Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 25 giugno 2018, n. 31088

Presidente: Di Tomassi - Estensore: Santalucia

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Parma, quale giudice dell'esecuzione, ha deciso sull'opposizione - così qualificato da questa Corte il ricorso proposto da Claudio B. e dal legale rappresentante di New York Solutions L.L.C. - avverso il provvedimento del 28 ottobre 2016 di rigetto della richiesta di annullamento o revoca del sequestro probatorio avente ad oggetto il conto corrente n. 21095 acceso presso Caisse Centrale Raifeisen, intestato alla predetta società statunitense.

Il sequestro fu disposto nel procedimento penale a carico di Claudio B., conclusosi con sentenza di patteggiamento, per delitti di bancarotta fraudolenta ai danni di società del gruppo Parmalat, che nulla ha disposto in merito al conto corrente e quindi alle somme sullo stesso giacenti.

Il Tribunale ha anzitutto precisato che la partecipazione al procedimento delle società HIT s.p.a., HIT International s.p.a. e Parmalat Finance Corporation segue alla richiesta del pubblico ministero, già avanzata il 25 marzo 2010, di restituzione di quanto in sequestro alle indicate società, qualificate come terzi interessati. Ha quindi aggiunto che esse, per mezzo del loro difensore, avevano chiesto all'udienza camerale del 27 ottobre 2016, al cui esito fu adottato il provvedimento ora opposto, che le somme di denaro depositate sul conto corrente fossero restituite a loro, a conferma dell'attualità dell'interesse a che sia riconosciuta la loro titolarità in quanto vittime delle distrazioni poste in essere da Claudio B.

Il Tribunale ha quindi rimesso innanzi al giudice civile, secondo il disposto dell'art. 263, comma 3, c.p.p., le parti, ossia Claudio B. e la società New York Solution LLC, da un lato, e le sopra indicate società, dall'altro, in quanto è ben possibile che il denaro provenga, almeno in parte, dalle casse di dette società, e solo un giudizio di merito può dirimere la controversia sul punto. Vista, però, l'inerzia delle suddette società nell'instaurare il giudizio civile per le restituzioni, il Tribunale ha precisato che spetta alle parti iniziare la controversia innanzi al giudice competente e che nel frattempo il sequestro va mantenuto.

Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso, con unico atto, il difensore di Claudio B. e della società New York Solution LLC, in persona del legale rappresentante, che ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione. È del tutto immotivata l'affermazione che, nonostante il lungo tempo trascorso dal primo provvedimento del 12 luglio 2010, sia seria e concreta la possibilità che si instauri una controversia civile sulla proprietà del denaro in sequestro. Ad oltre quattordici anni dal sequestro il difensore di HIT s.p.a. e HIT International s.p.a., nonché di Parmalat Finance Corporation, ha timidamente e senza motivazione chiesto la restituzione delle somme che erano depositate sul conto corrente n. 21095, mai rivendicate. Precedentemente il giudice dell'esecuzione aveva individuato una possibile controversia tra Claudio B. e la New York Solution LLC e non anche con HIT s.p.a., HIT International e Parmalat. Le somme in sequestro hanno provenienza certa dai conti correnti personali di Claudio B. e della di lui moglie, Alessandra C. L'ordinanza impugnata non ha pertanto affrontato adeguatamente il tema della serietà della potenziale controversia, serietà che invero non sussiste, dato che in quattordici anni ha mai avanzato alcuna pretesa sulla somma in sequestro.

Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi non possono essere presi in esame perché hanno ad oggetto un provvedimento oggettivamente inoppugnabile.

La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto la natura non decisoria dell'atto con cui il giudice penale rimette le parti innanzi al giudice civile per la risoluzione della controversia sulla proprietà delle cose in sequestro.

