Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 21 giugno 2018, n. 16321

Presidente: Travaglino - Estensore: Fiecconi

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 9554/2009 del 5 agosto 2009, in una controversia promossa dalla Società Holiday Service s.r.l. (Società) nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Governo) e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Ministero), ove era stata avanzata la pretesa di risarcimento a motivo della tardiva attuazione della direttiva 98/18/CE, inerente alle dotazioni di sicurezza delle navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali, condannava i convenuti al risarcimento del danno in favore della parte attrice, quantificato nella misura indicata in una perizia acquisita tramite CTU. La controversia originava dal fatto che la nave della società ricorrente, affidata in costruzione al Cantiere Navale di Magaride di Napoli nel novembre 1999, quando ancora la direttiva non era stata trasposta nell'ordinamento italiano, in base alla normativa di settore successivamente entrata in vigore con legge di trasposizione, e a lavori ultimati, era stata considerata «nuova» a' termini della direttiva e quindi l'ufficio competente per il collaudo aveva preteso una messa a norma che era costata alla società committente oltre Euro 240.000,00, somma di cui la società committente ha chiesto il risarcimento dei danni direttamente allo Stato ex art. 2043 c.c., imputandogli di avere tardivamente emesso la legge di trasposizione della direttiva, per di più con effetti retroattivi. In particolare, la legge di trasposizione di cui al d.lgs. 4 febbraio 2000, n. 45, all'art. 2 prevedeva che le navi indicate nella direttiva come «nuove» dovessero conformarsi alle nuove indicazioni di sicurezza. La Corte d'appello di Napoli, investita dell'appello promosso dagli enti pubblici convenuti rimasti soccombenti, nel riformare la sentenza e respingere la domanda di risarcimento, rilevava che la direttiva era del tipo self executing, immediatamente applicabile anche in assenza di legge di recepimento e che, pertanto, nel caso di specie non poteva configurarsi alcun inadempimento della Stato italiano che si era limitato ad applicarla. Il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 3141/2015, pubblicata il 9 luglio 2015, è stato promosso dalla società con notifica del 1° luglio 2016, ed è affidato a due motivi di censura. Nessuno è comparso per i resistenti. Parte ricorrente ha presentato memoria. Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza ex art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. per violazione del principio irretroattività legge e omessa e contradittoria motivazione. Il ricorrente pone quesiti in ordine alla legittimità della norma nazionale, ove applicata retroattivamente, e alla conformità della legge di trasposizione della direttiva al principio tempus regit actum secondo cui la legge vale per l'avvenire. Con il secondo motivo si deduce che la violazione commessa dallo Stato italiano nell'adottare con ritardo la direttiva europea si pone negli stessi termini espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia, nel caso Frankovich C-6/90 e C-9/90, che ha affermato la responsabilità dello Stato per la violazione di diritti soggettivi determinati dal mancato adeguamento della normativa interna. Il ricorrente deduce che lo Stato inadempiente all'obbligo di tempestiva trasposizione avrebbe sanato il ritardo imponendo ai privati, del tutto ignari della nuova legge di matrice europea, obblighi con effetti retroattivi, e quindi sarebbe responsabile per i danni derivati dal diniego di certificazione intervenuto a opera compiuta.

2. I motivi meritano una trattazione congiunta.

3. Innanzitutto, si osserva che la sentenza emessa nel caso Frankovich sopra citato riguarda un caso di responsabilità dello Stato per mancato riconoscimento di un diritto nei tempi e nei termini indicati da una direttiva non direttamente applicabile. Nel caso che ci occupa si prospetta invece che una direttiva self executing, in quanto non trasposta nei termini indicati, abbia nei fatti imposto imprevisti obblighi alla ricorrente, e che tale direttiva è stata applicata dallo Stato al primo momento utile in via retroattiva: il danno prospettato non deriva dalla mancata attuazione e recepimento di un diritto del ricorrente riconosciuto da una direttiva, ma dalla mancata conoscenza degli obblighi imposti dalla direttiva (ai proprietari di navi in costruzione) da un certo momento in poi. In altri termini, la società ricorrente deduce di essere stata lesa nel suo diritto di essere messa tempestivamente a conoscenza della normativa europea che imponeva nuovi e onerosi parametri per la costruzione di una nave da trasporto di persone, a partire da una certa data. Lo Stato, in tesi, era obbligato ad applicare la direttiva sin dalla sua entrata in vigore e, pertanto, uno scafo nuovo iniziato in un dato periodo e non costruito a norma, a lavori finiti, non avrebbe potuto ricevere dall'autorità nazionale competente la certificazione di sicurezza prevista nella direttiva. Per converso, il privato cittadino doveva essere messo nelle condizioni di conoscere prima e in dettaglio il contenuto delle disposizioni che lo obbligavano a un facere incondizionato per ottenere la certificazione di sicurezza richiesta dalla normativa europea.

