Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 29 marzo 2018, n. 22458
Presidente: Di Nicola - Estensore: Ramacci
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, con ordinanza in data 16 ottobre 2017 ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale nei confronti di Salvatore A., imputato del reato di cui agli artt. 81 c.p., 31 e 44, lett. b), d.P.R. 380/2001, perché la conversione della pena, in ragione di euro 75,00 per ciascun giorno di arresto, non era stata effettuata tenendo conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare previa indagine patrimoniale, come stabilito dall'art. 459, comma 1-bis, c.p.p., con la conseguenza che al giudice non ne era stata consentita la necessaria valutazione di congruità.
2. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pisa, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p.
Deduce, con un unico motivo di ricorso, l'abnormità del provvedimento impugnato in ragione del fatto che, nel respingere la richiesta, il giudice avrebbe sostanzialmente imposto al Pubblico Ministero l'effettuazione di indagini patrimoniali che la legge non prevede se non in casi specifici.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
3. Nella sua requisitoria scritta il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito specificate.
2. Il provvedimento impugnato non può ritenersi abnorme, dovendosi, a tale proposito, tenere presente della recente decisione delle Sezioni unite penali di questa Corte (sentenza del 18 gennaio 2018, ricorrente Mohamed, non ancora depositata) nella quale tale condizione è stata esclusa riguardo al provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari restituisca gli atti, pervenuti con richiesta di decreto penale di condanna, affinché il pubblico ministero valuti la possibilità di chiedere l'archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto.
3. Ciò premesso, deve ritenersi che a conclusioni analoghe deve pervenirsi anche con riferimento alla fattispecie in esame, escludendo quindi che esuli dai poteri del giudice per le indagini preliminari la valutazione di congruità, ai sensi dell'art. 459, comma 2-bis, c.p. [recte: c.p.p. - n.d.r.] della pena richiesta dal Pubblico Ministero.
Vanno tuttavia effettuate alcune ulteriori considerazioni sul tema trattato.
4. L'art. 459, comma 1, c.p.p. consente al Pubblico Ministero la richiesta di decreto penale quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva.
Il comma 1-bis del medesimo articolo, introdotto dall'art. 1, comma 53, della l. n. 103 del 23 giugno 2017, stabilisce ora che "nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l'ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma di euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non può superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l'articolo 133-ter del codice penale".
Tale disposizione deroga a quanto disposto dall'art. 135 c.p. in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, disponendo che il computo vada effettuato calcolando 250,00 euro o frazione di 250,00 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva ed è finalizzata, come si ricava dai lavori parlamentari, alla riduzione del numero dei detenuti presso le strutture carcerarie ed all'incameramento di maggiori somme sebbene non quantificabili.
La dottrina, poi, ha individuato un ulteriore intento del legislatore nella necessità di diminuire il numero delle opposizioni al decreto penale di condanna, che si ritengono motivate sopratutto dalla gravosità della pena pecuniaria sostitutiva applicata, sebbene si sia fatto anche notare come le esigenze di contenimento del carico processuale incidano in misura significativa sulle determinazione della pena che denota una tendenza al ribasso, definita ormai "cronica".
La modifica apportata alla norma codicistica, tuttavia, come correttamente osservato dal Pubblico Ministero ricorrente, non costituisce affatto una novità, dal momento che l'art. 53, comma 2, l. 689/1981, come modificato dall'art. 4, comma 1, della l. n. 134 del 12 giugno 2003, dispone che "la sostituzione della pena detentiva ha luogo secondo i criteri indicati dall'articolo 57. Per determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'articolo 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l'articolo 133-ter del codice penale".
Ancor più in generale può, inoltre, osservarsi che anche l'art. 133 c.p., prevede che il giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale per la determinazione della pena, deve tenere conto "delle condizioni di vita individuale e familiare" del reo, suggerendo, quindi, una valutazione onnicomprensiva dello status del prevenuto, non esclusa, dunque, quella di carattere economico, mentre il successivo art. 133-bis si riferisce alle valutazione delle condizioni economiche del reo agli effetti della pena pecuniaria attraverso una valutazione del tutto simile a quella richiesta dall'art. 53 della l. 689/1981.
Il riferimento alla condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare è stata collegata, con riferimento alla l. 689/1981, alla volontà del legislatore di consentire al giudice di disporre del più ampio numero di elementi valutativi al fine di determinare una pena effettiva ed efficacemente dissuasiva.
Si è altresì richiamato l'art. 187 c.p.p., il quale, nell'individuare l'oggetto della prova, individua non solo i fatti che si riferiscono all'imputazione e alla punibilità, ma anche quelli che riguardano la determinazione della pena o della misura di sicurezza.
5. Va ulteriormente considerato che, come correttamente osservato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, la soluzione della questione in esame implica anche un confronto tra il contenuto dell'art. 459 c.p.p. e quello del successivo art. 460, laddove, nel secondo comma, stabilisce che "con il decreto di condanna il giudice applica la pena nella misura richiesta dal pubblico ministero indicando l'entità dell'eventuale diminuzione della pena stessa al di sotto del minimo edittale; ordina la confisca, nei casi previsti dall'articolo 240, secondo comma del codice penale, o la restituzione delle cose sequestrate; concede la sospensione condizionale della pena. Nei casi previsti dagli articoli 196 e 197 del codice penale, dichiara altresì la responsabilità della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria".