L'affermazione ha costituito la logica e necessaria premessa per escluderne l'impugnabilità, sul presupposto che, in assenza di una espressa disposizione di legge e quindi al di fuori dell'area delineata dall'art. 568, comma 1, c.p.p., occorre aver riguardo, per stabilire se i controlli impugnatori siano oggetto di tacita previsione, alla natura dell'atto, alla sua capacità o meno di incidere sui diritti e, in generale, sulle posizioni soggettive delle parti. Gli atti meramente ordinatori, che non provvedono sulle pretese delle parti, e che si limitano a collocare secondo un diverso ordine processuale il momento di valutazione e quindi di decisione delle richieste, non sono impugnabili.

In questo senso si è espressa Sez. II, 19 luglio 1995, n. 3724, Giberti, C.E.D. Cass., n. 202765, proprio per escludere l'impugnabilità dell'atto del giudice dell'esecuzione di rimessione delle parti innanzi al giudice civile, statuendo che "... esulano dall'ambito dell'impugnazione tutti quei provvedimenti che in vario modo non presentano sul piano formale e sostanziale tale contenuto, ma assumono una veste meramente interlocutoria o rinviano ad altro momento processuale o ad altra sede la decisione sul petitum, sì da non determinare di per sé soli alcun effetto sulle posizioni soggettive delle parti". Ancora prima, allo stesso modo, si pronunciò con riguardo al previgente codice di rito Sez. I, 23 aprile 1990, n. 1088, Tarallo, C.E.D. Cass., n 184276; e successivamente il principio di diritto è stato ribadito da Sez. VI, 2 marzo 1998, n. 6197, Bertola AG, C.E.D. Cass., n. 210899 e da Sez. V, 21 ottobre 1999, n. 5056, Meoni, Rv. 215630.

Più numerose sono le pronunce con cui questa Corte ha affermato la natura ordinatoria, e quindi l'inoppugnabilità, dell'omologo provvedimento, adottato non già in fase esecutiva ma nell'incidente innanzi al giudice della cognizione, anche cautelare - cfr. Sez. II, 16 maggio 2014, n. 35665, Lissandrello, C.E.D. Cass., n. 259981; Sez. V, 19 novembre 2013, n. 9108/14, Tomasini, C.E.D. Cass., n. 259994; Sez. II, 20 maggio 2010, n. 23662, Cremonesi, C.E.D. Cass., n. 247412; Sez. II, 20 settembre 2006, n. 38776, Confidati, C.E.D. Cass., n. 235380; Sez. II, 28 settembre 2005, n. 40228, P.O. in proc. Basile, C.E.D. Cass., n. 232675; Sez. II, 23 maggio 2002, n. 25863, P.M. in proc. Spataro, C.E.D. Cass., n. 222069; Sez. II, 14 maggio 1999, n. 2296, Graziano, C.E.D. Cass., n. 213854; Sez. V, 2 ottobre 1999, n. 5056, Meoni, C.E.D. Cass., n. 215630 -.

Si è dunque di fronte a un consolidato orientamento interpretativo, talmente pacifico da non richiedere particolari impegni di motivazione alle decisioni che di volta in volta lo hanno ribadito; da ultimo esso è stato però disatteso, con una pronuncia che ha ritenuto di approfondire le ragioni della asserita inoppugnabilità nel caso di concorso di due condizioni, ossia di controversia civile potenziale, e quindi di giudizio civile non instaurato al momento della rimessione disposta dal giudice penale, e di giudizio penale definitivamente conclusosi senza - è ovvio - una decisione sul vincolo cautelare.

Sez. I, 16 aprile 2014, n. 23333, Pedotti, C.E.D. Cass., n. 259918, ha così statuito la ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso dal giudice penale quale giudice dell'esecuzione "quando, in relazione ad un procedimento ormai definito (nella specie, per archiviazione), rigetta la richiesta di restituzione di beni sequestrati e rimette le parti dinanzi al giudice civile per la risoluzione della questione sulla proprietà, in assenza di lite pendente davanti a quest'ultimo, atteso che, in tale ipotesi, in ragione dell'impossibilità per l'interessato di ricevere aliunde tutela da parte dell'autorità giudiziaria, deve escludersi la natura interlocutoria della decisione".

