Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 11 settembre 2017, n. 46792

Presidente: Conti - Estensore: Tronci

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di fiducia di D.H., tratto in arresto in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal g.i.p. del Tribunale di Trento con riferimento alle ipotesi di reato di cui agli artt. 74, comma 1, e 73 d.P.R. 309/1990, interpone tempestivo ricorso avverso l'ordinanza in data 28 marzo-4 aprile 2017, con cui il Tribunale dello stesso capoluogo, adito ai sensi dell'art. 309 c.p.p., ha confermato l'anzidetta ordinanza custodiale, così rigettando l'impugnazione in precedenza proposta (al pari di quella relativa al coindagato M.K., mentre per A.S. e B.O. ha contestualmente disposto la sostituzione della più gravosa misura adottata con quella degli arresti domiciliari).

2. Secondo il ricorrente - che formula in proposito un motivo particolarmente articolato - il provvedimento impugnato sarebbe inficiato, innanzi tutto, da "violazione/inosservanza/erronea applicazione dell'art. 292, comma 2, lett. c, c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza di «autonoma valutazione» cautelare da parte del giudice per le indagini preliminari e contraddittorietà della motivazione": ciò che il Tribunale, a fronte di un provvedimento costituito - pressoché esclusivamente - dalla mera trascrizione della richiesta proveniente dall'ufficio del pubblico ministero, dopo aver delineato le caratteristiche che devono connotare la motivazione per relationem ed averne affermato la "compatibilità con il requisito dell'autonoma valutazione", ha malamente inteso negare, pur in presenza di sintetiche argomentazioni, del tutto vaghe e riferite indistintamente alla totalità degli originari indagati, sì da integrare una "motivazione meramente apparente", in quanto risoltasi in "un impianto motivazionale che si riduce ad una sequenza di generiche affermazioni circa l'autoevidenza indiziaria e cautelare che il destinatario del provvedimento dovrebbe autonomamente comprendere dai carteggi del procedimento". Tanto nonostante il richiamo a molteplici precedenti giurisprudenziali, appositamente esplicitati dall'atto d'impugnazione ed integrati dalla citazione di ulteriori, che - si assume - avrebbero dovuto correttamente condurre il Tribunale trentino ad una decisione di opposto segno.

2.1. Strettamente correlato con quello testé illustrato è il secondo motivo di doglianza, ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., che valorizza, appunto, la ricaduta delle considerazioni esposte sul "rispetto delle norme che presiedono il procedimento del riesame, ed in particolare in relazione a quanto sia permesso - o non permesso - fare al Collegio giudicante a fronte di un'ordinanza cautelare del tutto priva di motivazione": nel senso, cioè, della impossibilità, da parte del Tribunale del riesame, di far luogo ad "un'opera di recupero della legittimità del provvedimento cautelare viziato da nullità, mediante una stesura ex post delle motivazioni originariamente assenti o meramente apparenti", avuto riguardo, in particolare, al difetto - riconosciuto sussistente dallo stesso Tribunale e però malamente sanato - di motivazione sulle "ragioni della scelta della misura più grave".

2.2. Il terzo ed ultimo profilo di doglianza ha ad oggetto la dedotta "inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento agli artt. 568 e 309 c.p.p. per extrapetizione e violazione del diritto di difesa": il Tribunale, invero, non si sarebbe attenuto al principio generale della domanda, andando al di là, con la propria pronuncia, di quanto espressamente richiesto, prendendo posizione "in merito alla sussistenza dei gravi indizi, nonostante non siano state dallo stesso mai sollevate contestazioni in merito a questo specifico nodo dell'ordinanza cautelare", con conseguente, indebito pregiudizio a carico dello H., per via della formazione del giudicato cautelare sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, alla stregua del primo ed assorbente motivo di doglianza.

