Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione I
Sentenza 1° giugno 2018, n. 6105

Presidente: Volpe - Estensore: Cicchese

FATTO

Il Consiglio notarile dei distretti riuniti di Roma, Velletri e Civitavecchia e l'Associazione notariato romano per le dismissioni immobiliari (d'ora in avanti anche Associazione o Asnodim), hanno impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (d'ora in avanti anche Autorità o AGCM) li ha ritenuti responsabili di una intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287/1990, ha irrogato loro le sanzioni amministrative, rispettivamente, di euro 71.106,89 ed euro 145.408,80, e ha imposto loro l'obbligo di assumere misure atte a porre termine all'illecito riscontrato e di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello sanzionato.

A giudizio dell'AGCM, il Consiglio notarile e l'Asnodim avrebbero posto in essere un intesa unica, complessa e articolata, continuata nel tempo, sorretta da una pluralità di condotte e avente per oggetto e per effetto di eliminare ogni possibile spazio di confronto competitivo tra i notai del distretto nel settore delle dismissioni del patrimonio immobiliare degli enti pubblici e previdenziali e di fissare, nel medesimo settore, i prezzi dei servizi notarili.

Le finalità ampiamente restrittive della concorrenza sarebbero state conseguite a mezzo di una pluralità di condotte, tra cui l'adozione, da parte del Consiglio notarile, della delibera n. 2287/2006 - la quale prevedeva il potere del Consiglio di designare, in maniera vincolante, i notai che avrebbero dovuto stipulare i singoli atti dei processi di dismissione -, l'adozione di protocolli d'intesa con gli enti proprietari - ai quali erano allegate delle tabelle di fissazione degli onorari -, un'attività di monitoraggio sui singoli notai e l'esercizio strumentale del potere disciplinare.

Al raggiungimento della finalità anticompetitiva avrebbe cooperato l'Associazione, che ha coadiuvato il Consiglio nell'attività di designazione e ha svolto attività di monitoraggio e di ripartizione dei corrispettivi tra gli associati.

In conseguenza dei comportamenti descritti si sarebbero verificati un sostanziale annullamento della concorrenza tra i notai nell'ambito dei processi di privatizzazione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici e previdenziali, un irrigidimento dei prezzi e la compressione della libertà degli acquirenti di scegliere il notaio di fiducia.

L'intesa sarebbe stata realizzata in un arco temporale che va dal 29 maggio 2006 al momento dell'adozione del provvedimento e le condotte complessivamente poste in essere dal Consiglio notarile distrettuale e dall'Associazione sarebbero risultate, diversamente da quanto prospettato dalle parti in sede procedimentale, non necessarie né proporzionate al fine di perseguire gli interventi di celerità e buon andamento del processo delle dismissioni pubbliche voluti dal legislatore e comunque tali da eliminare ogni possibile concorrenza tra i professionisti.

Avverso tale provvedimento e gli atti endoprocedimentali, i ricorrenti hanno articolato i seguenti motivi di doglianza:

Motivo I: Sulla eccezione di prescrizione.

A giudizio dei ricorrenti l'esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'Autorità sarebbe stato precluso dall'intervenuta maturazione del termine di prescrizione quinquennale dall'adozione della delibera del 2006.

Motivo II: Sulla incompleta ricognizione normativa rilevante svolta dall'Autorità. Violazione e falsa applicazione del Vademecum dell'osservatorio presso il Ministro del lavoro. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti, sviamento, contraddittorietà, violazione del principio di buona amministrazione e proporzionalità.

Le conclusioni a cui l'Autorità è giunta in punto di ricorrenza dell'intesa sarebbero conseguenti ad un'incompleta ricostruzione del quadro normativo vigente al momento dei fatti, il quale, secondo i ricorrenti, avrebbe legittimato l'adozione di procedure di nomina del notaio incaricato delle dismissioni ad opera dei Consigli notarili distrettuali o di associazioni di notai.

Il contestato meccanismo di nomina, inoltre, sarebbe pure coerente con il contenuto dell'art. 35 del codice deontologico notarile.

Motivo III: Sulla mancata applicazione dell'art. 8, comma 2, della legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 8 della legge. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti, sviamento e contraddittorietà.

Il provvedimento gravato avrebbe erroneamente ritenuto la ricorrenza di un'intesa, sebbene si versasse in un'ipotesi di "gestione di servizi di interesse economico generale", alla quale, ai sensi dell'art. 8, comma 2, della legge n. 287/1990, non si applica la disciplina antitrust.

I ricorrenti osservano, inoltre, come la presunta limitazione della concorrenza ravvisata dall'AGCM risultava, in concreto, l'unico e comprovato strumento in grado di garantire l'adempimento della specifica missione di interesse generale, tesa al completamento degli atti traslativi in un breve arco temporale e a seguito di complesse procedure istruttorie, senza la quale il perseguimento degli interessi sottesi alle procedure di dismissione sarebbe stato vanificato.

Motivo IV. Sul grave travisamento dei fatti in cui è incorsa l'AGCM. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 della legge. Violazione del principio di proporzionalità. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti, sviamento contraddittorietà.

Il provvedimento avrebbe operato una sostanziale sovrapposizione e parificazione delle responsabilità del Consiglio e dell'Associazione, ciò che sarebbe in contrasto con le diverse funzioni e i diversi poteri dei due ricorrenti e che renderebbe il provvedimento sostanzialmente immotivato nella parte in cui ravvisa la responsabilità di Asnodim.