Il principio di diritto appena richiamato non persuade e non può pertanto essere confermato, dovendosi piuttosto ribadire le ragioni della inoppugnabilità, per l'assenza di contenuto decisorio, dell'atto di rimessione delle parti dinnanzi al giudice civile, pur quando adottato, in assenza di una lite pendente, dal giudice dell'esecuzione.

Occorre anzitutto tener presente che la regola generale, secondo cui "il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione" - art. 2, comma 1, c.p.p. -, patisce una espressa eccezione ad opera dell'immediato successivo inciso "salvo che sia diversamente stabilito", con cui si attenua il principio dell'autonoma cognizione in forza del quale al giudice penale spetta la c.d. competenza occasionale a conoscere e risolvere, in via incidentale, ogni questione pregiudiziale.

Non è dunque significativo il rilievo che, quando il processo penale è già definito, non vi è più una sede idonea per le statuizioni in tema di mantenimento o meno dei vincoli di cautela; ed infatti, pur quando il procedimento penale è in corso, non ogni questione di natura pregiudiziale, anche in senso lato, è possibile affidare alla risoluzione di quel giudice.

Le questioni sulla proprietà dei beni in sequestro, seppure non possano essere considerate pregiudiziali in senso proprio perché la decisione su di esse non condiziona la decisione sull'imputazione, sono certo pregiudiziali in senso logico, dato che la loro risoluzione è necessario antecedente della decisione sulla restituzione dei beni. Esse sono però sottratte alla regola della valutazione incidentale del giudice penale che, quale che sia lo stato del procedimento, ne rimette la decisione al giudice civile, e ciò perché il legislatore ha così ritenuto di contemperare l'esigenza di speditezza e celerità del processo penale con quella di evitare il pericolo di decisioni contrastanti in settori particolarmente rilevanti, quale è la materia del diritto di proprietà.

L'eventualità poi che la controversia civile non sia ancora stata instaurata al momento della rimessione al giudice civile non costituisce fattore di indebolimento della tutela dei diritti delle parti e non esige pertanto l'impugnabilità del relativo provvedimento.

Si consideri, a tal proposito, quanto è stato chiarito in sede civile da questa Corte, ossia che il provvedimento di rimessione al giudice civile, siccome non presuppone - come peraltro è incontroverso - l'attualità della pretesa tra due o più contendenti e può essere emesso sulla semplice possibilità che una lite insorga, "... non configura una translatio iudicii in senso tecnico, per cui l'omessa instaurazione del processo civile sull'accertamento della proprietà nel termine imposto dall'art. 50 c.p.p. non pregiudica in alcun modo i diritti delle parti in sede civile e non impone al giudice civile alcun obbligo di decisione in senso favorevole all'una o all'altra parte" - Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2011, n. 4003, Rv. 617020 -.

Se, infatti, il trasferimento della controversia si atteggia non già come riassunzione in senso tecnico ma come mero rinvio delle parti al giudice dei diritti soggettivi tra privati, l'omessa instaurazione del giudizio nel termine di tre mesi dal provvedimento di rimessione non è in alcun modo lesivo dei diritti delle parti, sicché, anche per questa ragione, se ne può riaffermare la natura meramente interlocutoria.

Non vi sono allora ragioni per diversificare la disciplina degli atti di rimessione al giudice civile delle controversie in materia di proprietà su quanto in sequestro, a seconda del contesto processuale in cui si collocano.

Essi rientrano in ogni caso nella categoria degli atti privi di contenuto decisorio, e pertanto inoppugnabili, al pari di qualsiasi altro atto meramente ordinatorio o processuale "che, lungi dall'investire, con possibilità di passaggio in giudicato, il diritto sostanziale dedotto in giudizio, decide unicamente sul diritto potestativo di ottenere una pronuncia in una determinata fase processuale o attraverso determinati riti processuali" - Sez. III, 9 luglio 2009, n. 39321, Minist. Finanze, Ambrosino e altri, C.E.D. Cass., n. 244611 -.

I ricorsi sono pertanto inammissibili. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma, equa al caso, di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Depositata il 9 luglio 2018.