Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
Sezione I
Sentenza 27 aprile 2018, n. 380

Presidente: Monticelli - Estensore: Rovelli

FATTO

La ricorrente è accreditata per l'erogazione di prestazioni specialistiche della branca di radiologia.

Nell'anno 2016 le è stato attribuito un tetto lordo di Euro 132.194,64 (corrispondente a una ripartizione tendenziale di euro 33.048,66 per trimestre) e un tetto netto di euro 128.228,76 (corrispondente a una ripartizione tendenziale di euro 32.057,19 per trimestre).

La ricorrente espone che nel contratto sottoscritto in data 20 luglio 2016 e relativo ai soli primi dieci mesi dell'anno, nelle more del trasferimento dello studio dalla sede di via dei Carroz a Cagliari a quella di via Loni a Selargius, è previsto un tetto mensile netto pari a euro 10.685,73 (lordo pari a euro 11.016,22) che conducono esattamente ai tetti annuali sopra indicati.

Ha erogato nel 2016 tutte le prestazioni previste nel tetto e, in attesa del nuovo contratto, nel 2017 ha continuato a erogare le prestazioni in ragione di una media mensile parametrata a 1/12 del tetto annuale, anche sulla scorta della nota ATS NP/2017/16421 del 23 febbraio 2017 che ciò prevedeva espressamente.

Con nota prot. n. 269585 del 28 luglio 2017 è stata trasmessa alla ricorrente la proposta di contratto per l'anno 2017, contenente un tetto di spesa ridotto di oltre il 18% rispetto al precedente anno 2016 e di circa il 20% rispetto alla media triennale.

È stato attribuito un tetto annuo lordo di euro 108.154 (netto euro 107.072).

Nella stessa nota sopra citata è contenuta la previsione di un tetto infra-annuale per il periodo, in quel momento oramai sostanzialmente trascorso, 1° gennaio 2017-31 agosto 2017, corrispondente a un tetto netto di euro 69.549,00.

La ricorrente, al 31 agosto 2017, afferma di avere in buona fede erogato e fatturato all'ATS prestazioni per euro 93.235,38, in incolpevole superamento del tetto infra-annuale individuato dalla ASL, quando le prestazioni erano già state pressoché integralmente erogate o, per la minima residua parte, comunque, già prenotate da pazienti aventi diritto all'erogazione.

Avverso tutti gli atti indicati in epigrafe è insorta deducendo le seguenti censure:

1) sulla erronea determinazione del tetto annuale di spesa 2017;

errore di fatto e sui presupposti, violazione e falsa applicazione del p.p. ats 2017 (delibera d.g. n. 648/2017), manifesta ingiustizia e disparità di trattamento;

2) sull'illegittimità delle prescrizioni circa l'efficacia dei vari tetti;

eccesso di potere per illogicità manifesta, irrazionalità, violazione dei principi buona fede e correttezza e affidamento, errore di fatto e sui presupposti, violazione e falsa applicazione dell'art. 8 l.r. 10/2006, dell'art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992, dell'art. 32, comma 8, l. 449/1997 difetto di istruttoria e di motivazione, violazione e falsa applicazione dell'art. 8-bis del d.lgs. 502/1992.

Concludeva per l'accoglimento del ricorso con conseguente annullamento degli atti impugnati previa concessione di idonea misura cautelare.

Si costituivano la Regione Sardegna e ATS chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio dell'8 novembre 2017 la domanda cautelare veniva accolta con la seguente motivazione:

"Ritenuto ad un primo esame tipico della fase cautelare che la domanda della ricorrente appare fondata con riferimento, in particolare, alla censura contenuta nel primo motivo di ricorso.

Che pertanto è necessario ordinare all'ATS un riesame della posizione della ricorrente che possa portare ad una rideterminazione del tetto di spesa emendato dagli errori evidenziati in ricorso che appaiono prima facie sussistenti".

Alla udienza pubblica del 24 gennaio 2018 il ricorso veniva trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Una sintesi delle censure della ricorrente è necessaria per un corretto inquadramento della controversia sottoposta al Collegio.

Con il primo motivo la ricorrente argomenta nel modo che segue.

Afferma di essersi vista decurtare il tetto di circa il 18% rispetto al precedente tetto 2016, a fronte di una solo minima contrazione del budget regionale per la specialistica.

