Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 6 febbraio 2018, n. 19700

Presidente: Cavallo - Estensore: Semeraro

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di C.P.A. ha proposto ricorso avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Catania che ha confermato l'ordinanza del 29 luglio 2017 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere per i delitti ex artt. 416, 609-bis, 609-ter e 609-septies c.p.

Con il primo motivo, la difesa ha dedotto il vizio ex art. 606, lett. b), c.p.p. per violazione dell'art. 309, comma 9, c.p.p. Ha rilevato la difesa che l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania era priva della autonoma motivazione delle esigenze cautelari eccezionali, essendo stata applicata la custodia cautelare in carcere al ricorrente che è soggetto ultrasettantenne. La difesa ha contestato la decisione del Tribunale del riesame di Catania che ha integrato la motivazione dell'ordinanza genetica invece di disporne l'annullamento in violazione dell'art. 309, comma 9, c.p.p. ed andando oltre i poteri riconosciuti da tale norma.

2. Con il secondo motivo, la difesa ha eccepito la nullità dell'ordinanza impugnata ai sensi dell'art. 178, lett. c), e 179 c.p.p. perché omessa la notifica all'indagato con consequenziale omessa partecipazione al giudizio da parte dell'indagato.

Ha rappresentato la difesa che il ricorrente rinunciò a partecipare all'udienza del 22 agosto 2017; tale udienza fu però rinviata al giorno seguente, a seguito della nuova produzione documentale del p.m. e della conseguenziale richiesta della difesa di un termine per esaminare la documentazione e per poter interloquire in merito alla stessa.

Ha rilevato la difesa che della nuova fissazione dell'udienza non fu dato avviso al C., assente per rinuncia, né egli fu posto nella condizione di poter partecipare all'udienza con lesione del suo diritto a partecipare alla successiva udienza di trattazione; ciò ha generato, secondo la difesa, la nullità assoluta dell'udienza ai sensi degli artt. 178, lett. c), e 179 c.p.p.

Secondo la difesa, la rinuncia alla partecipazione alla prima udienza non può estendersi anche all'udienza del giorno successivo, disposta a seguito del deposito da parte del p.m. degli ulteriori documenti non conosciuti dall'indagato e del riconoscimento del suo diritto ad esaminarli ed a contro dedurre nell'udienza successiva.

3. Con il terzo motivo la difesa ha dedotto il vizio della motivazione dell'ordinanza impugnata, a suo dire apparente e contraddittoria quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: per la difesa, manca la valutazione delle questioni sollevate con la memoria e le note integrative sulla credibilità delle persone offese. Per la difesa mancano i riscontri alle dichiarazioni delle persone offese e le indagini difensive, svolte mediante l'assunzione delle dichiarazioni delle persone chiamate in causa dalle stesse persone offese, hanno smentito l'assunto accusatorio.

3.1. Ha rilevato la difesa che la principale accusatrice e prima denunciante P.N. indicò con precisione, nelle sommarie informazioni del 19 gennaio 2017, con precisione quali erano le ragazze che avrebbero subito abusi sessuali dal C.; si tratta di 19 persone (T.M., T.G., D.G., R.G., B.M. e B.M.P., nonché la di loro madre G.C., tale S., secondo la difesa riferibile a D.F.S., A.S., B.S., C.R., G.G., P.G., M.F., M.A., Bo.Fi., F.V., Ca.Mi. e Ro.Mi.) che, secondo il racconto fornito dalla persona offesa, avrebbero avuto percezione diretta dei fatti narrati.

Ha segnalato la difesa di aver escusso tali persone in sede di indagini difensive (cfr. i relativi verbali allegati al ricorso, all. 1), ad eccezione della denunciante C.R. e di Ro.Mi., medio tempore escussa dalla P.G., e che 16 persone su 19 hanno smentito le dichiarazioni della P., ponendo nel nulla le accuse dalla stessa formulate nei confronti dell'indagato.

Ha precisato la difesa che il p.m. ha prodotto in udienza i verbali di sommarie informazioni di B.S. e G.G., le quali, accusando l'indagato, hanno modificato le dichiarazioni rese al difensore, dicendo che per pudore non avevano detto la verità.

Per la difesa, il Tribunale del riesame ha sminuito la portata delle indagini difensive, cercando riscontri non pertinenti alle accuse formulate, in quanto provenienti da soggetti che hanno riferito su fatti diversi da quelli per cui è stata emessa l'ordinanza custodiale.

