Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione I
Sentenza 30 ottobre 2025, n. 3484

Presidente: Vinciguerra - Estensore: Di Mario

FATTO E DIRITTO

1. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del 12 aprile 2023 a firma del Questore della Provincia di Milano, con il quale viene fatto divieto ex art. 6 della l. n. 401/1989, e s.m.i., di accedere, per il periodo di tre anni dalla notifica, a tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale e degli altri Stati membri della Unione europea ove si disputeranno tutte le manifestazioni calcistiche, a lui inferto dopo i tafferugli seguiti alla partita Milan-Napoli del 2023.

Contro il suddetto atto il ricorrente solleva i seguenti motivi di impugnazione.

Primo motivo: violazione dell'art. 6 l. n. 401/1989, e s.m.i.; violazione dell'art. 3 e ss. l. n. 241/1990; eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti; eccesso di potere per carenza di istruttoria; sviamento.

Secondo motivo: violazione dell'art. 6 l. n. 401/1989, e s.m.i.; violazione dell'art. 3 l. n. 241/1990. eccesso di potere per difetto ed indeterminatezza dei presupposti in merito ai luoghi di accesso/transito/trasporto da e per gli impianti sportivi.

Terzo motivo: violazione degli artt. 3 e 10 l. n. 241/1990; difetto di motivazione e di proporzionalità e gradualità in punto di quantum del divieto imposto.

Quarto motivo: violazione dell'art. 7 e ss. l. n. 241/1990; omessa comunicazione di avvio del procedimento.

La difesa dello Stato ha chiesto la reiezione del ricorso.

All'udienza in data odierna la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato in quanto la ricostruzione fattuale operata dalla Questura di Milano a sostegno del provvedimento impugnato non è contestata in modo specifico dal ricorrente.

In merito occorre rilevare che al ricorrente sono state contestate le ipotesi di cui all'art. 6, lett. a) e b), della l. 401/1989, che puniscono le condotte di: a) coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza; b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino avere tenuto, anche all'estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l'ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui alla lett. a).

Nel caso di specie, essendoci una denuncia penale era necessario che il ricorrente ad oltre 2 anni dalla denuncia desse informazioni in merito all'esito del giudizio penale, o chiedesse l'autorizzazione ad utilizzare gli atti penali anche ai fini della difesa in sede amministrativa.

In ogni caso l'atto contiene l'indicazione di alcun elemento probatorio dal quale si possa desumere, secondo il criterio del "più probabile che non", la responsabilità personale di ciascuno dei ricorrenti per aver posto in essere una condotta idonea ad integrare una delle situazioni specificamente indicate dall'art. 6, comma 1, della l. n. 401 del 1989, in quanto è espressamente indicato che il ricorrente è stato individuato dagli addetti alla sicurezza come gli aggressori degli stessi e di altri tifosi con atti specificatamente indicati.

In mancanza di una ricostruzione diversa dei fatti da parte del ricorrente deve escludersi che l'atto della Questura possa essere contestato, dovendo il ricorrente provare nel giudizio amministrativo l'infondatezza della ricostruzione dei fatti effettuata dall'amministrazione.

A ciò si aggiunge che il ricorrente ammette di essersi trovato sul luogo del fatto ed invoca la legittima difesa, senza però fornire alcun elemento a suffragio della sua tesi.

2.2. Anche il secondo motivo, con il quale contesta la genericità delle manifestazioni sportive a lui precluse è infondato in quanto la Questura ha utilizzato un'elencazione di manifestazioni sportive e di luoghi preclusi al ricorrente che assumono il carattere della determinatezza con riferimento ai luoghi e della determinabilità con riferimento alle manifestazioni sportive.

Infatti i luoghi sono specificatamente indicati mentre le manifestazioni sportive sono indicate con riferimento all'organizzatore od al campionato, non avendo la Questura potestà divinatorie in merito alle date precise dei futuri incontri.

2.3. Il terzo motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità, è infondato in quanto la misura inferta è mediana rispetto al limite di legge previsto dal comma 5 - secondo il quale «Il divieto di cui al comma 1 e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni» - ed è proporzionata al fatto perché comportante l'uso della violenza tra tifosi.

2.4. Il quarto motivo, relativo all'omessa comunicazione di avvio del procedimento, è infondato in quanto la giurisprudenza ha chiarito che "la mancata comunicazione di avvio del procedimento sfociato nell'emanazione di un DASPO, non produce un vizio insanabile del provvedimento definitivo, in quanto la particolare tipologia di atto gravato quale è il divieto di accesso agli impianti sportivi, ha carattere cautelare e si caratterizza per la necessità e l'urgenza di evitare che il succedersi delle manifestazioni sportive calendarizzate nel campionato diventi occasione di scontro fra opposte tifoserie" (T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. II, 25 ottobre 2022, n. 1202).

3. In definitiva quindi il ricorso va respinto.

4. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte interessata.