Corte costituzionale
Sentenza 15 maggio 2025, n. 64
Presidente: Amoroso - Redattore: Pitruzzella
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 11 novembre 2024, n. 16, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di Presidente della Giunta regionale, in recepimento dell'articolo 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 10 gennaio 2025, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 1 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2025.
Visto l'atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 2025 il Giudice relatore Giovanni Pitruzzella;
uditi gli avvocati dello Stato Ruggero Di Martino ed Eugenio De Bonis per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon e Marcello Cecchetti per la Regione Campania;
deliberato nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ricorso depositato il 10 gennaio 2025 e iscritto al n. 1 reg. ric. 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 11 novembre 2024, n. 16, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di Presidente della Giunta regionale, in recepimento dell'articolo 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165», in riferimento agli artt. 3, 51 e 122, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 2, comma 1, lettera f), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione).
1.1.- Il ricorrente deduce che la disposizione impugnata - dopo avere riconosciuto, al primo periodo, che «[n]on è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi» - prevede, al secondo periodo, che, «[a]i fini dell'applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge».
In tal modo, il legislatore regionale avrebbe solo apparentemente recepito il principio del divieto del terzo mandato consecutivo posto dall'evocato parametro interposto, differendo, in realtà, la sua applicazione.
1.2.- Osserva l'Avvocatura generale dello Stato che, ai sensi dell'art. 122, primo comma, Cost., come modificato con la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni), «[i]l sistema d'elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi».
La disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale sarebbe, dunque, materia di legislazione concorrente.
In attuazione del dettato costituzionale - prosegue il ricorrente - la legge n. 165 del 2004 ha enunciato i principi fondamentali che le Regioni devono recepire nelle proprie legislazioni.
In particolare, l'art. 2, comma 1, stabilisce che, «[f]atte salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione, le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione», nei limiti dei principi fondamentali espressi dal medesimo comma 1, tra cui, alla lettera f), quello «della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia».
La resistente, dal canto suo, si è dotata di una propria disciplina elettorale con la legge della Regione Campania 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale), entrata in vigore il 15 aprile 2009, il cui art. 1, comma 1, dispone che «[i]l Presidente della Giunta regionale e il Consiglio regionale sono eletti a suffragio universale e diretto». Parimenti, la legge della Regione Campania 28 maggio 2009, n. 6 (Statuto della Regione Campania), all'art. 46, comma 1, dispone che «[i]l Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente alla elezione del Consiglio regionale, di cui è componente».
Avendo, quindi, la Regione Campania adottato una legge elettorale e uno statuto che hanno previsto l'elezione del Presidente della Giunta regionale a suffragio universale e diretto, non vi sarebbe alcuna ragione per escludere l'operatività del divieto del terzo mandato consecutivo a chi ne abbia già svolti due sulla base della richiamata legislazione elettorale regionale.
Come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa e della Corte di cassazione, tale divieto sarebbe funzionale all'esigenza di prevenire il rischio di concentrazione e di personalizzazione del potere.
Ciò sarebbe stato confermato da questa Corte nella sentenza n. 60 del 2023, ove si è chiarito, in relazione ai sindaci, che «[l]a previsione del numero massimo dei mandati consecutivi - in stretta connessione con l'elezione diretta dell'organo di vertice dell'ente locale, a cui fa da ponderato contraltare - riflette [...] una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l'effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali».
Tali affermazioni - ribadite nella sentenza di questa Corte n. 196 del 2024 - sarebbero replicabili anche in relazione al limite dei mandati consecutivi del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto.
Il principio statale del divieto del terzo mandato consecutivo, poi, per essere applicato, non necessiterebbe di alcuna specificazione o recepimento da parte delle regioni, «essendo già perfettamente delineato» e «immediatamente operativo».
Tale principio fondamentale risponderebbe alla ratio di imporre una disciplina uniforme e inderogabile su tutto il territorio nazionale, ammettendo «diverse articolazioni di dettaglio in ambito regionale, senza, tuttavia, sacrificare l'istanza unitaria portata dalla disposizione statale».
La disposizione regionale impugnata, nella parte in cui esclude dal computo dei mandati quelli svolti prima della sua entrata in vigore, si porrebbe in contrasto con il menzionato principio fondamentale, dal che conseguirebbe la violazione dell'art. 122, primo comma, Cost., nonché dei principi di ragionevolezza e uguaglianza di cui agli artt. 3 e 51 Cost.
Aggiunge il ricorrente che, ammettendo che le regioni siano libere di differire l'operatività del divieto di eleggibilità dopo il secondo mandato consecutivo e «se addirittura si concedesse che il principio debba essere necessariamente e formalmente recepito dalla legislazione regionale per essere operante, senza peraltro porre alcun termine al recepimento», ne deriverebbe che le regioni medesime resterebbero libere di ridimensionarne la portata precettiva e finanche di rinviarne l'attuazione sine die.
Neanche potrebbe obiettarsi che le cosiddette leggi cornice non sono suscettibili di diretta applicazione, ben potendo il legislatore nazionale dettare norme di dettaglio che rispondano a una prevalente esigenza di uniformità di disciplina a livello nazionale.
Nel caso di specie, gli interessi meritevoli di protezione uniforme sarebbero l'effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, nonché «il fisiologico ricambio della rappresentanza politica ex artt. 3 e 51 Cost., strettamente connessi al principio democratico che informa di sé l'intero ordinamento».
In «aggiunta» a ciò, andrebbe considerato che la legge reg. Campania n. 4 del 2009, nel prevedere che il Presidente della Giunta regionale e il Consiglio regionale sono eletti a suffragio universale e diretto (art. 1, comma 1), dispone, tra l'altro, che si applicano, «in quanto compatibili con la presente legge, le altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia» (art. 1, comma 3).
Tale ultimo rinvio alle disposizioni statali vigenti costituirebbe «ulteriore ragione della doverosa applicazione del principio» di cui all'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.
Il ricorrente ribadisce, dunque, che la disposizione impugnata vìola i parametri costituzionali evocati e la norma statale interposta, la quale sarebbe: a) direttamente operante, in quanto principio fondamentale della materia «autoapplicativo»; b) in ogni caso, applicabile alla Regione resistente per effetto del richiamo contenuto nell'art. 1, comma 3, della citata legge reg. Campania n. 4 del 2009.
2.- Con atto depositato il 14 febbraio 2025, si è costituita in giudizio la Regione Campania, eccependo l'inammissibilità e la non fondatezza del ricorso avversario.
2.1.- Le questioni sarebbero in primo luogo inammissibili per «omessa ricostruzione» o «incompletezza del quadro fattuale e giuridico».
Il ricorso, infatti, affermerebbe apoditticamente il carattere «autoapplicativo» del principio del divieto del terzo mandato consecutivo, senza soffermarsi: a) sull'art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, che, nell'introdurre la disciplina della nuova forma di governo regionale, espressamente manteneva operante la disciplina statale in materia (tra l'altro) di ineleggibilità sino a quando non fosse sostituita dalla legislazione regionale; b) sulla «interpretazione storica, testuale, logica e sistematica» delle disposizioni della legge n. 165 del 2004; c) sul «diritto vivente» formatosi «mediante pronunce consolidate e convergenti della Corte di cassazione, nonché, sullo specifico punto rilevante nella presente controversia, dei Tribunali e delle Corti d'appello investiti della questione»; d) sulla già avvenuta promulgazione da parte di altre Regioni (Veneto, Marche e Piemonte) di leggi che, sul presupposto del carattere non «autoapplicativo» del principio, lo hanno introdotto «a valere dal mandato presidenziale in corso o da quello successivo»; e) sulle «corrispondenti valutazioni» dello stesso Consiglio dei ministri, che in tutti tali casi ha deliberato la non impugnazione delle relative leggi regionali.