4. Nel caso Frankovich (C-6/90 e C-9/90) si è affermato che qualora uno Stato membro violi l'obbligo, ad esso incombente in forza dell'art. 189, terzo comma, del Trattato (allora vigente), di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risultato prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto comunitario esige che sia riconosciuto un diritto al risarcimento ove ricorrano congiuntamente tre condizioni. La prima di queste condizioni è che il risultato prescritto dalla direttiva implichi l'attribuzione di diritti a favore dei singoli. La seconda condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine, la terza condizione è che sussista un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi. Tali condizioni sono sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario.

5. In relazione alle direttive auto-applicative vale un principio, da sempre affermato, per cui «in tema di rapporti tra il diritto interno e quello comunitario, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, avente effetti vincolanti nell'ordinamento interno, le disposizioni di una direttiva, incondizionate e sufficientemente precise, possono essere fatte valere dinanzi ai giudici nazionali, sia che lo Stato non abbia recepito tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, sia che l'abbia recepita in modo inadeguato, e il giudice nazionale (nella specie: italiano), così come la Pubblica Amministrazione, è obbligato a non applicare la normativa interna contrastante con una direttiva siffatta - incondizionata e precisa-» (v. Sez. 5, Sentenza n. 12716 del 9 luglio 2004). Il principio indicato dalla Corte di cassazione è il precipitato degli «effetti verticali diretti» delle direttive, meglio definiti nella sentenza Marshall della Corte di Giustizia, nel caso C-152/84 e, in chiave ancor più evoluta, nel caso Foster, C-188/89 (confermato dalla sentenza Farrell in C-413/15), ove ai punti 18 e seg., si indica che le disposizioni incondizionate, e sufficientemente precise, di una direttiva possono essere invocate dagli amministrati nei confronti di organismi o di enti che sono soggetti all'autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli.

6. La Corte di Giustizia è così pervenuta ad affermare che le disposizioni di una direttiva dettagliata, munita di disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, possono essere invocate nei confronti di autorità fiscali (sentenze 19 gennaio 1982, Becker, già citata, e 22 febbraio 1990, CECA/Fallimento Acciaierie e Ferriere Busseni, causa C- 221/88, Race. pag. 1-495), di enti territoriali (sentenza 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo/Comune di Milano, causa 103/88, Race. pag. 1839), e di autorità indipendenti sotto il profilo costituzionale, incaricate di mantenere l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza (sentenza 15 maggio 1986, Johnston/Chief Constable of the Royal Ulster Constabulary, causa 222/84, Race. pag. 1651), nonché di pubbliche autorità che prestano servizi di sanità pubblica (sentenza 26 febbraio 1986, Marshall, C-152/84). Da quanto precede emerge che l'obbligo di osservanza della direttiva self executing fa comunque parte degli enti, anche privati, ai quali si possono anche opporre le norme di una direttiva idonea a produrre effetti diretti su un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che disponga, a questo scopo, di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che governano i rapporti fra singoli.