Censura un errore di fatto compiuto dall'ATS nell'attribuzione del tetto.

Nel contratto stipulato per l'anno 2016 e nel relativo allegato Y è indicato solo il tetto relativo ai primi dieci mesi dell'anno, corrispondente a Euro 106.857,30 per il tetto netto e a Euro 110.162,20 per quello lordo.

Il tetto complessivo per l'anno 2016 è, invece, pari a euro 132.194,64 (lordo) e a euro 128.228,76 (netto), corrispondente esattamente al tetto mensile medio netto di euro 10.685,73 espressamente previsto all'art. 11 del contratto (lordo euro 11.016,22).

Deve, allora ritenersi che la determinazione del tetto sia viziata dall'errore circa l'effettivo budget storico e che, senza tale errore, il tetto 2017 non avrebbe potuto ragionevolmente discostarsi da quello precedente.

Afferma ancora che la pesante decurtazione del tetto risulta incomprensibile e ingiustificata alla luce del fatturato medio effettivo nel triennio 2014-2016, pari a euro 135.384,84 circa, dell'ampia capacità accreditata e dell'isolata localizzazione, in area priva di simili centri accreditati (Selargius - loc. Su Planu).

L'applicazione dei criteri previsti dalla d.G.r. 23/25 e dal Piano preventivo ATS non avrebbe, pertanto, potuto condurre a una decurtazione pari a circa il 20% del fatturato medio triennale e a circa il 18% del tetto 2016.

Sotto altro profilo, l'abbattimento del tetto 2017 appare in violazione conclamata dei criteri di attribuzione previsti dalla stessa ATS.

Il Piano preventivo delle attività per l'anno 2017, approvato con deliberazione n. 648 del 22 luglio 2017, dopo aver individuato i criteri di attribuzione del tetto alle strutture che erogano prestazioni specialistiche, precisa che l'applicazione integrale dei criteri di cui ai punti 1, 2 e 3 della d.G.r. 23/25 fra gli erogatori determina, in alcuni casi, differenze notevoli rispetto alla situazione definita per 2016. Si è stabilito, pertanto, anche in considerazione del fatto che nei primi sei mesi delle prestazioni è avvenuta sulla base del tetto di spesa assegnato per 2016, di utilizzare un fattore di correzione prevedendo specificamente che nessun aumento o riduzione possa essere superiore al 10% del tetto di spesa assegnato per 2016. Come evidenziato nella tabella, il 12% del tetto di spesa 2017 verrà pertanto utilizzato per applicare il fattore di correzione di cui sopra (nessun aumento superiore al 10% e nessuna perdita superiore all'8%).

Ne consegue che l'abbattimento del tetto della ricorrente è frutto dell'errore sopra dedotto ma, comunque, risulta in violazione dei criteri che l'Azienda si era auto-vincolata a rispettare.

Con il secondo motivo la ricorrente afferma quanto di seguito si va a sintetizzare.

La proposta di contratto 2017 è stata trasmessa solo in data 3 agosto 2017 ed essa ha previsto:

1) un tetto di spesa per il 2017 ridotto di circa il 18% rispetto al precedente (cfr. art. 12 del contratto e allegato Y);

2) l'impossibilità di erogare, nel periodo gennaio-agosto 2017, oramai trascorso, prestazioni per un valore complessivo superiore al 75% del tetto annuale, con la espressa indicazione che le prestazioni erogate al 31 agosto oltre la misura del 75% non saranno remunerate (cfr. art. 6, comma 3, del contratto);

3) una quota del tetto di spesa, pari a euro 14.340,00, la cui assegnazione deve intendersi subordinata alla condizione che la struttura, entro la fine dell'anno, abbia garantito la gestione tramite CUP dell'80% del volume di prestazioni erogate e che potrà essere assegnata esclusivamente per l'erogazione delle suddette prestazioni nel periodo 1° settembre 2017-31 dicembre 2017 (art. 12, comma 2).

Secondo la ricorrente viene in evidenza, sotto molteplici distinte declinazioni, l'assoluta irragionevolezza delle previsioni che impongono tardivamente l'adozione di condotte e l'adempimento di obblighi interamente rivolti al passato.

Nel momento in cui la proposta di contratto è stata portata a conoscenza della Società (3 agosto 2017), la stessa aveva già erogato prestazioni a carico del SSR per euro 89.964,19 e aveva oramai già organizzato l'attività dei mesi successivi, attraverso le usuali prenotazioni.

