria, e perviene alla conclusione che si sia comunque voluto prevedere un unico meccanismo, quello della riassunzione.

Sul fronte opposto, la circostanza che il termine perentorio di tre mesi per la riattivazione del giudizio sia stato correlato al passaggio in giudicato della sentenza con la quale il giudice ha declinato la propria giurisdizione conduce alla definitiva conclusione del giudizio originario e alla proposizione di uno nuovo: sicché secondo altra tesi dottrinale il legislatore avrebbe privilegiato lo strumento della riproposizione della domanda, sia pure contraddittoriamente a essa imponendo la disciplina procedimentale della riassunzione.

6.2. Scarsamente proficue sono la ricognizione dei tratti d'incoerenza della disciplina generale in sé e nei rapporti con quella speciale e la valutazione del suo tasso di confusione: quel che rileva è l'identificazione dei rimedi e delle tutele apprestati nel caso di errore nella scelta del giudice giurisdizionalmente competente.

7. Quando si passa da un ordine giurisdizionale a un altro, difatti, il mutamento maggiormente rilevante è quello che riguarda i rimedi e le tecniche di tutela, più che i riti e i procedimenti.

E di ciò si è mostrato consapevole il legislatore, il quale, quando ha confezionato la disciplina speciale in seno al codice del processo amministrativo, ha evitato volutamente di evocare la riassunzione e ha preferito l'espressione, per quanto atecnica e sino ad allora inedita, di "riproposizione del processo".

Lo si evince dalla relazione governativa al d.lgs. n. 104/2010, opportunamente richiamata dalla Procura generale, in cui appunto si è puntualizzato, a proposito del mancato accoglimento del suggerimento proposto in sede parlamentare di sostituire il termine "riproposizione" con quello di "riassunzione", che, a fronte dell'uso promiscuo di quest'ultimo in riferimento a una molteplicità di istituti, il legislatore delegato ben poteva e, anzi, doveva «... mantenere, in ordine al difetto di giurisdizione del giudice adito, l'istituto della "riproposizione" della domanda, secondo quanto previsto dall'art. 59... e riservare la "riassunzione" alle altre vicende, prima fra cui quella relativa all'incompetenza».

Il lessico impiegato è dunque intenzionalmente volto a designare fenomeni diversi; a conferma che la scelta è stata meditata, nella relazione si è pure evidenziato che la considerazione unitaria dei due giudizi condurrebbe all'incongruenza di riconoscere alla parte che abbia commesso l'errore nell'adire il giudice un maggior indennizzo dovuto in base alla legge Pinto.

7.1. La riproposizione era già contemplata, si è visto, dall'art. 59 della l. n. 69/2009, oltre alla riassunzione. E queste sezioni unite si sono fatte carico di delinearne la distinzione d'impiego.

Si è quindi stabilito che quando si declini la giurisdizione occorre la riassunzione qualora il giudizio dinanzi al giudice ad quem abbia le stesse caratteristiche di quello davanti al giudice a quo, laddove è necessaria la riproposizione della domanda, che consente l'emendatio di quella originariamente proposta, quando si tratti di passare da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio a uno esclusivamente cognitivo o viceversa (Cass., sez. un., 21 aprile 2011, n. 9130; sez. un., ord. 15 dicembre 2016, n. 25837; in termini, anche 22 luglio 2016, n. 15223).

Con l'occasione, si è definita la riproposizione (in particolare, da parte di Cass. n. 9130/2011) come un atto «volto a versare nel nuovo procedimento il contenuto dell'atto originante il vecchio».

8. Questa distinzione si presta a un ulteriore ampliamento.

La scelta tra riassunzione e riproposizione della domanda non dipende difatti soltanto dal tipo di giudizio da svolgere dinanzi al giudice ad quem.

Quel che la indirizza è anche la circostanza che vi sia stato, o no, il passaggio in giudicato della sentenza che abbia definito con la declinatoria di giurisdizione il giudizio originario.

Queste sezioni unite (in particolare, ord. 22 dicembre 2010, n. 23596), sia pure affermando che «la riproposizione della domanda davanti al giudice indicato dalla sentenza declinatoria come dotato di giurisdizione, se effettuata nel termine di mesi tre dal passaggio in giudicato della pronunzia, costituisce certamente una riassunzione» (sulla medesima falsariga, fra altre, anche ord. 28 ottobre 2015, n. 21951 e ord. 3 novembre 2017, n. 26155), hanno chiarito che il passaggio in giudicato della sentenza non individua il termine iniziale per riattivare la causa, ma solo quello finale di tre mesi, in base a principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo (in termini, in relazione all'art. 11 del c.p.a., C.d.S., ad. plen., 16 dicembre 2011, n. 24).

