Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 3 maggio 2018, n. 27420
Presidente: Di Salvo - Estensore: Cappello
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'art. 309 codice di rito, il Tribunale di Ancona, sezione del riesame, ha rigettato il ricorso avverso l'ordinanza del GIP di Ancona adottata a norma dell'art. 27 c.p.p., con la quale era stata confermata, nei confronti di M.M., soggetto esercente professione sanitaria, la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio della professione medica, in relazione alla imputazione provvisoria formulata a suo carico ai sensi degli artt. 589 e 590-sexies c.p., posto in essere ai danni del piccolo F.B., di anni sei.
2. In particolare, secondo l'imputazione provvisoria contenuta nella ordinanza del GIP del Tribunale di Ancona, al M. si è contestato, nella qualità di medico curante del minore, interpellato dai genitori sin dalla insorgenza della patologia a far data dal 7 maggio 2017, a fronte di una ingravescenza del quadro clinico di otite media acuta (dolore prima ad un orecchio, quindi anche all'altro, rialzi febbrili sino a 39.5° C, cefalea, irritabilità, dimagrimento, apatia), di avere sottostimato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, tale quadro clinico, tipico di una infezione locale di elevata gravità, prescrivendo una terapia omeopatica telefonicamente e anche a seguito della visita ambulatoriale in data 18 maggio 2017, nonostante la recrudescenza dei sintomi già al 15 maggio 2017 e la presenza di cefalea e irritabilità da cui era evincibile l'evoluzione ascessuale; nonché di avere omesso di predisporre approfondimenti diagnostici e prescrivere le necessarie terapie antibiotiche, così determinando il decesso del paziente avvenuto il successivo 27 maggio 2017 a causa di ascesso cerebrale.
3. Avverso l'ordinanza, ha proposto ricorso il M., con proprio difensore, formulando quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge, erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, con riferimento alla valutazione degli elementi allegati a difesa, non avendo il GIP del Tribunale di Ancona e neppure il Tribunale del riesame considerato i documenti allegati alla memoria depositata in data 2 gennaio 2018 (dichiarazioni del M. e di alcuni pazienti) alla luce dei quali l'indagato aveva inteso dimostrare la sua condotta di medico omeopatico, solito operare anche mediante il ricorso alla medicina convenzionale.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla valutazione del quadro indiziario, anche avuto riguardo agli esiti della perizia, con la quale si era accertata l'irreversibilità dell'exitus mortale già alla data della visita avvenuta il 18 maggio 2017, a fronte di una contestazione con la quale si è invece rimproverato al sanitario di non avere somministrato terapia antibiotica al paziente.
Con il terzo, ha dedotto violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla sussistenza dell'esigenza cautelare, per mancanza dei presupposti dell'attualità e della concretezza, l'evento risalendo al 18 maggio 2017, laddove la misura era stata adottata dal GIP del Tribunale di Urbino solo il 22 dicembre successivo e confermata da quello del Tribunale di Ancona il 4 gennaio 2018.
Sotto altro profilo, parte ricorrente ha ritenuto insussistente la ravvisata esigenza cautelare, avendo i giudici valutato unicamente il fatto contestato, senza considerare il pregresso professionale ultraventennale del M.
Analoghi vizi ha, infine, dedotto con il quarto motivo, rilevando il difetto di gravi indizi di reità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso va rigettato.
2. Il Tribunale, premesso che la parte si era limitata a contestare il quadro indiziario, ricostruito sulla scorta di una consulenza collegiale medico legale disposta dal P.M., senza opporre un contrastante parere tecnico, ma semplicemente contestando alcune delle valutazioni espresse dagli esperti, ha ritenuto sussistente un quadro gravemente indiziante la responsabilità dell'indagato. Era stato, infatti, dimostrato come il decesso del piccolo paziente fosse avvenuto a causa di una complicanza endocranica da otite e, in particolare, della cessazione irreversibile delle funzioni encefaliche dovuta ad un ascesso cerebrale da otite media acuta, il focolaio di otite avendo determinato l'insorgenza dell'ascesso cerebrale con associata meningite.
In base alle dichiarazioni dei genitori del bambino, in uno all'esame dei tabulati telefonici, era stato pure accertato che la terapia omeopatica prescritta dall'indagato era stata data a distanza (la prima visita risalendo al 18 maggio 2017) e che il M. aveva sottostimato la gravità della patologia, avendo omesso già in quella sede di adottare la terapia antibiotica a fronte di intelligibili sintomi che avrebbero imposto accertamenti di tipo diagnostico e il sospetto del coinvolgimento dell'apparato nervoso, stante la evidente fallacia della terapia impostata sin dal 7 maggio 2017. Ha, così, disatteso l'assunto difensivo secondo cui in quel lasso temporale ci sarebbero stati solo contatti telefonici consistiti in brevi consulti.
Quanto al quadro cautelare, quel giudice ha condiviso le valutazioni operate dal GIP, evidenziando il particolare modus operandi del M., il quale aveva fatto ricorso a diagnosi telefoniche senza visitare il paziente nonostante l'alternanza dei risultati e degli effetti della cura omeopatica e non aveva prescritto la terapia antibiotica neppure dopo la visita, in base ad una scelta ribadita come unica possibile per asserita inefficacia dell'antibiotico, proseguendola anche dopo la visita del 23 maggio successivo, secondo uno schema che aveva denunciato, per il Tribunale, la granitica convinzione del M. della superiorità della terapia omeopatica praticata, rispetto a quella tradizionale, in violazione delle stesse indicazioni dei protocolli medici che impongono il passaggio alla terapia tradizionale, trascorsi cinque giorni dalla constatazione della inefficacia di quella omeopatica impostata.
