Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 2 luglio 2018, n. 34427
Presidente: Bonito - Estensore: Magi
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Il Tribunale di Monza, quale giudice della esecuzione, con decisione emessa de plano in data 9 aprile 2018 ha dichiarato inammissibile la domanda di C. Ruggiero (con trasmissione della medesima al Tribunale di Sorveglianza), tesa ad ottenere - ora per allora - la sospensione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 656, comma 5, c.p.p. in virtù di quanto deciso da Corte cost. con sentenza n. 41, depositata il 2 marzo del 2018.
1.1. In fatto, l'istante evidenzia che l'ordine di esecuzione è stato emesso in virtù della esistenza di una frazione di pena detentiva da scontare superiore a tre anni di reclusione ma inferiore a quattro anni. Da ciò l'interesse ad ottenere la scarcerazione (con sospensione temporanea della esecuzione) e la trasmissione della domanda di misura alternativa (affidamento in prova al servizio sociale) al Tribunale di Sorveglianza.
1.2. Il Giudice della esecuzione afferma di non avere alcun potere di emettere il provvedimento di sospensione, richiamando il contenuto del parere espresso dal Pubblico Ministero.
In tale parere si esprime opinione di "validità" dell'ordine di esecuzione a suo tempo emesso (prima del 2 marzo 2018) sulla base della disciplina legislativa allora vigente.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - C. Ruggiero, deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice.
Il ricorrente sostiene che il rapporto sottostante non può dirsi esaurito e pertanto l'effetto della decisione Corte cost. n. 41 del 2018 va ricostruito in termini di necessario intervento del giudice dell'esecuzione, teso a rendere possibile la presentazione dell'istanza di misura alternativa in stato di libertà.
3. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.
3.1. La decisione impugnata (emessa ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p.) non va intesa come semplice affermazione di incompetenza a provvedere da parte del giudice della esecuzione, quanto come adesione alla tesi esposta nel parere del Pubblico Ministero, ossia come provvedimento teso ad affermare la validità dell'ordine di esecuzione (per pena detentiva da espiare superiore ad anni tre di reclusione) emesso prima del deposito della decisione Corte cost. n. 41 del 2 marzo 2018.
Tale è, infatti, l'unico senso in cui risulta possibile interpretare gli scarni contenuti del provvedimento in parola, atteso che per pacifico orientamento giurisprudenziale il giudice dell'esecuzione - quale organo teso a dirimere i conflitti su diritti soggettivi insorti dopo la formazione del giudicato - ha la potestà di accordare al condannato, lì dove ciò non sia avvenuto da parte del Pubblico Ministero e ne ricorrano i presupposti di legge, la facoltà di presentazione della istanza di misura alternativa in condizione di libertà (o di arresti domiciliari esecutivi) ai sensi dell'art. 656, comma 5 e comma 10, c.p.p.
Come è noto, in tal caso l'intervento del giudice dell'esecuzione si configura in termini di "restituzione della facoltà" rappresentata dalla condizione giuridica di soggetto libero (con temporanea sospensione della esecuzione, secondo le cadenze temporali previste dalla legge) per il tempo necessario alla presentazione della domanda di misura alternativa (previsto dalla legge in giorni trenta, con revoca ex officio della sospensione in ipotesi di mancata presentazione dell'istanza, alla scadenza). In tal senso, per tutte, Sez. I, n. 41592 del 13 ottobre 2009, Rv. 245568, ove si è precisato che l'ordine di esecuzione emesso dal Pubblico Ministero in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 656, comma 5 e comma 10, non è soggetto ad annullamento da parte del giudice dell'esecuzione, ma va esclusivamente dichiarato inefficace, allo scopo di consentire al condannato di presentare - da libero - la richiesta di concessione della misura alternativa.
3.2. Correttamente impostato, il tema della decisione è dunque rappresentato - a parere del Collegio - dalla "incidenza" sulle esecuzioni (di pena detentiva) in atto alla data del 2 marzo 2018 della decisione n. 41/2018 Corte cost., con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni.
In particolare, vengono in rilievo quelle situazioni esecutive nel cui ambito l'ordine di carcerazione, pur dopo la modifica legislativa apportata nel dicembre 2013 al testo dell'art. 47 ord. pen. (con inserimento del comma 3-bis nel cui ambito si prevede l'astratta concedibilità della misura alternativa lì dove il residuo pena non risulti superiore ad anni quattro) è stato emesso senza contestuale sospensione per pene da scontare superiori a tre anni di reclusione ma inferiori a quattro anni.