In particolare l'Associazione sarebbe estranea: a) all'approvazione della delibera; b) alla predisposizione e sottoscrizione dei protocolli d'intesa; c) alla determinazione e al concordamento delle tariffe massime applicabili.

La stessa partecipazione all'attività di monitoraggio sarebbe stata ravvisata dal provvedimento in termini meramente probabilistici, mentre le conclusioni raggiunte in punto di ripartizione dei ricavi sarebbe assolutamente apodittica.

L'Associazione, infatti, avrebbe collaborato solo nella fase di mappatura e ricostruzione dei frammenti catastali in ordine al patrimonio immobiliare degli enti proprietari.

Sotto un profilo più generale, le parti ricorrenti rilevano come lo stesso Tar del Lazio, in recente pronuncia, abbia riconosciuto la correttezza delle statuizioni contenute nella delibera 2287/2006, in ragione della perseguita finalità di ottenere una ripartizione imparziale e paritaria degli incarichi tra gli iscritti, nonché il perseguimento degli interessi pubblici di celerità e buon andamento delle operazioni di dismissione.

La legittimità e l'opportunità di un sistema di rotazione negli incarichi, inoltre, sarebbe stata ribadita dall'Anac in una recente delibera del 2016.

Il provvedimento, ancora, non avrebbe motivatamente provato la tesi secondo cui il Consiglio avrebbe sfruttato il processo di dismissioni per favorire una ristretta cerchia di componenti e amici, escludendo dalla ripartizione degli incarichi molti dei giovani che dichiarava di voler favorire.

L'Autorità avrebbe, poi, travisato le risultanze istruttorie da cui ha dedotto che tra le finalità della delibera vi fosse quella di moltiplicare gli atti da stipulare.

Sarebbe poi assolutamente falsa l'affermazione secondo cui il Consiglio avrebbe posto in essere iniziative disciplinari nei confronti del segnalante o di altri notai in relazione all'applicazione della delibera, così come non dimostrata, o fondata su prove illegittimamente non ostese alle parti, sarebbe l'affermazione secondo cui il Consiglio non avrebbe avuto la necessità di assumere provvedimenti disciplinari atteso che poteva comunque esercitare forti pressioni affinché i notai liberamente scelti dalle parti rinunciassero agli incarichi.

Quanto alla ritenuta finalizzazione dell'intesa ad evitare la concorrenza di prezzo fra i notai del distretto a mezzo della predisposizione di tariffari, l'AGCM non avrebbe considerato che si trattava solo di prezzi massimi.

Motivo V. Sull'errata definizione del mercato geografico. Eccesso di potere, violazione di legge, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e illogicità intrinseca e estrinseca.

La definizione del mercato rilevante sarebbe non condivisibile, sarebbe in contrasto con precedenti statuizioni della medesima Autorità in fattispecie similari e non sarebbe ancorata ad alcuna risultanza istruttoria.

Né a sminuire la rilevanza della riscontrata carenza varrebbe quanto osservato nel provvedimento gravato in risposta alle memorie depositate dalle parti in corso di procedimento e secondo cui la prospettata restrizione del mercato rilevante al solo distretto notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia non comporterebbe alcun vantaggio per i ricorrenti.

Rilevano, per contro, i ricorrenti come la corretta definizione dell'area su cui si sono dispiegati gli effetti dell'intesa sia sicuramente pertinente al fine di stabilire la gravità della stessa.

Motivo VI: Sui molteplici gravi vizi procedimentali dell'istruttoria operata dall'AGCM. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 24, 97, 111, 113 e 117, comma 1, Cost., 6 CEDU, 11, 16, 41, 47 e 52 della Carta di Nizza e degli artt. 1, comma 1, e 3 della legge 241/1990. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare per difetto di istruttoria, carenza di motivazione; travisamento dei fatti, illogicità, violazione dei principi di imparzialità, proporzionalità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dei principi di effettività del diritto di difesa e del contraddittorio.

I ricorrenti rappresentano come, solo al momento della comunicazione della CRI, essi abbiano avuto notizia dell'utilizzo di alcuni elementi istruttori (costituiti da intercettazioni ambientali o telefoniche), circostanza tanto più grave in considerazione del fatto che l'Autorità, che pure ha posto tali atti a base della determinazione finale, non ha consentito alle parti un accesso compiuto ai medesimi, avendo messo a disposizione degli interessati delle mere trascrizioni.

Alla luce della carenza istruttoria sopra rappresentata resterebbe assolutamente compromessa la parte di provvedimento in cui l'intesa è stata ravvisata nel clima di minacce e intimidazione a danno dei notai asseritamente posto in essere dalle parti del procedimento.

Ulteriori irregolarità procedimentali, tali da inficiare l'intera delibera, andrebbero ravvisate nell'anticipazione, in un'intervista rilasciata dal Presidente dell'Autorità prima della chiusura del provvedimento, del proprio convincimento in ordine all'esito dello stesso.

Nella medesima illegittimità procedimentale si iscriverebbe la mancata concessione della proroga del termine chiesta dalle ricorrenti.

In via subordinata

Motivo VII: Sul legittimo affidamento delle parti ingenerato dalla normativa di riferimento.

Ove non si ritenesse la fondatezza delle censure con le quali è stata negata la ricorrenza dell'illecito antitrust, le parti ricorrenti invocano la carenza di elemento soggettivo o, in subordine, l'attenuante dell'affidamento.

Motivo VIII: In via ulteriormente subordinata, sulla illegittimità della sanzione inflitta al CND Roma e della sanzione comminata ad Asnodim.

