Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 2 ottobre 2017, n. 22975
Presidente: Petitti - Relatore: Cosentino
Rilevato:
che, con ricorso depositato in data 5 marzo 2015, i sig.ri Maria Giulia R.D.T., Maria Preziosa R.D.T., Mario R.D.T., Pio Augusto R.D.T., Simonetta R.D.T. e Giampaolo R.D.T. proponevano opposizione avverso il decreto del consigliere delegato della corte di appello di Ancona del 29 gennaio 2015 che aveva accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione per eccessiva durata del processo da loro proposta in relazione ad un giudizio che era stato introdotto dal loro comune dante causa, Pier Francesco R.D.T., nei confronti del sig. Marino C. il 3 aprile 1992 e che si era concluso con sentenza del 22 aprile 2013, emessa dalla corte di appello di Ancona quale giudice di rinvio;
che nel giudizio presupposto - a seguito del decesso di Pier Francesco R.D.T., avvenuto il 13 maggio 1996 - si erano costituiti sei dei sette eredi di costui e, precisamente, Maria Giulia, Maria Preziosa, Mario, Pio Augusto, Simonetta e Filippo, quest'ultimo a propria volta deceduto nel 2011;
che la corte di appello, con decreto del 18 settembre 2015, ha respinto l'opposizione avverso il decreto del giudice delegato;
che, in particolare, la corte di appello, sul rilievo che Giampaolo R.D.T. non si era mai costituito nel giudizio presupposto, ha negato il suo diritto all'equa riparazione jure proprio, riconoscendogli solo il diritto alla quota ereditaria dell'equa riparazione spettante ai suoi danti causa Pier Francesco e Filippo per il periodo di superamento della ragionevole durata del processo compresi tra la data di costituzione di ciascuno di loro nel giudizio presupposto e la data del rispettivo decesso;
che quindi la corte di appello ha in definitiva condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere in favore di Maria Giulia, Maria Preziosa, Mario, Pio Augusto e Simonetta R.D.T. in proprio la somma di euro 4.500 ciascuno, oltre interessi; in favore di Maria Giulia, Maria Preziosa, Mario, Pio Augusto, Simonetta e Giampaolo R.D.T., la somma di euro 900 pro quota, oltre interessi, quali eredi di Pierfrancesco R.D.T. e la somma di euro 3.600 pro quota, oltre interessi, quali eredi di Filippo R.D.T., respingendo sia l'istanza proposta da Giampaolo R.D.T. iure proprio, sia l'azione revocatoria proposta dai ricorrenti ex art. 2900 c.c. in relazione all'equa riparazione spettante al sig. Marino C., convenuto nel giudizio presupposto, tuttora loro debitore degli importi stabiliti nella sentenza che ha definito tale giudizio;
che il menzionato decreto della corte d'appello di Ancona è stato impugnato per cassazione da Maria Giulia, Maria Preziosa, Mario, Pio Augusto, Simonetta e Giampaolo R.D.T., in proprio e nella qualità di eredi di Pier Francesco e di Filippo R.D.T., sulla scorta di cinque mezzi di gravame;
che il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso, eccependo preliminarmente la inammissibilità del ricorso per mancanza di prova della qualità, spesa dai ricorrenti, di eredi di Pier Francesco e di Filippo R.D.T.;
Considerato:
che l'eccezione di inammissibilità del ricorso va disattesa, perché gli odierni ricorrenti hanno proposto il presente ricorso per cassazione non in quanto eredi di soggetti che erano parti nel giudizio di merito, ma in quanto essi stessi erano parti del giudizio di merito; la loro qualità di eredi di Pier Francesco e di Filippo R.D.T. è stata quindi già implicitamente accertata dalla corte distrettuale, con statuizione non impugnata dalla difesa erariale;
che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 l. 89/2001 e 6 CEDU in cui la corte territoriale sarebbe incorsa scomponendo il giudizio presupposto, ai fini del calcolo dell'indennità per il danno da durata non ragionevole del processo, in fasi riferibili al de cuius e in fasi di pertinenza degli eredi; secondo i ricorrenti gli eredi subentrerebbero comunque nell'aspettativa del de cuius circa la ragionevole durata del processo, cosicché la durata concretamente raggiunta dal procedimento andrebbe considerata nel suo complesso, a prescindere dalla vicende successorie verificatesi durante la sua costituzione;
che con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 l. 89/2001 e 6 CEDU, nell'interpretazione fornitane dalla Corte EDU, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa negando il diritto alla equa riparazione per il periodo intercorrente tra la morte del de cuius e la costituzione degli eredi e disconoscendo del tutto il diritto jure proprio di Giampaolo R.D.T., in quanto non costituito nel giudizio presupposto;
che i suddetti motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente e rigettati, dovendosi giudicare non concludente il richiamo dei ricorrenti al precedente di Sez. un. 585/2014 (che ha riconosciuto anche alla parte contumace il diritto all'equa riparazione di cui alla l. n. 89/2001);
che, infatti, questa Corte ha già chiarito, con la sentenza n. 183/2017, a cui il Collegio intende dare conferma e seguito, che, in tema di durata non ragionevole del processo civile, l'erede della parte deceduta nel corso del giudizio presupposto ha diritto all'indennizzo iure proprio solo per il periodo successivo alla sua costituzione volontaria in giudizio o dopo che nei suoi confronti sia stato notificato un atto di riassunzione (evento, quest'ultimo, a cui nei motivi di ricorso in esame non si fa alcun riferimento), in quanto, prima di tali momenti, egli potrebbe essere del tutto all'oscuro della stessa esistenza del giudizio oppure, in ipotesi, avere rinunziato all'eredità ovvero, ancora, trovarsi nella posizione di mero chiamato, mentre solo a seguito della riassunzione o della costituzione l'erede viene formalmente coinvolto nel giudizio e ne subisce tutte le conseguenze, anche in termini di patema d'animo per la sua durata;
