Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 27 aprile 2017, n. 28953
Presidente: Canzio - Estensore: Gallo
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 giugno 2014 la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del 4 giugno 2009 del Tribunale di Torre Annunziata, con la quale S.A. veniva condannato alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione per i reati di cui agli artt. 609-bis e 609-ter c.p., per avere costretto, con violenza, i minori degli anni quattordici D.G.C. e R.A. a subire atti sessuali consistiti in toccamenti dei genitali e del sedere (in [omissis], nel [omissis]).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato articolando tre motivi di ricorso con i quali deduce:
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 609-ter c.p. e 191, 192, 195, 530, 546 e 603 c.p.p., e vizio di motivazione. Al riguardo lamenta che l'affermazione di responsabilità penale con riferimento alle molestie nei confronti di D.G.C. sia stata fondata sostanzialmente sulla base delle sole dichiarazioni de relato della madre di costui.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 609-ter c.p. e 191, 192, 195, 530, 546 e 603 c.p.p., e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni di R.A., della madre di costui e dei relativi testi di riferimento.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego del riconoscimento dell'attenuante del fatto di minore gravità e delle attenuanti generiche, trattandosi di fatti episodici e non caratterizzati da modalità particolarmente invasive della sfera sessuale delle parti offese. Peraltro, i fatti sono precedenti alle modifiche apportate dalla l. n. 125 del 2008 all'art. 62-bis c.p., e dunque eccepisce che l'assenza di precedenti penali doveva essere considerata ai fini della dosimetria della pena.
3. Il ricorso è stato assegnato alla Terza Sezione penale, che, con ordinanza dell'11 ottobre 2016, depositata il 14 febbraio 2017, lo ha rimesso alle Sezioni Unite, avendo ravvisato un contrasto giurisprudenziale in ordine alla valutazione se le circostanze c.d. "indipendenti" possano essere considerate circostanze ad effetto speciale, ai sensi dell'art. 63, terzo comma, c.p. anche quando prevedono una variazione frazionata della pena uguale o inferiore ad un terzo, come nel caso dell'aggravante prevista dall'art. 609-ter c.p., da ciò derivando una diversa valutazione del tempo necessario a prescrivere, rilevante ai fini della decisione del caso di specie.
Il punto nodale è se tale circostanza aggravante, che prevede un aumento indipendente di pena («da sei a dodici anni di reclusione») rispetto a quella prevista dalla ipotesi semplice («da cinque a dieci anni») possa essere considerata, ai sensi dell'art. 63, terzo comma, c.p., circostanza ad effetto speciale, pur non prevedendo un aumento di pena superiore ad un terzo. La soluzione del quesito investe il piano della determinazione del termine di prescrizione e, nel caso in esame, della valutazione - propedeutica a quella relativa alla denunciata sussistenza di vizi di motivazione della decisione quanto al diniego dell'attenuante della minore gravità - circa l'intervenuta estinzione del reato, cui conseguirebbe l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, piuttosto che l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale.
4. Con decreto del 24 febbraio 2017 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.
5. L'Avvocato generale ha depositato memoria, esprimendo l'avviso che al quesito sottoposto all'esame delle Sezioni Unite sia da dare risposta nel senso che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze ad effetto speciale siano esclusivamente quelle che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite va così enunciata: "se ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo rientrino nella categoria delle circostanze ad effetto speciale".
2. Il quesito rimesso alle Sezioni Unite investe la definizione delle nozioni di circostanze con determinazione della pena in misura indipendente (c.d. circostanze "indipendenti"), tra le quali è certamente ricompresa l'aggravante di cui all'art. 609-ter c.p., e di "circostanze ad effetto speciale", definite dal nuovo testo dell'art. 63, terzo comma, c.p., e la eventuale sovrapponibilità di tali classificazioni. Ai fini di una più agevole comprensione della questione appare opportuno richiamare l'evoluzione storica del dato normativo sulla materia.
