Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 5 novembre 2018, n. 6237

Presidente: Balucani - Estensore: Sestini

FATTO E DIRITTO

1. L'appellante cooperativa sociale CAD soc. coop. sociale onlus ha vinto la gara indetta nel corso del 2007 dall'Azienda USL di Rimini per appaltare il servizio di assistenza domiciliare nel Comune di Rimini. Con la determinazione dirigenziale n. 218 del 10 marzo 2008 si è proceduto alla stesura di due separati contratti, uno concluso con l'Azienda Usl di Rimini e l'altro con il Comune di Rimini. Ha quindi preso avvio il contratto di appalto della durata di 36 mesi per un valore di euro 9.367.280 al netto di Iva.

2. CAD. soc. coop. sociale onlus già nel corso dell'esecuzione de[l] contratto di appalto ha avviato la procedura di revisione dei prezzi, tuttavia, l'Amministrazione ha accolto solo parzialmente le sue istanze, ed essa in data 2 aprile 2011 ha pertanto proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica lamentando la sussistenza di vizi di legittimità nel modus operandi dell'Amministrazione. Il Comune di Rimini ha proposto opposizione e la Cooperativa ha effettuato la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale presso il TAR dell'Emilia-Romagna, che con la sentenza appellata ha peraltro dichiarato l'inammissibilità dell'impugnativa, avendo ritenuto che il contenzioso in materia di revisione dei prezzi rientri in quello afferente al c.d. rito appalti, per il quale è possibile solamente il ricorso giurisdizionale e non anche il ricorso straordinario, di modo che l'inammissibilità dell'originario ricorso straordinario avrebbe irrimediabilmente reso inammissibile anche la sua trasposizione in sede giurisdizionale.

3. La Cooperativa ha proposto appello, chiedendo di riformare la sentenza di primo grado stante la piena ammissibilità del proprio gravame e sollevando, nel merito, quattro motivi di censura contro l'operato dell'Amministrazione. Il Collegio deve pertanto affrontare preliminarmente la questione della ammissibilità del ricorso straordinario da cui originava il ricorso, e quindi decidere se le cause sulla revisione prezzi scontino la preclusione di cui all'art. 120, comma 1, c.p.a.

4. Non vi sono dubbi circa l'esistenza della preclusione, espressamente prevista dalla disciplina del c.d. rito appalti, ed appare altrettanto chiaro che la conseguente inammissibilità del ricorso straordinario deve riverberarsi sulla sua eventuale trasposizione in sede giurisdizionale, in quanto in caso contrario si vanificherebbe la stessa ratio di una disciplina processuale speciale accelerata volta a garantire una rapida conclusione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

5. Peraltro, per espressa previsione normativa il contenzioso in materia di revisione dei prezzi dei contratti pubblici rientra fra le materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e invece non figura affatto fra le fattispecie espressamente sottoposte dagli artt. 119 e 120 c.p.a. a riti accelerati ritenuti incompatibili con la possibilità di proporre il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Tali disposizioni, infatti, includono le procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica ma non l'esecuzione del contratto in tal modo stipulato e in considerazione del loro carattere eccezionale non risultano neppure suscettibili di interpretazione analogica.

6. Converge in tal senso la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza della V sezione n. 2444 del 24 maggio 2017, chiarisce quali sono le questioni che rientrano nel c.d. rito appalti: "sono soggetti al c.d. rito appalti, ovvero al giudizio ordinario di legittimità che si svolge davanti al giudice amministrativo, e che ha ad oggetto la complessiva attività della pubblica amministrazione finalizzata alla conclusione di contratti, gli 'atti delle procedure di affidamento' relative a 'pubblici lavori, servizi o forniture' (comma 1 dell'art. 120 c.p.a., sopra citato). In termini analoghi si esprime l'art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., attraverso l'impiego dell'espressione 'procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture' (...) entrambe le formule normative hanno carattere generale, sono in altri termini riferite a tutti gli atti che si collocano nella fase c.d. pubblicistica di selezione del contraente privato e che precedono la stipula del contratto".

7. Conclusivamente, deve ritenersi che le controversie che attengono alla revisione del prezzo di un appalto non rientrino nella disciplina del c.d. rito appalti di cui all'art. 120 c.p.a., che si applica solo al contenzioso relativo alla procedura di affidamento del contratto e non a quello attinente alla fase della sua esecuzione. Alla luce di tali considerazioni, la proposizione del ricorso straordinario in esame al Presidente della Repubblica e la sua trasposizione giurisdizionale vanno dichiarati ammissibili, accogliendo l'appello ai fini della riforma sul punto della sentenza di primo grado, per poi affrontare le censure di merito della Cooperativa ricorrente.

8. Con il primo motivo di gravame, si deducono i vizi di violazione dell'art. 3 della l. 241/1990, nonché di eccesso di potere per illogicità e sviamento, stante il difetto di motivazione della nota prot. n. 178512/25 novembre 2010 recante la comunicazione dell'esito dell'istruttoria ex art. 115 d.lgs. n. 163/2006, contenuta nella determina dirigenziale n. 1763/24 novembre 2010.