3.3. La declaratoria di illegittimità costituzionale che ha colpito - con efficacia di annullamento - la disposizione codicistica (art. 656 c.p.p.) si ricollega, nei su[o]i presupposti e nella individuazione del vizio di legittimità costituzionale, proprio al mancato adeguamento avvenuto in tale momento storico (con l'emanazione del d.l. n. 146 del 23 dicembre 2013) tra la quota di pena residua individuata come limite massimo per la proponibilità dell'istanza di misura alternativa in caso di affidamento in prova (anni quattro) e quella prevista per la sospensione temporanea dell'ordine di esecuzione ai sensi dell'art. 656, comma 5, c.p.p. (anni tre).
Ciò in virtù della evidente connessione finalistica tra la disposizione strettamente processuale (art. 656 c.p.p.) e la disposizione regolatrice delle condizioni di legge per ottenere l'esecuzione in ambiente extracarcerario (art. 47 ord. pen.): «[...] indubbiamente la genesi dell'istituto definito dall'art. 656, comma 5, c.p.p. e lo sviluppo che esso ha trovato nella legislazione confermano che immanente al sistema, e tratto di imprescindibile coerenza intrinseca di esso, è un tendenziale parallelismo tra i due termini posti a raffronto [...]. [...] il principio del tendenziale parallelismo ha trovato conferma nella trama legislativa, posto che all'incremento della soglia di accesso alla misura alternativa ha corrisposto una pari elevazione del limite stabilito ai fini della sospensione. Così, l'art. 4-undevicies del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, in l. 21 febbraio 2006, n. 49, ha alzato a sei anni questo limite, in collegamento con l'art. 4-undecies del medesimo testo normativo, che aveva aumentato in uguale misura l'entità della pena detentiva da espiare in affidamento in prova per l'alcooldipendente o il tossicodipendente sottoposti a un programma di recupero. Allo stesso modo, il d.l. 10 luglio 2013, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena), convertito, con modificazioni, in l. 9 agosto 2013, n. 94, ha portato a quattro anni il termine valido per la sospensione dell'ordine di esecuzione, ai fini della concessione della detenzione domiciliare, allo scopo di renderlo equivalente al nuovo termine previsto per godere della misura dell'art. 47-ter della l. n. 354 del 1975. Si è trattato di interventi correttivi conseguenti al carattere complementare che l'art. 656, comma 5, c.p.p. riveste rispetto alla scelta legislativa di aprire la via alla misura alternativa. La natura servente dell'istituto oggetto del dubbio di legittimità costituzionale lo espone a profili di incoerenza normativa ogni qual volta venga spezzato il filo che lega la sospensione dell'ordine di esecuzione alla possibilità riconosciuta al condannato di sottoporsi ad un percorso risocializzante che non includa il trattamento carcerario [...]».
3.4. La lettura dei motivi della decisione è del tutto piana e consente di individuare il vizio di legittimità costituzionale nel mancato adeguamento del testo dell'art. 656, comma 5, codice di rito nel momento in cui, attraverso il d.l. n. 146 del 2013, si è elevato il limite di pena per l'accesso all'istituto dell'affidamento in prova, con disposizione destinata a trovare applicazione anche nei confronti del soggetto libero.
La decisione del giudice delle leggi - pertanto - impone il ripristino della legalità costituzionale (ai sensi dell'art. 30 della l. n. 87 dell'11 marzo 1953) in campo processuale, a far data dal momento del censurato "disallineamento", con esclusiva necessità di individuare il limite delle c.d. situazioni esaurite.
Per tutte, sul tema, v. Sez. un., n. 27164 del 29 marzo 2007, Rv. 236535 per cui la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di legge ha efficacia erga omnes - con l'effetto che il giudice ha l'obbligo di non applicare la norma illegittima dal giorno successivo a quello in cui la decisione è pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica - e forza invalidante, con conseguenze simili a quelle dell'annullamento, nel senso che essa incide anche sulle situazioni pregresse verificatesi nel corso del giudizio in cui è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, spiegando, così, effetti non soltanto per il futuro, ma anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, sempre, però, che non si tratti di situazioni giuridiche "esaurite", e cioè non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate dalla formazione del giudicato, dall'operatività della decadenza, dalla preclusione processuale (di recente, v. sul tema Sez. I, n. 33080/2016).