3. L'art. 63, terzo comma, c.p. nel testo anteriore alla modifica disposta con l'art. 5 della l. 31 luglio 1984, n. 400 equiparava, ai fini della individuazione della pena sulla quale operare il calcolo per il concorso di altre circostanze, le circostanze "autonome", per le quali «la legge stabilisce una pena di specie diversa» alle circostanze c.d. "indipendenti", per le quali la legge «determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato». Parallelamente, l'art. 69, quarto comma, c.p., nel testo previgente alla riforma del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con modificazioni dalla l. 7 giugno 1974, n. 220, stabiliva che le disposizioni in tema di bilanciamento delle circostanze non si applicassero, tra le altre, alle suddette circostanze "autonome" e a quelle "indipendenti".
Il corpus normativo contemplava, dunque, in modo armonico le due categorie di circostanze, "autonome" e "indipendenti", che assumevano rilevanza ai fini del computo della pena (art. 63) e del bilanciamento con altre circostanze, dal quale erano escluse ai sensi dell'art. 69, quarto comma. Per tali ipotesi, caratterizzate dalla indipendenza della specie e dalla autonomia della misura della pena edittale del reato così circostanziato, gli artt. 63, terzo, quarto e quinto comma, 66, alinea, e 67, ultimo comma, avevano dettato, in via derogatoria al regime ordinario, una disciplina differenziata che rendeva non neutralizzabile nel giudizio di comparazione la pena unitaria autonomamente determinata per il reato circostanziato, non solo per evidenti motivi di politica criminale, ma anche per ragioni ricavabili dalla logica interna del sistema originario delle circostanze.
Tali esigenze erano sottese, in particolare, alla regola dettata dall'art. 63, terzo comma, per il caso di concorso materiale omogeneo tra una circostanza autonoma o indipendente ed una o più circostanze autonome: secondo tale regola l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze non doveva operarsi sulla pena del reato semplice, bensì su quella autonoma o indipendente del reato circostanziato.
Le suddette circostanze costituivano due sotto-nozioni della categoria delle circostanze "ad effetto speciale", o, più correttamente, "ad efficacia speciale", non configurata o definita normativamente, che si caratterizzava per la particolare tecnica di previsione della pena edittale e per la peculiare "resistenza" dell'aumento della pena da esse previsto nel caso di concorso con altre circostanze. Interpretando in via estensiva il dato normativo, la dottrina, non senza qualche voce dissenziente, aveva finito per ricomprendere nell'ambito delle circostanze c.d. indipendenti anche quelle che, in deroga al criterio ordinario di calcolo, prevedevano una variazione frazionaria della pena, in aumento o diminuzione, superiore ad un terzo. L'elemento caratterizzante della autonoma determinazione della pena veniva, in tal senso, riferito al meccanismo di variazione della pena diverso da quello ordinario, piuttosto che alle variazioni dei criteri edittali.
L'intervento del legislatore del 1984, con la riformulazione del testo dell'art. 63, terzo comma, c.p., se da un lato ha risolto il dubbio interpretativo, contemplando espressamente nell'alveo applicativo della norma le circostanze ad effetto speciale, definite positivamente come quelle che «importano un aumento e una diminuzione della pena superiore ad un terzo», dall'altro ha posto una nuova questione interpretativa nel momento in cui ha omesso qualsivoglia riferimento alle circostanze indipendenti.
Una prima lettura del nuovo testo della norma evidenzia una polarizzazione della tipologia delle circostanze "ad effetto speciale" verso la quantificazione della variazione frazionata della pena piuttosto che le modalità di determinazione autonoma o indipendente della pena. La differenza tra circostanze ad effetto speciale e circostanze ad effetto comune viene, dunque, operata dal legislatore su un criterio aritmetico di variazione della pena prevista per il reato semplice.
Ancor prima, l'art. 6, d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla l. 7 giugno 1974, n. 220, nel modificare l'art. 69 c.p., aveva esteso alle circostanze indipendenti l'applicabilità del meccanismo di bilanciamento.
