Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 26 ottobre 2017, n. 8997
Presidente: Pezzullo - Estensore: Scotti
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 novembre 2015 la Corte di appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vasto del 1° aprile 2014, ha riconosciuto Antonio C. colpevole dei reati a lui ascritti per i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta preferenziale e, diversamente qualificata l'imputazione di bancarotta fraudolenta documentale a norma dell'art. 217 l.f., lo ha condannato alla pena di anni due di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata, con cui l'imputato era stato dichiarato inabilitato, per la durata di anni dieci, all'esercizio di un'impresa commerciale, incapace, per la medesima durata, ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ed interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Antonio C. è stato altresì condannato al risarcimento dei danni alla parte civile e alla refusione delle spese del grado da essa sostenute.
L'imputato era stato riconosciuto colpevole dei reati di cui all'art. 216, comma 1 e 3, e 217, comma 2, l.f., per avere, in qualità di amministratore pro tempore della società Il Quadrifoglio s.r.l., dichiarata fallita in data 17 marzo 2006, tenuto in modo irregolare le scritture contabili ed occultato il libro soci, i verbali delle assemblee ed il libro dell'amministratore unico, nonché per aver distratto merce in rimanenza per un valore di Euro 14.000,00 e per aver effettuato pagamenti preferenziali in favore di creditori chirografari, pur essendo accertata la presenza di creditori privilegiati.
2. Ha proposto ricorso nell'interesse dell'imputato il difensore di fiducia, avv. Giovanni Cerella, con il supporto di cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale e dell'elemento soggettivo richiesti ai fini del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.
La difesa invoca i principi della sentenza di questa Sezione n. 47502 del 2012, c.d. «Corvetta», osservando che l'indirizzo giurisprudenziale ivi affermato impone una verifica circa la rappresentazione e volizione del dissesto al momento dell'adozione della condotta: questione che la Corte d'appello di L'Aquila aveva ignorato, a dispetto dei motivi di gravame sviluppati sul punto, non considerando il fatto che le distrazioni, gli occultamenti di beni e i pagamenti (erroneamente ritenuti al fine di favorire solo alcuni creditori) erano stati effettuati nell'intento esclusivo di salvare l'azienda e di risanare la posizione debitoria della propria attività.
Inoltre, il C. non avrebbe potuto essere ritenuto autore di un comportamento capace di cagionare il dissesto della società, non essendo stato provato un rapporto causale tra la condotta dell'agente e il fallimento che, in virtù dei principi di diritto enunciati nella sentenza c.d. «Corvetta», è doveroso individuare per affermare la responsabilità per il reato in esame.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., perché la Corte territoriale aveva omesso di dichiarare estinto il reato di bancarotta preferenziale per intervenuta prescrizione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 219, ultimo comma, l.f.
Il ricorrente fa presente che i Giudici di secondo grado avevano escluso la configurabilità dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità in considerazione dell'entità delle distrazioni e dei pagamenti preferenziali effettuati. Tale valutazione sarebbe errata, atteso che la circostanza in esame deve essere rapportata solo all'entità del danno cagionato ai creditori dal fatto-reato, nel caso di specie indimostrato, e non già alla quantificazione dei debiti societari.
Secondo il ricorrente, inoltre, la motivazione della Corte territoriale era palesemente illogica e contraddittoria, nella misura in cui nell'escludere la sussistenza dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità affermava che «il danno non può essere ritenuto di particolare tenuità» per poi sostenere, subito dopo, che si tratterebbe comunque di «danno non rilevante», tale da giustificare la concessione delle attenuanti generiche.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 163 e 164 c.p., perché la Corte d'Appello di L'Aquila, a fronte di un'esplicita richiesta di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, aveva omesso qualsiasi motivazione sul punto.
Il ricorrente fa presente come, nel caso di specie, sussistessero tutti i presupposti per la configurabilità del beneficio, avendo il C. riportato due soli remoti precedenti penali, peraltro depenalizzati, e altri di modesto spessore sul piano dell'offensività, trattandosi di fattispecie per le quali è prevista la sola multa. Sul punto, la difesa dell'imputato richiama il principio di diritto enunciato nella sentenza delle Sezioni unite penali n. 38344 del 2014, a cui mostra di aderire, secondo il quale "le precedenti condanne relative a fatti non più costituenti reato per abolitio criminis non sono preclusive della concessione del beneficio".
