Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 26 gennaio 2017, n. 30685

Presidente: Cavallo - Estensore: Socci

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza con provvedimento del 3 maggio 2016 rigettava l'opposizione proposta dall'indagata V. Roberta e disponeva l'archiviazione del procedimento essendo il reato non punibile per particolare tenuità del fatto.

2. V. Roberta ha proposto ricorso, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.

2.1. Violazione di legge, artt. 269, 278 e 279 d.lgs. n. 152 del 2006.

L'ordinanza di archiviazione presuppone una responsabilità della ricorrente invece la notizia di reato doveva essere archiviata non ex art. 131-bis c.p., ma perché infondata. La notizia di reato concerneva la pretesa attività della ricorrente, legale rappresentante della Varg s.r.l., di emissioni in atmosfera in assenza di autorizzazione ambientale (artt. 269-279 d.lgs. 152/2006). Il P.M. avanzava richiesta di archiviazione tenuto anche conto che "la precedente autorizzazione era stata revocata soltanto per il difetto del materiale ritiro da parte degli interessati, ma che il rilascio era comunque poi avvenuto".

In data 31 luglio 2012 la società Varg s.r.l. presentava domanda per l'ottenimento dell'autorizzazione ambientale, e la Provincia di Vicenza in data 21 novembre 2012 concedeva l'autorizzazione, trasmettendola a mezzo posta elettronica certificata alla richiedente. Un anno dopo l'amministrazione provvedeva a iniziare un procedimento di revoca per omesso ritiro materiale dell'autorizzazione. La revoca dell'autorizzazione deve ritenersi illegittima. Infatti la società aveva ritirato l'autorizzazione con la ricezione della posta elettronica certificata. La revoca quindi risulta illegittima e il giudice penale avrebbe dovuto disapplicarla.

2.2. Erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p. e dell'art. 411 c.p.p. Mancanza e illogicità della motivazione.

Il Giudice per le indagini preliminari con una motivazione apparente ha rigettato le osservazioni della ricorrente, con la seguente frase: "nella fattispecie in oggetto, lo stato delle acquisizioni probatorie non consente di escludere assolutamente la ricorrenza degli elementi costitutivi del reato contestato". Per l'applicazione dell'art. 131-bis del c.p. il giudice dovrebbe accertare l'effettiva commissione del fatto reato. Nel caso in giudizio, invece, il giudice non esclude "assolutamente la ricorrenza degli elementi costitutivi", senza motivare sulle argomentazioni dell'opposizione.

2.3. Erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p. e 411 c.p.p. per non aver ammesso la ricorrente all'oblazione (art. 162-bis c.p.).

Il giudice se avesse ritenuto la ricorrente "colpevole" doveva ammetterla all'oblazione ex art. 162-bis del c.p. trattandosi di più favorevole causa di estinzione del reato.

Ha chiesto pertanto l'annullamento del provvedimento impugnato.

3. La Procura Generale della Cassazione, Sostituto Procuratore Generale Francesco Salzano, ha chiesto l'annullamento del provvedimento con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso risulta inammissibile perché proposto contro un provvedimento (archiviazione) non impugnabile in Cassazione (art. 409, comma 6, c.p.p.: "L'ordinanza di archiviazione è ricorribile per cassazione solo nei casi di nullità previsti dall'art. 127, comma 5").

Solo la violazione del contraddittorio, quindi, potrebbe comportare un ricorso in Cassazione.

Nel nostro caso non è denunciata una violazione del contraddittorio poiché sono stati effettuati gli adempimenti previsti dall'art. 411, comma 1-bis, c.p.p.

5. Tuttavia risulta evidente che la norma che non consente il ricorso in Cassazione nei casi di lesioni degli interessi dell'indagata potrebbe ritenersi non conforme alla Costituzione (questione di costituzionalità non manifestamente infondata, relativamente all'art. 3 e 24 Cost. e all'art. 6 CEDU) e all'art. 2 del protocollo 7 CEDU: "Ogni persona dichiarata colpevole da un Tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore. L'esercizio di tale diritto, ivi compresi i motivi per cui esso può essere esercitato, è disciplinato dalla legge". Indubbiamente l'applicazione dell'art. 131-bis, c.p. presuppone un riconoscimento della commissione del fatto reato: "L'art. 131-bis c.p. ed il principio di inoffensività in concreto operano su piani distinti, presupponendo, il primo, un reato perfezionato in tutti i suoi elementi, compresa l'offensività, benché di consistenza talmente minima da ritenersi "irrilevante" ai fini della punibilità, ed attenendo, il secondo, al caso in cui l'offesa manchi del tutto, escludendo la tipicità normativa e la stessa sussistenza del reato. (Fattispecie in tema di coltivazione di piante stupefacenti)", Sez. 6, n. 5254 del 10 novembre 2015 - dep. 9 febbraio 2016, Pezzato e altro, Rv. 26564201.

6. La lesione dell'interesse dell'indagata, però, risulterebbe sussistente solo ed esclusivamente qualora il provvedimento di archiviazione fosse iscritto nel casellario. Infatti per la sentenza prima del dibattimento ex art. 469 c.p.p. la Cassazione, proprio per l'iscrizione nel casellario, ha annullato la decisione, perché presa senza il consenso delle parti (Sez. 2, n. 12305 del 15 marzo 2016 - dep. 23 marzo 2016, P.M. in proc. Panariello, Rv. 26649301: "... il potere di opposizione trova giustificazione nel possibile interesse delle parti ad un diverso esito del procedimento, potendo l'imputato, in particolare, mirare all'assoluzione nel merito o ad una diversa formula di proscioglimento onde evitare l'iscrizione nel casellario giudiziale della dichiarazione di non punibilità ex art. 131-bis c.p.").