2. Anche di recente, questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che, "In tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la previsione di "autonoma valutazione" delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all'art. 292, comma primo, lett. c), c.p.p. dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, impone al giudice di esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri atti del procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non implica, invece, la necessità di una riscrittura "originale" degli elementi o circostanze rilevanti ai fini della disposizione della misura" (così Sez. 6, sent. n. 13864 del 16 marzo 2017, Rv. 269648). A significare, cioè, che l'obbligo di rafforzata motivazione, che la legge pone a carico del giudice, risponde all'esigenza di assicurare la chiara intelligibilità dell'iter logico-argomentativo che ha condotto il giudicante ad assumere la decisione adottata, onde meglio e più adeguatamente corrispondere alla copertura costituzionale assicurata al bene primario della libertà personale dall'art. 13 della Carta Fondamentale, al fine di evitare il rischio di provvedimenti di natura solo apparente, come tali solo nominalmente riferibili ad un giudice terzo.

Di qui la particolare attenzione che è stata dedicata, in particolare, a due ricorrenti tipologie di provvedimenti, l'una costituita dalla motivazione per relationem e l'altra - in effetti coincidente con il caso di specie - dalla incorporazione nell'ordinanza del giudice della richiesta presentata dal p.m.

In linea generale, è stata ribadita, pur dopo l'entrata in vigore della l. n. 47/2015, la legittimità del ricorso a tali forme di motivazione, sempre che sia possibile affermare che il giudice abbia fatto luogo ad "un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell'affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto" (in tal senso, Sez. 3, sent. n. 28979 dell'11 maggio 2016, Rv. 267350): il che non può che valere, in forza dell'autonomia che connota i singoli rapporti che s'instaurano in seno al procedimento, per ciascun indagato ed in relazione ai distinti fatti oggetto d'incolpazione (cfr., in parte motiva, la già citata Sez. 6, sent. n. 13864/2017).

Tirando le fila del discorso qui brevemente sintetizzato, nulla osta alla pedissequa trascrizione, senza alcuna aggiunta, degli elementi fattuali della vicenda cautelare - ad esempio, gli esiti di una perquisizione o le dichiarazioni, anche in forma sintetica, rilasciate da una persona informata sui fatti - trattandosi del substrato oggettivo alla base della richiesta, prima, e della statuizione assunta, poi. Mentre, per ciò che concerne il profilo squisitamente valutativo, è imprescindibile che esso sia esplicitato, trattandosi del dato realmente qualificante della decisione assunta, premessa necessitata per l'eventuale esercizio successivo della facoltà d'impugnazione delle parti e quindi, per ciò che concerne l'indagato, per la concreta attuazione del diritto di difesa. Essendo solo il caso di puntualizzare che non vi sono schemi rigidi, l'ottemperanza ai quali consenta automaticamente di ritenere soddisfatto il requisito dell'autonoma valutazione, poiché ciò che qui rileva è semmai - per adottare una definizione di stampo civilistico - un'obbligazione di risultato, rispetto alla quale il giudice è pienamente libero di adottare le forme reputate più opportune, purché idonee a dare contezza della propria delibazione, da tanto discendendo il ripudio delle formule stereotipate di cui alla massima in precedenza citata, proprio perché atte a risolversi in un mero simulacro verbale, privo di reale contenuto per la sua capacità di attagliarsi ad ogni e più svariata ipotesi.

Di qui la coerente conclusione, nel senso della sussistenza della nullità prevista dall'art. 292 c.p.p., in presenza di un'ordinanza priva di motivazione sul punto, ovvero con motivazione meramente apparente, in quanto non significativa di uno specifico apprezzamento del quadro indiziario (v. Sez. 6, sent. n. 44605 dell'1 ottobre 2015, Rv. 265349). Conclusione che non può che essere ribadita e fatta propria dal Collegio, a tal fine segnalandosi, proprio in ragione dell'assoluta gravità delle conseguenze che ne scaturiscono, alla luce della specifica ed insuperabile previsione di nullità introdotta nell'art. 309 del codice di rito dalle modifiche apportatevi dalla l. n. 47 del 2015, che il difetto di autonoma valutazione è ipotesi che va tenuta rigorosamente distinta da quella di una motivazione insufficiente e, come tale, suscettibile di essere "sanata" dall'intervento del giudice del riesame, ferma naturalmente la possibilità di far valere in sede di legittimità - ove ne ricorrano le condizioni - il vizio di cui alla lett. e) dell'art. 606, comma 1, c.p.p.