2.2.- Inammissibile per genericità e «difetto di argomentazione» sarebbe, in secondo luogo, la questione in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost., non avendo il ricorrente illustrato in che modo e per quali ragioni essi risulterebbero violati.
2.3.- Nel merito, la Regione Campania si sofferma, in primo luogo, sulla pretesa natura autoapplicativa del principio posto dall'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.
Secondo la resistente, pochi dubbi sussisterebbero sul fatto che la legge n. 165 del 2004, nel fissare i principi fondamentali in materia di ineleggibilità e incompatibilità di cui all'art. 122, primo comma, Cost., ivi incluso il limite dei due mandati consecutivi, espressamente ne riservi l'attuazione alla legge regionale.
L'art. 2, comma 1, della citata legge cornice, infatti, non solo ribadisce che «le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione», ma, alla lettera f), sottolinea che la «previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto» deve essere stabilita «sulla base della normativa regionale adottata in materia».
Sarebbe dunque «doppiamente chiaro» l'intendimento del legislatore statale di rendere operante il principio solo «per effetto e nel contesto della normativa regionale di recepimento», donde l'inutilità della "discettazione" del ricorrente «sull'astratta possibilità che i principi statali possano operare direttamente, o che il legislatore statale possa porre anche norme di dettaglio, o sul fatto che il principio in questione sia o meno sufficientemente determinato».
Tale piana interpretazione letterale corrisponderebbe «alla storia della disposizione», quale risulterebbe dai lavori preparatori, «che fin dall'inizio hanno evidenziato [...] la necessità di rispettare l'autonomia regionale» in punto di limite al numero di mandati del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, trattandosi di questione relativa alla forma di governo.
Per tale ragione, la previsione del limite di due mandati consecutivi era stata formulata nel testo originario come una mera facoltà rimessa alle singole regioni, e per la medesima ragione quella previsione era stata soppressa dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati.
Meriterebbe di essere segnalata anche la posizione assunta dal Governo. In particolare, nella seduta della Camera del 7 ottobre 2003, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri aveva manifestato perplessità circa la conformità costituzionale di un emendamento diretto a reintrodurre il limite dei mandati soppresso in Commissione, affermando che esso, indipendentemente dalla qualificazione come causa di ineleggibilità o incandidabilità, interessa direttamente la forma di governo.
Nella seduta del Senato della Repubblica del 20 aprile 2004, lo stesso rappresentante del Governo aveva osservato, tuttavia, che la disposizione reintrodotta dalla Camera dei deputati si presta anche a una lettura costituzionalmente orientata, essendo la limitazione in parola non immediatamente applicabile, ma prevista «sulla base della normativa regionale adottata in materia».
2.4.- La resistente illustra poi il «diritto vivente» «nella concorde interpretazione dei giudici civili», con specifico riferimento ai «casi» delle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna.
La non diretta applicabilità dei principi fondamentali dettati dall'art. 2 della legge n. 165 del 2004 sarebbe «un punto pacifico» nella giurisprudenza civile.
In primo luogo, la Corte di cassazione (sezione prima civile, sentenza 1° marzo 2005, n. 4327, e poi sezioni unite civili, sentenza 25 luglio 2006, n. 16898), avrebbe chiarito che «in tanto i "principi fondamentali" stabiliti dalla legge n. 165 del 2004 possono avere efficacia ed essere applicabili nell'ordinamento, in quanto il legislatore regionale abbia esercitato la nuova competenza legislativa attribuitagli: è necessario, cioè per l'applicabilità della nuova disciplina, che nell'ordinamento siano vigenti sia la legge regionale, sia la legge statale sui "principi fondamentali"».
Ugualmente significative e ancor più rilevanti sarebbero le decisioni dei giudici civili che si sono occupati della specifica questione del divieto del terzo mandato consecutivo. Si tratterebbe dei noti contenziosi diretti a far accertare la decadenza dei Presidenti eletti nel marzo 2010 nelle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e definiti con sentenze dei Tribunali ordinari di Milano e di Bologna, entrambe confermate in appello.
2.5.- La Regione Campania passa poi ad analizzare il diritto «vivente, e vissuto, nella stabile interpretazione del Governo», in relazione ai casi delle Regioni Veneto, Marche e Piemonte.
La legge della Regione Veneto 16 gennaio 2012, n. 5 (Norme per l'elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale), ha introdotto il limite del doppio mandato consecutivo, al contempo precisando, all'art. 27, comma 2, che esso si applica «con riferimento ai mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore della presente legge».
Il Consiglio dei ministri avrebbe preso in considerazione la citata legge veneta nella seduta del 3 febbraio 2012, deliberando l'impugnazione davanti a questa Corte degli artt. 2, comma 1, e 27, comma 1, ma non delle disposizioni sul limite ai mandati del Presidente della Giunta regionale, così implicitamente ritenendo «pacifica» la loro legittimità costituzionale.
Sulla base di tali disposizioni - aggiunge la Regione Campania - l'attuale Presidente della Giunta regionale della Regione Veneto (già Presidente dal 2010 al 2015 e dal 2015 al 2020) ha potuto candidarsi e risultare eletto per il successivo mandato dal 2020 al 2025.
Analogamente - prosegue la resistente - l'art. 2 della legge della Regione Marche 20 febbraio 2015, n. 5 (Modifiche alla legge regionale 16 dicembre 2004, n. 27 "Norme per l'elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale"), ha inserito l'art. 3-bis nella legge della Regione Marche 16 dicembre 2004, n. 27 (Norme per l'elezione del Consiglio e del Presidente della Giunta regionale), statuendo, al comma 2, il divieto del terzo mandato consecutivo. Contestualmente, l'art. 11 della stessa legge reg. Marche n. 5 del 2015 ha precisato che «[l]a disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 3 bis della l.r. 27/2004, nel testo introdotto dall'articolo 2 di questa legge, si applica avuto riguardo alle legislature successive a quella di entrata in vigore di questa legge».
Il Governo avrebbe preso in considerazione la citata legge reg. Marche n. 5 del 2015 nella seduta del Consiglio dei ministri 21 aprile 2015, deliberando la sua non impugnazione «in considerazione degli ampi margini tecnico-giuridici di incertezza».
Sulla base di quelle disposizioni, l'allora Presidente della Giunta regionale delle Marche si è candidato alle successive elezioni del 2015, «ovviamente influendo - pur non risultando eletto - sulla campagna elettorale e sul complessivo esito delle elezioni».
Aggiunge infine la resistente che, nel corso dell'attuale legislatura, la legge della Regione Piemonte 19 luglio 2023, n. 12 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale), ha parimenti disposto, all'art. 5, comma 2, il divieto del terzo mandato consecutivo, stabilendo, al contempo, all'art. 34, comma 1, che «[l]e disposizioni degli articoli 5, comma 2, e 8 si applicano a decorrere dalla XII legislatura».
Anche tale legge regionale, nella seduta del Consiglio dei ministri del 18 settembre 2023, sarebbe stata presa in considerazione dal Governo, che anche in questo caso si sarebbe determinato a non impugnarla.