I ricorrenti censurano infine le modalità di determinazione della sanzione, non sostenuta, a loro giudizio, da adeguata giustificazione motivazionale e comunque tale da risultare non proporzionata rispetto alla condotta contestata.

In particolare, quanto al Consiglio, la gravità della pratica sarebbe stata affermata senza tener conto della finalità da questo perseguita, costituita dal fornire un servizio celere, uniforme ed efficiente nell'ambito del processo di dismissioni pubbliche, senza considerare l'assenza di segretezza e comunque a mezzo di una motivazione non puntuale.

Sarebbe stata, inoltre, mal apprezzata la durata della pratica, al più quantificabile nell'ultimo quinquennio precedente l'inizio del procedimento sanzionatorio, non sarebbe stata adeguatamente valorizzata l'ottemperanza alla sentenza del Tar Lazio che ha accertato la parziale illegittimità della delibera, né sarebbe stata correttamente valutata la ricorrenza delle condizioni per la concessione delle attenuanti, costituite in particolare dal contesto normativo di riferimento.

Quanto ad Asnodim, il provvedimento non avrebbe individuato in maniera puntuale la rispondenza tra la condotta contestata e l'individuazione della base di calcolo, né avrebbe motivato il giudizio di gravità dell'intesa, sebbene appaia chiaro, dalla ricostruzione dei fatti contenuta nel provvedimento, il ruolo secondario svolto dall'Associazione rispetto a quello del Consiglio.

La quantificazione sarebbe illegittima anche nella parte in cui determina la durata della partecipazione dell'Associazione all'intesa, non avendo considerato, oltre alla già prospettata prescrizione dei fatti risalenti a più di un quinquennio dall'inizio del procedimento sanzionatorio, l'estraneità della stessa al procedimento di dismissione degli immobili del Comune di Roma.

L'Autorità garante della concorrenza e del mercato e il denunciante si sono costituiti e hanno chiesto la reiezione del ricorso.

All'udienza pubblica del 9 maggio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso ha ad oggetto il provvedimento con il quale l'AGCM, all'esito di un procedimento che ha avuto origine dalla segnalazione di un notaio del distretto, ha ritenuto che il Consiglio notarile distrettuale di Roma, Velletri e Civitavecchia, quale ente rappresentativo di imprese ai sensi dell'art. 2, comma 1, della legge n. 287/1990, e l'Associazione Asnodim, quale associazione tra imprese, hanno posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza a mezzo della quale, nell'ambito dell'erogazione di prestazioni rese nel contesto dei processi di privatizzazione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici e previdenziali, si è provveduto a una distribuzione degli incarichi notarili vincolante e obbligatoria sia per i notai che per gli inquilini e alla fissazione, in misura rigida, degli onorari da corrispondere ai professionisti.

Con il primo motivo di doglianza i ricorrenti sostengono l'illegittimità del provvedimento per avere l'Autorità attivato il procedimento sanzionatorio dopo il decorso del termine di prescrizione quinquennale dall'adozione della delibera del 2006.

Al fine di sostenere la prospettata prescrizione, essi richiamano il recente orientamento giurisprudenziale che ha riconosciuto agli illeciti antitrust consistenti nell'adozione di atti regolatori illegittimi la natura di illeciti istantanei, così che la prescrizione incomincia a decorrere dall'emanazione degli stessi.

La prospettazione non può essere condivisa.

L'intesa sanzionata con il provvedimento in esame, infatti, è correttamente qualificata dal provvedimento come intesa unica e complessa e la stessa non è consistita affatto nella mera adozione della delibera del 2006.

E infatti le censurate finalità di ripartizione del mercato, compressione della facoltà dell'acquirente di scegliere il professionista da incaricare per il rogito e fissazione dei prezzi di mercato, benché ancorate, come termine iniziale, alla formale adozione della delibera del 2006, sono proseguite nel tempo a mezzo di una pluralità di atti che abbracciano un lungo arco temporale, nel quale, oltre ad essere intervenuti numerosi provvedimenti di designazione, vi sono stati, nella ricostruzione dell'Autorità, la stipula di diversi protocolli d'intesa con gli enti proprietari di immobili in dismissione, un'attività di monitoraggio dei singoli notai e l'improprio utilizzo dello strumento disciplinare.

Diversamente da quanto prospettato in ricorso e da quanto avvenuto nel precedente giurisprudenziale evocato (C.d.S., sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 167), dunque, nel caso in esame, il comportamento considerato dall'Autorità non è affatto consistito nel mero mantenimento in vita del provvedimento consiliare di configurazione del meccanismo anticompetitivo.

La condotta sanzionata, infatti, è consistita in comportamenti esecutivi della descritta finalità anticoncorrenziale, reiterati nel tempo, a mezzo dei quali, anche con la collaborazione prestata dall'Associazione nell'attività di designazione e di monitoraggio, il censurato modulo procedimentale ha avuto constante attuazione; così che gli effetti della condotta, benché parzialmente venuti meno nel marzo 2017 (quando, a seguito della sentenza del Tar del Lazio, n. 2903/2017, di parziale annullamento della delibera del 2006, il Consiglio ha adottato una nuova delibera a mezzo della quale ha espressamente affermato, in difformità con quanto prima previsto, il principio della facoltà per il singolo acquirente di designare tempestivamente un notaio diverso), erano ancora in corso, quanto alla fissazione dei prezzi, al momento dell'adozione del provvedimento dell'AGCM.

Nessun termine prescrizionale può dirsi, dunque, maturato rispetto ad una condotta che, attuando nel tempo e in maniera costante, un unico disegno anticoncorrenziale, non è in alcun modo riconducibile alla fattispecie degli illeciti "istantanei".