7. Le possibili soluzioni al problema ordinamentale della non impugnabilità dell'archiviazione, legislativamente e chiaramente prevista, per particolare tenuità del fatto sono due: la questione di costituzionalità dell'art. 469 c.p.p. nella parte in cui non consente l'impugnazione, poiché lo stesso per la sua chiarezza non risulta oggetto di un'interpretazione costituzionalmente orientata (del resto l'art. 131-bis c.p. è stato introdotto successivamente alla scrittura dell'art. 469 c.p.p., ed il legislatore non ha previsto un'integrazione dello stesso, per ritenere impugnabile l'archiviazione ex art. 131-bis c.p.); l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 3, comma 1, lett. f), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313: "Provvedimenti iscrivibili. Nel casellario giudiziale si iscrivono per estratto: ... f) i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale".

Per l'iscrizione nel casellario giudiziale la norma prevede che il provvedimento sia definitivo; infatti tutti i provvedimenti iscrivibili sono tali solo se definitivi, ovvero non impugnati o altrimenti definitivi (per rigetto dell'impugnazione).

Il decreto di archiviazione, come sopra visto, non risulta impugnabile, e quindi lo stesso per la sua natura di provvedimento sempre provvisorio, per la possibilità di riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.), non può ritenersi definitivo. Conseguentemente il provvedimento di archiviazione non deve essere iscritto nel casellario giudiziario perché provvedimento non definitivo.

L'efficacia preclusiva dell'archiviazione, infatti, nell'interpretazione data dalla Corte costituzionale - Corte cost., 19 gennaio 1995, n. 27 - è limitata, e relativa - solo - allo stesso ufficio del P.M. che ha chiesto l'archiviazione: "Una volta disposta, al di fuori dei casi indicati nell'art. 345 c.p.p., l'archiviazione di una notizia di reato, non è consentito al P.M. chiedere e al g.i.p. valutare, accogliendola o rigettandola - senza il preventivo provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini previsto dall'art. 414 stesso codice - l'applicazione di misura cautelare o l'emissione di altro provvedimento che implichi l'attualità di un procedimento investigativo nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto, si fondi la relativa richiesta su una semplice rilettura di elementi già presenti negli atti archiviati o su elementi acquisiti, anche occasionalmente, dopo l'archiviazione. E invero il decreto di archiviazione, pur non essendo munito dell'autorità della res judicata, è connotato da un'efficacia preclusiva, quantunque limitata, operante sia con riferimento al momento dichiarativo della carenza di elementi idonei a giustificare il proseguimento delle indagini, sia riguardo al momento della loro riapertura, condizionata dal presupposto dell'esigenza di nuove investigazioni, che rappresenta per il giudice parametro di valutazione da osservare nella motivazione della decisione di cui all'art. 414 c.p.p. (Nell'enunciare tale principio, la S.C. ha precisato che nella nozione di 'stesso fatto' sono comprese sia le componenti oggettive dell'addebito - condotta, evento, rapporto di causalità - sia gli aspetti esterni al fatto di reato, da identificare nell'autorità che procede o procedette all'investigazione, in quanto l'effetto preclusivo discendente dall'archiviazione condiziona solo la condotta dell'ufficio inquirente che chiese e ottenne il relativo provvedimento)". (Sez. un., n. 9 del 22 marzo 2000 - dep. 1° giugno 2000, Finocchiaro, Rv. 21600401; vedi anche Sez. 2, n. 36842 del 6 luglio 2004 - dep. 17 settembre 2004, Nocito ed altri, Rv. 22972901 e Sez. 5, n. 45725 del 22 settembre 2005 - dep. 16 dicembre 2005, Capacchione, Rv. 23320901: "Il decreto di archiviazione ha efficacia (limitatamente) preclusiva solo nei confronti dell'autorità giudiziaria che ha provveduto all'archiviazione. Invero, l'autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato e quindi ponendosi giuridicamente come atto equipollente alla revoca, non può che provenire dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione ed inerire ad un sindacato sul potere di esercizio dell'azione penale di cui è titolare il pubblico ministero presso quell'ufficio giudiziario, sicché nessun ostacolo incontra l'autorità giudiziaria di altra sede a compiere accertamenti su fatti oggetto del provvedimento di archiviazione").

L'interpretazione suddetta trova ampia conferma nella disposizione dell'art. 651-bis, c.p.p. che prevede l'efficacia di giudicato della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno, ma non anche dell'archiviazione.

8. Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: "Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto non è ricorribile per Cassazione, ad esclusione delle ipotesi previste nel comma 6, dell'art. 409 c.p.p. (casi di nullità previsti dall'art. 127, comma 5, c.p.p.) sia perché espressamente previsto dall'art. 409, comma 6, c.p.p., e sia perché il provvedimento di archiviazione non risulta iscrivibile nel casellario giudiziale, trattandosi di provvedimento non definitivo, e pertanto viene a mancare l'interesse ad impugnare, non risultando il provvedimento lesivo di alcun interesse dell'indagato".

9. Così ricostruito il sistema normativo, della particolare tenuità del fatto, le norme che non prevedono l'impugnazione del provvedimento di archiviazione o la rinuncia (non ammessa) da parte dell'indagato all'archiviazione per l'art. 131-bis c.p. risultano conformi a Costituzione, perché nessun effetto pregiudizievole (quale potrebbe essere l'iscrizione nel casellario) risulta dall'archiviazione.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Depositata il 20 giugno 2017.