Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Brescia, Sezione I
Sentenza 23 ottobre 2025, n. 923
Presidente: Gabbricci - Estensore: Siccardi
FATTO
1. Ali A.A.R., cittadino egiziano, in data 10 dicembre 2021 ha presentato istanza telematica di concessione della cittadinanza italiana per c.d. naturalizzazione, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), l. 91/1992.
2. In data 19 giugno 2024 la Prefettura di Cremona ha trasmesso al richiedente il preavviso di rigetto, in quanto lo stesso "risulta essere stato iscritto nel Comune di Vigevano (PV) dal 30/10/2008, cancellato per irreperibilità anagrafica dal medesimo Comune il 04/01/2019 e riscritto presso il Comune di Crema il 20/05/2019".
3. Con memoria difensiva del 25 giugno 2024 l'istante ha trasmesso alla Prefettura di Cremona le proprie deduzioni, specificando che nel corso del periodo di cancellazione dall'anagrafe del Comune di Vigevano si trovava, comunque, in Italia, seppur nel Comune di Crema.
4. Ritenendo la documentazione prodotta inidonea a sopperire alla carenza del requisito della "residenza legale", in data 7 ottobre 2024 la Prefettura di Cremona ha notificato decreto di inammissibilità della domanda di concessione della cittadinanza italiana.
5. Con ricorso notificato il 28 novembre 2024 al Ministero dell'interno ed alla Prefettura di Cremona, depositato in pari data, Ali A.A.R. ha impugnato il suddetto decreto, chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia.
6. Le Amministrazioni resistenti si sono costituite con atto di mero stile.
7. All'esito dell'udienza del 29 gennaio 2025 la domanda cautelare è stata rigettata per difetto del periculum in mora con ordinanza n. 31/2025.
8. L'appello cautelare proposto dal ricorrente è stato rigettato dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1439/2025, difettando tanto il periculum in mora, quanto il fumus boni iuris.
9. Nei termini di cui all'art. 73 c.p.a. il Ministero dell'interno ha depositato una memoria.
10. All'udienza pubblica del 24 settembre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta "violazione di legge - eccesso di potere - difetto/carenza di istruttoria - travisamento dei fatti - violazione del diritto di difesa del richiedente - presenza sul territorio nazionale del richiedente": lo stesso non sarebbe stato a conoscenza dell'avvenuta cancellazione anagrafica da parte del Comune di Vigevano, non avendo ricevuto alcuna comunicazione in tal senso, e, comunque, nel lasso temporale 4 gennaio 2019-20 maggio 2019 avrebbe continuato a soggiornare nel territorio italiano, precisamente nel Comune di Crema.
A sostegno degli assunti ed a riprova della propria integrazione, il ricorrente ha prodotto documentazione attestante: la stipula, in data 3 marzo 2018, di un contratto di locazione ad uso abitativo per un immobile sito in Crema; svariate fatture per la fornitura di energia elettrica nel suddetto immobile, lui intestate, per il periodo 1° novembre 2018-3 giugno 2019; la sottoscrizione, in data 15 maggio 2019, di un nuovo contratto di locazione per altro immobile, sempre sito in Crema, a seguito della quale avrebbe proceduto a formalizzare l'iscrizione anagrafica in quel Comune; lo svolgimento di attività lavorativa, quale apprendista, presso la sede di Crema della Dalev s.r.l., per gli anni 2018, 2019 e 2020; le certificazioni uniche dei redditi prodotti nel 2019 e nel 2020.
2. Il secondo motivo di ricorso sostiene la "sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 9 co. 1 lett. f) della legge n. 92 del 1991 - sussistenza del diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana": richiamato il testo dell'art. 9, comma 1, lett. f), della l. 91/1992, Ali A.A.R. ne ha sostenuto l'integrazione, attesa l'iscrizione all'anagrafe del Comune di Vigevano del 30 ottobre 2008 e la successiva formalizzazione della residenza in Crema, a fare data dal maggio 2019.
Il "vuoto" anagrafico sarebbe, in definitiva, ascrivibile ad una disfunzione organizzativa e non inficerebbe la sussistenza dei requisiti legali richiesti per la concessione della cittadinanza, in quanto: risiede in Crema, è titolare di un permesso di soggiorno di lungo periodo, è padre di un cittadino italiano, percepisce un reddito superiore ai limiti previsti dalla legge (euro 23.406,07 per l'anno 2023), è incensurato e di buona condotta.
3.1. I motivi di ricorso, esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
3.2. Anzitutto, occorre premettere che il requisito della residenza almeno decennale nel territorio italiano costituisce un presupposto indefettibile per la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, non solo sulla base della chiara formulazione letterale delle disposizioni che lo prevedono, ma anche alla luce della ratio delle relative prescrizioni.
L'art. 9, comma 1, lett. f), della l. 91/1992 prevede "1. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno: ... f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica".
La residenza legale ed almeno decennale nel territorio della Repubblica italiana riveste valenza di "criterio di collegamento" che costituisce la causa dell'attribuzione del particolare status allo straniero che si trovi in un Paese diverso dallo Stato di appartenenza ed è indicativa di quel "legame con il territorio del Paese ospitante", divenuto "centro delle proprie relazioni", che costituisce "il presupposto e la ragione della naturalizzazione" (C.d.S., Sez. III, n. 6143 del 21 novembre 2011, richiamata anche nell'ordinanza reiettiva dell'appello cautelare, nonché T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V-bis, n. 13815 del 18 settembre 2023).
L'art. 1, comma 2, lett. a), del d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 di esecuzione della suddetta legge precisa, poi, che "si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica".