Nel periodo gennaio-agosto 2017, pertanto, la ricorrente pur contraendo al massimo l'attività relativa al mese di agosto, ha in buona fede erogato prestazioni per totali euro 93.235,38, confidando nella correttezza della propria condotta e nella circostanza che il pagamento di tali prestazioni non avrebbe potuto essere ragionevolmente posto in dubbio.

La previsione, siccome inserita in un contratto proposto solo ad agosto 2017, appare illogica, irragionevole, gravemente lesiva del principio di affidamento e in palese violazione di elementari canoni di correttezza e buona fede.

Le censure vengono espressamente estese anche alla presupposta delibera regionale n. 23/25.

Gli atti impugnati sono illegittimi, poi, anche nella quantificazione in sé del tetto infra-annuale riportato nell'allegato Y ed erroneamente quantificato nella somma di euro 69.549,00, che è ampiamente inferiore al 75% del tetto annuale.

Il 75% del tetto lordo di euro 108.154,00 corrisponde alla maggior somma di euro 81.115,50 e il 75% del tetto netto di euro 107.072,00, corrisponde a alla maggior somma di euro 80.304,00.

Gli atti impugnati sono, pertanto, illegittimi nella parte in cui hanno previsto la non retribuibilità delle prestazioni erogate nel periodo 1° gennaio 2017-31 agosto 2017, in superamento del tetto di euro 69.549,00.

Gli atti aziendali concretano anche violazione della d.G.r. 23/25 citata.

Essi vorrebbero imporre alla struttura, sin dal 1° gennaio 2017, una programmazione della propria produzione che avrebbe dovuto essere addirittura mensilmente inferiore a 1/12 del futuro tetto di spesa previsto per tale anno, pur individuato solo nell'agosto 2017, e in contraddizione con quanto richiesto, con previsione espressa dell'ATS, per i primi cinque mesi dell'anno.

Ancora sotto altro profilo, la ricorrente contesta la previsione che riserva una quota del tetto netto di spesa, pari a euro 14.340, (pari al 14% dell'intero tetto) a un obbligo di impossibile soddisfazione già al momento della sua comunicazione, giacché l'assegnazione di tale quota del tetto deve intendersi subordinata alla condizione che la struttura, entro la fine dell'anno, abbia garantito la gestione tramite CUP dell'80% del volume di prestazioni erogate, con l'espressa previsione che il tetto così assegnato potrà essere utilizzato esclusivamente per l'erogazione delle suddette prestazioni nel periodo 1° settembre 2017-31 dicembre 2017 (art. 12, comma 2).

A dire della ricorrente, l'illegittimità di tale previsione è evidente, senza necessità di ulteriore esplicazione, se tale obbligo sia inteso all'80% dell'intero tetto.

Non solo, infatti, si imporrebbe all'erogatrice un onere che in nessun modo essa avrebbe potuto prevedere, ma che risulta, comunque, impossibile da soddisfare non avendo l'ATS proceduto ad attivare il servizio (tramite le agende) in misura insufficiente.

Inoltre, la censurata previsione imposta dall'ATS risulta in contrasto con lo schema di contratto approvato dalla d.G.r. n. 23/25 del 9 maggio 2017 che, ai sensi dell'art. 8 della l.r. 10/2006, essa avrebbe dovuto utilizzare. In tali schemi non è previsto né l'inserimento a CUP di tutte le prestazioni né il vincolo dell'erogazione di almeno l'80%, ai fini della assegnazione dell'8% del tetto di spesa.

In definitiva, la clausola di cui all'art. 12, comma 2, del contratto è stata arbitrariamente inserita, in violazione di legge e delle previsioni della d.G.r. 23/25.

Infine, il Piano preventivo ATS prevede la quota CUP nella misura dell'8% del tetto di spesa.

Poiché il tetto lordo assegnato alla ricorrente è pari a euro 107.072, la quota CUP ammonterebbe alla minor somma di euro 8.565,76 mentre con evidente errore di calcolo è stata fissata in euro 14.340,00.

A questo punto la ricorrente torna indietro nel proprio argomentare e approfondisce censure già prima esposte.