Di qui la necessità di valutare se le circostanze indipendenti, tra le quali è compresa l'aggravante di cui all'art. 609-ter, primo comma, c.p., per effetto della modifica del testo normativo, abbiano perso la propria autonomia e le peculiarità del regime giuridico. Il punto nodale è se il legislatore del 1984 abbia voluto attuare uno smembramento della categoria delle circostanze indipendenti sul piano della classificazione a seconda della incidenza della variazione di pena per esse prevista, ricomprendendo nell'ambito delle circostanze ad effetto speciale solo quelle la cui pena, determinata in modo indipendente, risponda ad un parametro quantitativo di variazione superiore ad un terzo rispetto alla pena ordinaria, così limitando a queste la speciale disciplina del concorso con altre circostanze dettata dall'art. 63, terzo comma, c.p.
4. La questione interpretativa non assume un valore meramente speculativo, rilevando ai fini del computo del termini di prescrizione del reato. L'art. 157 c.p., infatti, pone un principio generale di irrilevanza, ai fini della prescrizione del reato, delle circostanze aggravanti ed attenuanti, preservando in via strettamente derogatoria la sola incidenza delle aggravanti autonome e ad effetto speciale.
5. Nella giurisprudenza di legittimità si sono formati due orientamenti contrastanti sulla valutazione se la circostanza indipendente di cui all'art. 609-ter, primo comma, c.p. debba essere considerata ad effetto comune, poiché non comporta un aumento della pena per il reato-base superiore ad un terzo, ovvero debba essere inclusa nelle circostanze ad effetto speciale di cui all'art. 63, terzo comma, con le logiche conseguenze in tema di prescrizione del reato.
Un primo orientamento, maggioritario, ritiene che la fattispecie di cui all'art. 609-ter c.p. sia una circostanza indipendente, ma, ai sensi dell'art. 63, terzo comma, ad effetto comune, in quanto l'aumento - sia pur determinato in maniera indipendente mediante la previsione di innalzamento di entrambi i margini edittali - non è superiore ad un terzo rispetto alla pena ordinaria.
L'autonomia della determinazione della pena per l'aggravante in esame non assume, dunque, rilevanza ai fini del tempo necessario a prescrivere, in quanto l'art. 157, secondo comma, c.p., fa riferimento esclusivamente alla pena prevista per le circostanze "ad effetto speciale", qualificate dall'art. 63, terzo comma, come «quelle che importano un aumento o una diminuzione superiore ad un terzo», oltre che per quelle "autonome", per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa.
Tale orientamento è espresso da Sez. 1, n. 5081 del 21 settembre 1999, Lanuto, Rv. 214425; Sez. 3, n. 28638 del 9 giugno 2009, Crivellari, Rv. 244592; Sez. 3, n. 41487 del 25 settembre 2013, D.N., Rv. 257292; Sez. 3, n. 10487 del 10 dicembre 2013, dep. 2014, A.G. e altro; Sez. 3, n. 41699 del 3 luglio 2014, B.R., entrambe non massimate.
6. Un secondo orientamento, di contro, ritiene che la circostanza aggravante di cui all'art. 609-ter c.p., quale circostanza c.d. "indipendente", integri per ciò solo una circostanza ad effetto speciale, che assume rilevanza ai fini della determinazione del termine a prescrivere.
Tale posizione è stata di recente espressa, con una diffusa motivazione, da Sez. 3, n. 31418 del 23 marzo 2016, T., Rv. 267467, secondo cui «la circostanza di cui all'art. 609-ter, primo comma, n. 1, c.p., stabilendo la pena in misura indipendente da quella ordinaria prevista dall'art. 609-bis c.p., ha natura di circostanza ad effetto speciale, con la conseguenza che di essa deve tenersi conto nel calcolo della prescrizione».
L'assunto si fonda sulla considerazione che le ipotesi aggravate di cui all'art. 609-ter c.p., comma 1, stabilendo la pena in misura indipendente da quella ordinaria prevista per l'art. 609-bis c.p., partecipano alla stessa disciplina delle circostanze ad effetto speciale, pur se l'operazione aritmetica della trasformazione della "pena indipendente" in quella a "variazione frazionaria" non realizza un aumento della pena in misura superiore ad un terzo (nel massimo, se aggravanti, nel minimo, se attenuanti).