che con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2-bis l. 89/2001 e 6 CEDU in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che la ragionevole durata del giudizio di rinvio vada individuata - al pari del giudizio di appello - in anni due;
che il suddetto motivo va accolto, in quanto la corte territoriale ha errato nell'indicare in due anni, invece che uno, la ragionevole durata del giudizio di rinvio, giacché, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire con la sentenza n. 19769/2015, ai fini dell'accertamento della violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della l. n. 89 del 2001, detto termine va determinato, di regola, in tre anni per il primo grado, due per il secondo ed uno per ciascuna fase successiva, sicché la durata ragionevole del giudizio di rinvio - tanto quello disposto dalla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 383 c.p.c., quanto quello disposto dal giudice d'appello, ai sensi dell'art. 354, comma 1, c.p.c. - va individuata, trattandosi di prosecuzione del processo originario, nella misura di un anno;
che con il quarto motivo di ricorso si deduce che, ove si dovesse ritenere che il diritto degli eredi all'equa riparazione per l'irragionevole durata del giudizio instaurato dal loro dante decorra solo dal momento in cui gli stessi siano venuti a conoscenza dell'esistenza di tale giudizio (secondo quanto statuito dalle Sezioni unite di questa Corte, nella sentenza n. 19977/2014, con riferimento agli eredi della parte civile deceduta nel corso di un giudizio penale) il giudice delegato alla fase monitoria del procedimento per l'equa riparazione avrebbe dovuto - alla stregua dei primi due commi dell'art. 640 c.p.c. (richiamati dall'art. 3, quarto comma, l. 89/2001) - avvisare i ricorrenti della carenza probatoria relativa alla data in cui essi avevano avuto conoscenza del giudizio presupposto introdotto da Pier Francesco R.D.T.;
che il suddetto motivo è inammissibile, non risultando dal ricorso per cassazione che la violazione dell'art. 640 c.p.c. che tale motivo imputa al giudice delegato sia stata denunciata in sede di opposizione ex art. 5-ter l. 89/2001 avverso il decreto da costui emesso;
che palesemente extra ordinem va poi giudicata la richiesta, formulata a questa Corte, a pag. 38 del ricorso per cassazione, di rimessione in termini dei ricorrenti per fornire la prova della data in cui gli stessi avrebbero acquisito la conoscenza del processo presupposto;
che, peraltro, il Collegio reputa necessario sottolineare, per esigenze nomofilattiche, che il precedente invocato dai ricorrenti concerne il giudizio penale e non contiene alcuna affermazione che contrasti con i principi relativi all'equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo civile enunciati nell'ambito dell'esame dei primi due mezzi di ricorso;
che con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 l. 89/2001 e 6 CEDU e dell'art. 2900 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa negando la proponibilità della domanda di indennizzo da equa riparazione anche in via surrogatoria;
che la corte marchigiana ha ritenuto che la proposizione dell'azione surrogatoria fosse incompatibile con lo schema del procedimento monitorio previsto dalla legge per l'esercizio del diritto all'equa riparazione;
che il motivo è infondato, anche se la motivazione del decreto impugnato va corretta ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c.p.c.;
che, infatti, l'azione surrogatoria proposta dai ricorrenti per far valere il danno da irragionevole durata del processo riconoscibile a favore del sig. C. non era suscettibile di accoglimento per la preliminare considerazione che l'azione surrogatoria non può essere esercitata in relazione a diritti o azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare (art. 2900 c.c.) e in tale categoria rientra il diritto all'equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla non ragionevole durata del processo, giacché l'esistenza di detto danno non può essere predicata in difetto di allegazione del danneggiato; né, va sotto altro aspetto evidenziato, risulta che l'azione surrogatoria riguardasse un credito maturato dal sig. C. per danni patrimoniali a costui arrecati dalla eccessiva durata del giudizio, giacché nel ricorso per cassazione non si fa alcun riferimento ad una allegazione di tali danni in sede di merito;
che in definitiva il ricorso va accolto limitatamente al terzo mezzo, con conseguente cassazione dell'impugnato decreto in relazione al mezzo accolto e rinvio alla corte territoriale perché la stessa proceda alla liquidazione dell'indennità spettante ai ricorrenti considerando pari ad un anno la ragionevole durata del giudizio di rinvio;
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa il decreto gravato in relazione al mezzo accolto e rinvia ad altra sezione della corte d'appello di Ancona, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.