Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 23 ottobre 2025, n. 8230
Presidente: Chieppa - Estensore: Sestini
FATTO E DIRITTO
1. Con atto in data 10 dicembre 2004 (pratica 0/576260), l'avv. Giovan Candido D.G. presentava al Comune di Roma domanda di condono edilizio per il cambio di destinazione a studio professionale ai sensi del d.l. n. 269/2003, convertito con l. n. 326/2003 e della l.r. Lazio n. 12/2004. Alla domanda veniva allegata copia del versamento dell'oblazione di euro 567,60 prevista con valore fisso dall'allegato I al d.l. n. 269/2003 e dall'allegato A alla l.r. n. 12/2004 per la tipologia di abuso n. 6 "opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superfici e di volume"; la dichiarazione ai sensi dell'art. 4 della l. n. 15/1968; la documentazione fotografica dell'appartamento.
2. Il Comune di Roma, dopo aver chiesto ed acquisito ulteriore documentazione, con provvedimento U.O. Condoni QI 2016/133365 del 18 luglio 2016 statuiva che "Il ritiro della concessione è subordinato al pagamento di quanto dovuto a titolo di oneri concessori, diritti di segreteria, diritti vincoli e oblazione" complessivamente quantificati in una ingente somma. Tale atto veniva impugnato davanti al T.A.R., che respingeva il ricorso.
3. Con l'appello in epigrafe viene quindi appellata la sentenza del T.A.R. del Lazio, Sez. II stralcio, n. 10392/2023 con la quale è stato respinto il ricorso n. 12851/2016 proposto dall'avv. Giovan Candido D.G. per ottenere l'annullamento della condizione, posta dal Comune di Roma, secondo la quale il ritiro della concessione in sanatoria inerente l'immobile sito in Roma, Piazza Mazzini n. 27, scala A, int. 8, Zona B è stato subordinato "al pagamento di euro 18.418,09, di cui euro 13.945,93 a titolo di oneri di urbanizzazione ed euro 4.472,16 a titolo di costo di costruzione; al pagamento di euro 13.023,28 a titolo di interessi sulla predetta somma di euro 18.418,09; al pagamento di euro 13.564,00 a titolo di oblazione; al pagamento di euro 3.011,96 a titolo di interessi sulla predetta somma di euro 13.564,00; al pagamento di euro 1.356,40 a titolo di oblazione regionale; al pagamento di euro 301,19 a titolo di interessi sulla predetta somma di euro 1.356,40 per complessivi euro 50.234,36".
Il ricorso in appello, riferito alla predetta domanda di condono per cambio di destinazione d'uso da abitazione a studio professionale, ha quindi ad oggetto la legittimità della richiesta di pagamento delle predette somme ai fini del buon esito della domanda di sanatoria, trattandosi di un mero cambio di destinazione d'uso non comportante alcun maggiore consumo del suolo o incremento degli oneri urbanistici.
4. In particolare, con l'appello vengono dedotte le censure di seguito sintetizzate.
4.1. In primo luogo, viene dedotta l'erroneità della statuizione impugnata in quanto gli oneri di urbanizzazione non sono dovuti ove non sia riscontrabile alcuna variazione in aumento del carico urbanistico, così come statuito per la fattispecie in esame dalla sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2066/2017 e dalla relativa sentenza della Corte di cassazione, Sezione tributaria civile, n. 30001/2019, evincendosi che per l'immobile non era stata in alcun modo dimostrata la variazione in aumento del carico urbanistico, con conseguente annullamento dell'accertamento catastale che aveva aumentato la classe da 3 a 7 e la rendita da euro 6.693,28 ad euro 12.271,02. La mancata dimostrazione dell'aumento del carico urbanistico, quindi, escludeva l'applicazione degli oneri erroneamente imputati dal Comune per una insussistente "ristrutturazione edilizia".
4.2. Inoltre, si deduce che nessuna somma poteva ritenersi dovuta a titolo di costo di costruzione non essendo stata realizzata alcuna opera edilizia strumentale alla modifica della destinazione d'uso dell'appartamento, né interessate nuove porzioni di territorio.
4.3. Di conseguenza, neppure potevano essere applicati gli interessi sia sulla somma inerente gli oneri di urbanizzazione, sia sulla somma inerente il costo di costruzione, sia sulla somma inerente l'oblazione.
5. Il Comune si è costituito in giudizio, argomentando l'infondatezza dell'appello. Le parti hanno, poi, argomentato le rispettive difese con reciproco scambio di memorie.
6. In ultimo, la parte appellante ha richiamato la novella normativa di cui all'art. 23-ter, comma 1-ter, del d.P.R. n. 380/2001, come introdotto dal d.l. n. 69/2024 convertito in l. n. 105/2024, che avrebbe reso regolarizzabili le opere oggetto di causa sostenendo anche, con le proprie successive memorie, la sopravvenuta improcedibilità del giudizio salvo argomentare in via subordinata la sua fondatezza.