L'orientamento ripropone una classificazione unitaria della categoria delle circostanze "ad effetto speciale", di cui le circostanze indipendenti costituiscono una species, già espressa in passato, pur con riferimento a fattispecie circostanziate differenti da quella di cui all'art. 609-ter c.p. e a fini diversi da quello dell'incidenza sul termine di prescrizione.
In precedenza, Sez. 4, n. 15133 del 6 febbraio 2003, Bellani, Rv. 224754, con riferimento alla incidenza delle circostanze ad effetto speciale sulla determinazione della pena, ai fini dell'individuazione dei termini di durata massima di fase della custodia cautelare, ai sensi degli artt. 278 e 303 c.p.p., nell'ipotesi di concorso di una circostanza prevista dall'art. 625 c.p. con più circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61 c.p., ha affermato che la circostanza aggravante "indipendente" di cui all'art. 625, ultimo comma, c.p. «deve equipararsi a quelle ad effetto speciale, richiamate espressamente dall'art. 278 c.p.p., perché come queste ultime agisce in modo differente da quelle comuni imponendo autonomi limiti edittali».
In senso conforme si è espressa, sia pure in via incidentale, Sez. 1, n. 4964 del 21 gennaio 2010, Magnera e altri, non massimata sul punto, che, ai fini della determinazione della competenza, individuata ai sensi dell'art. 4 c.p.p. sulla base della pena edittale per ciascun reato, osserva che «dottrina e giurisprudenza comunemente riconducono anche le circostanze aggravanti, in relazione alle quali il legislatore abbia determinato la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (c.d. circostanze aggravanti indipendenti)», «al genus delle circostanze ad effetto speciale che, come stabilito dall'art. 63, terzo comma, c.p., "importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo"».
Da ultimo, Sez. 3, n. 5597 dell'8 luglio 2016, dep. 2017, R.H., con riferimento al criterio di calcolo della pena nell'ipotesi di concorso tra circostanze ad effetto speciale, per il quale l'art. 63, comma 4, impedisce il cumulo materiale, prevedendo che si applichi la sola pena prevista per il reato più grave, che può essere aumentata fino ad un terzo, sul presupposto che «la circostanza aggravante di cui all'art. 609-ter, comma 1, c.p. determina un aumento della pena in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato anche se non superiore ad un terzo», ha affermato che «le circostanze indipendenti devono essere considerate alla stregua di circostanze ad effetto speciale perché esse, come le altre, influiscono sulla pena ordinaria del reato, imponendo autonomi limiti edittali».
7. Come emerge dall'excursus delle posizioni giurisprudenziali, la questione applicativa si è prospettata in concreto in relazione all'aggravante di cui all'art. 609-ter, primo comma, c.p., che, pur comportando una nuova cornice edittale "indipendente", determina un aumento aritmetico di pena di un quinto rispetto alla pena prevista dall'art. 609-bis c.p.
Nel caso in esame, applicando l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, che qualifica la circostanza "indipendente" de qua come aggravante ad effetto comune, in ragione dell'aumento della pena edittale contenuto entro il limite di un terzo della pena ordinaria, la prescrizione del reato sarebbe già decorsa alla data del 2 maggio 2016, considerati i periodi di sospensione; con la conseguente necessità di una pronuncia di annullamento senza rinvio poiché, in presenza di causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, «in quanto il giudice del rinvio avrebbe l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. un., n. 35490 del 28 maggio 2009, Tettamanti, Rv. 244275)».
Viceversa, ove si qualifichi la citata circostanza indipendente come aggravante ad effetto speciale, il termine di prescrizione del reato verrebbe a maturare il 2 novembre 2018, considerati i periodi di sospensione, con conseguente possibilità di annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale, per l'eventuale vizio di motivazione circa la minore gravità del fatto.