Sotto altro profilo, il Tribunale ha pure valorizzato il negativo comportamento post factum dell'indagato, improntato all'occultamento di elementi in grado di far luce sulla vicenda, sintomatico dell'assenza di un vaglio critico del proprio operato che possa far ritenere che la condotta tenuta non verrà in futuro reiterata, a nulla rilevando, stante la sua correlazione alla misura cautelare in atto, la misura parallela della sospensione da parte del relativo ordine professionale.
3. Il primo motivo è infondato.
Il Tribunale ha espressamente valutato le argomentazioni difensive intese a confutare i risultati della consulenza medico legale, rilevando che il ricorrente non aveva opposto un parere tecnico, ma si era limitato alla semplice confutazione di alcuni di quei risultati.
Per quanto attiene all'analiticità del richiamo agli argomenti difensivi, si rileva che il motivo è ai limiti della stessa ammissibilità. La parte si è limitata ad un generico rinvio agli elementi che sarebbero stati pretermessi, senza alcuna allegazione al ricorso. In ogni caso, la tesi difensiva secondo cui la pratica medica seguita dall'indagato sarebbe stata associata alla medicina convenzionale è stata espressamente considerata dal Tribunale, il quale ha infatti di contro evidenziata l'inosservanza dei protocolli che indicavano le modalità di interazione tra le diverse discipline e terapie.
4. Quanto precede rende manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso e fuga ogni eventuale dubbio di compatibilità tra la configurabilità di un pericolo di reiterazione criminosa e la natura colposa dell'addebito.
In linea generale, deve infatti ribadirsi quanto in passato questa Corte ha affermato in tema di misure interdittive per omicidio colposo per colpa professionale: mentre per la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sono sufficienti gli elementi probatori che implicano una ragionevole probabilità circa la ricorrenza dei presupposti del reato ipotizzato e della sua riferibilità alla condotta del soggetto indagato e ciò indipendentemente dal grado della colpa, che attiene al merito, e dalla cooperazione di altre persone nello stesso reato; ai fini cautelari, anche in tema di colpa professionale, è possibile l'applicazione di una misura cautelare per le esigenze previste dall'art. 274, lett. c), c.p.p. (pericolo di commissione di reati della stessa specie in considerazione delle circostanze del fatto e della personalità dell'imputato) poiché anche in materia di colpa professionale è possibile una prognosi di reiterazione dei comportamenti in relazione alle caratteristiche della struttura in cui il professionista opera e al comportamento da questi tenuto nel caso oggetto di giudizio e l'offesa temuta riguarda gli stessi interessi collettivi già colpiti (cfr. sez. 4, n. 1228 del 3 novembre 1994, Cascio, Rv. 199737; in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche sez. 5, n. 491 del 31 maggio 1991, Rv. 187734).
Anche più di recente si è, peraltro, precisato che - ai fini dell'applicazione di una misura interdittiva (nella specie sospensione temporanea dall'esercizio dell'attività professionale nei confronti di un medico accusato di omicidio colposo) - il giudice deve esaminare ed apprezzare compiutamente le concrete modalità di commissione del fatto costituente reato e tutti gli altri parametri enunciati nell'art. 133 c.p. che possono evidenziare la personalità del soggetto; occorre, inoltre, considerare il grado della colpa, valutando il grado di difformità della condotta dell'autore rispetto alle regole cautelari violate, al livello di evitabilità dell'evento ed al quantum di esigibilità dell'osservanza della condotta doverosa pretermessa (cfr. sez. 4 n. 42588 del 3 novembre 2011, P.M. in proc. Lotti, Rv. 251116).
5. Nel caso all'esame, il Tribunale ha ricondotto il pericolo di reiterazione non già al pregresso esercizio della professione medica, bensì alla mancanza di un vaglio critico, manifestata dall'indagato con il comportamento tenuto dopo il fatto.
Quel giudice ha, inoltre, debitamente motivato, alla luce delle considerazioni sopra richiamate, l'attualità e concretezza del ritenuto pericolo di reiterazione, a tal fine valorizzando la condotta tenuta nello specifico caso esaminato, ma anche il comportamento del M. successivo al fatto.
La valutazione dell'attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, astrattamente ipotizzabile, è stata quindi correttamente agganciata alla manifestata pervicacia dell'indagato nell'applicare la terapia già rivelatasi inidonea e, quindi, alla sua erronea convinzione teorica di una superiorità della disciplina omeopatica rispetto alla medicina tradizionale, più che alla prudenza, negligenza o imperizia manifestate nella pratica, comunque certamente apprezzabile sul diverso piano della colpa.
6. Il secondo motivo è infondato, non avendo il ricorrente tenuto in debito conto il tenore dell'imputazione provvisoria con la quale, allo stato del procedimento, si rimprovera al M., non solo di aver proseguito la terapia omeopatica all'esito della prima e della seconda visita, ma anche di non aver visitato il paziente sino al 18 maggio 2017 e di aver sottostimato i sintomi già manifestatisi nel corso dell'intervallo temporale trascorso dall'inizio della terapia e sino alla prima visita.
7. Il quarto motivo è manifestamente infondato, non avendo parte ricorrente svolto alcuna critica effettiva al percorso argomentativo seguito dal Tribunale attraverso il richiamo agli esiti della consulenza collegiale e alle dichiarazioni dei genitori del piccolo paziente [cfr., sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione, in motivazione, Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013 Ud. (dep. 21 febbraio 2013), Rv. 254584; Sez. un., n. 8825 del 27 ottobre 2016 Cc. (dep. 22 febbraio 2017), Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione].
8. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deve essere disposto l'oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Oscuramento dati personali.
Depositata il 14 giugno 2018.