6.1. Il Comune di Roma obietta, sul punto, che la nuova normativa attiene alle procedure ordinarie di sanatoria e di regolarizzazione edilizia, incidendo esclusivamente sul regime della cosiddetta "doppia conformità" e sulle soglie di tolleranza. La fattispecie in esame riguarderebbe, invece, una domanda di condono straordinario ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla l. n. 326/2003, nonché della l.r. Lazio n. 2/2004, disciplina eccezionale e temporalmente delimitata, alla quale non possono applicarsi retroattivamente disposizioni sopravvenute. Il mutamento di destinazione d'uso da residenziale a direzionale (studio professionale), realizzato mediante opere edilizie interne, non rientrerebbe tra le ipotesi di difformità minori o tolleranze geometriche contemplate dalla normativa richiamata da parte ricorrente.
6.2. Si pone quindi, preliminarmente, la necessità di valutare se l'entrata in vigore della nuova normativa abbia o meno determinato la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del presente giudizio.
6.3. Al riguardo, considera il Collegio che l'entrata in vigore della citata nuova disciplina di legge non sembra poter incidere sulla procedibilità dell'appello, anche in relazione alle deduzioni del Comune circa la sua non applicabilità alla fattispecie in esame, nonché in relazione alle modalità di esercizio della predetta facoltà processuale da parte dell'appellante, che pone il tema della improcedibilità del giudizio in ragione della applicabilità della nuova disciplina, ma poi insiste per l'accoglimento del gravame anche alla luce della medesima nuova disciplina. Del resto, non possono neppur essere esclusi possibili conseguenze di una dichiarazione di improcedibilità quanto alla disciplina intertemporale dell'abuso e ad eventuali azioni esecutive riferite alla ripetizione delle somme richieste dal Comune, rendendosi ragionevole una ricostruzione della volontà dell'appellante nel senso della prosecuzione della coltivazione del gravame.
7. Nel merito l'intervento in esame, a giudizio del Comune, integra una ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, in quanto non si è trattato di una mera modifica interna, ma di un mutamento di destinazione d'uso con effetti urbanisticamente rilevanti. In ogni caso gli importi dovuti a titolo di oblazione, oneri concessori e costi di costruzione, prosegue il Comune, sono stati legittimamente determinati dall'Amministrazione con atto del 18 luglio 2016 (prot. QI/2016/133365) e confermati dalla sentenza del T.A.R. Lazio n. 10392/2023. Pertanto, neppure la disciplina sopravvenuta potrebbe comunque incidere sugli obblighi economici già accertati, i quali resterebbero pienamente dovuti quale condizione per il rilascio del titolo in sanatoria.
8. Al riguardo, osserva il Collegio che l'immobile al momento della domanda di sanatoria già aveva in via di fatto la nuova destinazione d'uso e che gli interventi realizzati non erano valutabili in termini di aumento di volume o di superficie.
8.1. In particolare, la sentenza impugnata ritiene che "In sintesi, l'intervento edilizio abusivo oggetto di condono è consistito in opere murarie interne (id est demolizioni e rifacimenti) le quali, pur non interferendo con le strutture portanti dell'edificio, hanno però rideterminato la distribuzione interna degli spazi e mutato la loro destinazione d'uso da abitazione ad ufficio". Al contrario, il mero spostamento di alcuni tramezzi interni (non controverso, in fatto, fra le parti) non incideva sulla destinazione d'uso già in atto dell'immobile fino dal 3 gennaio 1970 secondo la documentazione in atti, essendo pacifico che l'immobile fosse utilizzato come studio professionale già in precedenza e che le opere interne non hanno inciso né hanno assunto alcun rilievo su tale destinazione di fatto già in essere.
Lo "spostamento di pareti interne" non è configurabile come intervento di "ristrutturazione edilizia" e nessun rilievo poteva essere attribuito allo spostamento dei suddetti tramezzi ai fini del mutamento della destinazione dell'immobile, che quindi si configurava, così come evidenziato dall'appellante fin dalla proposizione della domanda, quale intervento non valutabile in termini di aumento di volume e di superficie (all. 1, n. 6, del d.lgs. n. 269/2003) e non comportante, così come confermato dalle sentenze della Commissione tributaria regionale del Lazio, Sez. 5, n. 2066 dell'11 aprile 2017, e della Corte di cassazione, Sezione tributaria, n. 30001/2019, alcun aumento del carico urbanistico in un'area, peraltro, già completamente urbanizzata e caratterizzata dalla presenza di numerosi similari studi professionali.
8.2. Alla luce delle pregresse considerazioni, neppure poteva configurarsi alcun onere per "nuova costruzione", dovendosi accogliere anche le censure dedotte sul punto, mentre possono ritenersi assorbite le ulteriori censure concernenti il calcolo e la liquidazione degli interessi su somme che, in realtà, risultano radicalmente non dovute.
9. In conclusione, l'appello deve essere accolto, del tutto indipendentemente dalla applicazione, alla fattispecie considerata, della nuova disciplina che ha ulteriormente liberalizzato la materia dei cambi di destinazione d'uso.
Dall'accoglimento del ricorso consegue l'obbligo dell'amministrazione di rilasciare senza indugio il titolo, subordinato invece al pagamento di oneri risultati non dovuti.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado; per l'effetto, annulla gli atti impugnati in tale sede.
Condanna il Comune intimato a rifondere all'appellante le spese del doppio grado di giudizio, liquidate in euro 3.000,00 per il primo grado e 4.000,00 per il presente grado d'appello, oltre ad oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II, sent. n. 10392/2023.