8. Ritiene il Collegio di condividere il primo, più coerente e rigoroso, indirizzo giurisprudenziale.
Il legislatore del 1984, riformulando il testo del terzo comma dell'art. 63 c.p. ha inciso in profondità sulla catalogazione delle circostanze ed ha fornito una precisa definizione delle circostanze ad effetto speciale, come quelle che «importano un aumento o una diminuzione della pena, superiore ad un terzo».
L'art. 157, secondo comma, c.p., nel testo novellato dalla l. n. 251 del 2005, stabilisce, a sua volta, che: «Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante».
Il combinato disposto degli artt. 157 e 63 c.p. ha un significato chiaro ed univoco, tanto nella parte in cui individua circostanze rilevanti o irrilevanti ai fini del calcolo temporale della prescrizione, quanto nella parte in cui inserisce nel computo le sole circostanze aggravanti autonome e le circostanze aggravanti ad effetto speciale sulla base dell'aumento di pena (superiore ad un terzo) che comportano.
In effetti, la norma di cui al testo novellato dell'art. 157 c.p. ha fissato una "regola", che stabilisce l'irrilevanza delle circostanze (aggravanti e attenuanti) ai fini del calcolo del tempo di prescrizione ed una "eccezione" costituita dalla computabilità delle circostanze aggravanti autonome e delle circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Orbene, il perimetro dell'eccezione alla regola generale che fissa il calcolo del tempo necessario per la prescrizione del reato non può essere dilatato per via di interpretazione estensiva o analogica, includendo nel calcolo anche le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento della pena inferiore ad un terzo.
Non è condivisibile, pertanto, l'indirizzo giurisprudenziale che porta a superare il dato letterale della formula dell'art. 63, terzo comma, c.p. alla luce di una interpretazione teleologica, secondo cui limitare le "circostanze ad effetto speciale" alle sole circostanze "indipendenti" che comportano una variazione superiore ad un terzo, determinerebbe un inammissibile «smembramento delle circostanze indipendenti in due categorie a seconda della variazione della pena, valorizzando un parametro quantitativo che, per la ratio stessa che sorregge tali circostanze, non avrebbe significato plausibile».
L'esigenza di una ricostruzione sistematica del regime delle aggravanti ad effetto speciale non può portare l'interprete a forzare la chiara e univoca lettera del dato normativo in una materia che è governata dal principio di legalità.
9. Di conseguenza deve essere formulato il seguente principio di diritto:
"Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie quella di cui all'art. 609-ter, primo comma, c.p.) non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale".
10. Venendo al caso di specie, il principio di diritto sopra enunciato non può, tuttavia, avere alcuna influenza sulla sentenza impugnata, anche se il termine di prescrizione è maturato al 2 maggio 2016, poiché il ricorso risulta inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio per cassazione (i primi due) e aspecifici (il terzo).
I primi due motivi, infatti, sono articolati su doglianze relative alla valutazione delle dichiarazioni rese dai minori, D.G.C. e R.A., e dalle rispettive madri, e sollecitano una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità. Essi, pur essendo formalmente riferiti a vizi riconducibili alle categorie della violazione di legge e del vizio di motivazione, sono in effetti diretti a richiedere un sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale, che è precluso al giudice di legittimità.
Per quanto riguarda il terzo motivo, il ricorrente ha articolato due doglianze: con la prima deduce violazione dell'art. 609-bis, ultimo comma, c.p. e mancanza ed illogicità della motivazione sul punto dell'attenuante speciale di minore gravità; con la seconda deduce violazione dell'art. 62-bis c.p. e mancanza ed illogicità della motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
Entrambe le doglianze sono inammissibili per difetto di specificità, per la mancata correlazione tra le ragioni della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni - nel caso in esame adeguatamente argomentate - del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1, lett. c), c.p.p., all'inammissibilità del ricorso.
L'inammissibilità del ricorso, giusta l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, preclude il rilievo della prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. un., n. 32 del 22 novembre 2000, De Luca, Rv. 217266).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si stima equo determinare in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Depositata il 9 giugno 2017.