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla l. 241/2006, in quanto la Corte territoriale ha omesso la concessione dell'indulto, senza fornire alcuna motivazione sul punto, sebbene il tempus commissi delicti del reato di bancarotta fraudolenta - coincidente con la data della sentenza dichiarativa di fallimento - risulti anteriore alla data limite per la fruizione del beneficio del 2 maggio 2006, di cui alla l. n. 241/2006.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente richiama i principi di diritto affermati nella sentenza di questa Sezione, n. 47102 del 2012 - c.d. «Corvetta», che esprime una tesi rimasta del tutto isolata nel panorama giurisprudenziale di legittimità, che, partendo dalla corretta qualificazione della dichiarazione di fallimento quale elemento essenziale del reato, giunge ad affermare che la stessa debba porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente ed essere, altresì, sorretta dall'elemento soggettivo del dolo.
Tali conclusioni non possono essere accolte. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è sufficiente la consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (ex plurimis: Sez. 5, n. 33268 dell'8 aprile 2015, Bellocchi, Rv. 26435401; Sez. 5, n. 51715 del 5 novembre 2014, Rebuffo, Rv. 261739; Sez. 5, n. 35093 del 4 giugno 2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 40981 del 15 maggio 2014, Giumelli, Rv. 261367).
Infatti con il reato di bancarotta fraudolenta, propria e impropria, la legge punisce «l'imprenditore che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato» e non già l'imprenditore che ha cagionato il fallimento; si intende infatti reprimere la condotta distrattiva per la sua pericolosità per la tutela del bene giuridico protetto, anche prima dell'intervento del giudice che emette la sentenza di fallimento, a tutela degli interessi della massa dei creditori pregiudicati dall'ingiustificato depauperamento della funzione di garanzia del patrimonio dell'imprenditore o della società. Pertanto la condotta peculiare e connotativa del reato, di mera condotta e di pericolo, di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituita da quei comportamenti descritti nella norma, idonei a porre in pericolo gli interessi dei creditori.
In definitiva, quindi, l'elemento soggettivo del reato va colto nella consapevole volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti suscettibili di arrecare danno ai creditori. Di qui la definizione del dolo generico del reato in termini di consapevolezza e volontà di determinare, con il proprio comportamento distrattivo o dissipativo, un «pericolo di danno per i creditori» non essendo sufficiente la sola consapevolezza e volontà del fatto distrattivo.
Non è quindi necessario che il fuoco della volontà investa anche lo stato di insolvenza e il dissesto economico dell'impresa, essendo sufficiente la consapevolezza che la condotta distrattiva mette a rischio la garanzia patrimoniale apprestata a favore dei creditori (Sez. un., n. 22474 del 31 marzo 2016, Passarelli e altro, Rv. 266805).
Questa Sezione in un più recente arresto ha proposto una diversa costruzione della qualificazione giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento, in tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, considerata come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, e pertanto costituente una condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per sé offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento, di per sé sottratta delle condizioni obiettive di punibilità alla regola della rimproverabilità ex art. 27, comma primo, Cost. (Sez. 5, n. 13910 dell'8 febbraio 2017, Santoro, Rv. 269388).
Ovvero, in altra successiva pronuncia il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è stato configurato come un reato di pericolo concreto, in cui l'atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all'epoca che precede l'apertura della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 17819 del 24 marzo 2017, Palitta, Rv. 269562).
E tuttavia resta comunque escluso che ai fini dell'elemento psicologico del reato la volontà dell'agente debba investire lo stato di insolvenza e il dissesto economico dell'impresa ed è sufficiente la consapevolezza che la condotta distrattiva mette a rischio la garanzia patrimoniale apprestata a favore dei creditori.
Il motivo di ricorso è peraltro del tutto generico, anche nella prospettiva interpretativa caldeggiata: il ricorrente non indica neppure le date delle operazioni contestate, in rapporto alla dichiarazione di fallimento, non illustra le ragioni per le quali al momento delle contestate appropriazioni non sarebbe stato prevedibile il dissesto della società e neppure tratteggia le ragioni in base alle quali le predette appropriazioni non sarebbero state concretamente idonee a ledere la funzione di garanzia dei diritti dei creditori del patrimonio aziendale.
Anzi, contraddittoriamente il ricorrente argomenta, in modo illogico e inverosimile, equiparando le appropriazioni e gli occultamenti di beni ai pagamenti preferenziali, estranei alla contestata bancarotta fraudolenta distrattiva, e assumendo che le distrazioni e gli occultamenti di beni sarebbero stati effettuati nell'intento esclusivo e spasmodico di salvare l'azienda e la posizione debitoria dell'attività.
