Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione VIII
Sentenza 17 settembre 2025, n. 6223

Presidente: Corciulo - Estensore: Cestaro

FATTO

1.1. Con il presente ricorso, la sig.ra A. Domenica impugna l'ordinanza n. 120 del 5 giugno 2024, adottata dal Comune di Santa Maria Capua Vetere, con la quale è stata disposta l'acquisizione al patrimonio comunale dell'immobile sito in via Tari n. 54 e irrogata una sanzione pecuniaria di euro 6.407,00, ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 198 del 20 ottobre 2023.

La ricorrente espone di aver acquistato, con atto notarile del 27 dicembre 2018, un appartamento sito al terzo piano dell'immobile in via Tari n. 55, identificato al N.C.E.U. al foglio 14, p.lla 5648, sub 42, proveniente da un frazionamento del subalterno 19. L'originario subalterno 19, a sua volta, era stato oggetto di un intervento di ampliamento volumetrico di circa 23 mq, realizzato dalla precedente proprietaria, sig.ra Marianna M., lungo il terrazzo esistente.

Successivamente, il fabbricato era stato frazionato nei subalterni 40, 41 e 42, venduti a diversi acquirenti. L'ampliamento volumetrico eseguito dalla sig.ra M. insisteva esclusivamente sulla porzione poi accatastata al sub 42, acquistata dalla ricorrente.

La precedente proprietaria aveva presentato, con nota prot. n. 0028424 del 9 agosto 2018, una SCIA in sanatoria per la regolarizzazione dell'ampliamento, procedimento successivamente sospeso su richiesta del tecnico incaricato (nota prot. n. 0030632 del 5 settembre 2018).

Con ordinanza n. 198 del 20 ottobre 2023, il Comune ordinava la demolizione delle opere abusive non sanate. A seguito di tale provvedimento, la ricorrente e le altre proprietarie dei subalterni presentavano istanza di permesso a costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (prot. n. 15428 del 19 marzo 2024), rigettata dall'Amministrazione con comunicazione prot. n. 19076 del 9 aprile 2024.

In data 12 aprile 2024, veniva redatto un verbale di accertamento di inottemperanza all'ordinanza di demolizione. Ritenendo tale verbale un mero atto istruttorio, la ricorrente, in accordo con il sig. M. Pasquale (padre della precedente proprietaria), dava mandato al tecnico Scalella per presentare una SCIA finalizzata alla demolizione delle opere abusive, presentata con prot. n. 20829 del 18 aprile 2024.

Tale attività era volta a garantire l'ottemperanza all'ordine di demolizione, anche in considerazione dell'esistenza di un contratto di locazione in essere con la sig.ra Ac. Immacolata, che occupava l'immobile.

Con nota prot. n. 29018 del 31 maggio 2024, l'Amministrazione comunicava l'avvio del procedimento di decadenza e annullamento della SCIA, contestando dichiarazioni false del tecnico incaricato. La ricorrente dichiarava di non essere a conoscenza delle azioni compiute dal tecnico e agiva per la loro denuncia.

Nonostante la pendenza del procedimento di annullamento della SCIA, il Comune adottava l'ordinanza n. 120 del 5 giugno 2024, con cui disponeva l'acquisizione del bene e irrogava la sanzione.

Con nota prot. n. 39523 del 22 luglio 2024, la ricorrente chiedeva la revoca del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, producendo perizia giurata attestante l'avvenuta demolizione delle opere.

Il procedimento di annullamento della SCIA si concludeva solo con provvedimento prot. n. 44460 del 22 agosto 2024, quindi successivamente all'adozione dell'ordinanza impugnata.

1.2. La ricorrente muove al provvedimento di acquisizione le censure di seguito descritte.

I) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 1, e 10 della l. n. 241/1990; violazione dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di istruttoria, sviamento e contraddittorietà; violazione del principio di imparzialità e dell'art. 97 Cost.

La ricorrente deduce l'illegittimità del provvedimento impugnato per essere stato adottato nonostante fosse ancora pendente il procedimento di autotutela avviato con nota prot. n. 29018 del 31 maggio 2024, relativo alla SCIA prot. n. 20829 del 18 aprile 2024, presentata per l'esecuzione delle opere di demolizione. Osserva, in particolare, che la SCIA era formalmente efficace e idonea a legittimare l'attività edilizia finalizzata all'eliminazione dell'abuso, non essendosi ancora concluso il procedimento di annullamento in autotutela, definito soltanto in data 22 agosto 2024, ben 79 giorni dopo l'adozione dell'ordinanza di acquisizione.

