Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 19 gennaio 2018, n. 9093
Presidente: Fidelbo - Estensore: De Amicis
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 febbraio 2017 il G.u.p. presso il Tribunale di L'Aquila ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Si. Giuseppe e Si. Riccardo in ordine al reato di calunnia loro in concorso ascritto, perché il fatto non costituisce reato.
Si contestava agli imputati, nelle loro rispettive qualità di titolare e coadiuvante familiare di un ristorante in Porto San Giorgio, di avere ingiustamente accusato il Procuratore della Repubblica di Fermo, dott. Domenico Se., di essere il responsabile degli innumerevoli controlli ispettivi ed investigativi da loro subiti nell'esercizio dell'attività di ristorazione svolta nel corso del 2014: controlli attivati in modo strumentale e ritorsivo, per il fatto di essere stato negato al predetto magistrato un trattamento di favore da lui richiesto presso il loro esercizio.
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di L'Aquila, che ha dedotto due motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione della regola di giudizio posta dall'art. 425 c.p.p., sul rilievo che la decisione impugnata si è pronunziata solo sul merito dell'imputazione, senza porsi il problema dei possibili esiti del dibattimento rispetto alla modificabilità del quadro probatorio delineato in occasione dell'udienza preliminare.
Si sottolinea, al riguardo, che l'esistenza di un quadro probatorio non univoco, per la incoerenza degli elementi che lo compongono ovvero per la loro incompletezza, non può giustificare la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere.
2.2. Con il secondo motivo di doglianza, inoltre, si deducono vizi della motivazione in ragione dell'evidente contrasto fra la ritenuta esclusione del dolo nel comportamento degli imputati e il contenuto della richiesta di archiviazione del 18 giugno 2015 e del pedissequo decreto adottato dal G.i.p. presso il Tribunale di L'Aquila, con riferimento all'esito del procedimento penale scaturito nei confronti della persona offesa a seguito delle, non riscontrate, denunce orali rese dai due imputati il 16 ed il 17 febbraio 2015, ossia ad una rilevante distanza temporale sia da un sopralluogo operato dai Carabinieri, che da una cena cui il predetto Magistrato avrebbe preso parte come avventore presso il loro locale, in quanto asseritamente avvenuti, entrambi, nel dicembre del 2013.
Nella motivazione del provvedimento di archiviazione, infatti, si dava conto, riguardo all'origine dei controlli avvenuti nel corso del 2014 presso il ristorante degli imputati, dell'assenza di elementi indiziari idonei a ritenere che le deleghe investigative da parte del Procuratore di Fermo fossero state conferite in conseguenza di una volontà punitiva determinata da un suo personale risentimento nei confronti dei denuncianti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate.
2. Ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, secondo l'insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 6765 del 24 gennaio 2014, Luchi, Rv. 258806), il G.u.p. deve, in presenza di fonti di prova che si prestano ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni valutative, limitarsi a verificare se tale situazione possa essere superata attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento, senza operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta fase, al suo giudice naturale.
A tale proposito, la Corte costituzionale ha più volte affermato che le modifiche apportate alla disciplina dell'udienza preliminare non ne hanno modificato la funzione ad essa assegnata nel disegno del codice, nella quale "l'apprezzamento del giudice non si sviluppa... secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare... se risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento" (sentenze n. 82 del 1993, n. 71 del 1996 e n. 51 del 1997; ordinanza n. 185 del 2001): la funzione dell'udienza preliminare, quindi, resta pur sempre quella di verificare l'esistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di giudizio formulata dal P.M.
Le Sezioni unite di questa Suprema Corte (Sez. un., n. 39915 del 30 ottobre 2002, Vottari, in motivazione) hanno inoltre sottolineato che l'obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell'orizzonte prospettico del Giudice rispetto all'epilogo decisionale, attraverso il ricorso agli strumenti di integrazione probatoria previsti dagli artt. 421-bis e 422 c.p.p., non attribuisce allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell'imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato disposto dell'art. 425, comma 3, "è sempre e comunque diretta a determinare, all'esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell'accusa in giudizio e, con essa, l'effettiva, potenziale, utilità del dibattimento".