2.6.- La Regione Campania argomenta, poi, circa l'irrilevanza, ai fini della diretta applicazione del limite dei due mandati consecutivi, della disciplina del procedimento elettorale recata dalla legge reg. Campania n. 4 del 2009.
Il ricorso sembrerebbe «alludere» alla possibilità che la semplice promulgazione della legge regionale citata abbia reso operativo il limite in questione.
Si tratterebbe di una tesi infondata, dal momento che la legge reg. Campania n. 4 del 2009 si limita a disciplinare il procedimento elettorale, senza «sfiorare» gli ambiti delle ineleggibilità e incompatibilità di cui all'art. 122, primo comma, Cost.
2.7.- Ciò posto, la resistente passa a confutare gli ulteriori argomenti prospettati in ricorso a sostegno del carattere «autoapplicativo» del principio statale.
Il riferimento sarebbe, in primo luogo, alla tesi secondo cui, se si ammettesse che le regioni possano differire l'operatività del divieto sino al suo recepimento, peraltro sprovvisto di termine, ne deriverebbe che esse restano «libere di ridimensionarne la portata precettiva e, addirittura, di rinviarne l'attuazione sine die».
Si tratterebbe di una considerazione suggestiva ma nella sostanza infondata.
Da una parte, infatti, l'interpretazione della legge non potrebbe «essere condotta "a rovescio", partendo non dalla sua formulazione e palese intenzione, ma dalla conseguenza ritenuta indesiderabile».
Dall'altra, la presunta libertà delle regioni ordinarie di ignorare la legge statale non sarebbe affatto tale, data l'esistenza del potere sostitutivo straordinario del Governo, ai sensi dell'art. 120, secondo comma, Cost., come attestato dalla diffida e poi dalla sostituzione della Regione Puglia operata con il decreto-legge 31 luglio 2020, n. 86 (Disposizioni urgenti in materia di parità di genere nelle consultazioni elettorali delle regioni a statuto ordinario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2020, n. 98, proprio in relazione a un caso di mancato adeguamento della legislazione regionale ai principi fondamentali di cui alla legge n. 165 del 2004 in materia di elezioni regionali.
Quanto poi alla presunta ratio di imporre una disciplina uniforme e inderogabile su tutto il territorio nazionale, essa individuerebbe «un criterio ispiratore del principio», ma non si sarebbe mai tradotta nell'imposizione di un'automatica e immediata sua operatività.
Ancora, porre oggi in discussione l'interpretazione della legge n. 165 del 2004, «quale voluta dal legislatore, consolidata nell'interpretazione dei giudici civili di ogni livello e confermata dalla prassi ultraventennale della legislazione regionale e dell'esercizio delle prerogative governative, porterebbe non già ad una condizione di uguaglianza, ma in realtà a una diseguaglianza che strapperebbe la stessa coerenza istituzionale».
Da un lato, infatti, si dovrebbe necessariamente riconoscere, in forza del giudicato formatosi in quei casi, la piena legittimità dei terzi mandati svolti dagli allora Presidenti delle Giunte delle Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna; dall'altro, si verrebbe a contraddire la legittimità del mandato oggi in corso di svolgimento del Presidente della Giunta della Regione Veneto.
Non pertinenti, infine, sarebbero le sentenze di questa Corte n. 60 del 2023 e n. 196 del 2024 richiamate in ricorso e relative ai limiti ai mandati consecutivi dei sindaci, poiché i comuni non dispongono né di autonomia legislativa costituzionalmente garantita né di riserva allo statuto della disciplina della forma di governo.
2.8.- Non fondata sarebbe anche la tesi secondo cui il principio di cui all'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004 sarebbe stato recepito dall'art. 1, comma 3, della legge reg. Campania n. 4 del 2009, secondo cui si applicano, «in quanto compatibili con la presente legge, le altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia».
Con il menzionato richiamo, il legislatore campano, infatti, avrebbe inteso riferirsi alla sola disciplina del procedimento elettorale (e non a quella delle ineleggibilità e incompatibilità).
Anche a volere opinare diversamente, si tratterebbe pur sempre del rinvio a una disposizione che, a sua volta, rimanda espressamente, per la sua applicazione, a una specifica previsione della legge regionale.
2.9.- In via subordinata, la Regione Campania prospetta l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004, per violazione degli artt. 122, primo comma, e 123, primo comma, Cost., là dove si ritenga che esso direttamente e in modo vincolante stabilisca il limite dei due mandati consecutivi per il Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto.
L'art. 122, primo comma, Cost., nel demandare alla legge statale la determinazione dei principi in materia di ineleggibilità, non avrebbe inteso «dare all'espressione un senso diverso da quello, tradizionale e incorporato nella stessa legislazione statale», di istituto rivolto ad evitare che la libertà del voto sia influenzata dalla titolarità, nel periodo delle elezioni, di cariche che consentano di influenzarne l'esito, ossia di cariche dalle quali l'interessato può cessare tempestivamente, come confermato dallo stesso art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 165 del 2004.
Quella prevista dal parametro interposto, invece, non sarebbe una causa di ineleggibilità, posto che nel caso del Presidente uscente il rischio di influenze non dovute durante il periodo elettorale sarebbe adeguatamente temperato dalla riduzione dei poteri propria dell'istituto della prorogatio; in ogni caso, la logica della ineleggibilità presupporrebbe che il Presidente della Giunta regionale possa dimettersi e abbandonare la carica e presentarsi da libero cittadino alla competizione elettorale, mentre ciò non potrebbe accadere nel caso del divieto del terzo mandato, destinato a funzionare secondo la logica tipica delle cause di incandidabilità, ossia di quelle condizioni personali che rendono il soggetto privo della capacità elettorale passiva.
Inoltre, il limite dei due mandati consecutivi troverebbe la sua giustificazione «in più ampie considerazioni di sistema», «legate peculiarmente alla forma di governo caratterizzata dall'elezione a suffragio universale e diretto».
Il divieto del terzo mandato consecutivo, cioè, non riguarderebbe il rapporto tra il candidato e il corpo elettorale, come è proprio delle cause di ineleggibilità, ma le relazioni tra gli organi politici regionali, ossia proprio il «"cuore" della forma di governo in senso stretto».
Sarebbe intuibile, infatti, come gli effetti di un limite alla rieleggibilità del Presidente della Giunta regionale vadano necessariamente a riverberarsi sul concreto funzionamento del principio aut simul stabunt aut simul cadent, perché inevitabilmente destinati a influenzare l'utilizzo «delle "armi"» della sfiducia consiliare e delle dimissioni del Presidente, fungendo, di volta in volta, «"ora da freno ora da volano" per i due istituti cardine del sistema imposto in termini inderogabili» dall'art. 126, terzo comma, Cost.
Stante la riserva statutaria di cui all'art. 123, primo comma, Cost., dunque, il legislatore statale non sarebbe potuto intervenire, se non con legge costituzionale.
3.- Con atto depositato il 30 gennaio 2025, l'Associazione «Passione civile con Valerio Onida» ha depositato opinione scritta, in qualità di amicus curiae, ai sensi dell'art. 6 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, argomentando in senso adesivo alle censure del ricorrente.
L'opinione è stata ammessa con decreto presidenziale del 4 marzo 2025.
4.- In data 19 marzo 2025, la Regione Campania ha depositato una memoria difensiva, con cui ha ulteriormente illustrato gli argomenti a sostegno della non fondatezza della questione già esplicitati nell'atto di costituzione.