7. Nella sentenza Farrell della Corte di Giustizia, sopra citata, si precisa che «... gli amministrati, qualora siano in grado di far valere una direttiva non nei confronti di un singolo, bensì di uno Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste nella quale questo agisce, come datore di lavoro o come pubblica autorità. In entrambi i casi è opportuno evitare, infatti, che lo Stato possa trarre vantaggio dalla inosservanza del diritto dell'Unione (sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, punto 49; del 12 luglio 1990, Foster e a., C-188/89„ punto 17, nonché del 14 settembre 2000, Collino e Chiappero, C-343/98, punto 22)». In base a tali considerazioni, la Corte di Giustizia ha ammesso che disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva sono invocabili dagli amministrati non soltanto nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua amministrazione, quali gli enti territoriali (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1989, Costanzo, 103/88, EU:C:1989:256, punto 31), ma anche nei confronti di organismi o enti soggetti all'autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a., C-188/89, punto 18, nonché del 4 dicembre 1997, Kampelmann e a., da C-253/96 a C-258/96, EU:C:1997:585, punto 46).

8. Gli anzidetti organismi o enti di rilievo pubblico si distinguono dai singoli e devono essere equiparati allo Stato, vuoi perché sono persone giuridiche di diritto pubblico facenti parte dello Stato in senso ampio, vuoi perché sono soggetti sottoposti all'autorità o al controllo di una pubblica autorità, vuoi perché sono stati investiti di un compito di interesse pubblico e sono stati a tal fine dotati di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra i singoli. Pertanto, le disposizioni di una direttiva dotata di effetto diretto sono opponibili a un ente o a un organismo, anche di diritto privato, cui sia stato demandato dallo Stato - in via sussidiaria - l'assolvimento di un compito di rilievo pubblico e che dispone a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli. In virtù dei suddetti principi affermati nel diritto europeo, pertanto, l'effetto verticale delle direttive non trasposte con legge nazionale, ma self executing, si trasmette anche agli enti o soggetti di diritto privato che abbiano il compito, in base alla normativa interna, di osservarle e di porsi, per tal via, in una posizione di dominanza nel campo contrattuale.

9. L'affermazione di un effetto verticale delle direttive anche sui soggetti privati tenuti a ottemperarle e a imporne l'osservanza, secondo la normativa interna, non implica certamente che le direttive siano in grado di avere un effetto orizzontale tra privati cittadini, essendo questo un effetto del tutto escluso dalla Corte di Giustizia sin dal caso Marshall, C-152/84. In proposito risultano ancora attuali le conclusioni scritte dell'avvocato generale La Pergola, presentate nella causa Commissione europea c. Germania nel caso C-96/95 il 19 settembre 1996. L'Avvocato Generale, nell'escludere l'effetto orizzontale delle direttive auto-applicative non trasposte, al punto 30 e seg. delle conclusioni riferisce che «i singoli, si dice, possono avere facile accesso alla legislazione comunitaria e sono in condizione, anche in presenza del mero rinvio all'ordinamento comunitario che qui s'incontra nell'ordinamento (tedesco), di avere chiara e precisa conoscenza dei loro diritti. Gli argomenti dedotti (dal governo tedesco) non mi lasciano persuaso. La parte convenuta invoca la giurisprudenza costante della Corte secondo cui la trasposizione di una direttiva nel diritto nazionale non implica necessariamente la riproduzione ufficiale e testuale delle sue disposizioni in una norma espressa e specifica. Senonché, la giurisprudenza va richiamata nel suo compiuto e corretto significato. Occorre, ha detto la Corte (di Giustizia), che il contesto giuridico generale «garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso, affinché, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali». I criteri sono desunti da quanto deciso nella sentenza 30 maggio 1991, causa C-361/88, Commissione/Germania (Race. pag. I-2567, in particolare pag. I-2600). 26 - Sentenza 30 maggio 1991, causa C-361/88 (citata in nota 25), punto 15.».

10. Alla luce dei principi sopra esposti, si osserva che la pretesa risarcitoria della società ricorrente, collegata alla lesione del suo diritto di essere messa nelle condizioni di conoscere la nuova normativa autoapplicativa al tempo della stipula del contratto di appalto per la costruzione della nave, non ha preso in dovuta considerazione, da una parte, il fatto che lo Stato ha applicato la direttiva nei suoi confronti al primo momento utile, ovvero quando la nave era in fase di collaudo, allorché la direttiva era già stata trasposta, e quindi ha osservato le disposizioni impedendo che una nave non a norma di legge europea fosse messa in circolazione; dall'altra, ai fini dell'affermazione della responsabilità dello Stato, la ricorrente ha omesso di indicare, sotto il profilo causale e come sarebbe stato suo onere, l'eventuale ruolo assunto (nei suoi confronti e nei confronti dello Stato), dal cantiere che ha costruito la nave che, anche se soggetto privato, in relazione alle disposizioni comunitarie già incondizionatamente vigenti nell'ordinamento poteva essere nella posizione di avere il dovere di conoscere preventivamente la normativa e di applicarla in tempo utile.