Tuttavia, si deve rilevare come una comunicazione, avente la funzione di rendere edotta la parte dell'avvenuta decisione dell'Amministrazione di accogliere solo parzialmente l'istanza di revisione del prezzo degli appalti, non debba sottostare ad un obbligo motivazionale così stringente, essendo, invece, pienamente motivato il provvedimento che decideva sulla questione a seguito [di] un'ampia istruttoria svolta con la partecipazione dell'interessata.

Per le ragioni sopra esposte, si deve pertanto ritenere infondato il motivo di censura in esame.

9. L'appellante con il secondo motivo di gravame deduce la violazione dell'art. 115 d.lgs. 163/2006 e dei principi sulla revisione dei prezzi, nella parte in cui il dies a quo viene computato in base non all'aggiudicazione della gara ma all'esecuzione del contratto.

Sul punto giova preliminarmente riportare la disciplina dell'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, il quale prevede che "tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo", nulla disponendo sul contenuto di tale clausola.

L'Amministrazione ha concesso la revisione dei prezzi con decorrenza dal 1° settembre 2008, data in cui effettivamente è iniziato il servizio reso dall'appellante, essendo intervenuto un contenzioso concluso dinanzi al Consiglio di Stato che ha ritardato l'avvio dell'esecuzione del contratto prevista originariamente al 1° aprile 2008. Non può, pertanto, ritenersi illegittima la scelta di non retrodatare la procedura di revisione dei prezzi ad una data in cui ancora non aveva avuto inizio il contratto di appalto, e per tale ragione deve ritenersi infondato anche il secondo motivo di gravame.

10. Con il terzo motivo di gravame, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 115 del d.lgs. n. 163/2006 e dei principi sulla revisione dei prezzi, nella parte in cui il periodo a decorrere dal quale occorre computare la revisione dei prezzi viene stabilito in 18 mesi anziché in 12 mesi.

La doglianza della ricorrente risulta infondata in quanto la già richiamata disciplina dell'art. 115 del d.lgs. 163/2006 nulla dispone sul contenuto della clausola di revisione del prezzo, talché l'avvio della revisione del prezzo risulta disciplinato dalla lex specialis di gara, e l'art. 12 del capitolato prevede che la revisione del prezzo sia avviata 18 mesi dopo l'inizio dell'esecuzione del contratto.

Pertanto, non sussistendo un obbligo legale di revisione annuale del prezzo ex art. 115 d.lgs. 163/2006, si deve ritenere che la procedura di avvio della revisione del prezzo debba seguire la disciplina del capitolato che, all'art. 12, prevede l'inizio del computo 18 mesi dopo l'avvio dell'esecuzione del contratto. Risulta quindi infondato anche il terzo motivo di gravame.

11. Il quarto ed ultimo motivo di gravame censura la mancata osservanza della disposizione di cui all'art. 12 del capitolato, per la parte in cui prevede espressamente la revisione prezzi relativa al costo del lavoro. In particolare, la Cooperativa lamenta che l'Amministrazione, nell'emanare il provvedimento di revisione del prezzo, ha tenuto conto dell'indice ISTAT e non dell'importante aumento del costo dei dipendenti derivante dal nuovo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) delle cooperative sociali, subentrato nel 2008.

Secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa (per tutte, C.d.S., Sez. III, n. 1309 del 2016) la Pubblica Amministrazione deve attenersi all'indice ISTAT, affinché le operazioni di revisione del prezzo siano conformi a criteri oggettivi anche quanto alla soglia massima, al fine di scongiurare squilibri finanziari nel bilancio, alla stregua della riconosciuta ratio dell'istituto della revisione prezzi, volta a tutelare la prosecuzione e la qualità della prestazione ma, prima ancora, volta a tutelare l'esigenza della Pubblica Amministrazione di non sconvolgere il proprio quadro finanziario.

L'indice ISTAT segna quindi la soglia massima della revisione, fatte salve eventuali circostanze eccezionali e specifiche - che dovranno essere provate dall'impresa - che possano determinare un discostamento dai criteri oggettivi seguiti in sede di revisione del prezzo lasciando spazio alla discrezionalità amministrativa.

La ricorrente ritiene che il nuovo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) delle cooperative sociali, subentrato nel 2008, aumenti il costo dei dipendenti e, conseguentemente, degli oneri previdenziali; ragione che giustificherebbe la revisione del prezzo dell'appalto e condurrebbe a discostarsi, nel computo delle somme, dagli indici ISTAT.

Peraltro, ad avviso del Collegio, il nuovo CCNL non costituisce una circostanza eccezionale, ed inoltre tale contratto collettivo è stato stipulato nel 2008, quindi era conoscibile al momento della stipula del contratto di appalto e, come tale, costituiva una circostanza prevedibile, essendo quindi inidoneo al fine di giustificare una deroga dal limite dell'indice ISTAT. Neppure il quarto ed ultimo motivo, dunque, risulta fondato.

12. In conclusione, il ricorso deve essere in parte accolto, quanto alla riforma della declaratoria di inammissibilità di primo grado, mentre per la restante parte, relativa alla pretesa illegittimità del limitato importo riconosciuto a titolo di revisione del prezzo, deve essere respinto. Di conseguenza, l'appellata sentenza del TAR deve essere riformata, al fine di statuire non l'inammissibilità del ricorso di primo grado, bensì la sua infondatezza. La reciproca soccombenza determina, infine, la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e per la restante parte lo respinge ai sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 00871/2017, respinge il ricorso di primo grado proposto dall'appellante.

Compensa le spese dei due gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.