In aggiunta ad essi, la resistente ha poi affermato che per l'illegittimità costituzionale del parametro interposto, ove interpretato nel senso di imporre alle regioni ordinarie l'applicazione immediata del divieto del terzo mandato consecutivo, deporrebbe anche l'art. 41-bis del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera m), della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), il quale articolo, al primo comma, include tra le «disposizioni relative alla forma di governo» modificabili «dall'Assemblea regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti», anche l'art. 9, quarto comma, dello statuto speciale, che reca il divieto del terzo mandato consecutivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Campania n. 16 del 2024, in riferimento agli artt. 3, 51 e 122, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.
La disposizione impugnata, al primo periodo, stabilisce che «[n]on è immediatamente rieleggibile alla carica di Presidente della Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi».
Il secondo periodo, su cui cadono le censure del ricorrente, aggiunge che, «[a]i fini dell'applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge».
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, con tale ultimo inciso il legislatore campano, nell'escludere dal computo dei mandati rilevanti per l'operatività del divieto del terzo mandato consecutivo quelli svolti prima dell'introduzione della legge reg. Campania n. 16 del 2024, avrebbe eluso il principio posto dall'evocato parametro interposto, così violando l'art. 122, primo comma, Cost., ai sensi del quale «[i]l sistema d'elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi».
L'art. 2, comma 1, della legge n. 165 del 2004, infatti - nello stabilire che, tra i principi fondamentali che le regioni ordinarie devono osservare nel disciplinare «i casi di ineleggibilità, specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione», vi è quello «della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia» (lettera f) - avrebbe posto un principio «autoapplicativo» e «immediatamente operativo», che non richiede alcuna specificazione ad opera del legislatore regionale.
Il divieto risponderebbe alla ratio di disciplinare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale gli interessi e i principi costituzionali dell'effettiva par condicio tra i candidati, della libertà di voto dei singoli elettori e della genuinità della competizione elettorale, nonché del «fisiologico ricambio della rappresentanza politica ex artt. 3 e 51 Cost., strettamente connessi al principio democratico che informa di sé l'intero ordinamento».
Secondo il ricorrente, i parametri costituzionali evocati sarebbero violati anche perché il principio del divieto del terzo mandato consecutivo sarebbe già operante nella Regione Campania, in virtù del rinvio che l'art. 1, comma 3, della legge reg. Campania n. 4 del 2009 opera alle «altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia», tra le quali andrebbe ricompreso, appunto, l'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.
2.- È preliminare l'esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Regione resistente.
2.1.- Secondo quest'ultima, la questione sarebbe inammissibile, in primo luogo, per «omessa ricostruzione» o «incompletezza del quadro fattuale e giuridico».
Il ricorso, infatti, affermerebbe apoditticamente il carattere «autoapplicativo» del principio del divieto del terzo mandato consecutivo, senza soffermarsi: a) sull'art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, che, nell'introdurre la disciplina della nuova forma di governo regionale, espressamente manteneva operante la disciplina statale in materia (tra l'altro) di ineleggibilità sino a quando non fosse sostituita dalla legislazione regionale; b) sulla «interpretazione storica, testuale, logica e sistematica» delle disposizioni della legge n. 165 del 2004; c) sul «diritto vivente» formatosi «mediante pronunce consolidate e convergenti della Corte di cassazione, nonché, sullo specifico punto rilevante nella presente controversia, dei Tribunali e delle Corti d'appello investiti della questione»; d) sulla già avvenuta promulgazione da parte di altre regioni (Veneto, Marche e Piemonte) di leggi che, sul presupposto del carattere non «autoapplicativo» del principio, lo hanno introdotto «a valere dal mandato presidenziale in corso o da quello successivo»; e) sulle «corrispondenti valutazioni» dello stesso Consiglio dei ministri, che in tutti tali casi ha deliberato di non impugnare le relative leggi regionali.
2.2.- L'eccezione non è fondata.
Il ricorso è sorretto da una motivazione sufficiente e adeguata, che prende in considerazione tanto la disposizione impugnata quanto il parametro interposto e quelli costituzionali evocati.
Non entrano a far parte del «quadro normativo di riferimento» le disposizioni delle altre regioni che hanno disciplinato il divieto del terzo mandato consecutivo, né tanto meno la prassi seguita dal Consiglio dei ministri in punto di impugnazione delle leggi regionali.
Nel giudizio principale, poi, non essendovi un giudizio a quo rispetto al quale svolgere un vaglio sulla rilevanza, non assume alcun rilievo la descrizione del «quadro fattuale».
Né, infine, rileva l'omessa considerazione dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 1999, dal momento che esso riguarda un periodo transitorio che nella Regione Campania è terminato nel 2009, allorquando quest'ultima ha adottato sia lo statuto sia la legge elettorale.
2.3.- Secondo la resistente, la questione sarebbe inammissibile, in secondo luogo, per genericità e «difetto di argomentazione» in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost., non avendo il Presidente del Consiglio dei ministri illustrato in che modo e per quali ragioni essi risulterebbero violati.
2.4.- Anche questa eccezione non è fondata.
La ragione dell'evocazione dei parametri in questione è chiara.
Secondo il ricorrente, infatti, le regioni ordinarie non potrebbero disattendere o sospendere l'operatività del divieto del terzo mandato consecutivo non solo perché violerebbero il parametro interposto e con esso l'art. 122, primo comma, Cost., ma anche perché il punto di equilibrio tra il conseguente limite al diritto di elettorato passivo e gli altri principi costituzionali in gioco (par condicio fra i candidati, libertà di voto degli elettori, genuinità della competizione elettorale e principio democratico) non potrebbe che essere individuato, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ad opera del legislatore statale.
3.- Nel merito, la questione è fondata in riferimento all'art. 122, primo comma, Cost., in relazione all'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.
4.- È necessario, in primo luogo, ricostruire il contesto storico e normativo nel quale è stato introdotto il principio del divieto del terzo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale, per poi passare a illustrare la sua ratio, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte (punto 5), e sciogliere il nodo della sua attinenza alla forma di governo ovvero alle ineleggibilità (punto 6).
4.1.- È noto che l'originaria architettura costituzionale prevedeva per le regioni a statuto ordinario una forma di governo parlamentare a preminenza assembleare, che, nel tempo, aveva ingenerato elevati livelli di instabilità degli esecutivi regionali.
4.2.- Per ovviare a ciò, il legislatore ha dapprima riformato il sistema elettorale, introducendo, con la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), un premio di maggioranza.
4.3.- A distanza di pochi anni è poi intervenuta la legge costituzionale n. 1 del 1999. Essa, da un lato, ha conferito maggiore autonomia statutaria alle regioni. Allo statuto, infatti, il novellato art. 123, primo comma, Cost. rimette la determinazione della forma di governo, oltre che dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della regione, con il solo limite della «armonia con la Costituzione» (essendo venuto meno rispetto alle «leggi della Repubblica»). Lo statuto regola, altresì, «l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali».
Dall'altro lato, la legge costituzionale del 1999, proprio al fine di porre rimedio alla «instabilità nella gestione politica delle Regioni» (sentenza n. 2 del 2004) e quindi di garantire la relativa governabilità, ha delineato una specifica forma di governo.
Quest'ultima è stata imposta alle regioni ordinarie in via transitoria dall'art. 5, comma 1, della legge cost. n. 1 del 1999, «[f]ino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali», e sostanzialmente "proposta" a regime come «normale» (sentenza n. 372 del 2004; nel medesimo senso, sentenza n. 203 del 2023), ferma restando la libertà delle regioni medesime di sceglierla o meno in sede statutaria.