Con il secondo motivo di doglianza i ricorrenti sostengono che l'Autorità abbia ricostruito in maniera incompleta l'insieme delle norme applicabili al momento dell'adozione della delibera e nel periodo ad essa successivo, omettendo di considerare che l'Osservatorio costituito presso il Ministero del lavoro fin dal giugno 1996, costituito "con lo scopo di promuovere, coordinare e vigilare sulla dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e di avviare il nuovo processo gestionale del patrimonio immobiliare degli enti stessi", aveva stilato un "Codice di comportamento definito dagli attori del processo", cd. Vademecum, il quale, sulla base di riscontrate criticità nello svolgimento della prima fase delle dismissioni, anche a causa di fenomeni di accaparramento di clientela da parte di alcuni professionisti, aveva previsto che il notaio incaricato della stipula degli atti necessari sarebbe stato nominato dai Consigli notarili distrettuali oppure dalle associazioni del notariato.

Di tale fondamentale dato, puntualmente rappresentato da essi ricorrenti in fase istruttoria, l'Autorità non avrebbe tenuto alcun conto, come pure non avrebbe considerato il fatto che, anche nelle convenzioni per la regolamentazione dei rapporti tra la Società cartolarizzazione immobili pubblici s.r.l. e l'Agenzia del territorio, sarebbe stato ribadito il ruolo del notaio designato dal Consiglio competente.

La previsione secondo cui il Consiglio è competente a designare il notaio rogante, infine, sarebbe del tutto coerente con il vigente codice deontologico notarile e, in particolare, con l'art. 35, che prevede un'ipotesi di designazione vincolante.

La prospettazione non può essere condivisa.

In punto di fatto, è utile rilevare come il provvedimento gravato dedichi alla ricostruzione della normativa applicabile ai procedimenti di dismissione i paragrafi da 14 a 30, laddove, nella parte dedicata a "La regolamentazione e l'autoregolamentazione del settore notarile", ricostruisce dettagliatamente, e con costante richiamo alle disposizioni applicabili, "L'organizzazione della professione notarile e i poteri di vigilanza e di iniziativa disciplinare dei consigli distrettuali", "La normativa riguardante la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico" e le "Disposizioni del codice deontologico rilevanti ai fini del caso di specie".

In particolare, nei paragrafi da 19 a 27, il provvedimento ripercorre brevemente la normativa in tema di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali, esaminando il contenuto del d.l. 351/2001, convertito nella legge n. 410/2001, e i decreti del Ministero dell'economia e della finanze del 18 dicembre 2001 e del 21 novembre 2002, dimostrando, sempre con puntuale richiamo al contenuto delle norme, come le disposizioni in vigore nel periodo nel corso del quale si è dispiegata l'intesa "... non individuano alcun particolare ruolo o procedura che deve essere adottata dai consigli notarili distrettuali nell'ambito delle dismissioni".

La delibera richiama pure alcune disposizioni contenute nell'allegato alle convenzioni stipulate ai sensi dei citati decreti ministeriali, le quali, pur menzionando un'attività di individuazione, da parte dei Consiglio notarili, dei notai competenti per le stipule, non qualifica la designazione come esclusiva e vincolante per gli acquirenti, né prevede attività di fissazione dei prezzi (cfr. par. 26 e 27).

Nell'esaminare le prospettazioni difensive delle parti spiegate in fase procedimentale, con particolare riferimento alla già ivi dedotta "incompletezza del contesto normativo di riferimento", poi, il provvedimento (ai paragrafi da 169 a 175) evidenzia puntualmente (e condivisibilmente) come: a) nella legge 401/2001 e nei successivi decreti ministeriali del dicembre 2001 e novembre 2002 non viene individuato un ruolo dei Consigli notarili nelle procedure di dismissione né agli stessi è attribuito il compito di individuare, con effetti vincolanti sull'acquirente, il notaio rogante, b) l'Osservatorio istituito presso il Ministero del lavoro aveva compiti di vigilanza generale del processo di dismissione e comunque lo stesso, al momento dell'adozione della delibera e dell'inizio della condotta considerata rilevante ai fini antitrust, non era più operativo da tempo; c) il Vademecum stilato dall'Osservatorio, pur prevedendo la nomina del notaio da parte dei Consigli notarili distrettuali, disciplinava espressamente una procedura a mezzo della quale consentire ai singoli conduttori acquirenti l'esercizio del diritto di scegliere il professionista di fiducia; d) fin dal 2006, a mezzo del c.d. decreto Bersani, il legislatore nazionale ha introdotto importanti principi in materia di liberalizzazione delle professioni.

Da ultimo e, con riferimento alla norma del codice deontologico, va infine considerato che si tratta di un provvedimento adottato dal Consiglio nazionale del Notariato, il quale non può contenere disposizioni in conflitto con le norme di rango primario che disciplinano la professione, prima fra tutte l'art. 27 della legge notarile (n. 89/1913) a norma del quale "il notaro è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto".

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che l'attività svolta dal Consiglio nella distribuzione degli incarichi, attenendo ad un'attività di "gestione di servizi di interesse economico generale", non sarebbe stata soggetta alla normativa antitrust secondo la clausola generale di esenzione codificata dall'art. 8, comma 2, della legge n. 287/1990.

Tale esenzione sarebbe già stata affermata in decisioni della Corte di cassazione e, come argomentato nella memoria di replica dei ricorrenti del 27 aprile 2018, sarebbe confermata dall'art. 1, comma 495, della legge n. 205/2017.

La ricostruzione non è condivisibile.