In quello che numera come punto II.4. ritorna sulla retroattività dei tetti di spesa e riprende argomentazioni già esposte utilizzando la seguente formula:

"in organica trattazione delle censure già anticipate nei punti che precedono, deve essere rilevata l'illegittimità e l'ingiustizia, nella vicenda che occupa della determinazione tardiva e retroattiva del tetto di spesa".

Provvede quindi a formulare altre censure, in sostanza già formulate, ma amplia le argomentazioni.

Al punto II.4.1. afferma quanto segue con riferimento alla determinazione retroattiva del tetto annuale.

Alla data di comunicazione del tetto di spesa per il 2017, la ricorrente aveva pressoché già esaurito il budget che solo tardivamente è stato ad essa attribuito per le sue attività.

Illegittimamente i provvedimenti impugnati impongono un'applicazione retroattiva del tetto, senza considerare l'affidamento della ricorrente medesima e, in particolare, il suo interesse a poter programmare l'erogazione delle prestazioni.

La ricorrente non poteva non confidare, sino alla comunicazione del tetto, nel mantenimento del medesimo tetto di spesa 2016, che risultava perfettamente adeguato al fabbisogno regionale, come confermato dalla stessa d.G.r. 23/25.

La ricorrente argomenta ancora con ampi svolgimenti sempre soffermandosi però su concetti già espressi.

Illustrate le doglianze della ricorrente si può procedere al loro esame.

Va preliminarmente precisato che ATS ha depositato in data 19 gennaio 2018 la determinazione n. 1645 del 19 dicembre 2017 in cui si legge testualmente:

"che a seguito della rivalutazione del tetto in esecuzione dell'ordinanza TAR, risulta corretto assegnare alla struttura un Tetto Lordo pari a Euro 121.619,07 in luogo di Euro 108.154,37 e un Tetto Netto pari a Euro 120.402,81 in luogo di Euro 107.072,00, rispetto a quanto assegnato con il contratto 2017 (Determinazione ASSL Cagliari n. 846 del 16/10/2017);

RITENUTO necessario ed urgente dover ottemperare all'ordinanza del TAR n. 390/2017, riservandosi di recuperare le somme così corrisposte in caso di rigetto nel merito del predetto ricorso;

PROPONE L'ADOZIONE DELLA DETERMINAZIONE

1. Di rideterminare, in adempimento dell'ordinanza del TAR Sardegna n. 390/2017, il tetto di spesa assegnato, per l'anno 2017, alla struttura "Studio Radiologico Santa Maria Chiara del Dr. Giulio Pirastu S.r.l.", per la Branca di Radiologia - Codice Regionale 200164 - P. IVA 01333320925 - disponendo l'assegnazione di un importo complessivo pari a Euro 120.402,81 quale Tetto netto ed Euro 121.619,07 quale Tetto lordo, in luogo, rispettivamente, di Euro 108.154,37 ed Euro 107.072,00, assegnati con il contratto 2017 (Determinazione ASSL Cagliari n. 846 del 16/10/2017);

2. Di disporre che l'integrazione dell'importo del tetto avverrà automaticamente per effetto della presente determina, senza necessità di procedere alla stipulazione di un nuovo contratto;

3. Di dare atto che l'ATS Sardegna si riserva di recuperare le somme eventualmente corrisposte in caso di rigetto del ricorso TAR n° 790/2017;

4. Di disporre che il rapporto tra i contraenti, salvo nella parte relativa alla quantificazione del tetto di spesa assegnato, continuerà ad esser regolato secondo le disposizioni contenute nel contratto approvato con Determinazione ASSL Cagliari n. 846 del 16/10/2017 (...)".

Stante il tenore del provvedimento depositato è evidente sussistere tuttora l'interesse alla pronuncia nel merito del ricorso anche sotto questo profilo.

Si deve in proposito richiamare l'orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale la declaratoria, con sentenza di merito, di cessazione della materia del contendere ai sensi dell'art. 34, comma 5, del codice del processo amministrativo, va fatta solo quando la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta nel corso del giudizio, come nell'ipotesi in cui siano sopravvenuti fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestata la reale sparizione dell'interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito; è quindi decisivo che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed irretrattabile il diritto o l'interesse legittimo esercitato, così da non residuare alcuna utilità alla pronuncia di merito (cfr., da ultimo, T.a.r. Lazio, Roma, sez. III, 13 gennaio 2017, n. 546 e T.a.r. Lazio, Roma, sez. II-ter, n. 9736 del 2016).