È parimenti noto che la forma di governo in questione - confermata dagli statuti di tutte le regioni ordinarie - prevede l'elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta regionale e l'attribuzione al medesimo di ampi poteri.
Il modello introdotto dal legislatore costituzionale del 1999, infatti, si caratterizza:
a) per il potere del Presidente di nominare o revocare i componenti della Giunta (art. 122, quinto comma, Cost.), scegliendoli anche al di fuori del Consiglio regionale; b) per il principio aut simul stabunt aut simul cadent, ossia per un meccanismo che lega il destino del Consiglio regionale a quello del Presidente della Giunta e viceversa, e che si articola, da un lato, nella regola secondo cui la perdita della carica da parte del secondo (per dimissioni volontarie, rimozione, impedimento permanente o morte) comporta lo scioglimento del primo e il ritorno alle urne (art. 126, terzo comma, Cost.) e, dall'altro, nella regola per cui il Consiglio, per rimuovere il Presidente della Giunta (e quest'ultima), può solo approvare, a maggioranza assoluta, una mozione di sfiducia, ovvero passare per le dimissioni contestuali della maggioranza dei propri eletti (art. 126, commi secondo e terzo, Cost.), con la conseguenza necessaria, anche in questi casi, dello scioglimento del medesimo Consiglio e del ritorno alle urne; c) correlativamente, per l'assenza di un rapporto di fiducia diretto tra i due organi, sostituito da un rapporto di "non sfiducia".
Come chiarito da questa Corte, peraltro, una volta scelta la forma di governo predisposta dalla Costituzione, le regioni ordinarie non possono incidere sui ricordati suoi tratti fondamentali (sentenze n. 203 del 2023, n. 12 del 2006, n. 2 del 2004 e n. 304 del 2002).
Contestualmente, il riformato art. 122, primo comma, Cost. ha previsto una competenza legislativa concorrente nelle materie «sistema di elezione» e «casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali». Tali materie, infatti, sono disciplinate «con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica», che stabilisce anche la «durata degli organi elettivi».
4.4.- Al momento della riforma costituzionale del 1999, il divieto del terzo mandato consecutivo aveva già fatto ingresso nel nostro ordinamento per i sindaci e i presidenti delle province eletti a suffragio universale e diretto (art. 2 della legge 25 marzo 1993, n. 81, recante «Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale»).
Il legislatore costituzionale, tuttavia, nel prevedere l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale (al pari, dunque, dei sindaci e dei presidenti delle province), non l'ha corredata del menzionato divieto, nonostante a ciò mirasse uno dei sei progetti di legge (A.C. 5500 - Rebuffa ed altri) confluiti nel testo discusso e poi approvato.
Un nuovo tentativo di introdurre il divieto di terzo mandato consecutivo in Costituzione è stato operato dal «Testo di legge costituzionale approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: "Modifiche alla Parte II della Costituzione"», che, però, non ha superato il referendum costituzionale del 2006.
4.5.- Come illustrato al punto 1, il divieto in parola è stato, invece, introdotto con la legge n. 165 del 2004, ossia con la legge adottata in attuazione dell'art. 122, primo comma, Cost., e volta, quindi, a stabilire «in via esclusiva, [...] i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali» (art. 1), oltre che a regolare la durata degli organi elettivi regionali (art. 5).
5.- Questa Corte si è occupata delle limitazioni al numero dei mandati consecutivi nello svolgimento delle cariche elettive con riferimento: a) ai consigli degli ordini circondariali forensi (sentenza n. 173 del 2019); b) al presidente e agli organi direttivi delle federazioni sportive nazionali (sentenza n 184 del 2023); c) per quanto qui più rileva, ai sindaci (sentenze n. 196 del 2024 e n. 60 del 2023).
5.1.- Con la sentenza n. 173 del 2019 sono state dichiarate non fondate alcune questioni relative al divieto del terzo mandato consecutivo dei consiglieri degli ordini circondariali forensi, sulla base di considerazioni che, nonostante la innegabile diversità di ambito, assumono rilievo anche per l'esame dell'odierna questione.
Nell'escludere la violazione degli artt. 3, 48 e 51 Cost., si è infatti ivi osservato che «la previsione di un limite ai mandati che possono essere espletati consecutivamente è un principio di ampia applicazione per le cariche pubbliche», la cui «peculiare ed essenziale finalità [...] è quella [...] di valorizzare le condizioni di eguaglianza che l'art. 51 Cost. pone alla base dell'accesso "alle cariche elettive". Uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più mandati) consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell'elettorato».
Si è poi aggiunto che «[i]l divieto del terzo consecutivo mandato favorisce il fisiologico ricambio all'interno dell'organo, immettendo "forze fresche" nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l'ampliamento e la maggiore fluidità dell'elettorato passivo), e - per altro verso - blocca l'emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza».
5.2.- Con la sentenza n. 60 del 2023 citata dal ricorrente, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 3, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e degli artt. 3 e 51 Cost., di una disposizione della Regione autonoma Sardegna che disciplinava il limite ai mandati consecutivi dei sindaci discostandosi dall'art. 51 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) che prevede il divieto di terzo mandato.
In quell'occasione, questa Corte ha affermato che «[l]a previsione del numero massimo dei mandati consecutivi - in stretta connessione con l'elezione diretta dell'organo di vertice dell'ente locale, a cui fa da ponderato contraltare - riflette [...] una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l'effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali. Tali ulteriori interessi costituzionali sono destinati ad operare in armonia con il principio presidiato dall'art. 51 Cost., in base ad uno specifico punto di equilibrio la cui individuazione deve essere lasciata nelle mani del legislatore statale».
5.3.- Con la sentenza n. 184 del 2023, sono state dichiarate fondate, per violazione degli artt. 2, 3 e 18 Cost., le questioni di legittimità costituzionale di una disposizione che aveva introdotto il divieto di quarto mandato per le federazioni sportive nazionali, giudicata «sproporzionata», in quanto non si trattava di una limitazione temporanea, ma di «un divieto definitivo e irreversibile» di svolgere nuovamente la carica, anche a distanza di molto tempo dai mandati svolti in precedenza.
In quella sede, per quanto qui rileva, si è osservato che: a) «[l]'obiettivo perseguito incidendo sul regime delle candidature è [...] quello di favorire l'accesso di tutti gli associati in condizioni di uguaglianza alle cariche direttive [...], superando cristallizzazioni interne derivanti da rendite di posizione di chi abbia già rivestito a lungo quelle stesse cariche»; b) il divieto, come già chiarito con riferimento ai consigli dell'ordine con la sentenza n. 173 del 2019, ha lo scopo di «stimolare e sostenere un [...] ricambio direttivo ai vertici delle federazioni sportive nazionali», di sottrarre «le federazioni sportive nazionali al rischio di cristallizzazioni nell'assetto gestionale», di «garantire efficienza e credibilità alle istituzioni sportive del nostro Paese» e di «evitare "rendite di posizione" dei dirigenti "di lungo corso", garantendo la par condicio fra i candidati e una maggiore partecipazione alla vita associativa»; c) la disposizione censurata tutela anche l'efficienza e l'imparzialità della federazione, e la sua stessa «democraticità interna», «che questa Corte ha valorizzato, pur nel diverso contesto delle elezioni comunali per la candidatura a sindaco, come ulteriore prodotto della effettiva par condicio tra i candidati, della libertà dei votanti, della genuinità della competizione e del fisiologico ricambio della rappresentanza (sentenza n. 60 del 2023)».