La sola attività posta in essere dai Consigli estranea alle prescrizioni antitrust, come emerge pacificamente dalla giurisprudenza citata e dall'inequivoco tenore letterale della norma sopravvenuta invocata dai ricorrenti, è quella strettamente disciplinare, alla quale risultano, pertanto, estranee, sia l'attività di individuazione, in maniera vincolante da parte del Consiglio, di un professionista incaricato di una determinata stipula, sia l'attività di fissazione dei prezzi.

Come costantemente rilevato dalla Corte di Giustizia, la deroga all'applicazione delle norme a tutela della concorrenza, contemplata nel Trattato in termini sovrapponibili a quelli contenuti nell'invocato art. 8, comma 2, è di stretta interpretazione.

Né la sottrazione all'ambito di applicazione delle norme a tutela della concorrenza può essere rinvenuta nella finalità perseguita dalla delibera, atteso che la stessa avrebbe potuto essere conseguita nel rispetto delle norme antitrust.

Come, infatti, recentemente osservato da questo Tar con la decisione n. 2903/2017, in più punti richiamata, invero in maniera parziale, dalle parti ricorrenti, benché la delibera del 2006 appaia finalizzata ad "assicurare un "completo ed ordinato perfezionamento del procedimento di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico" nel rispetto di quanto previsto dall'art. 3 della legge n. 410 del 2001, in modo da garantire, nella fase di assegnazione degli incarichi notarili, il rispetto dei principi generali d'efficacia, pubblicità e trasparenza", la stessa è illegittima nella parte in cui non contiene un espresso richiamo al carattere non preclusivo della designazione del notaio per incarichi che la parte privata decida liberamente di attribuire ad un notaio di propria fiducia, ciò che ha comportato l'annullamento in parte qua del provvedimento.

E infatti l'esigenza di garantire una veloce ed efficace predisposizione delle ricerche e delle attività propedeutiche alla stipula, con conseguente rispetto della tempistica, spesso incalzante, dei processi di dismissioni pubbliche, trova il suo punto di equilibrio con la facoltà dell'acquirente di scegliere il notaio, nel rispetto dei principi di concorrenza, mediante la previsione di una comunicazione "tempestiva" della scelta di altro professionista.

La detta soluzione, che è quella poi seguita dal Consiglio con la delibera del 31 marzo 2017, è tale da assicurare il rispetto del requisito di proporzionalità, pure evocato dalle ricorrenti con il motivo in esame.

E infatti, anche a voler seguire la ricostruzione di parte ricorrente, secondo cui l'attività di designazione era finalizzata ad evitare fenomeni di accaparramento da parte di singoli professionisti di interi blocchi di atti di dismissione, deve rilevarsi come il medesimo risultato può essere conseguito senza prevedere nomine vincolanti e stabilendo un adeguato anticipo per la comunicazione della scelta diversa da parte dell'acquirente, ferma la perseguibilità in via disciplinare degli eventuali illeciti deontologici in cui si concretizzi l'accaparramento.

La censura va pure respinta nella parte in cui i ricorrenti lamentano la carenza istruttoria del provvedimento laddove afferma, senza dimostrarlo a mezzo di richiamo a specifiche risultanze istruttorie, la validità di diversi moduli procedimentali seguiti da enti che hanno proceduto alle dismissioni senza previa stipula di convenzioni con il Consiglio notarile distrettuale.

Come emerge dal tenore complessivo del provvedimento impugnato, infatti, l'attenzione dell'Autorità si è concentrata sugli effetti anticompetitivi delle designazioni vincolanti e dei prezzi fissi, rispetto ai quali il richiamo alla ritenuta efficienza di moduli procedimentali diversi da quello contemplato dalla delibera ha una valenza argomentativa di mero supporto, la cui mancata puntuale dimostrazione non inficia la tenuta complessiva della ricostruzione.

Con il quarto motivo di doglianza, articolato in diverse e autonome argomentazioni, i ricorrenti, in primo luogo, censurano il provvedimento nella parte in cui sovrappone le responsabilità delle due diverse parti (Consiglio e Associazione), rappresentando, inoltre, come il diverso ruolo istituzionale e i diversi poteri alle stesse conferiti non consentissero ad Asnodim di porre in essere alcuni dei comportamenti nei quali, secondo la delibera gravata, si è concretizzata l'intesa.

In particolare l'Associazione non potrebbe aver svolto alcun ruolo: a) nell'adozione della delibera, b) nella sottoscrizione dei protocolli d'intesa con i singoli enti, c) nell'attività di monitoraggio e in quella di irrogazione di sanzioni disciplinari.

Ne risulterebbe la carenza istruttoria e motivazionale dell'atto gravato, laddove non ha individuato in maniera chiara in cosa sia consistito il comportamento anticoncorrenziale della Asnodim.

La prospettazione non può essere condivisa.

Il provvedimento dedica al ruolo svolto da Asnodim i paragrafi da 95 a 104, evidenziando in maniera assolutamente puntuale, e tale da non creare sovrapposizioni e/o confusioni, il ruolo attivo svolto dall'Associazione nella designazione dei notai a cui affidare le dismissioni, essendo espressamente prevista nella c.d. check list, l'attività di "suggerimento al Consiglio dei notai da designare".

Sempre in maniera puntuale e con riferimento a dati concreti, il provvedimento descrive il contenuto dell'attività di monitoraggio interno svolta dalla associazione e la oggettiva idoneità della condotta della stessa, anche in ragione dell'alto numero di notai associati (quasi 2/5 di quelli iscritti nel distretto di Roma, Velletri e Civitavecchia e tutti partecipanti ai procedimenti di dismissione) a comprimere i margini di concorrenzialità tra i professionisti nell'ambito delle dismissioni di proprietà pubblica.