3. Facendo dunque applicazione dei principi fin qui enunciati al caso di specie, si ha che, all'esito della trascrizione integrale di circa 90 pagine tratte dalla complessiva richiesta del p.m., il g.i.p. ha esclusivamente rilevato che le risultanze in atti ("Intercettazioni, pedinamenti, osservazioni dirette da parte della polizia giudiziaria e, soprattutto, i sequestri operati delle sostanze stupefacenti grazie proprio alla attività di intercettazione e al complesso delle operazioni di indagine") offrono dimostrazione convincente "della esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di ciascuno degli indagati", in particolare i contenuti delle captazioni - "criptici e con gergalità simboliche, come è consueto in casi del genere allorquando è necessario mascherare sottostanti condotte criminose" - valendo ad escludere la possibilità di ipotetiche ricostruzioni alternative.

Ora, se si considera che quanto precede esaurisce la motivazione, in forza della quale è stata adottata la misura non solo nei confronti dello H., ma anche di ulteriori 17 soggetti e per una pluralità di imputazioni provvisorie, in ragione della molteplicità di quelle relative ai reati fine, in aggiunta all'incolpazione avente ad oggetto il reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990, agevole è la conclusione che, nella presente vicenda processuale, non si è assolutamente in grado di comprendere se e quale sia stata l'operazione valutativa compiuta dal g.i.p. Il che è ancor più vero, ove si tenga conto: 1) che le anzidette e plurime ipotesi di reato non vedono affatto coinvolti indistintamente tutti gli indagati; 2) che allo H., con peculiare riferimento all'ipotizzato addebito associativo, è ascritto un ruolo qualificato, di cui non v'è traccia nelle parole del g.i.p.; 3) che, dalla trascrizione della richiesta del p.m., emerge come un ruolo assolutamente centrale nello sviluppo delle indagini sia stato svolto dalle risultanze delle captazioni autorizzate, connotate peraltro - come dalla esplicita, richiamata ammissione del g.i.p. - da linguaggio criptico, che avrebbe dovuto pertanto essere oggetto di valutazione critica, atta a dar conto del significato di volta in volta attribuito, quanto meno ai passaggi intercettati più significativi ai fini della conferma della prospettazione accusatoria, in ipotesi alla luce delle emergenze delle conseguenti indagini svolte, laddove la sintesi che risulta dalla ricordata istanza a firma del magistrato inquirente riporta tout court il risultato finale di tale operazione logica, compiuta sulla scorta di una pregressa chiave di lettura rimasta del tutto ignota ed in nessun modo chiarita dal g.i.p., la trama del cui ragionamento non risulta perciò ricostruibile e verificabile.

Merita, dunque, di essere condivisa la censura difensiva in ordine al carattere meramente apparente della motivazione di cui trattasi, non aggirabile sulla base della valutazione meramente nominalistica effettuata dal Tribunale, che, all'esito dell'affermata legittimità del ricorso alla motivazione per relationem, ha ravvisato l'esistenza, nel provvedimento genetico, di un apparato motivazionale "ineccepibile sotto il profilo formale", senza tuttavia rappresentare i passaggi concreti che sarebbero significativi dell'autonomo apprezzamento compiuto dal g.i.p. e, anzi, riconoscendo la sintomatica carenza del provvedimento medesimo, sul piano della rappresentazione delle esigenze cautelari, "affidata a poche righe di stile".

S'impongono, quindi, le conseguenze di legge di cui al dispositivo che segue.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata, nonché quella emessa dal g.i.p. del Tribunale di Trento in data 1° marzo 2017 e, per l'effetto, dispone l'immediata scarcerazione di H.D., se non detenuto per altra causa.

Depositata l'11 ottobre 2017.