La difesa ha rilevato di aver escusso anche le persone adulte che secondo P.N. sarebbero state presenti durante i cd. turni in cui sarebbero stati commessi gli atti sessuali (F.M.C., detta M., Ri.Ri., Pa.Da., I.A., M.G., S.M.; cfr. verbali di intervista difensiva) e tutte hanno smentito le accuse rivolte al C.

Per la difesa, B.M. e M. (M.C.) F. hanno escluso, contrariamente a quanto riferito, invece, dalla P., di aver avuto congiuntamente rapporti sessuali insieme al C.; anche P.G., che secondo la P. si trovava spesso in turno quando il C. chiedeva venissero soddisfatti i suoi desideri sessuali, ha negato di aver mai subito tali attenzioni e di aver comunque appreso dell'adozione di siffatti comportamenti da parte dell'indagato, vuoi nei confronti di P.N. che di qualsivoglia altra ragazza.

Per la difesa la persona offesa P.N., inoltre, è stata smentita da T.M., indicata quale testimone oculare degli abusi subiti dalla dichiarante.

La difesa ritiene che le altre denuncianti non abbiano mai riferito specifici episodi ad eccezione di M.D. che però è stata smentita da T.M.

Ha rilevato la difesa che le accuse sono state confutate dalle persone escusse nelle indagini difensive; per la difesa non vi sono dubbi sulla credibilità delle persone escusse, per l'assenza di minacce o pressioni esercitate su di loro: erroneamente invece ha ritenuto il Tribunale la inattendibilità delle dichiarazioni prodotte dalla difesa.

3.2. Ritiene la difesa di aver dimostrato con i motivi di riesame la carenza assoluta di credibilità soggettiva delle persone offese, per la circolarità della prova, riscontrabile dalla lettura dei verbali di sommarie informazioni, in cui solo la P. cita soggetti terzi estranei, mentre le altre persone offese si sono allineate a tali iniziali deposizioni, riscontrandosi a vicenda.

La difesa ritiene di aver dimostrato lo stretto legame sussistente fra le persone offese, anche mediante le dichiarazioni di A.M.F., zia di M.M., la copiosa documentale estratta dal social network Facebook, avente ad oggetto fotografie ritraenti le denuncianti in stretta confidenza.

Ciò avrebbe imposto, secondo la difesa, un maggiore vaglio di credibilità di P.N., anche in considerazione della sua situazione di minorata capacità cognitiva quale riferita dalle persone escusse dalla difesa (T.M., S.M., T.G., Pa.Da., F.G., B.F., R.F., R.G., F.S.O., G.C. e P.T.), in quanto affetta da malesseri psicologici e ritenuta dalla madre posseduta dal demonio.

3.3. La difesa ha contestato poi la valutazione delle deposizioni di Padre P.A. e del dottor T.

Ha rilevato altresì la difesa che il Tribunale del riesame non ha valutato le dichiarazioni, prodotte dalla difesa al Tribunale del riesame, di Co.Ma.Te. (All. 3) che ha escluso di aver avuto rapporti sessuali con il C. smentendo quanto riferito da M.D. nella conversazione (minuto 18.38) con C.L., madre di P.N.

3.4. Per la difesa le misure cautelari sono state emesse in assenza di incidente probatorio e di accertamento sulla capacità a testimoniare dei minori, senza verifica in contraddittorio delle dichiarazioni rese delle minori. Sul punto la difesa ha richiamato la sentenza n. 30865 del 14 maggio 2015 della Corte di cassazione, sez. 3.

3.5. Secondo la difesa, il Tribunale del riesame di Catania ha adoperato degli elementi estranei ai fatti in contestazione per confermare le dichiarazioni delle persone offese e non suffragati da indizi diretti, come la deposizione di Ci.Da. la quale ha riferito di uno stupro avvenuto nel 1993, che sarebbe stato consumato dal C. e da Padre Ca.St., però mai denunciato prima e smentito, secondo la difesa, dalla documentazione già allegata ai motivi di riesame: la stampa da atto che Padre C. fu fatto oggetto di aggressione da parte di circa 15 persone nel 1993 mentre praticava un esorcismo. Tale ricostruzione è stata confermata dai testi escussi dalla difesa P.S. e G.G. (All. 4), presenti ai fatti, i quali hanno confermato che il gruppo formato da circa 10 o 15 persone, tutti parenti della persona che doveva sottoporsi ad esorcismo (Ci.), aggredì immotivatamente Padre C. mentre espletava il suo esorcismo. Costoro hanno escluso che in quella occasione Padre C. pose in essere una violenza sessuale ai danni della Ci.

