Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 3 novembre 2017, n. 26147
Presidente: Canzio - Estensore: Giusti
FATTI DI CAUSA
1. Rita P. convenne in giudizio Giovanni L.R. e Dolores P. per sentire dichiarare la simulazione assoluta dell'atto di compravendita intercorso tra costoro in data 2 aprile 2001, relativo ad un appartamento sito in Anagni in via [omissis], ovvero, in subordine, la sua inefficacia ai sensi dell'art. 2901 c.c., nonché la condanna del L.R. alla restituzione della somma di euro 169.508,11, oltre interessi.
A sostegno delle proprie richieste, la P. dedusse di avere erogato al L.R. un prestito in ventidue rate che, tuttavia, non era stato integralmente restituito, come comprovato da una dichiarazione di riconoscimento di debito sottoscritta dal convenuto.
Segnalò che la compravendita dell'appartamento di proprietà del L.R. era stata perfezionata in data 2 aprile 2001, laddove con ricorso depositato in data 9 marzo 2001 ella aveva sollecitato il sequestro conservativo del medesimo immobile.
Si costituì in giudizio la sola P., eccependo la nullità della notifica dell'atto di citazione al L.R. in quanto residente all'estero ovvero, in subordine, la nullità dell'atto di citazione per violazione del termine dilatorio a comparire. La convenuta eccepì inoltre il difetto di giurisdizione del giudice italiano rispetto a quello del Lussemburgo, paese di residenza del L.R. Nel merito, la P. chiese il rigetto delle domande dell'attrice.
Il Tribunale di Frosinone, sezione distaccata di Anagni, con sentenza n. 22/2009 depositata in data 10 ottobre 2009, accolse la domanda di revocatoria ordinaria e, nel contempo, condannò il L.R. al pagamento, in favore della P., dell'importo di euro 169.508,11, oltre interessi legali dal 10 gennaio 2002 fino al soddisfo.
2. La Corte d'appello di Roma, con sentenza in data 30 settembre 2015, ha respinto l'appello principale della P. e l'appello incidentale del L.R., confermando la pronuncia impugnata.
2.1. La Corte territoriale, nel rigettare le eccezioni di nullità sia della notifica dell'atto di citazione in primo grado sia della stessa citazione nei confronti del L.R., ha rilevato che l'atto di citazione fu notificato al L.R. (iscritto all'AIRE solo dal 3 febbraio 2003) in data 2 ottobre 2002 mediante consegna, da parte dell'ufficiale giudiziario, della copia dell'atto a mani proprie del destinatario, avvenuta in Anagni, lungo via [omissis] (dove risulta ubicato l'appartamento della cui compravendita si discute); e ha sottolineato che dalla validità della notifica deriva la regolarità dei termini a comparire, non applicandosi, alla notifica della citazione avvenuta in Italia, il maggior termine a comparire stabilito dall'art. 163-bis c.p.c.
La Corte di Roma ha poi respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, richiamando l'art. 5 della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 21 giugno 1971, n. 804, e rilevando che l'obbligazione di restituzione assunta dal L.R. deve essere eseguita in Italia, qui trovandosi anche l'appartamento dato in garanzia.
Nel merito, la Corte d'appello ha confermato la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria, tanto sotto il profilo della sufficienza della titolarità di un credito sia pure eventuale, litigioso e contestato, quanto in relazione alla scientia damni dell'acquirente, e ha escluso che sia stata raggiunta la prova della compiuta restituzione, da parte del L.R., di quanto ricevuto dalla P.
3. Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello il L.R. ha proposto ricorso, con atto notificato il 17 ed il 18 ottobre 2016, sulla base di quattro motivi.
La P. ha resistito con controricorso, mentre la P. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo (violazione dell'art. 142 c.p.c. in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.) il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte d'appello avrebbe ritenuto valida la notificazione a mani proprie sulla base della disposizione dell'art. 138 c.p.c., senza considerare che tale norma riguarda unicamente le notificazioni nei confronti dei residenti nel territorio dello Stato. Viceversa, nei confronti di persona che non abbia residenza, dimora o domicilio nello Stato, l'art. 142 c.p.c. prevederebbe quale unica e tassativa forma di notificazione la spedizione secondo le modalità ivi contemplate. In punto di fatto, il ricorrente deduce che, a fronte dei dati contenuti nelle iscrizioni all'Anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero (A.I.R.E.) e del contenuto delle dichiarazioni dell'ufficio consolare e della natura meramente informativa di esse, non emergerebbe alcuna dimostrazione circa la residenza in Italia del L.R.; d'altra parte, il mancato recapito della citazione a Bous nel Granducato del Lussemburgo era motivato con un "n'habite/n'existe plus à l'addresse indiquée", ossia con l'indicazione che il L.R. non era più a quell'indirizzo, non che fosse irreperibile, cosicché parte attrice avrebbe dovuto verificare i successivi spostamenti del destinatario, anziché ritenere (erroneamente) che la cancellazione anagrafica da Bous implicasse ipso facto una non meglio precisata residenza in Italia.