5.4.- Da ultimo, la sentenza n. 196 del 2024 - nel respingere le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Liguria nei confronti della disposizione che ha modificato l'art. 51 TUEL (alleggerendo il regime delle limitazioni al numero di mandati consecutivi dei sindaci dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti) - ha ribadito i principi espressi dalla sentenza n. 60 del 2023.
5.5.- Anche il divieto del terzo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale rappresenta un bilanciamento tra contrapposti principi, che è rimesso alla discrezionalità del legislatore statale, il quale, con l'odierno parametro interposto, lo ha considerato un «temperamento "di sistema"» rispetto all'elezione diretta del vertice monocratico, cui fa da «ponderato contraltare» (sentenza n. 60 del 2023).
Quanto affermato da questa Corte con riferimento ai sindaci vale, a fortiori, per i Presidenti di Giunta regionale eletti a suffragio universale e diretto, dato che costoro, come si è ricordato al punto 4.3, assommano in sé ampi poteri, sino al punto che in dottrina la relativa forma di governo è anche stata definita "iperpresidenziale".
Peraltro, durante i lavori parlamentari relativi alla legge n. 165 del 2004 (A.C. 3599), il divieto di terzo mandato, apertamente mutuato dall'identico istituto in precedenza introdotto per i sindaci, è stato considerato da taluni come uno strumento volto a impedire che «si vada verso una forma di governatorato assoluto, senza limiti di tempo», ovvero come un «principio generale, che limiti quelli che potrebbero divenire poteri [...] assoluti e non controllabili da parte di alcuno» (XIV Legislatura, Camera dei deputati, seduta del 7 ottobre 2003, n. 369).
6.- Secondo la Regione Campania, il divieto del terzo mandato consecutivo, da qualificarsi come causa di incandidabilità, atterrebbe alla forma di governo, rimessa all'autonomia statutaria, ai sensi dell'art. 123, primo comma, Cost., e non alla materia di competenza legislativa concorrente dell'ineleggibilità di cui all'art. 122, primo comma, Cost.
Ne conseguirebbe l'illegittimità costituzionale del parametro interposto e la necessità di un'autorimessione della relativa questione da parte di questa Corte, ove si ritenga che tale principio operi «direttamente» nei confronti delle regioni ordinarie, anche senza un loro intervento di attuazione e specificazione.
6.1.- A prescindere dal profilo della immediata operatività del divieto e degli spazi di intervento del legislatore regionale, su cui ci si soffermerà nel prosieguo (punto 7.2), la tesi della resistente non può essere condivisa.
In un contesto teorico in cui notoriamente la forma di governo e la materia elettorale costituiscono, dal punto di vista concettuale, materie dai confini molto labili (sentenza n. 2 del 2004) e intimamente connesse, quello che conta è la ricostruzione del loro effettivo perimetro delineato in Costituzione dalla riforma del 1999.
Si tratta, cioè, di accertare, nel caso di specie, se la nozione di ineleggibilità del Presidente della Giunta regionale contenuta nell'art. 122, primo comma, Cost. sia atta a ricomprendere anche la situazione di quei Presidenti eletti direttamente che abbiano svolto due mandati consecutivi, così incorrendo nel divieto posto dall'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004.
6.2.- La risposta è affermativa.
Deve essere considerato, in primo luogo, che il divieto del terzo mandato consecutivo, sin dalla sua introduzione per i sindaci (con l'art. 2, comma 2, della legge n. 81 del 1993), è stato formulato in termini di "ineleggibilità". È solo a seguito delle recenti modifiche apportate dall'art. 3, comma 1, lettera b), della legge 12 aprile 2022, n. 35 (Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di limitazione del mandato dei sindaci e di controllo di gestione nei comuni di minori dimensioni, nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in materia di inconferibilità di incarichi negli enti privati in controllo pubblico), all'art. 51 TUEL che in quest'ultimo si è fatto riferimento alla "incandidabilità" (come rilevato da questa Corte nella citata sentenza n. 60 del 2023).
Conformemente al ricordato dato testuale, poi, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre definito quella relativa ai sindaci come una causa di ineleggibilità «originaria» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 20 maggio 2006, n. 11895; in termini, sezione prima civile, sentenze 26 marzo 2015, n. 6128, 4 dicembre 2012, n. 21685, 12 febbraio 2008, n. 3383; sezioni unite civili, sentenza 29 ottobre 2007, n. 22640; sezione prima civile, sentenza 20 maggio 2006, n. 11895; ordinanza 24 febbraio 2021, n. 5060).
Inoltre, tra le "classiche" cause di ineleggibilità e quella qui in esame sussiste identità di ratio.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, le prime sono funzionali a garantire la parità di accesso alle cariche pubbliche e la pienezza della libertà di voto, essendo volte, in particolare, a evitare che quest'ultima venga condizionata da captatio benevolentiae o metus publicae potestatis (tra le tante, sentenze n. 283 e n. 257 del 2010, n. 217 e n. 84 del 2006).
Le cause di ineleggibilità, per utilizzare le stesse parole dell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 165 del 2004, ricorrono, «qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati».
Tale ratio sorregge anche il divieto del terzo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale, che (come ricordato al punto 5.5) funge da temperamento di sistema all'elezione diretta ed è idoneo a bilanciare il diritto di elettorato passivo con i principi della effettiva par condicio tra i candidati, della libertà di voto dei singoli elettori e della genuinità complessiva della competizione elettorale.
Alla luce dei superiori rilievi, deve ritenersi che la locuzione «casi di ineleggibilità» del Presidente della Giunta regionale utilizzata dall'art. 122, primo comma, Cost. ricomprenda anche il divieto del terzo mandato consecutivo.
6.3.- È vero che l'istituto in esame opera come le cause di incandidabilità e non come quelle di ineleggibilità.
Come per le prime, infatti, la condizione ostativa all'elezione del Presidente della Giunta regionale che abbia già svolto due mandati consecutivi non è eliminabile dall'interessato, mentre è noto che le cause di ineleggibilità sono rimovibili «qualora gli interessati cessino dalle attività o dalle funzioni» che le determinano, «non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature o altro termine anteriore altrimenti stabilito» (art. 2, comma 1, lettera b, della legge n. 165 del 2014).
Tale aspetto operativo, posto in evidenza dalla Regione Campania, appare tuttavia recessivo rispetto all'elemento finalistico sopra ricordato e alla nozione "storica" dell'ineleggibilità dovuta allo svolgimento di pregressi mandati, per come emersa in via legislativa e consolidatasi in via giurisprudenziale.
6.4.- Una volta ricondotto il divieto del terzo mandato consecutivo alle cause di ineleggibilità previste dall'art. 122, primo comma, Cost., diviene superfluo interrogarsi sulla sua astratta e teorica riconducibilità alla forma di governo regionale. A maggior ragione non sussistono i presupposti per accedere alle sollecitazioni della difesa della Regione a che questa Corte si autorimetta la relativa questione di legittimità costituzionale.
Come affermato da questa Corte con la sentenza n. 188 del 2011, «[g]li artt. 122 e 123 Cost. prevedono un "complesso riparto della materia elettorale tra le diverse fonti normative statali e regionali" (sentenza n. 2 del 2004). In particolare, "l'art. 122, quinto comma, stabilisce che il Presidente della Giunta regionale è eletto a suffragio universale e diretto, salvo che lo statuto disponga diversamente; l'art. 123, primo comma, prevede che rientri nella competenza statutaria la forma di governo regionale; l'art. 122, primo comma, dispone che il sistema di elezione sia di competenza del legislatore regionale 'nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica'" (sentenza n. 45 del 2011)».