Dal quadro normativo sopra enucleato (come già affermato da questa Sezione nella sentenza n. 323 dell'11 aprile 2023) si evince che possono assumere rilevanza giuridica ai fini de quibus solo i periodi di soggiorno nel territorio italiano certificati dall'autorità anagrafica, implicando la condizione di "residenza legale" che il richiedente abbia soddisfatto non solo le condizioni e gli adempimenti previsti dalla norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia, ma anche quelle in materia di iscrizione anagrafica, non essendo possibile dimostrare la residenza attuale ed ininterrotta attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica (nello stesso senso T.A.R. Venezia, Sez. III, n. 42 del 16 gennaio 2023 e 145 del 20 gennaio 2022, C.d.S., parere del 25 ottobre 2023 sull'affare n. 1473/2022).
La coincidenza tra la nozione di residenza legale e quella di residenza anagrafica ai fini della concessione della cittadinanza per naturalizzazione appare coerente tanto con il disposto dell'art. 7, comma 3, d.P.R. 223/1989 (regolamento anagrafico della popolazione residente), secondo cui "gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di rinnovare all'ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo", sia con l'art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico sull'immigrazione), secondo cui "le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione".
Dalle disposizioni normative che precedono deriva che l'iscrizione all'anagrafe - e la necessaria comunicazione delle relative variazioni - non è una semplice facoltà attribuita dalla legge alle persone, ma è la conseguenza obbligatoria dell'aver stabilito la propria dimora abituale nel territorio del Comune.
Del resto il livello di integrazione e di adesione dello straniero ai valori e ai principi dello Stato cui aspira a divenire cittadino ben può essere apprezzato anche alla stregua della puntuale osservanza degli adempimenti prescritti proprio "in materia d'iscrizione anagrafica" [art. 1, comma 2, lett. a), d.P.R. n. 572/1993], che costituiscono "il presupposto per consentire, per quanto qui rileva, anche un efficace monitoraggio degli stranieri che soggiornano nel territorio statale al fine di garantire preminente tutela ai principi fondamentali della sicurezza e dell'ordine pubblico" (già richiamata sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V-bis, n. 13815 del 18 settembre 2023).
A ciò consegue che ai fini della concessione della cittadinanza non assume rilievo il tempo trascorso dallo straniero sul territorio italiano come "residente abituale", ma solo quello che trova corrispondenza nei registri anagrafici, in quanto "indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell'aspirante cittadino" (C.d.S., Sez. I, parere n. 2482 del 30 novembre 1992): pertanto, l'interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica, atteso che la legge demanda ai relativi registri l'accertamento della popolazione residente e, coerentemente, l'art. 1 d.P.R. n. 362 del 1994 e l'art. 1, comma 2, lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993 impongono che la prova della residenza sia fornita solo con riferimento alle risultanze dei registri dell'anagrafe dei residenti, non essendo consentito che, in presenza di una precisa definizione della nozione di residenza legale ai sensi della disposizione regolamentare innanzi richiamata, tale elemento possa essere surrogato con indizi di carattere presuntivo od elementi sintomatici indiretti (cfr. C.d.S., Sez. III, n. 6143 del 22 novembre 2011, nonché T.A.R. Trento, n. 3 del 14 gennaio 2022 e T.A.R. Trieste, n. 186 del 30 aprile 2019).
Né può dirsi sussistere alcuna carenza istruttoria in capo all'Amministrazione, atteso che la stessa, a fronte della discontinuità delle iscrizioni anagrafiche, predisposte sia nell'interesse pubblico alla certezza sulla composizione ed i movimenti della popolazione, sia nell'interesse dei privati ad ottenere le certificazioni anagrafiche ad essi necessarie per l'esercizio dei diritti civili e politici, esercita un potere di tipo vincolato (cfr., già citato C.d.S., Sez. III, n. 6143 del 22 novembre 2011).
Del resto, "non è davanti al giudice amministrativo che l'interessato può contrastare le risultanze anagrafiche, producendo documentazione per dimostrare di aver mantenuto effettivamente la residenza ininterrotta nel Comune, dovendo piuttosto attivarsi presso i competenti Uffici dell'Ente Locale per rappresentare l'erroneità della cancellazione anagrafica, chiedendo l'annullamento in autotutela del provvedimento di cancellazione, oppure proporre ricorso gerarchico improprio al Prefetto (ai sensi dell'art. 5, comma 2, l. n. 1228/1954 e art. 36 d.P.R. 223/1989) o, ancora, adire l'autorità giudiziaria competente, i.e. il giudice ordinario, non essendo il giudice amministrativo munito di giurisdizione su tale questione, essendo le questioni riguardanti lo stato delle persone (inclusa la residenza) riservate alla giurisdizione ordinaria" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V-bis, n. 16011 del 3 settembre 2025).
3.3. L'interpretazione fatta propria dall'Amministrazione, peraltro, è coerente con la ratio sottesa alla normativa, ovverosia, in considerazione dell'elevatissimo numero delle richieste di cittadinanza, ancorare la nozione di residenza legale, a tali fini, ad un dato formale di immediato accertamento quale, appunto, le risultanze delle certificazioni anagrafiche, e ciò anche al fine di salvaguardare la speditezza e, più in generale, il buon andamento dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 Cost. (cfr. più volte richiamata sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V-bis, n. 13815 del 18 settembre 2023).
3.4. Il ricorso va, quindi, respinto.
4. Le spese di lite possono essere compensate nella misura di 1/3, in ragione della sussistenza di un orientamento giurisprudenziale di senso opposto a quello cui aderisce il Collegio, venendo gli ulteriori 2/3 liquidati - nella misura di cui al dispositivo - secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di lite nella misura di 1/3 e condanna il ricorrente a rimborsare all'Amministrazione gli ulteriori 2/3 delle stesse, liquidate in euro 1.500,00, oltre oneri ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.