Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 29 ottobre 2025, n. 8396
Presidente: Lamberti - Estensore: Basilico
FATTO E DIRITTO
1. L'appellante impugna la sentenza che ha respinto il ricorso contro il diniego di condono per un capannone realizzato sul terreno di sua proprietà.
2. I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio, possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti.
2.1. L'appellante è proprietaria di un terreno sul quale è stato realizzato un capannone, parte integrante di un'azienda agricola, per il quale il 27 febbraio 1995 ha fatto domanda di condono ai sensi della l. 23 dicembre 1994, n. 724.
Nell'istanza ha precisato che l'immobile era stato ultimato alla data del 31 dicembre 1993, allegando a tal proposito una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà.
2.2. Il 19 marzo 2011 l'appellante ha chiesto l'autorizzazione al completamento delle opere abusive ai sensi dell'art. 35 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, ma l'istanza è stata respinta dall'amministrazione la quale, con nota n. 34734 del 28 marzo 2011, ha diffidato dal proseguire i lavori, considerandoli come un intervento di ripristino e sostituzione di elementi architettonici ovvero di realizzazione ex novo della struttura.
2.3. Quindi, con nota del 12 settembre 2011, l'amministrazione ha comunicato il preavviso di rigetto dell'istanza di condono, evidenziando l'omessa ultimazione delle opere abusive entro il termine perentorio del 31 dicembre 1993.
2.4. L'interessata ha replicato che i lavori di ripristino della copertura si erano resi necessari a causa di intemperie, chiedendo altresì che, in caso di rigetto definitivo dell'istanza di condono, fosse comunque istruita la pratica ai sensi del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 24 novembre 2003, n. 326, e della l.r. Lazio 8 novembre 2004, n. 12.
2.5. Quest'ultima richiesta è stata respinta con nota del 12 ottobre 2011, per assenza di una norma autorizzativa.
2.6. Con provvedimento del 9 gennaio 2012 il Comune ha respinto definitivamente l'istanza di condono per mancata ultimazione delle opere nel termine di legge.
2.7. L'interessata ha impugnato il diniego dinanzi al T.A.R. per il Lazio, sostenendo che sia maturato il silenzio assenso per decorso del termine di 24 mesi dalla presentazione della domanda corredata dei documenti e dal pagamento degli oneri accessori, che l'opera fosse completata entro il termine di legge, dal punto di vista funzionale e tenendo conto della sua destinazione come deposito di sementi e mezzi agricoli, nonché denunciando la violazione dell'art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, sotto vari profili.
3. Con sentenza 28 gennaio 2022, n. 1012, il Tribunale ha respinto il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di Roma Capitale.
4. L'interessata ha proposto appello contro la decisione.
4.1. Roma Capitale si è costituita nel giudizio di secondo grado, resistendo al gravame.
4.2. Nel corso del processo le parti hanno depositato scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi.
4.3. All'udienza del 17 settembre 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L'appello si fonda su un unico motivo, con cui si deduce: «Violazione di legge. Difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, contraddittorietà, difetto di istruttoria. Mancata pronuncia su un punto decisivo della controversia. Completamento funzionale del manufatto. Provvedimento tacito di assenso della domanda di condono. Difetto di motivazione».
5.1. In particolare, l'appellante insiste nel sostenere che l'edificio fosse completato, quantomeno da un punto di vista funzionale, alla data del 31 dicembre 1993, come attestato dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà - il cui valore probatorio sarebbe stato sminuito dal T.A.R. - e che il Comune non avrebbe assolto all'onere di dimostrare il contrario; sul piano procedimentale, l'amministrazione non avrebbe valutato le osservazioni presentate a seguito del preavviso di rigetto; infine il Tribunale non si sarebbe pronunciato sulla richiesta d'istruire la pratica ai sensi della l. n. 326 del 2003.
6. L'appello è infondato.
6.1. Innanzitutto il collegio intende ribadire che per la formazione tacita del titolo in sanatoria non sono sufficienti l'inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dall'amministrazione e l'adempimento degli oneri documentali ed economici stabiliti dalla legge, ma occorre anche la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi ai quali essa è subordinata, tra cui il completamento entro il termine di legge (C.d.S., Sez. II, 24 dicembre 2024, n. 10377 e, più di recente, 25 febbraio 2025, n. 1644).
6.2. A tal proposito, è opportuno ricordare che «per edifici "ultimati", ci si riferisce a quelli completi almeno al "rustico", appunto, espressione con la quale si intende un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili», mentre la nozione di completamento funzionale «implica invece uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione», situazioni entrambe non ravvisabili nel caso di un immobile privo di copertura, anche solo parzialmente.
Nella specie, non vi sono elementi che dimostrino che il capannone era completato alla data del 31 dicembre 1993, anzi ve ne sono diversi di segno opposto, come la richiesta della stessa proprietà di effettuare lavori perché l'edificio era «mancante di alcune pannellature di copertura» e la totale genericità dell'affermazione secondo cui queste sarebbero venute meno a causa d'intemperie successive al 1993.
È bene precisare che, per provare il completamento entro il termine previsto per accedere al c.d. "secondo condono", non è sufficiente la dichiarazione sostitutiva presentata dall'interessata, dato che l'art. 39 della l. n. 724 del 1994, pur prevedendo che la documentazione già prevista dall'art. 35, comma 3, della l. n. 47 del 1985 sia sostituita da un'apposita dichiarazione del richiedente, mantiene espressamente fermo «l'obbligo di allegazione della documentazione fotografica», nella specie non assolto dall'istante.
Pertanto, mancando il requisito sostanziale del completamento delle opere nel termine di legge, il diniego ha assunto carattere vincolato, circostanza che esclude anche ogni rilevanza di eventuali omissioni del contraddittorio procedimentale.
7. L'appello è quindi meritevole di rigetto.
8. Secondo la regola generale della soccombenza, dalla quale nella specie non vi è ragione di discostarsi, l'appellante deve essere condannata al pagamento delle spese di lite del grado, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione III, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge; condanna l'appellante al pagamento delle spese di lite del grado, nella misura di euro 4.000 (quattromila/00), oltre oneri e accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II-bis, sent. n. 1012/2022.