In tale quadro, la pronuncia di cessazione della materia del contendere deve scaturire da un'indagine rigorosa che induca il Giudice a un convincimento sicuro circa il sopravvenuto pieno soddisfacimento della pretesa perseguita dal ricorrente (così C.d.S., sez. VI, sent. n. 2839 del 2016).

Tale indagine si impone qualora, come nella specie, si alleghi che tale soddisfacimento sia derivato da un successivo provvedimento dell'amministrazione adottato, in modo esplicito, a seguito di un'ordinanza cautelare propulsiva adottata dal Giudice amministrativo.

Va allora precisato che la cessazione della materia del contendere si determina solo allorché risulti, in modo incontrovertibile, che l'amministrazione abbia inteso spontaneamente e definitivamente adeguarsi al dictum giudiziale (fra le tante, da ultimo, C.d.S., Sez. V, sent. n. 3539 del 2016).

Come è stato di recente efficacemente precisato (in questo senso la già citata sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sez. III, 13 gennaio 2017, n. 546 e T.a.r. Sicilia, Catania, sez. II, sent. n. 2539 del 2016), occorre distinguere due diverse ipotesi:

a) se il giudice sospende in sede cautelare gli effetti di un provvedimento e l'amministrazione vi si adegua, con l'adozione di un atto consequenziale al contenuto dell'ordinanza cautelare, non si ha improcedibilità del ricorso, né cessazione della materia del contendere (se l'atto, rispettivamente, sia sfavorevole o favorevole al ricorrente), giacché l'adozione non spontanea dell'atto con cui si è dato esecuzione alla sospensiva non produce la revoca del precedente provvedimento impugnato ed ha una rilevanza solo provvisoria, in attesa cioè che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo (sul punto cfr. anche C.d.S., sez. III, sent. n. 5871 del 2013; T.a.r. Campania, Napoli, sez. I, n. 4909 del 2013);

b) se, invece, a seguito dell'ordinanza cautelare di sospensione, l'amministrazione effettui una nuova valutazione ed adotti un atto espressione di una nuova volontà di provvedere, che costituisca, cioè, un nuovo giudizio, autonomo ed indipendente dall'esecuzione della pronuncia cautelare, allora il ricorso nei confronti del precedente provvedimento gravato diventa improcedibile, ovvero si ha cessazione della materia del contendere laddove si tratti di un atto con contenuto del tutto satisfattivo della pretesa azionata dal ricorrente (cfr. anche T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, n. 12554 del 2007).

Nel caso di specie, alla luce di queste coordinate generali, deve concludersi nel senso che, il provvedimento sopravvenuto, esplicitamente rivela una volontà dell'amministrazione di ottemperare alla disposta misura cautelare e non di procedere a una riedizione autonoma del potere.

Il nuovo provvedimento adottato, quindi, non è idoneo a regolare in via definitiva l'assetto dei rapporti tra la ricorrente e l'amministrazione, trattandosi di atto espressamente emanato in semplice ottemperanza dell'ordinanza (propulsiva) di accoglimento dell'istanza cautelare e senza una nuova ed autonoma valutazione dell'affare da parte dell'amministrazione.

In altre parole, manca quella volontà, che doveva essere espressa, di regolare definitivamente l'assetto degli interessi sotteso alla vicenda in esame. Non si è determinata, quindi, alcuna cessazione della materia del contendere sul ricorso introduttivo che deve essere scrutinato nel merito.

Nel merito il ricorso è fondato limitatamente all'aspetto per cui già nella sede cautelare si era rilevato un errore di calcolo che l'amministrazione ha già emendato in esecuzione dell'ordinanza n. 390/2017.

Non è superfluo rilevare che la stessa amministrazione, nella memoria di costituzione afferma che "i calcoli forniti dal ricorrente in ordine al tetto che lo stesso avrebbe avuto nel corso del 2016 se fosse stato possibile stipulare il contratto per l'intera annualità sono corretti".

La questione sul punto è pacifica e non occorre indugiare ulteriormente.

Le altre censure dedotte avverso gli atti impugnati sono invece infondate.

Le questioni possono essere sintetizzate nei seguenti punti.

1) Sull'art. 6, comma 3, del contratto.

Il limite percentuale di erogazione alla data del 31 agosto sostituisce una previsione già esistente nei contratti degli anni precedenti.