Il che contribuisce a dar conto della modulazione degli strumenti di circolazione del processo: se il giudizio va riattivato in una situazione in cui non vi sia una pronuncia declinatoria di giurisdizione passata in giudicato, appropriato è lo strumento endoprocessuale della riassunzione, qualora non occorra adattare la domanda «con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile»; se, invece, il giudizio originario si sia concluso col passaggio in giudicato della declinatoria di giurisdizione, inevitabile è la nuova proposizione della domanda.

8.1. Quest'ultima fattispecie è evocata dal 2° comma dell'art. 59, in relazione al possibile caso di riproposizione della domanda a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia sulla giurisdizione: «nel successivo processo» resta ferma l'indicazione del giudice ad quem, ma sono fatti salvi gli effetti che la domanda avrebbe prodotto se il giudice munito di giurisdizione fosse stato adito sin dall'inizio.

Il 3° comma si riferisce, invece, all'ipotesi in cui le sezioni unite non si siano già pronunciate «nel processo», ossia a una situazione in cui il processo non può dirsi definito.

Adeguato è quindi lo strumento della riassunzione - sempre che la domanda non abbia bisogno degli adattamenti richiesti dalle caratteristiche del giudizio -, con la possibilità per il giudice ad quem di sollevare d'ufficio, nei termini previsti, la questione di giurisdizione dinanzi alle sezioni unite.

E che sussistano più ipotesi, tra esse distinte, emerge dall'ultimo comma dell'art. 59, il quale disciplina il valore delle prove raccolte «in ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice privo di giurisdizione».

9. La disciplina speciale ha voluto semplificare le regole scegliendo senz'altro, nel rispetto del vincolo posto dalla Corte costituzionale di garantire la salvaguardia degli effetti processuali e sostanziali della domanda, il solo strumento della riproposizione nel termine prescritto (su questa linea, escludono che la riproposizione prevista dall'art. 11 del c.p.a. possa equivalere a riassunzione C.d.S. 19 gennaio 2018, n. 353 e 5 settembre 2017, n. 4205).

E ciò anche nell'ipotesi in cui le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, l'attribuiscano al giudice amministrativo «in una controversia introdotta davanti ad altro giudice», quindi ancora pendente dinanzi a questo.

9.1. Nel segno della necessità di un'ulteriore instaurazione del giudizio la disciplina speciale contiene conferme e novità:

- il 6° comma dell'art. 11 del c.p.a. ribadisce, analogamente a quanto previsto dall'ultimo comma dell'art. 59 della l. n. 69/2009, che «nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova». La regola richiama la formulazione del 3° comma dell'art. 310 c.p.c., dettato in tema di estinzione del processo, che, per conseguenza, è incongrua rispetto alla continuazione del processo evocata dall'art. 50 c.p.c.;

- il 7° comma dell'art. 11, là dove prevede che «le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione», introduce una cesura nella tutela cautelare, stridente con la prosecuzione del giudizio originario.

10. In conclusione, in base all'art. 11 del d.lgs. n. 104/2010 occorre sempre che la domanda sia nuovamente - e tempestivamente - proposta, ai fini della salvaguardia degli effetti di quella originaria.

Perché si possa discorrere di riproposizione, la domanda, di là dagli adattamenti richiesti «con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile» (giusta il 2° comma dell'art. 59 della l. n. 69/2009, applicabile in via sussidiaria, stante il silenzio dell'art. 11 del c.p.a.), non dev'essere nuova e autonoma, di contenuto diverso da quella azionata nel precedente giudizio (Cass., sez. un., ord. 17 luglio 2018, n. 19045).

A ogni modo, la circostanza che si tratti di una domanda riproposta, che comporta l'instaurazione di un nuovo giudizio, esclude in radice la rilevanza della mancata evocazione di una delle parti del giudizio vecchio.

11. Il Tribunale superiore delle acque pubbliche è quindi giunto all'esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.