Dato questo assetto, «non si può pretendere, in nome della competenza statutaria in tema di "forma di governo", di disciplinare la materia elettorale tramite disposizioni statutarie, dal momento che il primo comma dell'art. 123 ed il primo comma dell'art. 122 sono disposizioni tra loro pariordinate: anche se sul piano concettuale può sostenersi che la determinazione della forma di governo può (o addirittura dovrebbe) comprendere la legislazione elettorale, occorre prendere atto che, invece, sul piano della Costituzione vigente, la potestà legislativa elettorale è stata attribuita ad organi ed a procedure diverse da quelli preposti alla adozione dello statuto regionale e che quindi lo statuto regionale non può disciplinare direttamente la materia elettorale o addirittura contraddire la disposizione costituzionale che prevede questa speciale competenza legislativa» (sentenza n. 2 del 2004).
Si è anche affermato che «l'espressione "sistema di elezione" utilizzata nell'art. 122, primo comma, Cost. deve ritenersi comprensiva, nella sua ampiezza, di tutti gli aspetti del fenomeno elettorale. Essa si riferisce, quindi, non solo alla disciplina dei meccanismi che consentono di tradurre in seggi, all'interno di organi elettivi, le preferenze espresse con il voto dal corpo elettorale (sistema elettorale in senso stretto, riguardante il tipo di voto e di formula elettorale e il tipo e la dimensione dei collegi), ma anche alla disciplina del procedimento elettorale (sentenza n. 196 del 2003), nonché a quella che attiene, più in generale, allo svolgimento delle elezioni (sistema elettorale in senso ampio)» (sentenza n. 151 del 2012).
Il medesimo approccio ermeneutico è stato seguito con specifico riferimento alle limitazioni al diritto di elettorato passivo, ossia ai «casi di ineleggibilità e di incompatibilità» presi in considerazione dall'art. 122, primo comma, Cost.
Nelle sentenze n. 379 e n. 378 del 2004 si è infatti escluso che l'incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di assessore rientri nella forma di governo: pur essendo «vero che le scelte in tema di incompatibilità fra incarico di componente della Giunta regionale e di consigliere regionale possono essere originate da opzioni statutarie in tema di forma di governo della Regione, [...] occorre rilevare che il riconoscimento nell'articolo 123 della Costituzione del potere statutario in tema di forma di governo regionale è accompagnato dalla previsione dell'articolo 122 della Costituzione, e che quindi la disciplina dei particolari oggetti a cui si riferisce espressamente l'art. 122 sfugge alle determinazioni lasciate all'autonomia statutaria» (sentenza n. 379 del 2004).
6.5.- La ricordata giurisprudenza costituzionale conferma, dunque, che la nozione di forma di governo fatta propria dall'art. 123 Cost. è una nozione ristretta alla immediata definizione dei rapporti tra gli organi politici della regione, dalla quale esula la materia elettorale in senso lato, ricomprensiva del regime delle limitazioni al diritto di elettorato passivo.
Tale scelta del legislatore costituzionale, del resto, ben si comprende, ove si consideri che anche queste ultime, in quanto destinate a essere tracciate secondo un delicato punto di equilibrio con il diritto di elettorato attivo e gli interessi riconducibili alla genuinità della competizione elettorale e alla generale democraticità delle istituzioni, abbisognano di una regolamentazione ispirata a principi unitari.
6.6.- Una differente soluzione non può fondarsi, come vorrebbe la Regione Campania, sulla circostanza che lo statuto speciale della Regione siciliana, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, ricomprende nelle disposizioni relative al Presidente della Regione eletto a suffragio universale e diretto il divieto del terzo mandato consecutivo.
Il disegno delle autonomie speciali, definito da statuti dotati di rango costituzionale, è diverso da quello delle regioni ordinarie e il nesso tra forma di governo e materia elettorale è molto più stringente, non essendovi per le prime la competenza legislativa concorrente dello Stato delineata in Costituzione per le regioni ordinarie.
6.7.- Le superiori considerazioni non sono scalfite neanche dal richiamo operato dalla resistente alla sentenza n. 2 del 2004 di questa Corte.
Tale sentenza, come riconosciuto dalla stessa Regione Campania, non ha preso posizione sulla riconducibilità del divieto del terzo mandato consecutivo alla materia dell'ineleggibilità di cui all'art. 122, primo comma, Cost., ovvero all'ambito della forma di governo, oggetto di riserva statutaria.
L'illegittimità costituzionale in via consequenziale della disposizione dello statuto calabrese che quel divieto poneva è stata pronunciata in ragione del ravvisato stretto collegamento tra esso e la peculiare forma di elezione diretta del Presidente e del vice Presidente ivi congegnata, il che, se conferma la connessione tra tali aspetti, non comprova, più in generale, che anche il primo attenga alla forma di governo.
7.- Con l'odierno parametro interposto, dunque, il legislatore statale, nell'esercizio della competenza concorrente a esso attribuita dall'art. 122, primo comma, Cost., ha dettato un principio, quello del divieto del terzo mandato consecutivo, che, al pari di tutti i principi fondamentali nelle materie concorrenti, obbliga le regioni ordinarie a conformarvisi nell'esercizio della loro funzione legislativa.
7.1.- L'obbligatorietà di un principio fondamentale e la sua applicazione, con le precisazioni che si formuleranno di seguito, non possono essere condizionate dal suo espresso recepimento da parte delle leggi regionali, perché in questo modo si attribuirebbe ai Consigli regionali il potere di impedirne l'operatività, anche per lunghi periodi di tempo. Conseguenza, quest'ultima, che sarebbe in contrasto con la funzione dei principi fondamentali, che è quella di assicurare un adeguato livello di omogeneità delle normative regionali in ragione di sottese istanze unitarie e che, nel caso in esame, sarebbe ancora più intollerabile perché il divieto del terzo mandato consecutivo è configurato dalla legge come il "contraltare" dell'elezione diretta.
7.2.- Anche a norme che hanno un contenuto specifico e puntuale può essere riconosciuta la natura di principio fondamentale (tra le tante, sentenze n. 195 del 2024, n. 166 del 2021, n. 84 del 2017, n. 67 del 2016 e n. 44 del 2014), laddove la specificità delle prescrizioni sia in rapporto di «coessenzialità e di necessaria integrazione» con la natura dei principi medesimi (tra le tante, sentenze n. 189 del 2022 e n. 192 del 2017); ciò in ragione della loro vocazione "finalistica" (tra le tante, sentenze n. 195 del 2024, n. 112 del 2023 e n. 38 del 2016) ad assicurare un'esigenza (non di omogeneità ma) di uniformità normativa su tutto il territorio nazionale (tra le tante, sentenze n. 112 del 2023, n. 106 del 2022 e n. 145 del 2021), come può accadere in presenza di una «scelta di fondo» (sentenza n. 44 del 2021) operata dal legislatore statale.
L'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004 - nel prevedere il divieto del terzo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale, in caso di elezione diretta - reca una norma ascrivibile a tale ultima categoria, perché, come è generalmente proprio di tutti i divieti, esprime un precetto in sé specifico che per essere applicabile non necessita di alcuna integrazione da parte del legislatore regionale (al quale, pur tuttavia, restano degli spazi "interstiziali" di regolazione). E tanto si giustifica, sul piano finalistico, in ragione della ratio del divieto in questione, che, come illustrato in precedenza, è considerato dal legislatore statale un opportuno contraltare dell'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale.