Il che, da un lato, è del tutto illogico, perché non si vede come appropriare o occultare dei beni possa servire a estinguere, sia pur irregolarmente, delle posizioni debitorie, dall'altro è contraddittorio perché il ricorrente ammette che il C. stava agendo in un contesto operativo già connotato dallo stigma dell'insolvenza o almeno del dissesto, che evidentemente è un quid pluris rispetto alla sufficiente mera consapevolezza di ledere con la propria azione la funzione di garanzia per i creditori del patrimonio dell'impresa.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., perché la Corte territoriale ha omesso di dichiarare estinto il reato di bancarotta preferenziale per intervenuta prescrizione.
La censura è fondata.
Dai verbali delle udienze di primo grado (18 ottobre 2011; 3 aprile 2012; 17 luglio 2012; 27 novembre 2012; 5 luglio 2013; 25 giugno 2013; 3 dicembre 2013; 1° aprile 2014), non risulta esservi stato alcun rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del suo difensore, né astensione del difensore dell'imputato, né alcuna delle altre cause di sospensione indicate all'art. 159 c.p.
Dai verbali di udienza del giudizio di appello risulta un solo rinvio per legittimo impedimento del difensore, per cui l'udienza del 16 settembre 2015 viene rinviata all'udienza del 23 novembre 2015. Poiché la differenza tra le due date è maggiore di sessanta giorni, la prescrizione è rimasta sospesa per sessanta giorni.
Ne consegue, tenuto conto della data di dichiarazione del fallimento (17 marzo 2006), della diversa pena prevista per le varie figure di reato e dei sessanta giorni di sospensione da aggiungersi al conteggio ex art. 161 c.p. che:
- il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ex art. 216, comma 1, l.f. , per cui è prevista pena massima di anni 10, si prescrive ex art. 161 c.p. il 16 novembre 2018, data successiva alla sentenza della Corte d'appello;
- il reato di bancarotta preferenziale ex art. 216, comma 3, l.f., per cui è prevista pena massima di anni 5, con conseguente periodo prescrizionale di anni 6 ex art. 157 c.p., si è prescritto ex art. 161 c.p. il 16 settembre 2013, data anteriore alla sentenza d'appello;
- il reato di bancarotta semplice documentale ex art. 217, comma secondo, l.f. per cui è prevista pena massima di anni 2, con conseguente periodo prescrizionale di anni 6 ex art. 157 c.p., si è prescritto ex art. 161 c.p. il 16 settembre 2013, data anteriore alla sentenza d'appello.
L'estinzione del reato di bancarotta preferenziale, va accompagnata alla dichiarazione d'ufficio, ex art. 129 c.p.p. anche del concorrente reato di bancarotta semplice documentale, al cui riguardo il ricorrente non ha proposto specifico motivo di ricorso.
La sentenza va pertanto annullata senza rinvio, limitatamente a tali due ipotesi di reato senza rideterminazione della pena per la residua ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione, posto che essa è stata determinata in due anni di reclusione per effetto della concessione delle attenuanti generiche e quindi non è ulteriormente riducibile.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 219, ultimo comma, l.f. perché la Corte d'appello si sarebbe contraddetta.
I Giudici di secondo grado avrebbero escluso la configurabilità dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità in considerazione dell'entità delle distrazioni e dei pagamenti preferenziali effettuati, sebbene la circostanza in esame attenga solo all'entità del danno cagionato ai creditori dal fatto-reato e non alla quantificazione dei debiti societari, che, nel caso di specie, non risulta dimostrata.
Secondo il ricorrente, la motivazione della Corte territoriale era palesemente illogica e contraddittoria, nella misura in cui nell'escludere la sussistenza dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità affermava che «il danno non può essere ritenuto di particolare tenuità» per poi sostenere, subito dopo, che si tratterebbe comunque di «danno non rilevante», tale da giustificare la concessione delle attenuanti generiche.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall'art. 219, comma 3, l.f., è configurabile quando il danno arrecato ai creditori è particolarmente tenue o manca del tutto, e la valutazione rimessa al giudice non può limitarsi alla considerazione degli importi delle somme non registrate nelle scritture contabili, ma deve estendersi alle dimensioni dell'impresa, al movimento degli affari, all'ammontare dell'attivo e del passivo, nonché all'incidenza che la condotta illecita ha avuto sul danno derivato alla massa dei creditori (Sez. 5, n. 20695 del 29 gennaio 2016, Chiti, Rv. 267147; Sez. 5, n. 17351 del 2 marzo 2015, Pierini, Rv. 263676).
