Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 18 agosto 2025, n. 672
Presidente: de Francisco - Estensore: Lo Presti
FATTO
L'odierno appellante presentava al Comune di Palermo una SCIA per l'esercizio del commercio all'ingrosso di oggetti preziosi nei locali di via [omissis].
La relativa documentazione veniva trasmessa alla Questura per il rilascio della licenza ex art. 127 t.u.l.p.s.
La Questura, con preavviso ex art. 10-bis l. 241/1990, comunicava i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, individuati nella carenza del requisito della buona condotta ex art. 11 t.u.l.p.s.
Nonostante le articolate osservazioni dell'interessato, corredate da documentazione attestante la riabilitazione ottenuta e l'assenza di elementi negativi attuali, la Questura emanava il provvedimento di diniego, ritenendo non superate le ragioni ostative.
Con ricorso al T.A.R. Palermo, l'interessato impugnava il diniego deducendo:
- violazione degli artt. 11 e 127 t.u.l.p.s.;
- difetto di istruttoria ed eccesso di potere;
- contraddittorietà con gli accertamenti giudiziari (in particolare con il decreto di riabilitazione dalla misura di prevenzione);
- violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 4, 25, 27, 35 e 41 della Costituzione.
Il T.A.R. respingeva il ricorso, ritenendo legittimo il diniego in quanto fondato su elementi concreti e attuali, valorizzando in particolare la coincidenza tra l'attività richiesta e quella in cui si erano verificati i precedenti negativi.
Questo Consiglio, con ordinanza cautelare n. 655/2021, respingeva l'istanza di sospensione evidenziando la discrezionalità "forte" dell'Amministrazione e la congruente logicità del criterio precauzionale adottato, considerata l'identità del settore merceologico.
Con l'appello in esame, articolato in due motivi, si deduce:
- erroneità della sentenza per non aver rilevato i vizi del provvedimento in relazione agli accertamenti positivi in sede penale e alla riabilitazione ottenuta;
- erroneità nella valutazione dell'apporto procedimentale e violazione dei principi di proporzionalità e buon andamento.
DIRITTO
L'appello è infondato.
1. La questione centrale sottoposta all'esame del Collegio attiene alla legittimità del diniego di licenza ex art. 127 t.u.l.p.s. per il commercio di preziosi, fondato su elementi negativi pregressi che l'appellante assume superati dalla riabilitazione ottenuta e dal tempo trascorso.
Il Collegio ritiene di dover preliminarmente affermare il principio secondo cui, in materia di autorizzazioni di polizia, la valutazione dell'affidabilità del richiedente non può prescindere dalla natura specifica dell'attività da autorizzare, dovendo essere tale valutazione tanto più rigorosa quanto più il settore risulti esposto a rischi di infiltrazione criminale o di abusi.
Nel caso del commercio di preziosi, la particolare delicatezza del settore - naturalmente esposto a rischi di riciclaggio e di collegamenti con la criminalità organizzata - impone una valutazione particolarmente stringente, che non può esaurirsi nel mero riscontro della buona condotta in termini generali.
2. In altri termini, la riabilitazione ottenuta e l'assenza di elementi negativi recenti, pur rilevanti, non costituiscono una sorta di "lasciapassare" automatico per qualsiasi attività soggetta ad autorizzazione di polizia, conservando l'Amministrazione la potestà di valutare in concreto l'affidabilità specifica del soggetto istante in specifica relazione al settore d'attività richiesto.
3. Nel caso di specie, risulta decisiva la circostanza che i precedenti negativi dell'appellante (in particolare la condanna, poi prescritta, per intestazione fittizia) riguardino proprio il commercio di preziosi e si inseriscano in un contesto di accertati rapporti con esponenti della criminalità organizzata interessati a quel settore.
4. Tale "recidiva specifica", unita alla particolare sensibilità del settore, rende non illogica né sproporzionata la valutazione di inaffidabilità operata dalla Questura, rientrando essa nell'ambito della discrezionalità "forte" che caratterizza la materia, come già evidenziato da questo Consiglio in sede cautelare.
5. Non convince la tesi dell'appellante secondo cui gli accertamenti positivi del giudice penale e la riabilitazione ottenuta renderebbero illegittimo il diniego.
La valutazione richiesta all'Autorità di pubblica sicurezza ha infatti natura e finalità diverse, dovendo prevenire non solo condotte penalmente rilevanti, ma anche il mero rischio di abusi o di strumentalizzazioni (per sé, ovvero per soggetti terzi) dell'attività autorizzata.
Tale rischio, nel caso di specie, è stato ragionevolmente ravvisato dalla Questura sulla base di un quadro indiziario complessivo che, pur riferito a fatti non recenti, assume particolare significatività proprio in relazione allo specifico settore richiesto del commercio di preziosi e alla specificità, proprio rispetto a tale settore, delle precedenti condotte del richiedente storicamente verificatesi.
Né può ritenersi violato il principio di proporzionalità, avendo l'Amministrazione adeguatamente motivato le ragioni del diniego in relazione alla particolare delicatezza del settore e alla specifica vicenda dell'interessato.
6. Le censure sulla mancata valutazione dell'apporto procedimentale sono del pari infondate, avendo il provvedimento dato adeguatamente conto delle ragioni per cui le osservazioni presentate non sono state ritenute idonee a superare i motivi ostativi.
In conclusione, l'appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l'appellante a pagare all'Amministrazione appellata le spese di questo grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 3.000 (tremila/00) oltre spese generali e accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 9, § 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Sicilia, sez. IV, sent. n. 982/2024.