11. In più si deve rilevare che in materia, quanto al rapporto tra Stato inadempiente e cittadino europeo, secondo Cass., Sez. un., Sentenza n. 9147 del 17 aprile 2009, in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni va sempre ricondotto - anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria - «allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario, ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno». Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall'ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un'idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all'area della responsabilità contrattuale, all'ordinario termine decennale di prescrizione. Da tale autorevole precedente si desume che la pretesa indennitaria, sul piano dell'ordinamento interno, si pone nei termini di violazione di una obbligazione prevista ex lege ex art. 1173 c.c., soggetta alle regole di risarcibilità del danno inteso come conseguenza diretta dell'obbligazione rimasta inadempiuta, ai sensi dell'art. 1223 c.c. (v. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19384 del 30 settembre 2016, in materia di direttiva non autoapplicativa).

12. Alla luce di quanto sopra rilevato i motivi di ricorso risultano infondati. Sotto il profilo causale, il danno non è insito nella violazione in sé, e non è valutabile ex se, ma si deve porre quale conseguenza immediata e diretta della condotta inadempiente. Pertanto, trattandosi di obbligazione ex lege ex art. 1173 c.c. da cui deriverebbe la responsabilità dello Stato, sarebbe stato onere dell'attore fornire la prova del nesso causale tra l'inadempienza dello Stato e il danno subìto, secondo un criterio di causalità adeguata sotto il profilo della normale idoneità del fatto a produrre il danno lamentato, con esclusione pertanto dei rischi generici, o di cause astratte o ipotetiche (v. Sez. 3, Sentenza n. 29315 del 7 dicembre 2017; Sez. 1, Sentenza n. 11629 del 15 ottobre 1999). Difatti, una volta constatato che la responsabilità dello Stato, in tale materia, si pone su un piano contrattuale di violazione di un'obbligazione derivante ex lege, deve primariamente rilevarsi che, nel caso di specie, nella catena degli eventi che (in tesi) hanno condotto la società ricorrente a dovere affrontare oneri e spese inattesi onde poter conseguire la certificazione di sicurezza per la nave in costruzione, integranti il danno di cui chiede ristoro, è mancata ogni considerazione del ruolo, privato o di pubblico rilievo, assunto dall'appaltatore nella costruzione di una nave non idonea all'uso. Sotto il profilo causale, è dunque mancata la prospettazione del nesso eziologico sussistente tra l'evento lesivo subìto - inteso come danno-conseguenza - e l'inadempimento imputato allo Stato, inteso come danno-evento, per potere in concreto valutare se, in ipotesi, lo Stato - anche impersonato da un soggetto privato nel senso sopra detto - si sia reso direttamente responsabile nei confronti del committente per i danni che siano conseguenza immediata e diretta della mancata tempestiva trasposizione della direttiva auto-applicativa nell'ordinamento interno (in tema di oneri probatori nelle azioni contrattuali, si veda Sez. un., Sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001).

13. Essendo mancata la prova del danno eziologicamente riconducibile alla condotta omissiva dello Stato, valutabile in termini di danno inteso quale conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1223 c.c., i motivi dedotti risultano infondati in relazione all'assunta violazione o falsa applicazione di norme di diritto in tema di responsabilità dello Stato; essi si palesano altresì inammissibili in merito alla dedotta violazione di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. in quanto nel motivo non sono evincibili i fatti decisivi, discussi tra le parti e non presi in considerazione dal Giudice del merito, omessi in motivazione.

14. Conclusivamente, per tutte le ragioni di cui sopra, il ricorso viene respinto, con ogni conseguenza in merito alle spese lite.

P.Q.M.

I. Rigetta il ricorso;

II. Condanna il ricorrente alle spese di lite, liquidate in Euro 7200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie al 15% e oneri di legge;

III. Ai sensi dell'art. 13, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti principali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.