Lamenta, inoltre, che l'Amministrazione ha fondato l'acquisizione su un verbale di accertamento dell'inottemperanza, senza emanare un formale atto che ne dichiarasse la sussistenza, né ha consentito alla ricorrente di controdedurre rispetto ai rilievi formulati, in violazione del principio del contraddittorio e degli obblighi partecipativi di cui all'art. 10 della l. n. 241/1990.

Deduce, altresì, che l'illegittimità risulta aggravata dalla circostanza che la stessa Amministrazione ha confermato la pendenza del procedimento di annullamento della SCIA, poi conclusosi con il provvedimento prot. n. 44460 del 22 agosto 2024, a distanza di oltre due mesi dall'adozione dell'ordinanza impugnata. Ritiene, pertanto, che il provvedimento sia stato adottato in assenza di un'istruttoria compiuta e in violazione dei principi di trasparenza, imparzialità e buona amministrazione.

II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di istruttoria, contraddittorietà e difetto di motivazione; violazione del giusto procedimento.

La ricorrente contesta l'illegittimità del provvedimento impugnato per essere stato adottato in assenza del formale atto di accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire, previsto dall'art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001. Osserva che tale accertamento costituisce il presupposto necessario e imprescindibile per procedere all'acquisizione gratuita dell'immobile al patrimonio comunale e per l'immissione in possesso, non potendo il titolo giuridico ritenersi integrato dal solo verbale redatto dalla Polizia Municipale.

La censura è fondata sulla giurisprudenza amministrativa, la quale ha chiarito che il mero verbale di sopralluogo ha carattere meramente istruttorio e non può assumere efficacia provvedimentale, non essendo idoneo a costituire titolo per la trascrizione nei registri immobiliari. A sostegno della propria tesi, la ricorrente richiama, tra le altre, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, n. 1315/2019, e la decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6190/2021, secondo cui l'acquisizione è legittima solo a seguito di un formale provvedimento che recepisca gli esiti dell'accertamento e contenga l'indicazione puntuale delle opere abusive e delle loro pertinenze urbanistiche.

Nel caso di specie, il Comune si è limitato a redigere un verbale di constatazione in data 16 aprile 2024, ritenendolo erroneamente sufficiente ai fini dell'acquisizione, senza adottare un formale provvedimento di accertamento dell'inottemperanza. Secondo la ricorrente, tale omissione vizia in modo insanabile il procedimento, rendendo illegittimo il provvedimento di acquisizione adottato, con conseguente lesione diretta della propria sfera giuridica.

III) Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di istruttoria, contraddittorietà e difetto di motivazione.

La ricorrente contesta l'illegittimità del provvedimento impugnato per avere disposto in modo generico l'acquisizione dell'intero appartamento ubicato al terzo piano dell'immobile sito in via Tari n. 54, identificato catastalmente alla p.lla 5648 del foglio 14, sub 19 (oggi frazionato nei subalterni 40, 41 e 42), senza alcuna delimitazione o perimetrazione dell'area oggetto dell'abuso edilizio.

Deduce che l'acquisizione avrebbe dovuto, semmai, riguardare esclusivamente il subalterno 42, ovvero l'unità immobiliare attualmente di proprietà della ricorrente, sulla quale insistevano le opere abusive realizzate dalla precedente proprietaria. Al contrario, i subalterni 40 e 41, intestati a soggetti terzi e privi di irregolarità edilizie, sono stati anch'essi inclusi nell'acquisizione, in assenza di istruttoria puntuale e di una specifica motivazione circa l'interesse pubblico perseguito.

A sostegno della censura, la ricorrente richiama giurisprudenza amministrativa consolidata, secondo cui l'effetto acquisitivo previsto dall'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 deve essere circoscritto alle sole opere abusive e all'area di sedime direttamente interessata, non potendosi estendere indiscriminatamente all'intero immobile se l'abuso riguarda solo una sua porzione. In mancanza di motivazione che giustifichi l'estensione della misura ad ulteriori porzioni del fabbricato, il provvedimento risulta viziato.