1.1. Il motivo è infondato.
Risulta dagli atti di causa - ai quali è possibile accedere, essendo denunciato un vizio in procedendo - che l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado è stato, dall'ufficiale giudiziario addetto all'ufficio notifiche della sezione distaccata di Anagni del Tribunale di Frosinone, notificato il 2 ottobre 2002 al convenuto Giovanni L.R. a mani proprie del medesimo, lungo la via [omissis] ad Anagni.
Essendo stata eseguita a mani proprie del destinatario, la notifica dell'atto introduttivo del giudizio è valida, posto che, secondo la testuale previsione dell'art. 138 c.p.c. («[l]'ufficiale giudiziario esegue la notificazione di regola mediante consegna della copia nelle mani proprie del destinatario ... ovunque lo trovi nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario al quale è addetto»), la notificazione a mani è sempre valida, a prescindere dal fatto che essa non sia avvenuta presso la casa di abitazione anagrafica del destinatario.
Tale principio - già enunciato da questa Corte (Cass., Sez. II, 8 gennaio 2014, n. 142) in fattispecie di notifica avvenuta in Italia, nell'ambito della circoscrizione dell'ufficiale giudiziario procedente, a mani proprie del convenuto cittadino straniero, residente in Svizzera - è tanto più applicabile nella specie, ove si consideri che l'attrice aveva tentato, in precedenza (il 22 maggio 2002), di notificare l'atto di citazione al L.R. presso l'indirizzo di [omissis] a Bous, nel Granducato del Lussemburgo (ove risultava formalmente residente secondo il registro A.I.R.E. del Comune di Anagni), ma tale notifica non era andata a buon fine, avendo l'addetto al recapito certificato la mancata consegna con la motivazione (risultante dalla busta postale allegata all'atto di citazione) "n'habite/n'existe plus à l'addresse indiquée". E che a tale residenza formale a Bous non corrispondesse una residenza effettiva è confermato dagli accertamenti eseguiti - su richiesta dell'attrice - dal Consolato d'Italia nel Granducato del Lussemburgo, dai quali risulta (v. nota del 3 dicembre 2002) che il L.R., cancellato d'ufficio dal Comune lussemburghese per irreperibilità sin dal 4 dicembre 2000, non era iscritto nella anagrafe consolare. Va qui aggiunto, per completezza, che soltanto in data successiva al perfezionamento della notificazione, e con decorrenza dal 3 febbraio 2003, il L.R. risulterà residente all'estero a Schwebsingen (Lussemburgo), in [omissis].
2. Il secondo mezzo lamenta violazione dell'art. 163-bis c.p.c. Sarebbe errato il rigetto della censura riguardante la violazione del termine di comparizione di 120 giorni previsto dall'art. 163-bis c.p.c. Ad avviso del ricorrente, per il residente all'estero l'equivalenza tra il luogo dell'effettiva notificazione in Italia e della residenza nello Stato (con legittimità dell'ordinario termine di comparizione) sussisterebbe solo nell'ipotesi in cui il suddetto abbia domicilio in Italia. Ma nel caso di specie nessuna dimostrazione sarebbe stata fornita (né indicata in decisione) sulla sussistenza di un domicilio in Italia che giustificasse l'inosservanza del maggior termine stabilito dall'art. 163-bis c.p.c. Il mero rinvenimento nello Stato del residente all'estero non dimostrerebbe affatto l'esistenza di un centro stabile di affari ed interessi qualificabile come domicilio.