Il che rende irrilevante la mancanza di motivazione sulla questione di diritto da essa implicata, della quale la ricorrente pure si lamenta (Cass., sez. un., 2 febbraio 2017, n. 2731).

12. La novità del secondo giudizio comporta altresì che la ritualità del contraddittorio va verificata in base alla disciplina a quel giudizio applicabile.

E, nell'ipotesi in questione, correttamente il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha escluso la legittimazione sostanziale del Comune di Racines, là dove ne ha rimarcato la titolarità di interessi di mero fatto.

12.1. Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, in cui si punta sulla qualificazione formale di controinteressato del Comune di Racines, per la sola ragione che al Comune si riferisce la deliberazione impugnata, il controinteressato è il soggetto titolare di un interesse qualificato alla conservazione dell'assetto recato dal provvedimento impugnato, che abbia natura uguale e contraria a quello del ricorrente, e che sia dunque un controinteressato, oltre che in senso formale, altresì in senso sostanziale (tra varie, C.d.S. 23 maggio 2018, n. 3077; 6 ottobre 2015, n. 4654; 17 giugno 2015, n. 3059).

Nel caso in esame, allora, una tale qualificazione di controinteressato va senz'altro negata al Comune di Racines.

12.2. Al riguardo, la Corte costituzionale (con sentenza 12 ottobre 2017, n. 212), proprio in relazione alla Provincia autonoma di Bolzano, ha stabilito che la tutela dell'ambiente presidiata dall'art. 117, 2° comma, lett. s), Cost., pur investendo e intrecciandosi con altri interessi e competenze, ben può funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell'ambiente.

La competenza esclusiva in materia ambientale attribuita allo Stato con la l. cost. n. 3 del 2001 non ha quindi ristretto lo spazio di autonomia spettante in virtù dello statuto speciale. Si ha pur sempre riguardo, tuttavia, alle competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti ad autonomia differenziata, non già ai Comuni.

La complessiva censura proposta va dunque respinta, con l'affermazione del seguente principio di diritto:

"In tema di rapporti tra giurisdizioni e di individuazione degli strumenti idonei a garantire la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda erroneamente incardinata dinanzi a giudice privo di giurisdizione, l'art. 11 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 regola le relazioni tra la giurisdizione amministrativa e le altre giurisdizioni, ordinaria e speciali: esso, ponendosi in rapporto di specialità rispetto alla disciplina dettata in via generale dall'art. 59 della l. 18 giugno 2009, n. 69 (la quale, pertanto, interviene soltanto in via sussidiaria), identifica con la sola riproposizione del processo il mezzo di tutela esperibile, a differenza del detto art. 59 che contempla anche, ove ricorrano determinate condizioni, l'istituto della riassunzione. Pertanto, la domanda, ai fini della salvezza degli effetti di quella originariamente azionata, deve essere sempre nuovamente - e tempestivamente - proposta, con contenuto non diverso dalla precedente, dinanzi al giudice munito di giurisdizione, così determinando l'instaurazione di un giudizio nuovo, secondo la disciplina applicabile a quest'ultimo, anche con riguardo alla ritualità del contraddittorio".

13. Inammissibile è poi il terzo motivo di ricorso, col quale la società si duole dell'inesistenza della motivazione in ordine alla assoluta irrilevanza del parere negativo della conferenza di servizi presso l'ufficio valutazione dell'impatto ambientale.

L'impugnazione della sentenza è soggetta ratione temporis al regime stabilito dall'art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. con l. n. 134/2012: la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche è impugnabile per vizio di motivazione solo qualora l'anomalia denunciata rilevi ai sensi dell'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con l. n. 134 del 2012 (Cass., sez. un., 7 gennaio 2017, n. 16; 22 giugno 2017, n. 15486).

E giova ribadire che la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione.

13.1. Va quindi esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, nonché, tra varie, sez. un. 22 settembre 2014, n. 19881, relativa giustappunto ad una sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche).

In particolare, per un verso l'omesso esame di elementi istruttori non integra vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (tra varie, Cass., ord. 10 febbraio 2015, n. 2498 e ord. 1° luglio 2015, n. 13448); per altro verso, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è inquadrabile nel paradigma dell'art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c. (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

14. Il ricorso va quindi respinto e le spese seguono la soccombenza in relazione alla parte costituita.

14.1. Sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese sostenute dalla parte costituita, che liquida in euro 8000,00 per compensi, oltre a euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.