Né può dirsi irrilevante l'attività di redistribuzione dei ricavi.

L'Autorità, infatti, ha puntualmente dimostrato come la compensazione tra i minori compensi percepiti individualmente e i maggiori introiti eventualmente percepiti dai colleghi associati costituisse un meccanismo incentivante il rispetto delle delibere di designazione.

Il ruolo dell'Associazione, in conclusione, appare definito in maniera netta e autonomamente lesiva dei principi concorrenziali, così che a nulla rileva la mancata ascrivibilità alla stessa di (tutte) le condotte contestate al Consiglio notarile.

Il motivo va pure respinto nella parte in cui i ricorrenti censurano l'affermazione, contenuta nella delibera impugnata, secondo cui il Consiglio avrebbe distribuito gli incarichi in maniera non conforme ai principi che esso stesso si era dato, nonché nella parte in cui ha ritenuto artificioso lo sdoppiamento tra notaio che roga la vendita e notaio che roga il mutuo.

Deve per contro rilevarsi come l'Autorità abbia correlato entrambe le affermazione a puntuali risultanze istruttorie (cfr. par. 65 del provvedimento, nel quale l'incidenza percentuale della distribuzione degli incarichi viene calcolata sulla base dei dati contenuti nella banca dati "incarichi e dismissioni immobiliari: 2011-2015", fornita dal Consiglio notarile di Roma, e parr. da 66 a 68, in cui si evidenzia la prevalenza dell'interesse alla distribuzione degli incarichi rispetto all'usuale concentrazione, dinanzi a un unico professionista, dei negozi di vendita e mutuo).

Né, al fine di dimostrare la legittimità del comportamento consistito nell'individuazione, in maniera vincolante, dei notai stipulanti, può essere invocata la delibera Anac n. 831 del 3 agosto 2016.

In disparte la circostanza che la delibera è sopravvenuta rispetto alla maggior parte dei fatti considerati, appare infatti evidente come altro è affermare la legittimità del principio di rotazione degli incarichi, altro è utilizzare il meccanismo di rotazione al fine di conculcare il diritto del consumatore di scegliere il professionista di fiducia.

Il motivo è invece parzialmente fondato nella parte in cui i ricorrenti contestano che l'intesa sia stata posta in essere anche mediante l'adozione di provvedimenti disciplinari.

I procedimenti disciplinari menzionati nel provvedimento, infatti, sono stati, in buona parte, attivati in tempo antecedente l'adozione della delibera del 2006 e si pongono dunque fuori dell'arco temporale che l'Autorità ha considerato rilevante (cfr. provvedimento impugnato par. da 75 a 77).

Di quelli attivati in tempo successivo (par. 78), invece, non appaiono chiari né l'esito, né l'oggetto delle contestazioni, atteso che, sebbene il comportamento censurato nelle due delibere consiliari citate venga esaminato anche alla luce della delibera del 29 maggio 2006, dal richiamato contenuto dei verbali emerge come l'illecito ravvisato è quello di violazione dell'art. 147 della legge notarile, il quale riguarda diverse fattispecie tra di loro eterogenee.

I procedimenti in danno del segnalante, peraltro confermati in sede giurisdizionale, hanno, infine, avuto ad oggetto, come da questi riconosciuto, violazioni disciplinari diverse dalla mancata ottemperanza della delibera del 2006.

Né, come sostenuto dal controinteressato nella memoria difensiva, può rilevare la soggettiva ricostruzione dell'intento, a suo giudizio, perseguito mediante l'adozione dei detti procedimenti, atteso che tale finalità ritorsiva non risulta in alcun modo oggettivata.

Piena condivisione si impone per la parte di censura, in parte replicata nel sesto motivo di ricorso, con la quale i ricorrenti contestano l'affermazione del provvedimento impugnato secondo cui l'intesa sarebbe consistita anche nell'esercizio di pressioni su alcuni notai, al fine di convincerli a rinunciare ai mandati ricevuti in difformità della designazione del Consiglio, mediante minaccia di procedimenti disciplinari e azioni legali.

Le prove di tali condotte, assolutamente rilevanti in punto di gravità dei fatti, sono state infatti reperite dal segnalante e non da una pubblica autorità, così che la mancata consegna della registrazione ha compromesso le possibilità delle parti del procedimento di vagliarne la genuinità, concetto ben diverso dalla formale correttezza della trascrizione, garantito, nella ricostruzione dell'Autorità, dal fatto che la stessa è stata operata da un perito iscritto negli elenchi del tribunale.

L'estrema problematicità del vulnus difensivo causato dal diniego di produzione delle prove nella loro versione integrale è sostanzialmente riconosciuta dalla stessa difesa erariale (pag. 55 della memoria unica in data 23 aprile 2018).

Né, come pure sostenuto dalla Avvocatura dello Stato, la censura può dirsi inammissibile alla luce della sufficienza degli ulteriori elementi probatori indicati dall'Autorità, atteso che, nel momento in cui il provvedimento individua, in maniera puntuale e autonoma, diverse modalità di condotta nelle quali l'intesa si è asseritamente estrinsecata, di ciascuna modalità deve essere autonomamente ed efficacemente provata la ricorrenza.