Non è ovviamente irrilevante il fatto che, in sede di udienza preliminare, emergono prove che, in dibattimento, potrebbero ragionevolmente condurre all'assoluzione dell'imputato, ma il proscioglimento deve essere, dal Giudice dell'udienza preliminare, pronunziato solo se ed in quanto questa situazione di innocenza sia ritenuta non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuove prove o da una diversa e possibile rivalutazione degli elementi di prova già acquisiti (Sez. 4, n. 43483 del 6 ottobre 2009, Pontessilli, Rv. 245464): il quadro probatorio e valutativo delineatosi in sede di udienza preliminare, dunque, deve essere ragionevolmente ritenuto immutabile.
Ne discende: a) che il giudice dell'udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione; b) che l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi, che legittimano la pronunzia della sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 425, comma 3, c.p.p., devono avere caratteristiche tali da non poter essere considerate ragionevolmente superabili in sede di giudizio.
In definitiva, salva l'ipotesi in cui ci si trovi dinanzi ad un complesso di elementi palesemente insufficienti a sostenere l'accusa in giudizio, per l'esistenza di prove positive di innocenza o per la manifesta inconsistenza di quelle di colpevolezza, la sentenza di non luogo a procedere non è consentita quando l'insufficienza o la contraddittorietà degli elementi acquisiti siano superabili in dibattimento (Sez. 6, n. 10849 del 12 gennaio 2012, Petramala, Rv. 252280; Sez. 6, n. 5049 del 27 novembre 2012, dep. 2013, Cappello, Rv. 254241), ovvero in tutti i casi in cui gli elementi acquisiti a carico si prestino a letture alternative o aperte, o comunque ad essere diversamente valutati in dibattimento, anche alla luce delle future acquisizioni probatorie (Sez. 2, n. 46145 del 5 novembre 2015, Caputo, Rv. 265246).
3. Del quadro di principi or ora illustrati la decisione impugnata non ha fatto buon governo, in quanto l'apprezzamento delle questioni di merito si è sviluppato essenzialmente attraverso la valorizzazione di un canone di innocenza, trascurando la fondamentale prospettiva incentrata sull'esigenza di delibare il profilo della necessità, o meno, di dare ingresso all'acquisizione delle ulteriori progressioni cognitive proprie della successiva fase dibattimentale.
3.1. Con riferimento a ciascuno dei punti critici oggetto delle ragioni di doglianza dal ricorrente prospettate il percorso argomentativo seguito nell'impugnata pronunzia ha offerto risposte incomplete e parziali, erroneamente anticipando un giudizio assolutorio i cui presupposti e criteri - tipicamente riferibili ad una diversa fase processuale - si fondano su una valutazione di emergenze probatorie il cui reale significato dovrebbe essere acquisito nella pienezza del contraddittorio, all'esito di un apprezzamento, analitico e globale, delle correlative fonti e vicende storico-fattuali.
La pronuncia di non luogo a procedere, infatti, deve essere esclusa ogni qual volta ci si trovi in presenza di fonti di prova che si prestano, come avvenuto nel caso in esame, ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni suscettibili di futuri sviluppi, e dunque processualmente "aperte", con la conseguenza che il giudizio di innocenza deve rispondere non già ad una valutazione di merito, e nel merito del procedimento, ma a finalità di tipo processuale correlate alla prevedibile impossibilità di un diverso esito della fase dibattimentale rispetto a quella pre-processuale.
È, insomma, il criterio della inutilità o superfluità del dibattimento a guidare l'esercizio dei poteri decisori del G.U.P. e non il criterio della valutazione - di tipo sostanziale e propria della fase del merito - circa l'innocenza o la colpevolezza della persona accusata. In caso contrario, invero, si rischierebbe di violare la regola del giudice naturale precostituito per legge e della individuazione della sede, altrettanto naturale, in cui tale giudizio deve essere espresso, finendo, in ultima analisi, con il pregiudicare l'intera legalità dell'accertamento.