Inoltre, evidenzia che l'acquisizione non può colpire soggetti estranei all'abuso, specie se risultano proprietari di porzioni immobiliari non interessate dalle opere contestate. Ribadisce, pertanto, che l'Amministrazione avrebbe dovuto limitarsi ad acquisire la parte del fabbricato effettivamente coinvolta nelle opere abusive, escludendo le altre unità e i rispettivi titolari, con conseguente illegittimità dell'acquisizione estesa all'intero sub 19.

IV) Violazione e falsa applicazione dell'art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per illogicità manifesta, difetto di istruttoria, violazione del giusto procedimento, difetto di motivazione.

La ricorrente deduce l'illegittimità del provvedimento impugnato anche sotto il profilo della mancata specificazione dell'area oggetto di acquisizione, con riferimento sia alla sua estensione sia alla perimetrazione, in violazione di quanto previsto dall'art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001. Osserva che l'Amministrazione si è limitata ad indicare genericamente l'"acquisizione al patrimonio del Comune dell'appartamento al terzo piano del fabbricato sito alla via Tari n. 54 e identificato al NCEU al foglio 14, particella 5648, sub 19 (oggi 40-41-42)", senza individuare puntualmente l'area interessata dall'abuso edilizio e senza fornire alcuna quantificazione della superficie di sedime.

Secondo la ricorrente, il provvedimento è viziato da difetto di istruttoria e di motivazione, non essendo stato definito con precisione l'oggetto dell'acquisizione, né indicati i criteri seguiti per determinare l'estensione dell'area sottratta al privato. Richiama sul punto la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 1540/2011), secondo cui, pur trattandosi di una conseguenza automatica dell'inottemperanza, l'acquisizione richiede un provvedimento espresso e motivato, che identifichi in modo analitico la porzione immobiliare e la relativa area da acquisire.

Cita, inoltre, i precedenti del T.A.R. Campania (sentt. n. 1650 e n. 2191 del 2015) che ribadiscono la necessità di un'accurata individuazione dell'area e dei criteri urbanistici utilizzati per determinare la "pertinenza urbanistica" dell'abuso. In mancanza di tale analisi, l'atto acquisitivo si risolve in una compressione arbitraria del diritto di proprietà, in violazione dei principi costituzionali di legalità e proporzionalità, nonché del dovere di precisione che deve assistere ogni provvedimento ablativo.

1.3. Con ordinanza n. 1879/2024, il Collegio accoglieva l'istanza cautelare rilevando, nei limiti della cognizione sommaria propria della fase cautelare che «sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta l'illegittima acquisizione (sotto il profilo del difetto di motivazione) dell'intero piano del fabbricato laddove l'abuso interessa solo una porzione di esso».

1.4. All'esito dell'udienza pubblica del 24 luglio 2025, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

2.1. Al fine di decidere il merito, occorre chiarire l'operatività dell'istituto dell'acquisizione regolato all'art. 31, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 380/2001 (t.u.e.) secondo quanto stabilito dalla nota Sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che si è occupata dell'istituto in questione (si riportano i commi 3 e 4 dell'art. 31 cit.: «3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita. 4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente»).

2.2. Ebbene, con Sentenza n. 16 dell'11 ottobre 2023, l'Adunanza plenaria ha chiarito che l'istituto in esame opera automaticamente dopo la scadenza del termine di novanta giorni dall'ingiunzione di demolizione, qui ampiamente decorso.

Il provvedimento di acquisizione assume, quindi, una portata meramente dichiarativa di un effetto prodottosi ex lege al decorso del termine di novanta giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione. Una residua efficacia costitutiva può riconoscersi solo alla parte in cui il provvedimento di acquisizione determina, per la prima volta, la superficie da acquisire.

Il provvedimento di acquisizione, peraltro, presenta una natura afflittiva di talché è necessario che la mancata demolizione - da intendersi quale illecito omissivo ulteriore rispetto all'originario illecito edilizio costituito dall'abusiva edificazione - sia imputabile al soggetto che subisce la sanzione; questi potrà dimostrare di essersi trovato nella condizione di non aver potuto demolire, ad es., per causa di forza maggiore. L'onere della prova in merito alla non imputabilità dell'omessa ottemperanza all'ordine di demolizione, come pure è chiarito dall'Adunanza plenaria, ricade sul soggetto passivo dell'acquisizione in ossequio al principio di vicinanza della prova.