La previsione appare del tutto ragionevole.

La ratio non è altro che quella di garantire che le attività vengano svolte con regolarità per l'intero anno evitando che l'esaurimento del budget possa determinare un calo dell'offerta di prestazioni.

Il meccanismo che la clausola vuole evitare è del tutto comprensibile. Si tratta di evitare i lunghi tempi di attesa che, in conseguenza di una erogazione non continua e regolare, si creano presso le strutture pubbliche.

La difesa della Regione fa correttamente osservare che, nel calcolo dei mesi di erogazione da computare al fine del raggiungimento della percentuale del 75%, deve essere decurtato il periodo di chiusura estivo.

Il Collegio ritiene ancora di precisare quanto segue.

È il caso di svolgere alcune considerazioni di carattere generale. Esse saranno utili sia per concludere l'esame della censura sia per fare chiarezza su alcune questioni di fondo toccate dal ricorso.

I tetti di spesa in materia sanitaria, la determinazione delle soglie di premialità e relativi benefici, rappresentano una scelta discrezionale della pubblica amministrazione, con le necessarie limitazioni in ordine al sindacato dell'autorità giudiziaria. Sul punto la giurisprudenza è talmente consolidata da non lasciare spazio ad alcun dubbio (tra le tante, C.d.S., n. 1244 del 2016, T.a.r. Calabria, Catanzaro sez. I, 7 luglio 2017, n. 1056).

Le scelte operate dall'amministrazione sono sindacabili dall'autorità giudiziaria, solo nei limiti in cui esse risultino illogiche o irrazionali, cosa che nel caso qui esaminato non emerge minimamente. Va ribadito che l'osservanza del tetto di spesa in materia sanitaria rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale può erogare e può quindi permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato.

La ragione dell'ampia discrezionalità di cui è connotato il potere dell'amministrazione sta nell'esigenza di bilanciare interessi diversi e per certi versi contrapposti, ovvero l'interesse pubblico al contenimento della spesa, il diritto degli assistiti alla fruizione di adeguate prestazioni sanitarie, le aspettative degli operatori privati che si muovono secondo una legittima logica imprenditoriale e l'assicurazione della massima efficienza delle strutture pubbliche che garantiscono l'assistenza sanitaria a tutta la popolazione secondo i caratteri tipici di un sistema universalistico.

Il perseguimento degli interessi collettivi e pubblici compresenti nella materia non può restare subordinato e condizionato agli interessi privati i quali, per quanto meritevoli di tutela, risultano cedevoli.

Ne deriva che gli aspetti quantitativi e la ripartizione delle risorse, relativi alle determinazioni adottate in applicazione dei piani di rientro, non sono negoziabili dalle parti, ma sono imposte in via autoritativa, come ha riconosciuto una univoca e oramai costante giurisprudenza del Consiglio di Stato in applicazione dei principi sanciti dalla Corte costituzionale.

Ulteriore conseguenza è che il giudizio sulla ragionevolezza e la logicità delle scelte operate deve tener conto della complessità dei provvedimenti adottati diretti a graduare interventi di risparmio in presenza di risorse già limitate e attraverso il bilanciamento e la ponderazione tra diversi tipi di interessi e prestazioni eterogenee, nonché attraverso la considerazione delle alternative realistiche che si presentano. È evidente che, fuori dai vincoli relativi ai livelli essenziali e ad oggettivi criteri di logicità, ragionevolezza, economicità e di appropriatezza, quest'ordine di scelte comporta per sua natura una sfera di discrezionalità particolarmente ampia. Perciò, il giudice deve limitarsi a valutare se sussistono profili di evidente illogicità, di contraddittorietà, di ingiustizia manifesta, di arbitrarietà o di irragionevolezza della determinazione e dei modi di adozione della stessa.

Nel caso che qui occupa il Collegio non è dato rinvenire alcuna illogicità, lo si ribadisce.

2) Sulla retroattività dei tetti di spesa.

La posizione espressa in maniera consolidata dalla giurisprudenza e da cui questo Collegio non intende discostarsi, è nel senso che "la fissazione dei tetti di spesa in una fase avanzata dell'anno deve intendersi fisiologica, non potendo prescindere dalla conoscenza del dato finanziario di riferimento; la determinazione retroattiva del budget, come affermato dall'Adunanza Plenaria nella sentenza n. 3 del 2012, non vale, di per sé, a inficiare la legittimità dell'assegnazione del limite di spesa sopravvenuta nel corso dell'anno" (C.d.S., sez. III, 19 dicembre 2016, n. 5371; T.a.r. Sardegna, 3 marzo 2017, n. 159).