La valutazione della prova, infatti, nella misura in cui avvenga in maniera esorbitante dai limiti propri dell'udienza preliminare, viene sottratta al giudice naturale (ossia al giudice del dibattimento), che è il solo deputato ad operare valutazioni decisorie nell'ambito di una dialettica dibattimentale formatasi attraverso il contraddittorio e nel rispetto di una evoluzione del processo che tenga conto dell'esigenza di formazione progressiva della prova: espandendo a dismisura i propri poteri decisori, il G.U.P. agisce, di fatto, al di fuori dei limiti giurisdizionali, finendo con il comprimere non solo il diritto alla prova da parte del P.M., ma anche i diritti della difesa e delle eventuali altre parti processuali, in quanto si arroga prerogative che non gli competono, svincolate come sono dalla prospettiva della utilità dibattimentale (v., in motivazione, Sez. 3, n. 39401 del 21 marzo 2013, Narducci, Rv. 256848; Sez. 2, n. 15942 del 7 aprile 2016, I., Rv. 266443).
3.2. Orbene, sui diversi nodi problematici evidenziati nel ricorso, tutt'altro che marginali o secondari nel complessivo apprezzamento della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, la motivazione della sentenza impugnata risulta obiettivamente carente e sommariamente argomentata nella prospettiva della formulazione del necessario giudizio prognostico che deve qualificare l'esercizio dei correlativi poteri decisori da parte del G.u.p.
Non vengono affrontate, in particolare, le implicazioni logicamente sottese alla necessaria ricostruzione dell'origine e degli esiti dei controlli di volta in volta attivati, anche da parte di altre Autorità, sull'esercizio commerciale degli imputati, tenuto conto del fatto che nella richiesta di archiviazione formulata dal P.M., e pienamente condivisa dal G.i.p. presso il Tribunale di L'Aquila con decreto in data 16 luglio 2015, si poneva in evidenza: a) che nessun elemento di prova aveva consentito di ravvisare la presenza di una volontà "punitiva" nel conferimento della delega da parte dell'odierna persona offesa, a seguito di "indimostrati risentimenti nei confronti dei denuncianti"; b) che alcuni dei controlli rientravano in una serie di operazioni periodicamente disposte da parte delle rispettive amministrazioni.
Nella stessa sentenza impugnata, peraltro, si dà atto che la visita che la scorta del magistrato avrebbe effettuato presso il ristorante degli imputati al fine di verificarne l'idoneità ed il rapporto qualità-prezzo era riconducibile, secondo quanto affermato da uno dei testimoni, ad una iniziativa personale assunta all'insaputa del Procuratore della Repubblica.
Vengono altresì illogicamente prospettati, sulla base di valutazioni del tutto apodittiche, dubbi circa la rilevanza probatoria e l'attendibilità delle dichiarazioni rese al difensore della parte civile da una persona informata dei fatti, la quale avrebbe smentito circostanze non palesemente ininfluenti, ossia l'esistenza stessa delle doglianze che il predetto magistrato le avrebbe a suo tempo manifestato in merito all'incongruo trattamento ricevuto - quanto al prezzo - presso il ristorante gestito dagli imputati, ed il cui contenuto la teste avrebbe poi riferito alla moglie di uno dei Si.: circostanze di fatto, queste, il cui completo e specifico apprezzamento ben avrebbe potuto essere oggetto, se ritenuto utile al caso, di un'integrazione istruttoria disposta dallo stesso G.u.p. ex art. 421 c.p.p., ovvero di un successivo approfondimento svolto in sede dibattimentale attraverso un eventuale confronto con le dichiarazioni di altri testimoni.
4. Ne discende l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con la conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di L'Aquila per un nuovo giudizio che, nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, elimini i vizi rilevati e si uniformi ai principii di diritto enunciati da questa Suprema Corte.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di L'Aquila.
Depositata il 28 febbraio 2018.