Tali disposizioni, si osserva nella requisitoria, risultano solo apparentemente in contrasto laddove l'art. 459, al comma 1-bis, consente al giudice di determinare la pena sostituita, mentre l'art. 460, al secondo comma, lo vincola ad applicare la pena nella misura richiesta dal Pubblico Ministero, poiché una lettura coordinata delle stesse consente di ritenere che la "misura della pena" che vincola il giudice quando emette il decreto penale è quella detentiva indicata dal Pubblico Ministero richiedente, utilizzata come moltiplicatore per il ragguaglio, che il giudice, appunto, "applica", mentre la pena "irrogata" cui si riferisce l'art. 459, comma 1-bis, è quella sostituita all'esito del calcolo, con la conseguenza che il giudice resta libero di rideterminare discrezionalmente il tasso giornaliero che, moltiplicato per i giorni di pena detentiva indicati dal Pubblico Ministero, individua l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva.
6. Tale soluzione interpretativa è condivisa dal Collegio, perché fondata su una coerente lettura delle richiamate disposizioni che ne esclude ogni apparente contrasto.
7. Non sembra tuttavia assolutamente necessario, ai fini della quantificazione della pena sostituita, l'espletamento di specifiche e mirate attività di verifica, come sembra ipotizzare il provvedimento impugnato, a maggior ragione quando, come nel caso in esame, il ragguaglio sia effettuato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge, ove un problema di eventuale incongruità della pena verrebbe a porsi solo nel caso in cui sussistano elementi indicativi di capacità economiche maggiori rispetto a quelle ritenute dal Pubblico Ministero richiedente, considerato anche che, come si è detto, la deroga apportata dalla norma in esame all'art. 135 c.p.p. è senz'altro più favorevole all'imputato.
È evidente che, in capo al Pubblico Ministero, incombe un onere di allegazione di dati che consentano al giudice di esercitare la facoltà che, come si è detto, la legge gli attribuisce, ma gli elementi valutativi cui la legge si riferisce, tuttavia, ben possono ricavarsi da circostanze obiettivamente apprezzabili comunque rappresentate nel fascicolo processuale, della preventiva considerazione delle quali il Pubblico Ministero può anche dare atto nella richiesta di decreto penale.
Diversamente, dovrebbe pervenirsi alla inaccettabile conclusione che, in presenza di qualsiasi reato rispetto al quale la pena detentiva sia astrattamente convertibile in pena pecuniaria, debbano svolgersi specifici accertamenti sulle capacità economiche del reo e del suo nucleo familiare, vanificando così l'intento del legislatore di cui si è detto in precedenza.
Ad una simile conclusione, peraltro, non si è mai pervenuti con riferimento alla omologa disposizione di cui all'art. 53, comma 2, l. 689/1981, pur facendosi riferimento al necessario apprezzamento sulla equità e adeguatezza della pena sostituita.
8. Si tratta, in definitiva, di una valutazione che può essere espressa anche in termini non specifici attraverso la considerazione globale degli elementi a disposizione ed, anzi, si è espressamente osservato, in una occasione, che la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, pur assumendo indubbiamente caratteri di flessibilità, non necessita di particolare motivazione, qualora essa sia contenuta in misura prossima al minimo, tenendo peraltro conto che nei procedimenti di non particolare complessità (e procedendosi, nel caso di specie, con il rito abbreviato), non è certamente agevole che dagli atti risultino le precise condizioni economiche del ricorrente, pervenendosi alla conclusione che, in assenza di un accertamento approfondito, in contrasto con i principi di speditezza del procedimento penale, vanno applicati i principi del favor rei e del favor libertatis (così Sez. 4, n. 17046 dell'11 aprile 2006, Antoniucci, non massimata).
In ogni caso, l'art. 460, comma 2, c.p.p. stabilisce che, nel caso in cui la richiesta del Pubblico Ministero non sia accolta, il giudice ha come unica alternativa quella della restituzione degli atti ai sensi dell'art. 459, comma 3, c.p.p. se non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p., senza alcuna possibilità, però, di imporre accertamenti, cosa che, tuttavia, nel caso in esame non è avvenuta, essendosi il giudice limitato a rilevare l'assenza di indagini sulle capacità economiche dell'imputato e ritenendo che tale evenienza fosse impeditiva della necessaria valutazione di congruità, per poi disporre semplicemente la restituzione degli atti come la legge gli consente.
9. Il provvedimento impugnato si fonda, pertanto, su un apprezzamento di merito consentito al giudice e, come si è detto in precedenza, non affetto da abnormità e, per tale ragione, non suscettibile di altre censure in questa sede di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 23829 del 12 maggio 2016, P.M. in proc. C, Rv. 267272 ed altre prec. conf.), con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
Depositata il 21 maggio 2018.