Dall'accoglimento della doglianza, tuttavia, come si vedrà meglio nell'esame del settimo motivo di ricorso, non deriva alcun effetto pratico in ordine all'attività di quantificazione della sanzione, atteso che la mancata prova della ricorrenza di una delle modalità comportamentali sanzionata, rilevante solo in punto di gravità dell'illecito, è destinata a rimanere assorbita nell'attività di riduzione della sanzione a quella massima irrogabile in ragione del massimo edittale del 10% del fatturato posta in essere dall'Autorità al paragrafo 223 del provvedimento.

Il motivo va infine respinto per quanto attiene alla censura di carenza istruttoria del provvedimento laddove menziona l'attività di monitoraggio (in relazione alle quali l'atto richiama le circolari, periodicamente emanate dal Consiglio, a mezzo delle quali viene chiesto ai notai di comunicare una serie di dati concernenti le stipule, nonché le tabelle acquisite presso Asnodim) e l'attività di fissazione dei prezzi prima e dopo la liberalizzazione delle tariffe (rispetto alle quali il provvedimento ha documentatamente dimostrato, al par. 186, lo scollamento tra prezzi fissati e abbattimento delle tariffe alla quale i notai sarebbero stati tenuti per legge, nonché, al par. 189, il fatto che i prezzi fossero fissi e non massimi e, infine, al medesimo par. 189, la non riconducibilità ad una pattuizione tra le parti - dell'atto da rogare - dell'accordo raggiunto tra Consiglio ed enti proprietari).

È poi fondata la censura articolata con il quinto motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti contestano la definizione del mercato rilevante, ravvisato dall'Autorità in quello relativo all'erogazione di servizi notarili (rogiti e mutui) nell'ambito delle dismissioni del patrimonio immobiliare di enti pubblici e previdenziali dell'intera Corte d'appello di Roma, anziché nel distretto notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia.

L'estensione risulta infatti giustificata dall'Autorità con riferimento al fatto che "in taluni casi, i clienti scelgono di avvalersi di un professionista avente sede al di fuori del proprio distretto e che a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 12 del d.l. 1/2012, il notaio può fornire i propri servizi su tutto il territorio del distretto di Corte d'Appello".

Deve, tuttavia, osservarsi come l'astratta possibilità per i notai di rogare all'interno dell'intera Corte d'appello (e quindi oltre i confini del distretto di appartenenza), nulla dice sull'utilizzo in concreto della facoltà di scelta da parte dei clienti, ciò che priva di concretezza l'affermazione, né dimostra in alcun modo gli effetti anticoncorrenziali della delibera sui notai appartenenti a distretti diversi ancorché siti nel medesimo distretto di Corte d'appello.

Anche per tale doglianza, tuttavia, vale quanto sopra osservato in ordine all'impossibilità di far discendere dall'accoglimento del motivo una modifica della sanzione applicata, atteso che la definizione del mercato rilevante, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti, rileva solo in punto di gravità dei fatti sanzionati.

Va poi esaminato il sesto motivo di ricorso, limitatamente ai profili diversi da quelli già scrutinati nell'esame del quarto motivo.

L'accoglimento, sul punto, della prospettazione di parte ricorrente, rende carente di interesse la domanda all'annullamento della mancata concessione della proroga del termine infraprocedimentale.

La censura va poi respinta laddove rileva la mancanza di terzietà del Presidente dell'Autorità per aver rilasciato un intervista sul procedimento sanzionatorio mentre lo stesso era ancora in corso.

È rimasta infatti incontestata la puntuale ricostruzione dell'Avvocatura, secondo cui l'articolo citato non contiene un'intervista, ma una ricostruzione dei fatti da parte della giornalista.

Con il settimo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la mancata considerazione, da parte dell'Autorità, del fatto che essi hanno agito "nella piena e legittima convinzione che il procedimento di dismissione degli immobili degli enti, cristallizzato dalla delibera fosse disegnato ed attuato nel pieno rispetto del contesto normativo, se considerato nel suo complesso".

Il legittimo affidamento riposto, sostengono ancora i ricorrenti, dovrebbe integrare l'assenza di colpevolezza o, quanto meno, la ricorrenza dei presupposti per la concessione di un'attenuante.

La censura deve essere respinta.

Quanto sopra osservato in ordine alla normativa di rango primario e secondario applicabile - che, pur legittimando l'adozione di procedimenti di designazione dei notai non prevedeva né consentiva l'obbligatorietà delle stesse ed escludeva, sia prima che dopo l'abolizione delle tariffe, la possibilità di fissare dei prezzi non contrattabili per specifiche tipologie di atto - non consente di ravvisare un affidamento "legittimo", tale da escludere la ricorrenza dell'elemento psicologico e la configurabilità dell'intesa.

L'esistenza di sentenze che si erano già pronunciate per l'illegittimità di previsioni similari contenute in delibere di altri consigli notarili, menzionate dal provvedimento nel par. 199, esclude pure rilevanza del prospettato affidamento ai fini della concedibilità di una mera circostanza attenuante.

Con l'ottavo motivo di doglianza, articolato in argomentazioni parzialmente diverse con riferimento alle posizioni delle due parti, i ricorrenti hanno censurato l'attività di quantificazione della sanzione.

Quanto alla sanzione inflitta al Consiglio, in particolare, essi contestano: a) la qualificazione dell'intesa come molto grave, b) l'applicazione del coefficiente di gravità del 15%, c) il calcolo della durata dell'intesa con specifico riguardo alla incidenza della prescrizione e d) il mancato riconoscimento di circostanze attenuanti, integrate, nella prospettazione di parte, dal contesto normativo di riferimento.

Con riferimento al primo profilo deve rilevarsi come la qualificazione dell'intesa come molto grave sia stata correttamente correlata dall'Autorità alla finalità e agli effetti dell'intesa (ripartizione del mercato e fissazione dei prezzi).