4. Quanto sinora affermato da un lato esclude che il giudice dell'esecuzione - come nel caso qui in esame - possa ritenere assente il potere di intervenire sulla domanda di "restituzione della facoltà di presentazione, da libero, della domanda di misura alternativa" sol perché l'ordine di esecuzione è stato emesso (senza contestuale sospensione) durante la vigenza di una disposizione di legge (l'art. 656, comma 5, c.p.p.) che consentiva simile modus operandi (come affermato, dopo talune oscillazioni interpretative, anche da questa Corte di legittimità) perché ciò contrasta con la portata retroattiva e invalidante delle decisioni di "annullamento" emesse dalla Corte costituzionale, dall'altro impone la ricognizione concreta della "situazione esaurita", tale da determinare la insensibilità della situazione processuale al novum rappresentato dai contenuti della decisione.
4.1. Sul tema, non vi è dubbio alcuno circa l'avvenuto "esaurimento del rapporto" in caso di intera esecuzione terminata alla data del 2 marzo 2018.
Lì dove l'esecuzione sia ancora in atto, ciò che occorre verificare - data la conformazione strutturale e funzionale dell'istituto della sospensione temporanea, evidenziata dalla stessa Corte costituzionale nella decisione n. 41 del 2018 - è l'avvenuta o meno valutazione da parte della magistratura di sorveglianza, di una domanda di misura alternativa.
Ciò perché la funzione dell'istituto processuale è quella di consentire al soggetto interessato di richiedere ed ottenere una delibazione circa la applicabilità della misura alternativa in una condizione giuridica di soggetto non "in espiazione pena", sicché la eventuale valutazione positiva (circa la sussistenza dei presupposti della misura alternativa) evita l'ingresso in carcere, mentre quella negativa (inammissibilità o rigetto) consente l'avvio della pena detentiva realizzandone un presupposto.
Ora, nelle ipotesi in cui sia stata posta in esecuzione una condanna "sospendibile" in virtù della lettura del sistema costituzionalmente valida (a pena residua superiore ad anni tre ed inferiore ad anni quattro) e tale valutazione - in punto di applicazione della misura alternativa - sia mancata (non rileva, sul punto, se per l'assenza di domanda o per il ritardo nella decisione) il rapporto (o, per meglio dire, il segmento del rapporto esecutivo qui in rilievo) non può dirsi esaurito, atteso che il condannato ha il diritto, ora per allora, di ottenere (in concorrenza degli ulteriori presupposti) la restituzione nella facoltà a lui spettante, preclusa al momento della emissione dell'ordine di esecuzione da una norma di legge contrastante con la Costituzione ed espunta dall'ordinamento.
In tale ottica, peraltro, non rileva il fatto che il condannato, raggiunto da ordine di esecuzione oggi sospendibile (ma non sospeso all'epoca) non abbia - per ipotesi - proposto la domanda di applicazione della misura alternativa alla detenzione in epoca antecedente al 2 marzo 2018, posto che la decadenza prevista dalla legge (giorni trenta in regime di sospensione) ha un preciso dies a quo, rappresentato dall'avvenuta emissione del provvedimento di sospensione temporanea. Lì dove tale provvedimento non si[a] stato emesso, è del tutto evidente che non può ipotizzarsi decadenza alcuna.
4.2. Va pertanto, anche al fine di orientare i poteri del giudice del rinvio, affermato il seguente principio di diritto:
- in riferimento alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 5, c.p.p. (affermata da Corte cost. n. 41 del 2018) il giudice dell'esecuzione, lì dove il condannato, da detenuto in espiazione per reati non ostativi, formuli domanda di sospensione temporanea dell'ordine di esecuzione (relativo a pena superiore a tre anni ed inferiore a quattro anni) ha il dovere di valutare la domanda e di provvedere, in presenza degli ulteriori presupposti di legge, al ripristino della facoltà di proposizione - da libero - della domanda di misura alternativa, con temporanea sospensione della esecuzione, salva l'ipotesi di avvenuta decisione da parte del Tribunale di Sorveglianza di una analoga domanda proposta dopo l'inizio della esecuzione cui la richiesta si riferisce.
Va pertanto disposto l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Monza.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Monza.
Depositata il 20 luglio 2018.