3.6. Secondo la difesa, inoltre, non hanno valore indiziario le dichiarazioni di D.N.R.A. e B.M., che hanno riferito di esser rimaste turbate dalla circostanza che il C. usava baciare in bocca in pubblico, dinanzi a centinaia di persone, perché la difesa ha già indicato, nei motivi di riesame, che dalle dichiarazioni prodotte dalla difesa di Ag.St. e F.C. e dalle dichiarazioni di D.D. (ritenuta credibile dal Tribunale del riesame per le accuse) era emerso che si trattava di una usanza del tutto lecita, utilizzata alla luce del sole dal C., evocativa del c.d. "bacio santo di S. Paolo".

Circostanza questa, secondo la difesa, dimostrata anche dalla documentazione allegata al ricorso (all. 5), che confuta la motivazione del Tribunale del riesame (pag. 20 della ordinanza impugnata) che afferma che il cd. bacio santo era da considerarsi solo il bacio sulla guancia, mentre da Wikipedia si ricava che il cd. bacio di S. Paolo era proprio il bacio in bocca a stampo, utilizzato quale simbolo di comunione fraterna.

Per la difesa, le dichiarazioni di P.A., riportate nella impugnata ordinanza, sono state smentite dalle deposizioni di T.M. e dalla sorella G.

3.7. La difesa ha rilevato che il Tribunale del riesame di Catania non ha valorizzato le deposizioni dei soggetti sentiti dalla difesa, ritenendoli aprioristicamente inattendibili in quanto sottoposti al condizionamento da parte degli indagati. Per la difesa, non si ricava dagli atti in quali circostanze le persone sentite dalla difesa, così come anche le persone escusse dalla Procura, siano state sottoposte a pressioni o minacce; né si ricavano le modalità con cui il C. avrebbe plagiato le persone informate sui fatti; sul punto vi è evidente carenza di motivazione.

3.8. Quanto all'assenza di ciclo mestruale che il C. avrebbe richiesto alle ragazze chiamate ad effettuare i così detti "turni", per la difesa la veridicità di tale dato è smentita dalle dichiarazioni rese nelle indagini difensive da S.D., A.M.F., T.G., B.M.P., G.G. ed Ag.St.

Ha rilevato altresì la difesa che, nelle dichiarazioni rese il 7 agosto 2017, T.G. ha precisato (cfr. la conversazione n. 1423 del 10 febbraio 2017, p. 17 dell'ordinanza genetica), che l'espressione "voleva stare con te" non è da intendersi in termini sessuali ma riguardava un episodio in cui la donna si trovava a casa del C. e avrebbe dovuto accompagnarlo con la sua vettura, ma si era sentita male e non avrebbe potuto farlo, provocando un po' il malcontento del C.

Secondo la difesa, il riscontro a quanto dichiarato dalle ragazze intervistate dalla difesa è dato dall'intercettazione n. 1662 del 12 febbraio 2017 riportata a pag. 17 dell'ordinanza custodiale, in cui la D.G. comunicava alla G. la propria disponibilità per il «turno» anche in presenza del ciclo mestruale: ciò dimostra, secondo la difesa, che il ciclo mestruale non era considerato dal C. o dalla G. quale elemento impeditivo a poter prendere parte ai «turni».

Altro riscontro è dato, secondo la difesa, dalle intercettazioni n. 1423 del 10 febbraio 2017 tra G.R. e T.G., n. 430 del 6 febbraio 2017 tra M. e la S., n. 125 del 30 gennaio 2017 tra la R. e la S. il cui senso è chiarito nel ricorso.

Rileva altresì la difesa che le dichiarazioni di Ca.Va. sono smentite da M.F. che ha escluso di aver assistito ad atti libidinosi del C. ai danni Ca.Va.

Secondo la difesa, quanto a Ca.Va., nell'intercettazione n. 251 del 1° febbraio 2017 fra la R. e C.P. si dice chiaramente che qualora la ragazzina fosse andata oltre al bacio a stampo, C.P. l'avrebbe buttata fuori dalla Comunità e sua moglie l'avrebbe fatta volare dal balcone; in particolare è riportata in ricorso una frase intercettata che secondo la difesa risulta incompatibile con l'accusa.