Quanto alla scelta del 15% quale coefficiente di gravità, deve poi rilevarsi come, sebbene vada condivisa la prospettazione della difesa erariale secondo cui l'Autorità, pur nel rispetto delle linee guida, gode di ampia discrezionalità nella scelta del detto coefficiente, va pure considerato che, laddove un comportamento anticompeti[ti]vo sia ravvisato in una pluralità di condotte, una o più delle quali si rilevino non correttamente accertate (come è, nel caso in esame, per la parte che attiene al prospettato illecito utilizzo dei procedimenti disciplinari e all'estensione geografica del fenomeno e, dunque, al mercato rilevante), ne deve automaticamente derivare una diminuzione dell'importo originariamente rapportato anche alle condotte che, all'esito del giudizio, siano state riconosciute non sussistenti.

Ne deriva, in considerazione della concreta incidenza dei profili di accoglimento sulla ricostruzione complessiva operata nel provvedimento e alla luce del disposto dell'art. 134, comma 1, lett. c), del c.p.a., che riconosce in materia al giudice amministrativo una cognizione estesa al merito, che il coefficiente di gravità debba essere fissato nella misura del 12% in luogo del 15%.

Alla luce di quanto sopra osservato, nessuna diminuzione può essere concessa, a titolo di attenuante, in ragione del preteso affidamento o della prestata ottemperanza alla sentenza del Tar del Lazio di parziale annullamento della delibera del 2006, obbligatoria per la parte soccombente in assenza di provvedimenti di sospensione del giudice d'appello.

Nessuna incidenza può poi essere riconosciuta all'operatività della prescrizione, la cui mancata considerazione, nella prospettazione di parte, avrebbe determinato l'erroneo calcolo della durata dell'intesa.

Deve infatti ricordarsi che l'intesa è unica e continuata, non scindibile in singoli segmenti temporali, e che la stessa era ancora in corso al momento dell'adozione dell'atto, nella parte relativa alla fissazione delle tariffe.

L'applicazione di un coefficiente pari all'12% all'importo iniziale, la cui corretta individuazione non è contestata dalla ricorrente, moltiplicato per 11 (durata) dà luogo ad una sanzione di 853.592,52, ben superiore a quella di euro 71.106,89 in concreto applicata dall'Autorità a seguito di riconduzione della sanzione irrogabile in ragione del massimo edittale pari al 10% del fatturato.

Medesima reiezione si impone per le contestazioni volte all'attività della quantificazione della sanzione irrogata ad Asnodim.

In proposito va rilevato che fin dalla CRI era stato prospettato alla parte il fatto che l'Autorità avrebbe utilizzato, quale valore delle vendite, il fatturato dell'Associazione costituito dai ricavi delle vendite dei servizi oggetto dell'infrazione e non i contributi associativi (i quali, peraltro, come evidenziato dalla difesa erariale, erano assolutamente irrisori e inidonei a individuare una sanzione dotata di una pur minima efficacia sanzionatoria e deterrente).

In ogni caso la natura dell'associazione e l'oggetto della stessa (come riportato compiutamente nel par. 216) la rendono non assimilabile ad un organo esponenziale di categoria, per il quale è giustificato il diverso calcolo operato sulla somma dei contributi associativi.

Né, alla luce di quanto sopra osservato in ordine alla efficienza causale della condotta di Asnodim nella realizzazione dell'intesa, può essere riconosciuta una minore gravità dei fatti addebitabili all'Associazione tale da integrare i presupposti della minima partecipazione.

La mera condotta collaborativa tenuta nel corso dell'istruttoria, poi, non integra i presupposti della specifica attenuante prevista dall'art. 23 delle linee guida in materia di sanzioni, la quale premia l'efficace collaborazione della parte, oltre gli obblighi di legge e comunque con effetti tali da attenuare o eliminare gli effetti della violazione antitrust.

Quanto alla durata, infine, valgono le medesime argomentazioni già spese in relazione alla sanzione irrogata al Consiglio in ordine alla natura continuata dell'intesa (con conseguente impossibilità di ridurne la durata alla luce dell'invocata prescrizione), con la puntualizzazione che Asnodim, diversamente da quanto prospettato, non è estranea alla dismissione del Comune di Roma, così che neppure il segmento temporale corrispondente alla detta attività può essere sottratto alla durata complessiva della partecipazione all'intesa.

Anche all'Associazione, sulla base di quanto osservato e delle ragioni di parziale accoglimento sopra esposte, spetterebbe una diminuzione del coefficiente di calcolo nella misura del 12%, che, tuttavia, come nel caso del Consiglio, porterebbe ad una sanzione comunque superiore a quella in concreto inflitta.

In conclusione il ricorso va respinto.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda.

La soccombenza della parte ricorrente giustifica, tuttavia, in considerazione della violazione da parte di questa del dovere di sinteticità degli atti e ai sensi dell'art. 26, comma 2, c.p.a., l'applicazione della sanzione pecuniaria pari all'importo del contributo unificato versato per il ricorso, da versarsi al bilancio della giustizia amministrativa (sulla sanzionabilità, a mezzo della misura pecuniaria in esame, della violazione dei principi in materia di giusto processo del quale il principio di sinteticità costituisce uno dei precipitati logici, cfr. C.d.S., sez. V, 12 giugno 2017, n. 2852, con ampie citazioni giurisprudenziali).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento di una sanzione pari all'ammontare del contributo unificato da versare in relazione al presente ricorso, come da motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.