Il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto di cui all'art. 219, comma terzo, l.f., deve essere posto in relazione alla diminuzione (non percentuale, ma globale) che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti; non è necessario che l'entità dell'attivo sia interamente e dettagliatamente ricostruita, ma è sufficiente, al fine di escludere la circostanza attenuante di cui all'art. 219, comma 3, l.f., la distrazione di beni di rilevante entità, idonea di per sé ad incidere, in misura consistente, sul riparto (Sez. 5, n. 13285 del 18 gennaio 2013, Pastorello, Rv. 255063; Sez. 5, n. 5300 del 16 gennaio 2008, De Biase, Rv. 239118).
Nel caso di specie, non è stata rinvenuta merce per Euro 14.000,00 ed è stata effettuata un'operazione di prelievo dalle casse sociali di Euro 8.546,00, somme che non possono certo essere definite di lieve entità, a cui devono si aggiungono i pagamenti effettuati ai creditori chirografari, nonostante la sussistenza di creditori privilegiati.
La motivazione della sentenza d'appello non è neppure illogica o contraddittoria, come sostiene il ricorrente, poiché la Corte territoriale ai fini della concessione delle attenuanti generiche ha escluso la rilevanza del danno provocato, considerando tale elemento in sinergia con la sopravvenuta esclusione dei presupposti della bancarotta fraudolenta documentale.
Il predicato della speciale tenuità del pregiudizio non contraddice logicamente quello della rilevanza, in una sorta di contrapposizione esaustiva, come sembrerebbe presupporre l'argomentazione del ricorrente, come se tutto ciò che non è «rilevante» debba ritenersi, per ciò solo «specialmente tenue».
Tale affermazione non regge né sul piano logico, perché le connotazioni quantitative espresse dai due aggettivi declinano, in positivo e in negativo, varianti rispetto ad un'ampia fascia di valori medi, né rilevanti, né tenui, né, soprattutto, specialmente tenui, né sul piano giuridico, laddove la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno ex art. 219, comma 3, l.f., si contrappone alla circostanza aggravante dell'art. 219, comma 1.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 163 e 164 c.p., perché la Corte d'Appello di L'Aquila, a fronte di un'esplicita richiesta di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, ha omesso qualsiasi motivazione sul punto.
Il ricorrente tuttavia si era limitato a formulare istanza, del tutto genericamente, di sospensione condizionale della pena nelle conclusioni dell'atto di appello, senza accompagnarla con la deduzione di apposito specifico motivo ex art. 581, lett. c), c.p.p., con la conseguente inammissibilità della richiesta.
Questa Corte ha recentemente ricordato che non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 dell'8 marzo 2017, Galdi, Rv. 270316; nella fattispecie la Corte ha ritenuto inammissibile il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, perché la relativa questione non era stata prospettata in appello, ove il ricorrente si era limitato a dolersi dell'illegittimo diniego all'imputato del beneficio della pena sospesa).
5. La censura proposta con il quinto motivo è inammissibile per carenza di interesse.
La mancata applicazione dell'indulto può costituire valido motivo di ricorso in cassazione solo quando il giudice di merito abbia erroneamente escluso l'applicazione del beneficio e non anche quando abbia semplicemente omesso di pronunciare al riguardo (Sez. 4, n. 1869 del 21 febbraio 2013 - dep. 2014, Leo, Rv. 258174). Infatti quando all'applicazione dell'indulto non abbia provveduto il Giudice della cognizione, procede a norma dell'art. 672 c.p.p. il Giudice dell'esecuzione: conseguentemente il ricorso per Cassazione con il quale si lamenti la mancata applicazione del condono è ammissibile solo quando il Giudice di merito l'abbia erroneamente esclusa, con specifica statuizione nel dispositivo della sentenza (Sez. 2, n. 21977 del 28 aprile 2017, Brancher, Rv. 269800; Sez. 2, n. 710 del 1° ottobre 2013 - dep. 2014, Forin, Rv. 258073; Sez. 3, n. 6593 del 6 aprile 1994, Guglielmetti, Rv. 198065).
6. In conclusione deve essere annullata senza rinvio la sentenza impugnata perché i fatti di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice sono estinti per intervenuta prescrizione; per il resto il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i fatti di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice estinti per intervenuta prescrizione; inammissibile nel resto il ricorso.
Depositata il 27 febbraio 2018.