3.9. La difesa ha poi contestato la motivazione del Tribunale del riesame di Catania (pag. 17) laddove ha ritenuto provata la veridicità delle persone offese perché conoscevano l'impotenza del C., in quanto non sono state valutati gli esiti delle indagini difensive, dalle quali emergeva che la notizia era di dominio pubblico all'interno della comunità, era un fatto notorio e non tenuto nascosto (cfr. le dichiarazioni della dr.ssa C.F., Ri.Ri., L.C.L., L.M., F.G.).

3.10. La difesa ha pure contestato la motivazione del Tribunale del riesame di Catania che ha ritenuto sussistenti le condotte costrittive di abuso di autorità e di induzione mentre il giudice per le indagini preliminari aveva configurato solo la condotta induttiva per plagio (cfr. la pag. 14 della ordinanza custodiale).

Secondo la difesa, è contraddittoria la motivazione (pag. 21) nella parte in cui configura alternativamente il doppio profilo di abuso per costrizione ed induzione con riferimento alle medesime condotte, con ciò duplicando i profili di colpevolezza in relazione a medesime condotte, di fatto inibendo alla difesa la possibilità di difendersi.

La difesa ha richiamato la giurisprudenza sull'art. 319-quater c.p. ed ha rinnovato le critiche alla ordinanza genetica.

Per la difesa il Tribunale del riesame di Catania non ha motivato sulle affermazioni difensive che dimostravano che le persone offese non versavano in alcuna condizione di plagio, ma avevano una maturità ed una consapevolezza sufficiente, malgrado, la minore età, a poter ponderare ogni azione, anche ripetuta nel tempo. La difesa ha affermato di aver allegato documenti fotografici che riprendevano le minori in atteggiamenti ambigui, intenti a consumare stupefacenti ed alcolici ed a lasciarsi andare in baci saffici tra di loro (all. 6).

La difesa ha richiamato, altresì, le dichiarazioni rese alla difesa da R.F., ex fidanzato della P.N. all'epoca dei fatti (all. 7), il quale ha rappresentato che la giovane era gravemente sofferente di disturbi mentali con costanti visioni demoniache; che la ragazza già in tenera età (tredici anni) era solita richiedere al suo fidanzato molteplici rapporti sessuali giornalieri, con ciò comprovando ampia maturità sessuale.

La difesa poi ha censurato l'affermazione del Tribunale del riesame di Catania (pag. 19) che ha sostenuto che il plagio a cui sarebbero sottoposte le ragazze sarebbe evincibile dal fatto che tutte coloro che sono state sentite ad intervista difensiva avrebbero detto il falso per esser state sottoposte a "certo condizionamento" da parte degli indagati; tale affermazione non si fonda su elementi certi in quanto non risulta da alcun atto che le ragazze sentite dalla difesa siano mai state sottoposte a condizionamento di sorta. Ha rilevato la difesa che le minori B.M., B.M.P., P.G. e Ro.Mi., sentite dal p.m., hanno confermato esattamente quanto dichiarato alla difesa a discarico delle accuse, mentre le tre ragazze ritrattanti (B., Cr. e G.) hanno ammesso al p.m. di aver fornito una versione differente al difensore, solo per ragioni di pudore.

La difesa ha contestato che il solo rendere dichiarazioni favorevoli al C. possa essere indice di manipolazione e l'erronea valutazione delle dichiarazioni rese dalle persone escusse dalla difesa.

4. Con il quarto motivo la difesa ha dedotto i vizi di violazione di legge e carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato associativo.

Secondo la difesa, non è configurabile il reato associativo per l'impossibilità di poter prevedere una cooperazione materiale fra i correi, assenti sul luogo del fatto, nonché per l'impossibilità di un concorso anche solamente morale fra gli stessi, atteso che ad essi si contesta la condotta induttiva verso le vittime, con esclusione del rafforzamento della volontà del reo.

Non può sussistere un gruppo criminale costituito per la commissione di un numero indeterminato di abusi sessuali; il reato associativo prevede per i singoli partecipi un ruolo materiale attivo e non semplicemente confinato alla accondiscendenza alle condotte poste in essere dall'autore materiale del reato o limitato alla vicinanza con il gruppo associativo.

Secondo la difesa, la giurisprudenza ha rigettato la compatibilità del reato associativo con i singoli reati di abuso sessuale, non ritenendo ammissibile poter considerare gli stessi come reati fine dell'associazione; la presenza dei soggetti e la loro cooperazione comporta la consumazione del reato di violenza sessuale di gruppo, non contestato agli indagati.

Secondo la difesa, manca ogni forma di configurabilità come organizzazione strutturata della consorteria, anche nelle forme più rudimentali, atteso che dalle intercettazioni, nonché dalle dichiarazioni delle denuncianti, non si ricava quale ruolo avrebbero ricoperto le singole partecipi nello specifico.