2.3. Il Supremo consesso ha, altresì, chiarito che a seguito della perdita ipso iure del bene, pur se accertata successivamente, chi lo possiede ormai senza idoneo titolo giuridico non può né demolirlo, né modificarlo, ed è tenuto a corrispondere un importo all'Amministrazione proprietaria per la sua disponibilità che avviene sine titulo.

Decorso il termine di novanta giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, quindi, il proprietario inottemperante non può intervenire sul bene né può chiedere alcuna sanatoria in quanto è venuto meno il proprio titolo di legittimazione. Del resto, anche l'art. 36, comma 1, del t.u.e., nel regolare l'accertamento di conformità, impedisce la presentazione della relativa istanza scaduto il termine di novanta giorni di cui all'art. 31, comma 3, del medesimo d.P.R. n. 380/2001.

3. Alla luce delle coordinate ermeneutiche indicate dall'Adunanza plenaria, condivise da questa Sezione, risalta l'infondatezza, a livello teorico, delle prime due doglianze in quanto l'effetto acquisitivo si sarebbe perfezionato al decorso dei 90 giorni dalla notifica dell'ordinanza n. 198 del 20 ottobre 2023 senza ulteriore possibilità di richiedere alcuna sanatoria.

4.1. Sono, invece, fondate le censure sub III e IV per le ragioni di seguito esposte.

La parte lamenta, innanzitutto, che la sanzione riguarderebbe l'intero subalterno 19 sebbene esso sia stato frazionato, sin dal 2018, in tre distinti appartamenti che hanno assunto i subalterni catastali nn. 40, 41 e 42. Inoltre, si lamenta che manchi qualsivoglia motivazione in rapporto all'acquisizione di un'area ben superiore a quella dove insistono gli abusi.

4.2. In merito, giova rammentare il costante orientamento della Giustizia amministrativa secondo cui, qualora l'acquisizione riguardi un'area superiore a quella riferibile al sedime dell'edificazione abusiva, occorre una specifica motivazione oltre all'indicazione dei parametri urbanistici impiegati per commisurare l'area che si intende acquisire.

Con maggiore impegno esplicativo, si è precisato che l'acquisizione dell'area ulteriore, da un lato, deve recare precise indicazioni relative all'estensione e, dall'altro, deve essere giustificata mediante la specificazione delle ragioni che rendono l'estensione medesima funzionale e strumentale rispetto all'acquisto del bene abusivo e della relativa area di sedime. L'amministrazione procedente è, peraltro, tenuta a indicare la classificazione urbanistica e il relativo regime per l'area oggetto dell'abuso edilizio nonché a sviluppare (in base agli indici di fabbricabilità, territoriale o fondiaria, conseguentemente applicabili), il calcolo della superficie occorrente per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive come previsto dal menzionato art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (v., tra gli altri, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 2 gennaio 2025, n. 40; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 16250).

La stessa Sentenza n. 16/2023 dell'Adunanza plenaria, come si è detto, ha confermato che il provvedimento di acquisizione abbia un effetto costitutivo quanto alla determinazione della superficie da acquisire.

4.3. Tale conclusione vale a maggior ragione nel caso di specie, contraddistinto dall'avvenuto frazionamento del bene in epoca successiva agli abusi, ma precedente all'emanazione dell'ordinanza di demolizione. Simili circostanze, infatti, concorrono nell'imporre alla pubblica amministrazione un corposo onere motivazionale, risultando ablata anche la proprietà degli immobili di terzi acquirenti che non presentano abusi edilizi di sorta. Difatti, secondo la pacifica prospettazione della parte ricorrenti i subalterni 40 e 41 non presentano opere abusive che sono, invece concentrate nel solo subalterno 42 (peraltro, di proprietà della ricorrente).

5. Alla luce di tutto quanto precede, il ricorso va accolto e di conseguenza il provvedimento di acquisizione impugnato va annullato per aver disposto l'acquisizione dell'intero subalterno 19 (oggi 40, 41 e 42) senza alcuna specifica motivazione, essendosi limitato il provvedimento a menzionare le circostanze di fatto e le norme applicate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) lo accoglie;

per l'effetto,

2) annulla il provvedimento di acquisizione impugnato;

3) condanna il Comune intimato al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquidano in euro 2.000,00 oltre agli accessori di legge e al contributo unificato nella misura versata, con attribuzione al procuratore della parte ricorrente dichiaratosi antistatario;

4) ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.