Per un verso, la quantificazione delle somme da assegnare postula l'acquisizione di complessi elementi istruttori ad essa funzionali nonché l'elaborazione dei criteri programmatici e l'assegnazione dei budget da parte della Regione, fattori tutti che necessariamente comportano uno slittamento dei tempi di definizione della vicenda.

Per altro verso, deve rilevarsi come ATS non possa ritenersi vincolata a confermare gli importi assegnati negli anni precedenti, potendo viceversa modificarli in ossequio ai criteri programmatici espressi dalla Regione e coerentemente a quanto emerso dalle risultanze istruttorie.

3) Sul cup web.

Occorre precisare le coordinate entro le quali le clausole contrattuali devono essere interpretate.

Va intanto effettuata una premessa.

Le argomentazioni svolte alle pagine 4 e 5 della memoria di costituzione di ATS, se non decisive per giudicare infondato il motivo di ricorso, sono utili perlomeno a comprendere il contesto fattuale in cui ci si muove.

È difatti lampante che l'inserimento nel cup web delle prestazioni sanitarie offerte anche dai soggetti privati accreditati ha una precisa ed essenziale funzione.

L'obiettivo che si vuole raggiungere è quello (di rilevante interesse pubblico) della totale tracciabilità delle prestazioni e dell'abbattimento delle liste d'attesa.

Non è questione di dettaglio il fatto che il cittadino venga messo nelle condizioni di poter scegliere se ricorrere ad una struttura pubblica o a una privata.

Un'altra puntualizzazione.

La d.G.r. 23/25 del 9 maggio 2017 ha determinato i tetti di spesa per l'acquisto di prestazioni dalle strutture private accreditate per l'anno 2017, approvando i relativi schemi contrattuali.

Nella citata d.G.r. veniva previsto che il tetto aziendale "(...) dovrà essere ripartito nella misura dell'80% sulla base dei criteri riportati nei punti 1, 2, 3 di cui alle seguenti linee di indirizzo generali, mentre il restante 20% dovrà essere ripartito sulla base di ulteriori criteri preventivamente individuati dal d.g. della ATS attraverso un percorso informativo che veda coinvolte le OO.SS./Ass.ni maggiormente rappresentative per ciascuna delle macroaree (...)".

Su questo aspetto, portato all'attenzione di questo T.a.r. in altri contenziosi aventi ad oggetto la d.G.r. 23/25, si deve osservare quanto segue.

L'art. 2, comma 1, lett. a), della l.r. 17/2016 recita:

"1. L'ATS, sulla base degli atti di indirizzo deliberati dalla Giunta regionale e delle direttive dell'Assessorato competente in materia di sanità, svolge le funzioni di:

a) programmazione aziendale e gestione complessiva dell'erogazione dei servizi sanitari e socio-sanitari".

In questo contesto, la citata d.G.r. ha graduato i criteri di ripartizione del tetto di spesa stabilendo una percentuale (20%) in cui riservare all'ATS un margine di discrezionalità.

Si tratta di un sistema perfettamente in linea con la l.r. 17/2016.

ATS doveva obbligatoriamente provvedere alla determinazione dei criteri di ripartizione della quota del 20% del tetto e in tal senso ha proceduto.

È ancora importante rilevare che:

a) il criterio è stato inserito in un contesto che prevede che l'ATS debba garantire, nella fase della contrattazione, il contraddittorio con le strutture eroganti;

b) l'art. 4, comma 5, lett. a), della l.r. 17/2016 prevede che "Le aree socio-sanitarie locali svolgono, in particolare, le seguenti funzioni:

a) coordinano, in base agli indirizzi strategici aziendali, la programmazione territoriale, mediante analisi dei bisogni e definizione dei volumi di attività, e gli obiettivi assistenziali relativi al territorio di riferimento, nel limite delle risorse assegnate dall'ATS per i diversi livelli e sub livelli assistenziali".

E qui occorre ancora riprendere le difese di ATS che sul punto colgono pienamente nel segno.