Per la difesa, la predisposizione dei turni da parte della G. non può considerarsi come fatto penalmente rilevante atteso che tale compito faceva parte della organizzazione della Comunità e la predisposizione dei turni avveniva mediante la raccolta dei consensi spontanei dei partecipi e non su input del C. Per la difesa, i turni avvenivano anche per le attività da svolgere nei campi nonché per la pulizia dei locali comuni.

Secondo la difesa, mancano le ragioni per cui le tre donne indagate avrebbero dovuto favorire il C. in questa sua attività, senza un reale tornaconto in denaro o in altri benefici, ma solo spinte da presunte ragioni di plagio spirituale o mistico, mai provato: tali donne per altro hanno mantenuto all'interno della comunità le loro figlie (R. e G.) o le nipotine (la S.), esponendole agli stessi rischi.

5. Con il quinto motivo, in via subordinata al primo, la difesa ha dedotto i vizi ex art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., per la violazione di cui all'art. 274 e 275 c.p.p.

Rileva la difesa che il pericolo di inquinamento probatorio è stato desunto da alcune intercettazioni in cui le indagate si preoccupavano del reperimento di testimoni a discarico.

Secondo la difesa però il Tribunale del riesame di Catania non ha dato atto di tentativi di corruzione in atti giudiziari o di ricerca di false testimonianze, ma ha preso in esame il semplice esercizio del diritto di difesa diretto al reperimento dei testimoni in grado di riferire in ordine ai fatti, come avvenuto con le indagini difensive, sui cui contenuti non si registrano censure in ordine alla falsità dei testi.

Quanto al pericolo di reiterazione dei reati, secondo la difesa è stata fornita prova documentale, disattesa dal Tribunale del riesame di Catania sulla oggettiva impossibilità di una reiterazione delle condotte (cfr. i verbali di sommarie informazioni di F.C., Fe.Ca., M.B.M., La.Ig., L.M., R.G., R.M.S.R., L.F.M.N., M.G., Fa.Sa., B.M.T. e L.R.R.C.) perché oltre sei mesi prima degli arresti, il C. e le altre tre persone oggi sottoposte a misura cautelare, si erano allontanate dalla Comunità dopo le perquisizioni domiciliari del 24 febbraio 2017, non prendendo più parte alle attività della Comunità [omissis] e dell'Associazione [omissis], rinunciando a qualsiasi incarico e a qualsiasi frequentazione mediante lettera scritta o comunicazione orale al direttivo dell'Associazione.

Rileva la difesa di aver prodotto la documentazione medica sullo stato di invalidità al 100% del C., una relazione medico-legale in cui si da atto delle gravi incapacità motorie e cognitive del C. per una grave forma di diabete mellito (all. 9). Tale documentazione, secondo la difesa, è stata valutata erroneamente dal Tribunale solo ai fini della compatibilità con il regime carcerario, omettendo qualsivoglia motivazione in ordine al concreto ed attuale rischio di recidiva in considerazione delle condizioni patologiche e della natura del reato contestato (violenza sessuale). Né è stato considerato che nella relazione medico legale si dà atto che il ricorrente non può attendere autonomamente alle esigenze quotidiane.

Secondo la difesa è superata la presunzione semplice di cui al comma terzo dell'art. 275 c.p.p. di adeguatezza della misura carceraria, essendo provata l'insussistenza delle esigenze cautelari o comunque la loro attenuazione, con possibilità che le stesse siano soddisfatte con altra misura meno afflittiva.

Secondo la difesa, il Tribunale del riesame di Catania ha omesso di motivare in ordine alla necessità di applicare l'estrema misura restrittiva, in presenza di oggettive prove contrarie addotte dalla difesa che giustificherebbero, quantomeno, una misura meno afflittiva, avendo erroneamente ritenuto (p. 24 ordinanza impugnata) immanente il principio della adeguatezza bloccata della custodia carceraria di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p., superato dalla sentenza della Corte costituzionale con la sentenza n. 265 del 2010.

La difesa ha concluso per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente esaminato il secondo motivo, avendo eccepito la difesa la nullità dell'udienza camerale svoltasi dinanzi al Tribunale del riesame di Catania.

Il motivo è infondato.

Va infatti osservato che, secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, riferito all'udienza dibattimentale ma applicabile anche alle udienze camerali, la rinuncia a comparire all'udienza da parte del detenuto - a seguito della quale l'imputato è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato dal difensore - produce i suoi effetti non solo per l'udienza in relazione alla quale essa è formulata ma anche per quelle successive, fissate a seguito di rinvio a udienza fissa, fino a quando egli non manifesti la volontà di essere tradotto (cfr. in tal senso Corte di cassazione, Sez. 4, n. 27974 del 26 marzo 2014, Rv. 261567, Bruno; nello stesso senso Cass., Sez. 5, n. 36609 del 15 luglio 2010, Rv. 248433, Panzariello e altri).

Nello stesso senso cfr. Cass., Sez. 6, n. 36708 del 22 luglio 2015, Rv. 264670, Piscitelli: gli effetti della rinuncia a comparire in udienza, da parte dell'imputato detenuto, permangono fino al momento della revoca espressa di tale rinuncia, cioè fino a quando l'interessato non manifesti, nelle forme e nei termini di legge, la volontà di essere nuovamente presente e di mettere nel nulla il suo precedente consenso alla celebrazione dell'udienza in sua assenza; di conseguenza, è onere dell'imputato detenuto concorrere alla chiarezza delle modalità di espressione delle proprie dichiarazioni. (Fattispecie in cui l'imputato, dopo aver formalmente rinunciato a presenziare ad un'udienza, non aveva fatto pervenire alcuna contraria manifestazione di volontà di partecipazione al procedimento).

Pertanto, il ricorrente, assente per rinuncia, era non solo rappresentato dal difensore ma aveva anche l'onere, non esercitato, di manifestare la volontà di essere tradotto.

2. È infondato il quarto motivo di ricorso, relativo al capo a).

Il Tribunale del riesame di Catania ha fatto corretta applicazione dell'art. 416 c.p. e la motivazione non può ritenersi contraddittoria o manifestamente illogica.

Il Tribunale del riesame di Catania ha infatti motivato sulla sussistenza di uno stabile gruppo, che operava da diversi anni al fine di commettere più delitti di atti sessuali, affermandone l'esistenza non solo in base alla reiterazione delle condotte.

Il Tribunale del riesame di Catania ha individuato, quale elemento per ritenere sussistente la gravità indiziaria, un'azione illecita svolta con uno schema collaudato, con ripartizione dei compiti e dei ruoli, anche nelle occasioni in cui le ragazze si rifiutavano, con stabilità del vincolo associativo volto a reiterare il programma criminoso nel tempo.

Il Tribunale del riesame ha individuato l'esistenza di una struttura organizzata, creata all'interno dell'associazione religiosa, volta a raggiungere scopi tutt'altro che religiosi, ma economici e politici attraverso la strumentalizzazione degli adepti, in parte coinvolti negli atti sessuali.

3. È invece fondato il motivo di ricorso indicato al punto 3.10, nei termini di seguito specificati.

Ed invero, il giudice per le indagini preliminari ha rilevato, quanto ai delitti di cui ai capi b-f, che il p.m. ha contestato una condotta alternativa, collegata all'abuso di autorità ed alla induzione.

In realtà, dalla rubrica nella quale sono indicate le norme violate e dalla descrizione dei fatti, risulta che con i capi di imputazione sono state contestate entrambe le condotte previste dai commi 1 e 2, n. 1, dell'art. 609-bis c.p.: dall'analisi del capo di imputazione emerge che le condotte sarebbero state contestate con abuso di autorità e con induzione abusando della inferiorità psichica della vittima.

Nella parte in diritto (da pagina 9) il giudice per le indagini preliminari ha descritto gli elementi costitutivi delle due diverse ipotesi di reato; quindi, con riferimento ai capi da b) ad f) ha ritenuto di qualificare i fatti come violenza sessuale per induzione (pagina 14) «... in considerazione della giovanissima età delle vittime, nella maggior parte dei casi solo bambine e della notevolissima differenza di età...».

Dunque, il giudice per le indagini preliminari ha motivato la sussistenza della gravità indiziaria solo in relazione alla condotta induttiva, descritta nel comma 2, n. 1, dell'art. 609-bis c.p. quanto ai delitti di cui ai capi da b) ed f); nell'analisi dei singoli capi di imputazione, il giudice per le indagini preliminari ha infatti fatto sempre riferimento alla parte generale dell'ordinanza, nella quale ha ritenuto sussistente la condotta induttiva: non si rinvengono riferimenti all'abuso di autorità.

Pertanto, come affermato dalla difesa, deve ritenersi che il giudice per le indagini preliminari non abbia ritenuto sussistenti i gravi indizi quanto alla violenza sessuale collegata all'abuso di autorità, descritta nel primo comma dell'art. 609-bis c.p.; certamente, su tale ipotesi di reato manca la motivazione relativamente alla sussistenza della gravità indiziaria.

Il Tribunale del riesame di Catania ha invece ritenuto che gli atti di violenza sessuale siano stati posti in essere serbando sia una condotta costrittiva che induttiva (a pagina 14 e seguenti): in tal modo, però, ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria relativamente al reato di cui al primo comma dell'art. 609-bis c.p. che il giudice per le indagini preliminari aveva invece escluso e ciò in assenza di impugnazione del p.m., o comunque in assenza di motivazione sulla ipotesi di violenza sessuale commessa con abuso di autorità.

Va rilevato che la valutazione del Tribunale del riesame di Catania esula dai poteri di cui all'art. 309, comma 9, c.p.p. perché la conferma dell'ordinanza genetica presuppone l'esistenza della gravità indiziaria, ritenuta appunto per ragioni diverse da quelle affermate nell'ordinanza genetica; in ogni caso l'assenza di motivazione sulla gravità indiziaria delle ipotesi di violenza sessuale per costrizione non consentiva al Tribunale del riesame di integrare la motivazione e di ritenere esistente la gravità indiziaria di tale ipotesi di reato.

Pertanto, sul punto l'ordinanza del Tribunale del riesame di Catania deve essere annullata.

Tutte le altre questioni proposte dalla difesa nel terzo motivo sono assorbite dall'accoglimento della questione ora indicata, perché i motivi di riesame dovranno essere considerati alla luce delle sole ipotesi di reato, commesse con induzione, su cui il giudice per le indagini preliminari ha motivato la sussistenza della gravità indiziaria.

4. Non è fondato, invece, il primo motivo di ricorso.

Nell'ordinanza genetica - inserita nel cd contenente gli atti processuali - la motivazione sulle esigenze cautelari fa esclusivo riferimento a quelle ex art. 274 c.p.p. ma non a quelle di cui al comma 4 dell'art. 275 c.p.p., norma applicabile nel caso in esame: il ricorrente è nato nel [omissis] ed aveva 73 anni all'atto dell'applicazione della custodia in carcere.

È indubbio che il giudice per le indagini preliminari non abbia applicato il comma 4 dell'art. 275 c.p.p.

Se nel provvedimento genetico la motivazione sulla sussistenza delle esigenze di eccezionale rilevanza è assente, è però presente la motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p. e sulla scelta della misura: pertanto, il giudice per le indagini preliminari, non avendo motivato sulla sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, in presenza dei presupposti applicativi dell'art. 275, comma 4, c.p.p. in relazione all'età dell'indagato, non avrebbe dovuto disporre la custodia cautelare in carcere ma applicare una misura meno afflittiva.

Orbene, l'ultimo periodo del comma 9 dell'art. 309 c.p.p. impedisce al Tribunale del riesame di confermare l'ordinanza genetica integrandone la motivazione solo in assenza della motivazione (oltre che nei casi di mancanza della autonoma motivazione sulle esigenze cautelari, sui indizi e sugli elementi forniti dalla difesa) ma non certamente nel caso di motivazione insufficiente.

Nel caso in esame, la motivazione dell'ordinanza genetica era insufficiente, perché il giudice per le indagini preliminari, per poter applicare la custodia in carcere, nell'ambito della scelta della misura, avrebbe dovuto motivare sulla sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, che sono di grado superiore rispetto a quelle oggetto della motivazione ex art. 274 c.p.p.

Pertanto, il Tribunale del riesame ha correttamente ritenuto di poter integrare la motivazione insufficiente.

5. Il modo in cui il Tribunale del riesame di Catania ha integrato la motivazione rende però fondato il quinto motivo di ricorso.

Come già osservato, il Tribunale del riesame di Catania ha ritenuto di poter integrare la motivazione dell'ordinanza genetica, aggiungendo la parte sulla sussistenza delle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza; dopo aver illustrato la sussistenza delle esigenze cautelari di cui alle lett. a) e c) dell'art. 274 c.p.p., nell'ordinanza impugnata si afferma: «Tale circostanza rende evidente la sussistenza di esigenze di eccezionale rilevanza di cui all'art. 275, comma 4, c.p.p. per l'applicazione della custodia in carcere per i soggetti ultrasettantenni, trovando, quindi, applicazione, il disposto di cui all'art. 275, comma 3, c.p.p.» per effetto della sussistenza dei gravi indizi del reato ex art. 609-bis c.p.

Orbene, la motivazione dell'ordinanza impugnata è apparente, laddove ritiene evidente ciò di cui avrebbe dovuto compiutamente spiegare: ovvero l'eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari; dato questo del tutto assente nel tessuto motivazionale dell'ordinanza impugnata, in violazione dell'obbligo di motivazione richiesto dalla Corte di cassazione nell'interpretazione dell'art. 275, comma 4, c.p.p., in quanto non viene spiegato in alcun modo quali siano gli specifici elementi dai quali emerga un non comune, spiccatissimo ed allarmante rilievo dei pericoli ex art. 274 c.p.p.

Inoltre, il Tribunale del riesame di Catania è incorso in violazione di legge, ritenendo prevalente la presunzione ex art. 275, comma 3, c.p.p. su quella in bonam partem di cui all'art. 275, comma 4, c.p.p.

Va ricordato che l'art. 275, comma 4, c.p.p. fa derivare dal superamento del settantesimo anno di età una presunzione di ridotta pericolosità sociale connessa all'inevitabile scadimento delle facoltà fisiche e psichiche dell'uomo, affidando al giudice il compito di stabilire, caso per caso, se la situazione di fatto, valutata complessivamente, sia di tale gravità da giustificare, anche in tale ipotesi, l'applicazione della più grave misura cautelare.

La presunzione in bonam partem di cui all'art. 275, comma quarto, c.p.p., che esclude l'applicabilità della custodia in carcere nei confronti di determinate persone che versino in particolari condizioni salvo che ricorrano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, prevale rispetto alla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui al comma terzo del medesimo articolo prevista ove si proceda per determinati reati; cfr. Cass., Sez. 2, n. 11714 del 16 marzo 2012, Rv. 252534, Ruoppolo; Cass., Sez. 3, n. 7619 del 2012, Di Profio; nello stesso senso, cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 17 del 2017.

Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza richieste dall'art. 275, comma quarto, c.p.p. non possono essere desunte semplicemente dalla gravità del titolo di reato né identificarsi con quelle presunte per legge derivanti dal titolo del reato, ai sensi del precedente comma terzo del medesimo art. 275 c.p.p.

Le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza postulano invece l'esistenza di puntuali e specifici elementi dai quali emerga un non comune, spiccatissimo ed allarmante rilievo dei pericoli ai quali fa riferimento l'art. 274 c.p.p.

Cfr. Cass., Sez. 6, n. 7983 del 1° febbraio 2017, Rv. 269167, Rotunno: In tema di misure cautelari personali, le qualificate esigenze cautelari richieste dall'art. 275, comma quarto, c.p.p. si distinguono da quelle ordinarie solo per il grado del pericolo, nella specie di reiterazione, in quanto, a fronte dell'elevata probabilità di rinnovazione dell'attività delittuosa richiesta dall'art. 274 c.p.p., è necessaria la certezza che l'indagato, ove sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede.

Sussiste quindi l'obbligo, per il giudice, di una congrua e specifica motivazione delle precise ragioni che lo inducono a derogare alla regola del divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere ed a ritenere che il periculum in libertate sia, nel caso concreto, di tale intensità ed allarme sociale da giustificare il superamento della presunzione legale di non adeguatezza, per eccesso, della custodia in carcere.

5.1. Il quinto motivo è fondato anche sotto il seguente profilo.

Il Tribunale del riesame di Catania ha del tutto omesso la risposta ai motivi di riesame, rilevanti ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, del loro grado e rispetto alla scelta della misura, con i quali la difesa aveva documentato l'allontanamento dalla comunità da parte degli indagati sei mesi prima degli arresti e le precarie condizioni di salute del C.

È questa una circostanza di fatto che ha una sua rilevanza, anche con riferimento all'attualità delle esigenze cautelari, e che necessita di adeguata valutazione da parte del Tribunale del riesame.

Inoltre, effettivamente, come rileva la difesa nel ricorso per cassazione, la certificazione medica prodotta dalla difesa è stata valutata, effettivamente, solo ai fini della sussistenza dell'incompatibilità con la detenzione carceraria mentre nei motivi di riesame la produzione documentale è stata collegata all'inesistenza del pericolo di recidiva.

Va dunque disposto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata per un nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo esame al Tribunale del riesame di Catania.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/2006 in quanto imposto dalla legge.

Depositata il 7 maggio 2018.