2.1. Il motivo è infondato.
I termini per comparire in giudizio stabiliti dall'art. 163-bis c.p.c. sono fissati, non in relazione ai luoghi delle possibili notificazioni, bensì al luogo in cui la notificazione è realmente e validamente avvenuta (Cass., Sez. II, 14 febbraio 1987, n. 1616; Cass., Sez. III, 18 luglio 1991, n. 7978; Cass., Sez. II, 8 gennaio 2014, n. 142, cit.), e ciò avuto riguardo alla ratio di tale norma, che prevede un termine maggiore (di centoventi giorni, secondo il testo della disposizione ratione temporis applicabile) solo se il luogo della notificazione si trova non in Italia ma all'estero, dovendosi presumere la necessità di un maggior tempo per apprestare, dall'estero, una congrua difesa in Italia. Ne consegue che il termine più ampio non opera là dove, come nella specie, la notifica dell'atto di citazione sia avvenuta a mani del convenuto in Italia, a nulla rilevando che questi, cittadino italiano, avesse formalmente all'estero, al tempo della notificazione, la propria residenza anagrafica.
3. Con il terzo motivo (violazione degli artt. 3 e 5 del regolamento CE n. 44 del 2001 in riferimento all'art. 360, n. 1, c.p.c.), relativo al difetto di giurisdizione del giudice italiano, il ricorrente, inquadrato il contratto alla base della domanda in un mandato ad eseguire depositi di denaro contante in Lussemburgo, deduce che l'accertamento giudiziale inerente alle vicende derivanti da tale rapporto negoziale avrebbe dovuto avvenire presso il giudice del Granducato del Lussemburgo, in cui aveva residenza il L.R. Né, ad avviso del ricorrente, opererebbe la riserva contenuta nell'art. 6 del citato regolamento, posto [che] la disposizione non potrebbe avere l'effetto di attrarre l'accertamento del credito, riguardante il solo L.R., al giudizio in cui dovevano accertarsi, anche nei confronti del terzo acquirente, i presupposti dell'azione revocatoria o simulatoria.
3.1. La censura è infondata.
Ai sensi dell'art. 5, n. 1), del regolamento CE n. 44 del 2001, la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita. E poiché nella specie l'obbligazione da prendere in considerazione è quella corrispondente al diritto di restituzione azionato in forza della dichiarazione autografa sottoscritta dal debitore L.R., correttamente è stata dichiarata la giurisdizione del giudice italiano, essendo in Italia il domicilio della creditrice, luogo dell'adempimento dell'obbligazione restitutoria nascente dal contratto, stipulato tra le parti, con cui il L.R. ha ricevuto la somma di lire 430.000.000 in contanti, in successive 21 rate di lire 20.000.000 più una di lire 10.000.000, dando in garanzia l'appartamento di Anagni.
La giurisdizione del giudice italiano sussiste anche in relazione all'azione di simulazione e all'azione revocatoria, essendo questa stata proposta anche nei confronti di Dolores P., domiciliata in Italia: sicché trova applicazione l'art. 6, n. 1, del medesimo regolamento, secondo cui in caso di pluralità di convenuti gli stessi possono essere citati davanti al giudice del luogo in cui uno di essi è domiciliato (cfr. Cass., Sez. un., 30 giugno 1999, n. 370).
4. Il quarto motivo prospetta la violazione del combinato disposto degli artt. 1418 e 1345 c.c., unitamente all'art. 4 del d.l. n. 167 del 1990, in riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c. Con esso ci si duole che la sentenza impugnata abbia omesso di rilevare la nullità del patto intercorso tra le parti, il quale si concretizzava in un negozio nullo o illecito per contrarietà a norme imperative di legge, specificamente quelle di natura tributaria, delle quali tendeva ad eludere l'applicazione quale unico motivo comune alle parti, secondo l'allora vigente d.l. n. 167 del 1990, che imponeva di effettuare dichiarazione fiscale delle somme esportate all'estero. Dalla nullità avrebbe dovuto discendere l'applicazione dei principi sulla produzione di interessi da restituzioni, che, nel caso di specie, non potevano riconoscersi al solvens dal giorno della pattuizione, ma, semmai, dal giorno della domanda.
4.1. Il motivo è inammissibile, perché introduce una questione nuova, non esaminata dalla Corte territoriale, che presuppone accertamenti di fatto non risultanti dal testo della pronuncia impugnata, laddove nel giudizio di merito (come emerge dalla pag. 17 della sentenza della Corte d'appello) il L.R. ha incentrato la sua difesa, non già sulla inesistenza dell'obbligo di restituire l'importo richiesto, quanto, piuttosto, sulla circostanza di averlo già compiutamente restituito.
5. Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
6. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi euro 5.200, di cui euro 5.000 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge; dichiara - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012 - la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.