L'art. 9 dello schema tipo di contratto, ad avviso del Collegio, non risulta illegittimamente modificato dal PPA 2017.

Il PPA ha collegato la premialità dell'8% del tetto assegnato all'utilizzo da parte degli accreditati del canale cup web.

Si è trattato di una scelta.

Posto che il sistema congegnato dalla d.G.r. è legittimo, segue che la scelta del criterio cui ancorare la premialità avrebbe potuto considerarsi illegittima solo se manifestamente irrazionale.

Ma così non è.

La gestione delle liste di attesa rappresenta l'obiettivo strategico e tale è stato considerato per i direttori generali per l'anno 2017.

Al Direttore Generale dell'ATS è stato legittimamente assegnato un potere e legittimamente tale potere è stato esercitato.

Ferma la clausola di cui all'art. 9, quindi, ATS ha ancorato l'assegnazione di porzione del tetto alla gestione tramite CUP dell'80% del volume delle prestazioni erogate.

Alle strutture è stata lasciata la possibilità di non provvedere in tal senso, con l'unica conseguenza di non poter fruire della premialità connessa.

Ma analizziamo da vicino la parte più rilevante dell'art. 9 che, per quanto qui interessa, così recita:

"... La gestione dell'erogazione delle prestazioni di cui ai punti a), b) e c) viene effettuata dalla Struttura attraverso la piattaforma cup web, salvo che il mancato utilizzo sia imputabile al mancato funzionamento del Sistema Informativo Regionale".

Non c'è necessità di accogliere il motivo di ricorso poiché la corretta interpretazione delle clausole del contratto garantisce perfettamente la ricorrente.

Chiariamo meglio.

Intanto va ricordato che nella interpretazione di un contratto, in applicazione del criterio previsto dall'art. 1363 c.c., occorre procedere al coordinamento delle varie clausole anche quando il senso letterale di una di esse non sia equivoco, posto che tale espressione, con il fondamentale criterio ermeneutico ad esso ispirato, va riferita all'intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, senza limitazione ad una parte soltanto, qual è la singola clausola.

Con la regola codificata nell'art. 1363, è stato introdotto nel nostro ordinamento il cosiddetto canone della totalità. Dai singoli elementi di cui il contratto è formato si ricava il senso del tutto e, nel medesimo tempo, si dovrebbe intendere il singolo elemento in funzione del tutto di cui è parte integrante.

La corretta interpretazione sia della clausola contenuta nell'art. 9 sia del complesso del contratto garantisce pienamente la ricorrente che non trarrebbe alcuna utilità dall'annullamento delle clausole contrattuali che contesta.

Esse sono perfettamente legittime se correttamente interpretate e applicate.

È appena il caso di ricordare che l'amministrazione è tenuta ad applicare il criterio di buona fede nell'interpretazione del contratto.

E, data la chiarezza del testo contrattuale, non ve ne sarebbe alcun bisogno.

Difatti, il criterio della interpretazione secondo buona fede costituisce regola ermeneutica sussidiaria, alla quale è consentito ricorrere soltanto quando non sia possibile individuare il senso delle clausole e la volontà effettiva delle parti alla stregua delle regole interpretative dettate dagli articoli precedenti al 1366 c.c.

Va ancora osservato, in ordine al dato numerico, che il PPA evidenzia che la quota assegnata in caso di utilizzo del canale telematico non vada calcolata nella misura dell'8% del tetto assegnato alla singola struttura, ma quantificata sull'intera somma assegnata alla specialistica ambulatoriale e poi ripartita tra le strutture proporzionalmente al tetto a ciascuna assegnato.

I tetti assegnati all'interno della macroarea sono stati ripartiti come segue:

- l'80% secondo i criteri di cui alla d.G.r. 23/25;

- il restante 20% suddiviso per l'inserimento a CUP (8%) e come fattore di correzione per il riequilibrio del sistema (12%).

Il parametro di riferimento per il calcolo dell'8% è il tetto di spesa aziendale assegnato alla specialistica ambulatoriale poi ripartito tra le strutture in base al tetto a ciascuna assegnato.

Il ricorso è, in definitiva, fondato solo sul primo motivo.

Le spese, stante la complessità e la particolarità delle questioni sottoposte al Collegio, possono essere compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, come da motivazione, con conseguente annullamento della proposta di contratto nella sola parte in cui è stato determinato il tetto di spesa.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.