7.3.- Tuttavia, esso non poteva essere considerato immediatamente operativo sin dalla sua introduzione con l'art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 165 del 2004, dal momento che proprio quest'ultimo ha espressamente inteso ancorare l'applicazione del principio all'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale «sulla base della normativa regionale adottata in materia».
Si tratta di un rinvio che si riferisce in termini ampi e generali alla legislazione regionale che in qualche modo si colleghi all'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e che quindi si estende dal sistema elettorale in senso stretto, «riguardante il tipo di voto e di formula elettorale e il tipo e la dimensione dei collegi» (sentenza n. 151 del 2012) alla regolamentazione del procedimento elettorale, sino a ricomprendere la disciplina delle ineleggibilità e delle incompatibilità.
In questo modo, il legislatore statale ha realizzato un compromesso tra due esigenze contrapposte parimenti avvertite durante i lavori preparatori della legge n. 165 del 2004: quella di assicurare un certo grado di autonomia regionale e quella di imporre alle regioni ordinarie di applicare il principio in esame.
La prima esigenza, in particolare, per come dedotto dalla Regione Campania, era stata più volte espressa dal rappresentante del Governo, nella XIV Legislatura, da ultimo nella seduta del Senato della Repubblica del 20 aprile 2004, n. 584, nel corso della quale il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri aveva affermato che «il rinvio alla normativa regionale assicura [...] la non immediata applicabilità della disposizione statale, che richiede l'intervento di diretta regolazione regionale».
A testimonianza della seconda, invece, vi è la posizione espressa nella relazione della 1ª Commissione permanente del Senato della Repubblica (Affari Costituzionali) n. 1094-C, nella quale - dopo essersi ricordato che una precedente previsione meramente facoltizzante l'introduzione del divieto era stata soppressa nel corso dei lavori preparatori - si legge: «viene meno, con il nuovo testo, la libera scelta delle Regioni di avvalersi o meno di tale possibilità e la Regione deve prevedere che il Presidente, eletto a suffragio universale e diretto, non può essere eletto immediatamente per la terza volta. La disposizione è chiara e ogni altra diversa interpretazione non corrisponde alla volontà del legislatore e riproporrebbe la norma, che si è voluta invece sopprimere, relativa alla facoltà delle Regioni di legiferare o meno sull'argomento».
Proprio perché, tuttavia, le regioni ordinarie non hanno la facoltà, ma l'obbligo di conformarsi al richiamato principio fondamentale, non può condividersi l'assunto della resistente secondo cui il riferimento alla «normativa regionale», effettuato dal citato art. 2, comma 1, lettera f), andrebbe inteso come avente ad oggetto una legge regionale che espressamente recepisca il divieto del terzo mandato consecutivo.
Il rinvio va invece inteso come riferito a tutta la normativa regionale in materia elettorale (e non necessariamente a una normativa regionale che disciplini anche i casi di ineleggibilità), cui si rivolge, del resto, la legge n. 165 del 2004, fissando, in attuazione dell'art. 122, primo comma, Cost., i principi fondamentali che essa deve seguire.
Pertanto, con l'adozione delle prime leggi delle regioni ordinarie intervenute in materia elettorale dopo l'entrata in vigore della legge n. 165 del 2004, da un lato, le regioni medesime potevano specificare il principio del divieto del terzo mandato regolamentando gli spazi "interstiziali", ad esempio individuando la durata dei mandati rilevanti ai fini del computo, in caso di loro scadenza anticipata.
Dall'altro lato, anche in assenza di una disciplina dei menzionati spazi "interstiziali" consentita dalla legge n. 165 del 2004, una volta che le regioni ordinarie - nelle quali dopo la riforma costituzionale del 1999 ha sempre operato il sistema dell'elezione diretta del Presidente della Giunta - hanno adottato, anche in modo frammentario, una disciplina legislativa concernente uno dei molteplici aspetti della materia elettorale, il divieto del terzo mandato consecutivo, non richiedendo necessariamente di essere ulteriormente specificato, è divenuto applicabile.
Tale conclusione è coerente con la funzione attribuita al divieto in questione.
Esso costituisce, per scelta del legislatore statale, una componente necessaria del sistema dell'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, al fine di bilanciare il rischio, insito nell'investitura popolare diretta, di spinte plebiscitarie e di una concentrazione personalistica del potere. Con la conseguenza che, anche da questa angolazione, l'applicazione del principio non può essere procrastinata e deve essere invece legata al primo esercizio della funzione legislativa in materia elettorale successivo all'entrata in vigore della legge n. 165 del 2004.
Da quanto premesso consegue che le suddette leggi regionali e quelle successive non possono, a pena di illegittimità costituzionale, violare il principio in esame, che è ormai parte integrante dei rispettivi ordinamenti.
8.- Nel caso della Regione Campania il divieto del terzo mandato consecutivo è divenuto operativo con l'entrata in vigore della legge reg. Campania n. 4 del 2009, ossia con la legge elettorale, la quale non solo non reca alcuna disposizione che a esso deroghi (né avrebbe potuto prevederla, perché sarebbe stata altrimenti costituzionalmente illegittima per violazione del più volte richiamato principio fondamentale), ma all'art. 1, comma 3, contiene un rinvio, «in quanto compatibili con la presente legge, [al]le altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia».
La disposizione oggi impugnata, che dopo vari anni ha introdotto una specifica deroga escludendo, nella sostanza, la computabilità dei mandati pregressi rispetto a quello in corso e quindi consentendo al Presidente della Giunta regionale uscente che ha già svolto due mandati consecutivi di essere rieletto alle prossime elezioni regionali, si pone, vieppiù, in contrasto con il ricordato principio fondamentale, in violazione dell'art. 122, primo comma, Cost.
9.- Deve aggiungersi che nessun rilievo può essere attribuito alla circostanza, dedotta dalla Regione resistente, che analoghe leggi regionali volte a impedire l'operatività del principio del terzo mandato consecutivo non sono state impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Questa Corte ha più volte chiarito non solo che «[l]'ammissibilità dell'impugnazione, in termini di tempestività e di sussistenza dell'interesse a ricorrere, deve essere valutata in relazione alle singole leggi adottate», ma anche che «l'acquiescenza rispetto ad altre leggi regionali non milita a favore della legittimità costituzionale delle disposizioni impugnate» (sentenza n. 128 del 2023; in termini, tra le più recenti, sentenze n. 118 e n. 114 del 2023). Ciò anche in riferimento a leggi di altre regioni (sentenze n. 19 del 2023, n. 24 del 2022, n. 107 del 2016 e n. 59 del 2006), la cui eventuale illegittimità costituzionale, del resto, ben può essere fatta valere, nei modi previsti dall'ordinamento, in via incidentale.
10.- Restano assorbite le censure riferite agli artt. 3 e 51 Cost.
11.- Alla luce delle considerazioni che precedono, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Campania n. 16 del 2024, limitatamente alle parole «[a]i fini dell'applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge».
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 11 novembre 2024, n. 16, recante «Disposizioni in materia di ineleggibilità alla carica di Presidente della Giunta regionale, in recepimento dell'articolo 2, comma 1, lettera f) della legge 2 luglio 2004, n. 165», limitatamente alle parole «[a]i fini dell'applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge».