Corte costituzionale
Sentenza 22 aprile 2025, n. 57
Presidente: Amoroso - Redattrice: Sciarrone Alibrandi
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 21, recante «Istituzione del Centro regionale di riabilitazione pubblica ospedaliera di Ceglie Messapica (CRRiPOCeM)», e, in particolare, degli artt. 1, 3 e 4, comma 2, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23 luglio 2024, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2024 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2024.
Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia;
udita nell'udienza pubblica del 26 marzo 2025 la Giudice relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;
uditi l'avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocata Isabella Fornelli per la Regione Puglia;
deliberato nella camera di consiglio del 26 marzo 2025.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con ricorso notificato il 23 luglio 2024, depositato in pari data ed iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2024, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 97, primo e quarto comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'intera legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 21, recante «Istituzione del Centro regionale di riabilitazione pubblica ospedaliera di Ceglie Messapica (CRRiPOCeM)», con particolare riguardo agli artt. 1, 3 e 4, comma 2.
2.- La legge regionale impugnata dispone, all'art. 1:
«1. È istituito il Centro regionale pubblico di riabilitazione ospedaliera di Ceglie Messapica (CRRiPOCeM), di proprietà e gestione interamente pubblica, incardinato nell'organizzazione funzionale della Azienda sanitaria locale (ASL) di Brindisi, corredato da tutte le unità operative, relativi day hospital e per tutti i livelli, regimi e fasi delle attività riabilitative.
2. La ASL di cui al comma 1 può avvalersi nella gestione sanitaria del CRRiPOCeM e previa sottoscrizione di protocollo d'intesa, di altre Aziende ospedaliere universitarie o ASL della Regione.
3. Nell'ambito della programmazione regionale sul fabbisogno di posti letto riabilitativi, oppure nell'ambito di qualsiasi rimodulazione pure funzionale ad assicurare il livello delle prestazioni previste dal comma 1, al CRRiPOCeM è assicurata la priorità nell'assegnazione, al pari di altre strutture interamente pubbliche, sino alla copertura di tutti gli spazi disponibili e idonei.
4. La gestione interamente pubblica di cui al comma 1 è riferita, inderogabilmente, ai servizi e alle attività sanitarie».
L'art. 2 individua i principi cui deve ispirarsi l'operato del centro, prescrivendo:
«1. Il funzionamento del CRRiPOCeM è improntato all'eccellenza riabilitativa e alla tenuta in carico del paziente per l'intero percorso riabilitativo, stabilito sulla base della normativa, le linee guida e relative prescrizioni cliniche di carattere soggettivo, anche utilizzando tecnologie di telemonitoraggio, telemedicina, robotica, intelligenza artificiale, oppure tecnologie aventi il medesimo obiettivo».
L'art. 3, rubricato «Norma finanziaria», precisa che:
«1. Agli oneri per l'attuazione della presente legge si provvede nei limiti dello stanziamento previsto per remunerare l'incaricato di pubblico servizio per l'attuale gestione, calcolata sui dati storici riscontrati negli ultimi anni e in particolare per il 2022 per 9.591.860,72 euro».
Infine, l'art. 4, che contiene le norme transitorie e finali, stabilisce che:
«1. Il passaggio alla gestione interamente pubblica del CRRiPOCeM avviene alla scadenza dei contratti di gestione attualmente in corso o in regime di proroga. Qualora anche il periodo di proroga risulti scaduto alla data di entrata in vigore della presente legge, il subentro nella gestione pubblica diretta della ASL competente avviene entro e non oltre quaranta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, oppure cinquanta giorni se le ragioni risultino opportunamente motivate e sotto il profilo oggettivo. È nullo ogni nuovo e ulteriore provvedimento di proroga.
2. Il personale in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, transita nell'organico della ASL competente ai sensi dell'articolo 1, comma 268, lettera c), della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024) e comunque nel rispetto della normativa vigente o con procedure di selezione per soli titoli, dove compatibili con il profilo professionale, e comunque valorizzando l'esperienza lavorativa svolta per la stessa tipologia di servizio.
3. Entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la Regione provvede alla rimodulazione e relativa assegnazione dei posti letto prevista dall'articolo 1, comma 3, con le regole di priorità ivi previste.
4. La ASL di Brindisi assicura il raggiungimento degli obiettivi previsti dall'articolo 2 adottando un puntuale provvedimento di programmazione entro e non oltre centottanta giorni dalla data dell'entrata in vigore della presente legge, con relativo cronoprogramma.
5. Entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e nel tempo occorrente alla piena funzionalità di quanto previsto dal comma 4, la ASL di Brindisi assicura, per il raggiungimento di parte degli obiettivi previsti dall'articolo 2, la piena funzionalità, in tutto o in parte, delle apparecchiature rese disponibili da progetti già realizzati di telemedicina».
3.- La legge regionale impugnata, volta a determinare il passaggio ad una gestione interamente pubblica del Centro di riabilitazione di Ceglie Messapica, fino a quel momento gestito dalla Fondazione San Raffaele (d'ora in avanti: Fondazione), è censurata dallo Stato principalmente perché ritenuta in contrasto con gli obiettivi fissati nel piano di rientro dal disavanzo sanitario, al quale la Regione Puglia è sottoposta sin dal 2010.
In particolare, la resistente, in forza dell'accordo stipulato il 29 novembre 2010 tra il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Presidente della Giunta regionale, si sarebbe impegnata - ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» - a realizzare gli interventi previsti dal piano di rientro allegato all'accordo, nonché a sottoporre, in via preventiva, ai ministeri affiancanti i provvedimenti suscettibili di incidere negativamente sulla relativa attuazione.
Il ricorrente lamenta, quindi, che l'intervento legislativo impugnato non sarebbe stato previamente comunicato al Ministero della salute e al Ministero dell'economia e delle finanze, nonostante esso determini una «rilevante modifica della pregressa "programmazione sanitaria"».
Tale modifica sarebbe contraria all'art. 2, commi 80, 81 e 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», che prescrive la vincolatività degli interventi individuati nel piano di rientro e obbliga le regioni che vi sono sottoposte a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, che siano di ostacolo alla piena attuazione degli interventi programmati, e a non adottarne di nuovi.
3.1.- A tale ultimo proposito, il ricorrente evidenzia che, in virtù dell'art. 1 della legge regionale impugnata, il presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, in precedenza gestito da «una persona giuridica di diritto privato», "transiterebbe" tra i soggetti di diritto pubblico del sistema sanitario regionale, «incidendo significativamente sui relativi saldi di finanza pubblica», con «un significativo incremento dei costi a carico del sistema sanitario della Regione Puglia», ritenuto «in evidente contrasto con gli interventi programmati nel [...] Piano di rientro».
Né basterebbe a scongiurare questo aggravio finanziario la previsione dell'art. 3 della legge regionale impugnata, che attesta una copertura economica dell'operazione pari a circa 9,592 milioni di euro, trattandosi di somma determinata esclusivamente in relazione alla spesa sostenuta dall'azienda sanitaria locale (ASL) di Brindisi nel 2022 per l'acquisto di prestazioni sanitarie dalla Fondazione, senza tenere in debito conto tutti i costi ulteriori che la gestione pubblica del centro riabilitativo comporterà a carico del bilancio della medesima ASL (come quelli legati all'applicazione, in favore del personale, del contratto collettivo nazionale di lavoro «del comparto "sanità pubblica"», nonché all'acquisto di tutti i beni materiali necessari per il funzionamento del centro).
3.2.- In definitiva, per il ricorrente, l'intervento normativo censurato violerebbe: a) l'art. 97, primo comma, Cost., che impone alle amministrazioni pubbliche di assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico; b) l'art. 117, terzo comma, Cost., ponendosi in contrasto con i principi fondamentali dettati dallo Stato, mediante la normativa interposta in precedenza richiamata, nelle materie «coordinamento della finanza pubblica» e «tutela della salute», che «precludono alle Regioni, in fase di rientro dal deficit, di deliberare spese per l'erogazione di prestazioni sanitarie superiori» ai livelli essenziali di assistenza.
4.- Sotto altro profilo, che investe essenzialmente la previsione di cui all'art. 4, comma 2, della legge regionale impugnata, il ricorrente sostiene che il Capo II del Titolo I del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), nel disciplinare le procedure concorsuali per il reclutamento del personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, non consentirebbe di prescindere da una previa selezione «mediante specifici "esami"». Analoga prescrizione vincolerebbe le procedure di reclutamento del personale non dirigenziale, ai sensi del Capo II del Titolo I del d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220 (Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale). Si tratterebbe, in entrambi i casi, di normativa adottata in diretta attuazione degli artt. 15 e 18 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come tale espressiva di principi fondamentali nella materia «tutela della salute».
4.1.- Ciò premesso, il ricorrente evidenzia che la disposizione censurata, in forza della particella disgiuntiva «o» utilizzata dal legislatore regionale, consentirebbe alla ASL di Brindisi «di acquisire ulteriori unità di personale» senza osservare le procedure concorsuali e i limiti di spesa previsti dalla «normativa vigente».
Di conseguenza, la previsione di una procedura di reclutamento «per soli titoli» si porrebbe non solo «in evidente contrasto con la suddetta disciplina statale» e, dunque, con l'art. 117, terzo comma, Cost., ma anche con l'art. 97, quarto comma, Cost., che impone il concorso pubblico per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni.
Inoltre, avendo la Regione Puglia assunto l'impegno - con il già citato accordo del 29 novembre 2010 e con i successivi programmi operativi - di attuare azioni specifiche per garantire la riduzione della complessiva spesa per il personale, sarebbe leso ancora una volta l'art. 97, primo comma, Cost., che impone ad ogni pubblica amministrazione di assicurare l'equilibrio del bilancio, e sarebbero di nuovo contraddetti i principi fondamentali dettati dallo Stato nella materia «coordinamento della finanza pubblica», con conseguente ulteriore violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.
5.- La Regione Puglia si è costituita in giudizio, deducendo l'inammissibilità delle questioni sollevate o, comunque, la loro non fondatezza.
6.- Sotto il primo profilo, la resistente ritiene che il ricorso sia carente di adeguata motivazione in ordine all'asserita esorbitanza dei maggiori costi dell'operazione (del resto non precisamente quantificati) rispetto ai vincoli derivanti dal piano di rientro, a fronte del «dato reale, peraltro non contestato, che vede la ASL di Brindisi - e, quindi, la Regione Puglia - sborsare ogni anno circa 11 milioni di euro [...] per l'acquisto delle prestazioni» dalla Fondazione.
7.- Nel merito, la Regione Puglia ha ricordato, in primo luogo, che la gestione del presidio ospedaliero di Ceglie Messapica - struttura di proprietà pubblica - era stata affidata alla Fondazione, «sin dal risalente 2000», con provvedimenti assunti dall'allora direttore generale dell'ASL di Brindisi.
Solo in data 5 febbraio 2008 sarebbe stato stipulato un contratto tra la ASL di Brindisi e la Fondazione, avente ad oggetto la gestione temporanea e provvisoria del centro di riabilitazione - soprattutto per garantire la continuità dei trattamenti sanitari in corso - fino «[all']attivazione dei progetti di sperimentazione gestionale» ai sensi dell'art. 9-bis del d.lgs. n. 502 del 1992.
Per sopraggiunte criticità in ordine alla scelta del modello della società mista a capitale prevalentemente pubblico, la programmata sperimentazione gestionale non sarebbe stata mai attivata, con conseguente prosecuzione della gestione provvisoria affidata alla Fondazione, sempre in forza del contratto del 5 febbraio 2008, «non sottoposto ad alcuna procedura di evidenza pubblica».
8.- Ciò posto, la Regione resistente asserisce che la normativa impugnata non comporterà nuovi oneri per la finanza regionale ed esclude che l'iniziativa legislativa avrebbe dovuto essere preventivamente approvata dai ministeri affiancanti.
8.1.- Sotto il primo profilo, citando giurisprudenza costituzionale, afferma che l'assoggettamento ai vincoli derivanti dal piano di rientro impedisce di incrementare la spesa sanitaria solo per motivi estranei alla garanzia delle prestazioni essenziali, ossia quando vengono in rilievo spese non obbligatorie. Nella specie, invece, oggetto della normativa impugnata sarebbero tutte prestazioni certamente rientranti nei livelli essenziali di assistenza (LEA), «attualmente erogate dalla Fondazione privata e pagate dalla ASL».
Inoltre, essendo la ASL di Brindisi già proprietaria della struttura e di parte degli impianti tecnologici, indicati nella documentazione depositata in giudizio, non vi sarebbe alcun incremento - tantomeno «sensibile» - della spesa sanitaria.
Per sostenere l'assunto, la resistente produce un dettagliato elenco dei costi - comprensivi della spesa per il personale - che la ASL di Brindisi ha calcolato di sostenere con la gestione diretta del centro di riabilitazione, computati escludendo quelli che non dovranno essere sopportati, o che potranno essere ridotti, grazie alle economie di scala (utenze, farmaci, smaltimento rifiuti, trasporti sanitari, attività di laboratorio, manutenzioni ordinarie, noleggio biancheria, eccetera). L'importo così ottenuto risulterebbe inferiore alle somme finora corrisposte annualmente alla Fondazione, quale corrispettivo delle prestazioni erogate all'utenza in forza del contratto del 5 febbraio 2008.
La documentazione a sostegno dell'istruttoria compiuta, peraltro, sarebbe stata trasmessa al ministero competente «prima della instaurazione dell'odierno giudizio di impugnazione», sicché il «processo di internalizzazione» si muoverebbe proprio «nella direzione auspicata dal Ministero» di contenere i costi (che passerebbero «da una spesa presunta attualmente di 11 milioni di euro» ad un impegno finanziario calcolato «in € 9.591.860,72»), non essendo stati previsti né «livelli ulteriori di assistenza né spese eccedenti quelle attualmente sostenute».
8.2.- Quanto alla necessità della preventiva approvazione, da parte dei ministeri affiancanti, del modello organizzativo disegnato dalla legge regionale impugnata - che il ricorrente ritiene caratterizzato da elementi di novità - la resistente evidenzia che il presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, nell'ambito della rete ospedaliera della Regione Puglia, risulta da sempre classificato quale «struttura pubblica».
Ciò risulterebbe dai pregressi atti di programmazione adottati dalla Giunta regionale, regolarmente trasmessi ai ministeri affiancanti e da questi ultimi approvati.
In ogni caso, per la resistente, il superamento del modello di gestione risalente al contratto del 5 febbraio 2008 sarebbe stato imposto proprio dagli obiettivi fissati nel piano operativo 2016-2018. Quest'ultimo, infatti, «per la gestione dei Presidi Post-Acuzie» (come quello oggetto della legge regionale impugnata), prevede la gestione diretta delle strutture da parte delle aziende sanitarie oppure, per il caso di impossibilità da parte di queste ultime, l'adozione di soluzioni gestionali diverse, purché coerenti con l'art. 9-bis del d.lgs. n. 502 del 1992.
8.3.- La Regione Puglia, infine, esclude la prospettata violazione degli artt. 97, quarto comma, e 117, terzo comma, Cost., quest'ultimo in riferimento ai d.P.R. n. 483 del 1997 e n. 220 del 2001, poiché l'art. 4, comma 2, della legge regionale impugnata prevederebbe la possibilità di ricorrere a procedure selettive per soli titoli solo ove compatibili con i profili professionali da reclutare.
In ogni caso, sussisterebbero «ragioni di "necessità funzionali dell'amministrazione"» e «"peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico"», tali da «consentire la deroga al principio di cui all'art. 97 Cost.», per garantire la «continuità funzionale della struttura» e «salvaguardare i livelli occupazionali che potrebbero venire lesi dal mutamento di che trattasi».
9.- Con memoria depositata in vista dell'udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ulteriormente illustrato i motivi di ricorso e ha replicato alle difese spiegate dalla Regione resistente, contestando, in particolare, l'eccezione di genericità delle censure.
Secondo il ricorrente, occorrerebbe distinguere tra proprietà (pubblica) del presidio sanitario e gestione (privata) del medesimo: poiché «il passaggio anche di quest'ultima alla mano pubblica comporta indubbiamente una rilevante modifica della pregressa "programmazione sanitaria"», tale intervento normativo - si afferma - avrebbe dovuto essere comunicato preventivamente ai ministeri affiancanti.
10.- Anche la Regione Puglia ha depositato, in limine litis, memoria con la quale ha ulteriormente illustrato le proprie difese.
Ha altresì depositato un verbale del 1° dicembre 2024, sottoscritto dalla ASL di Brindisi e dalla Fondazione, a dimostrazione dell'effettivo subentro della prima nella gestione del presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, avvenuto «in via bonaria e accettato dalla stessa Fondazione», con la vendita in favore della ASL dei beni e delle attrezzature di proprietà privata «insistenti nel suddetto Centro».
Ha poi aggiunto di aver bandito un «Concorso pubblico per titoli e esami per vari profili professionali dell'Area Comparto e dell'Area Sanità, per le esigenze del Centro Regionale di Riabilitazione Presidio Ospedaliero Ceglie Messapica» e, nelle more del completamento di tali procedure concorsuali, di aver provveduto a reclutare personale a tempo determinato «mediante l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica», nel rispetto della normativa «in tema di tetti di spesa del personale delle Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale ex art. 11, D.L. 35/2019 conv. in L. n. 60/2019», dal momento che «più di 70 mln del tetto di spesa non erano stati utilizzati» dalla ASL di Brindisi (come da tabella riportata nella memoria).
Infine, la resistente ha dettagliatamente indicato in un prospetto analitico le singole voci del risparmio di spesa che il passaggio alla gestione interamente pubblica del Centro di riabilitazione di Ceglie Messapica sta già determinando a vantaggio del bilancio regionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell'intera legge reg. Puglia n. 21 del 2024, con particolare riferimento agli artt. 1, 3 e 4, comma 2.
2.- Muovendo dall'incontestato presupposto che la Regione Puglia è ancora assoggettata ai vincoli derivanti dal piano di rientro dal disavanzo sanitario e che, fino all'intervento legislativo in esame, il presidio ospedaliero di Ceglie Messapica è stato gestito «da una persona giuridica di diritto privato», il ricorrente avanza due ordini di censure, che conviene affrontare separatamente.
3.- In primo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che il passaggio ad una gestione interamente pubblica del Centro di riabilitazione di Ceglie Messapica, previsto dall'art. 1 della legge regionale impugnata e non previamente comunicato ai ministeri affiancanti (Ministero della salute e Ministero dell'economia e delle finanze), violerebbe l'accordo sottoscritto in data 29 novembre 2010, in base al quale la Regione ha assunto l'impegno - ai sensi dell'art. 1, comma 180, della legge n. 311 del 2004 - a realizzare gli obiettivi fissati nell'allegato piano di rientro dal deficit finanziario.
Il passaggio alla mano pubblica del centro riabilitativo in precedenza gestito da privati, comportando una «rilevante modifica della pregressa "programmazione sanitaria"», sarebbe contrario all'art. 2, commi 80, 81 e 95, della legge n. 191 del 2009, che prescrive la vincolatività degli interventi individuati nel piano di rientro e obbliga le regioni che vi sono sottoposte a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, che siano di ostacolo alla piena attuazione degli interventi programmati, e a non adottarne di nuovi.
Inoltre, l'intervento legislativo in esame determinerebbe - ancora una volta «in evidente contrasto» con gli obiettivi individuati nel piano di rientro - «un significativo incremento dei costi a carico del sistema sanitario della Regione Puglia», dal momento che sarebbe del tutto insufficiente la provvista finanziaria indicata dall'art. 3 della legge reg. Puglia n. 21 del 2024, in quanto determinata esclusivamente in relazione alla spesa sostenuta dalla ASL di Brindisi nel 2022 per l'acquisto di prestazioni sanitarie dalla Fondazione, senza considerare tutti i costi ulteriori che la gestione pubblica del centro riabilitativo comporterà a carico del bilancio regionale.
Infine, il "transito" del personale dipendente dalla Fondazione nell'organico della ASL di Brindisi, previsto dal successivo art. 4, comma 2, determinerebbe lo sforamento dei limiti di spesa previsti dal piano di rientro dal disavanzo sanitario, contenente l'impegno della Regione Puglia a perseguire la riduzione della complessiva spesa per il personale.
Di qui, imputabile all'intera legge regionale impugnata, la prospettata lesione dell'art. 97, primo comma, Cost., che impone alle amministrazioni pubbliche di assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, e dell'art. 117, terzo comma, Cost., quest'ultimo per violazione dei principi fondamentali dettati dallo Stato nelle materie «coordinamento della finanza pubblica» e «tutela della salute», che «precludono alle Regioni, in fase di rientro dal deficit, di deliberare spese per l'erogazione di prestazioni sanitarie superiori» ai livelli essenziali di assistenza (LEA).
4.- Nel costituirsi in giudizio, la Regione Puglia ha innanzitutto eccepito l'inammissibilità delle questioni così promosse, sostenendo che il ricorrente non avrebbe fornito alcuna dimostrazione dell'asserito «sensibile incremento» della spesa sanitaria.
L'eccezione, tuttavia, non coglie nel segno, poiché, come questa Corte ha già chiarito, sono ammissibili censure di violazione dei vincoli finanziari, derivanti da piani di rientro dal deficit sanitario, indirizzate contro provvedimenti anche solo potenzialmente forieri di maggiori spese, in quanto atti ad incidere su «macroaree notoriamente regolate dai piani di rientro dal disavanzo sanitario» (sentenze n. 89 del 2024 e n. 134 del 2023).
Anche nel caso di specie vengono certamente in rilievo settori rientranti in tale categoria (in particolare, la spesa per il personale sanitario e la riorganizzazione della rete ospedaliera), sicché attiene al merito - piuttosto che all'ammissibilità - la verifica della fondatezza delle doglianze così avanzate, con le quali, in ogni caso, si prospetta l'estraneità dell'intervento legislativo rispetto agli obiettivi fissati nel piano di rientro.
5.- Nel merito, le questioni si rivelano non fondate.
6.- In attesa della redazione del programma operativo per il triennio 2024-2026, la Regione Puglia è attualmente ancora sottoposta a quello predisposto per il triennio 2016-2018, approvato in prosecuzione del piano di rientro originario, concernente il triennio 2010-2012.
Entrambe le parti non mettono in discussione il principio di diritto, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale anche in relazione alla stessa Regione Puglia (sentenze n. 242 e n. 161 del 2022, n. 142 e n. 36 del 2021 e n. 166 del 2020), secondo cui «l'assoggettamento ai vincoli dei piani di rientro dal disavanzo sanitario impedisce la possibilità di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali e per spese, dunque, non obbligatorie (sentenze n. 256 del 2022, n. 242 del 2022, n. 142 e n. 36 del 2021, e n. 166 del 2020)» (sentenza n. 134 del 2023; nello stesso senso, sentenza n. 1 del 2024).
Un tale principio è stato affermato pure con riguardo ai piani di prosecuzione del rientro dal disavanzo sanitario (sentenze n. 190 del 2022 e n. 130 del 2020), come quello attualmente vigente nella Regione Puglia. Anche in tali situazioni, per effetto delle previsioni dell'art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009 - espressioni di un principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica -, la Regione è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, che siano di ostacolo alla piena realizzazione dei piani di rientro (sentenze n. 197 e n. 169 del 2024 e n. 155 del 2023) o che incidano sulle misure in essi previste (sentenza n. 87 del 2024), come pure a non adottarne di nuovi.
Tra le più recenti, la sentenza n. 201 del 2024 - nel confermare che «ogni piano di rientro è finalizzato, a un tempo, al contenimento della spesa sanitaria e alla garanzia dell'effettività dei LEA», la cui determinazione «mira a evitare "che, in parti del territorio nazionale, gli utenti debbano assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato" (sentenza n. 72 del 2020)» - ha ribadito che, «per assicurare la necessaria tutela del diritto fondamentale alla salute devono ritenersi obbligatorie le spese inerenti alle prestazioni corrispondenti ai LEA, mentre incorrono nel citato divieto le spese per "prestazioni comunque afferenti al settore sanitario ulteriori e ampliative rispetto a quelle previste dallo Stato" (sentenze n. 242 e n. 161 del 2022)».
7.- Così tratteggiati i principi generali applicabili, è necessario ricostruire i peculiari contorni della vicenda concreta che fa da sfondo al presente giudizio.
Dai lavori preparatori della legge regionale impugnata si evince che l'intento perseguito è quello di ripristinare l'originaria gestione pubblica del presidio ospedaliero di Ceglie Messapica.
Dall'imponente mole di documenti versati in atti dalla Regione resistente, in effetti, emerge che, dopo un periodo di affidamento fondato su provvedimenti adottati dai direttori pro tempore della ASL di Brindisi a partire dall'anno 2000, solo in data 5 febbraio 2008 venne stipulato un contratto tra la citata ASL e la Fondazione. Con tale accordo, a quest'ultima venne attribuita la «provvisoria gestione» (art. 2 del contratto) del centro di riabilitazione, allo scopo di non interrompere i trattamenti in atto e comunque solo fino al termine del «periodo necessario all'espletamento ed alla conclusione delle procedure autorizzatorie ex art. 9 bis del D.Lgs. n. 502/92» (art. 15 del contratto).
Si trattava, evidentemente, di una soluzione-ponte destinata a lasciare il passo alle programmate forme di collaborazione tra strutture del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati, che l'appena richiamato art. 9-bis del d.lgs. n. 502 del 1992 ammette «anche attraverso la costituzione di società miste a capitale pubblico e privato».
Tali modelli gestionali, tuttavia, non sono mai stati attivati, con conseguente prosecuzione negli anni, senza soluzione di continuità, di una "gestione provvisoria" di problematica qualificazione, ma senz'altro non riconducibile né alle «[s]perimentazioni gestionali», consentite dalla disposizione di legge statale appena richiamata, né all'accreditamento istituzionale, disciplinato dagli artt. 8-quater e seguenti del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992.
Nei fatti, la Fondazione - a fronte del pagamento di una somma per l'utilizzo dell'edificio e degli impianti tecnologici di proprietà della ASL di Brindisi, che manteneva l'onere economico di provvedere alla relativa manutenzione straordinaria (art. 12 del contratto) - ha erogato al Servizio sanitario regionale prestazioni sanitarie, in cambio di un corrispettivo fissato dal contratto stesso (art. 13, che contiene un generico rinvio alle tariffe di remunerazione determinate dagli atti regionali di programmazione «vigenti tempo per tempo»), a valere sulla «quota di Fondo Sanitario Regionale indistinto, assegnato annualmente alla ASL» (come risulta dalla relazione tecnica del 13 novembre 2023 che accompagna il progetto di legge regionale oggetto dell'odierno scrutinio).
Il risultato dell'intervento normativo in esame, in definitiva, è consistito nella cessazione di tale affidamento provvisorio di non agevole inquadramento, con conseguente rientro della struttura e degli impianti tecnologici nella piena disponibilità della (già) proprietaria ASL di Brindisi, oggi tenuta ad erogare direttamente, attraverso proprio personale, le prestazioni in precedenza fornite all'utenza dal soggetto privato, sempre utilizzando le risorse finanziarie già impegnate sul medesimo capitolo di bilancio.
8.- Ciò premesso, la legge regionale impugnata non viola né i parametri evocati né i principi fondamentali dettati dalle norme interposte richiamate dal ricorrente, perché non introduce una «rilevante modifica della pregressa "programmazione sanitaria"» e neppure «un significativo incremento» dell'impegno finanziario di settore, l'una e l'altro prospettati dal ricorrente come estranei agli obiettivi del piano di rientro e, come tali, interdetti alla Regione resistente.
8.1.- Sotto il primo profilo, la Regione Puglia ha documentalmente dimostrato che - a prescindere dall'incontestata proprietà pubblica dell'edificio e di parte degli impianti tecnologici - il presidio ospedaliero di Ceglie Messapica, nell'ambito della rete ospedaliera della Regione Puglia, è sempre stato codificato quale struttura pubblica, e questo esclude il prospettato "transito" tra i soggetti di diritto pubblico.
Ciò risulta evidente dagli atti di programmazione versati in giudizio, adottati negli anni dalla Giunta regionale, regolarmente trasmessi ai ministeri affiancanti e da questi ultimi approvati.
In particolare, quello di Ceglie Messapica risulta classificato come ospedale pubblico nell'Allegato A alla deliberazione di Giunta regionale del 3 luglio 2023, n. 919 (recante, tra l'altro, «Aggiornamento Rete ospedaliera ai sensi del D.M. n. 70/2015»).
Tale provvedimento conferma la classificazione già operata dal regolamento regionale 22 novembre 2019, n. 23 (Riordino ospedaliero della Regione Puglia ai sensi del D.M. n° 70/2015 e delle Leggi di Stabilità 2016-2017), il cui art. 2, rubricato «Classificazione delle strutture ospedaliere», reca un espresso riferimento all'«Ospedale Antonio Perrino - Brindisi (ASL Brindisi), con il plesso riabilitativo di Ceglie Messapica».
Del resto, anche nel Nuovo sistema informativo sanitario - NSIS (come pure documentato a pag. 18 dell'atto di costituzione della Regione Puglia), la struttura di Ceglie Messapica è sempre stata considerata quale articolazione dell'Ospedale "Perrino" di Brindisi «per la gestione della fase post-acuzie».
L'unico aspetto che deve essere verificato, dunque, è se il ritorno alla gestione interamente pubblica del centro di riabilitazione possa compromettere la piena realizzazione degli interventi programmati per il superamento del deficit sanitario.
8.1.1.- Tale rischio non sussiste, in quanto l'intervento legislativo regionale risulta pienamente armonico rispetto agli obiettivi concordati.
Già il piano di rientro 2010-2012, infatti, evidenziava che «i posti letto per la riabilitazione e per la lungodegenza attivi sono inferiori rispetto agli standard di riferimento» e, anche al fine di risolvere tale criticità, poneva, tra gli obiettivi da perseguire, quello consistente nel riordino della rete ospedaliera.
In un siffatto contesto, coglie nel segno la difesa regionale, quando sottolinea che l'estraneità agli interventi programmati affliggeva piuttosto l'atipico modello gestorio operante in forza del contratto del 5 febbraio 2008.
Proprio «per la gestione dei Presidi Post-Acuzie» (come quello oggetto della legge regionale impugnata), infatti, il vigente programma operativo 2016-2018 prevede come obiettivo la forma di gestione diretta delle strutture da parte delle aziende sanitarie oppure, e per il caso di impossibilità da parte di queste ultime a farvi fronte, l'adozione di soluzioni gestionali diverse, «con la definizione di un rapporto pubblico‐privato innovativo e coerente con l'art. 9‐bis del D.Lgs. n. 502/1992».
A fronte della mancata attivazione delle soluzioni giuridiche innovative prospettate dalla disposizione statale da ultimo citata, appariva, dunque, addirittura necessaria una modifica dell'assetto gestorio in atto, per addivenire alla gestione interamente pubblica del presidio ospedaliero di cui si tratta.
8.2.- Quanto alle ricadute finanziarie della legge regionale impugnata, va in primo luogo chiarito che, nella specie, vengono in rilievo prestazioni tutte certamente rientranti nei livelli essenziali di assistenza (precisamente contemplate dagli artt. 36, 44 e 45 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502») e dunque di natura obbligatoria; sicché le disposizioni regionali impugnate non implicano prestazioni ulteriori e ampliative rispetto a quelle previste dallo Stato.
8.2.1.- A tale argomento, che sarebbe già di per sé assorbente, va altresì aggiunto che non emerge con evidenza alcun aumento della spesa sanitaria regionale direttamente conseguente all'internalizzazione dei servizi di riabilitazione, costituenti spesa obbligatoria.
La relazione tecnica che illustra la copertura finanziaria dell'intervento normativo nega qualsiasi incremento dei costi rispetto alla spesa storica finora sopportata per remunerare le prestazioni rese dalla Fondazione.
All'opposto, la Regione Puglia ha prodotto documentazione da cui emergono dati che sembrerebbero rivelare una diminuzione di spesa rispetto a quella annua programmata per l'anno 2024 per l'acquisto delle prestazioni dalla Fondazione (pari a circa 11 milioni di euro). Il trend, inizialmente solo presuntivo, risulterebbe ora confermato dalle attestazioni del 6 febbraio 2025 - prodotte con la memoria illustrativa e rilasciate dai dirigenti dei competenti dipartimenti, sezioni e servizi regionali - riferite al primo periodo successivo al passaggio alla gestione interamente pubblica del Centro riabilitativo di Ceglie Messapica, avvenuto in data 1° dicembre 2024: secondo tali atti, il subentro «sta determinando [...] un evidente risparmio in termini di costi per il Servizio Sanitario regionale», con una riduzione di spesa «sia in termini di costo per il personale che in termini di costi generali che possono essere spalmati a livello aziendale e non di singola struttura», per un importo annuo «pari ad Euro 4.404.195,66».
Con particolare riferimento al personale, è senz'altro vero - come sostenuto dal ricorrente - che la Regione Puglia, con il piano di rientro e con i successivi programmi operativi, ha assunto l'impegno di attuare azioni specifiche per garantire la riduzione della complessiva spesa per il personale a livello regionale.
Tuttavia, con la sentenza n. 134 del 2023, questa Corte ha già rilevato che lo stesso programma operativo 2016-2018 non esclude affatto la possibilità di assumere personale al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza. In questa prospettiva, la Regione Puglia ha dimostrato che residuano ancora, a livello regionale, fondi per circa 70 milioni di euro, con conseguenti ampi margini di manovra, che il piano assunzionale della ASL di Brindisi, approvato con delibera di Giunta regionale del 28 maggio 2024, n. 690 (del pari prodotta in giudizio e notificata ai ministeri affiancanti), ritiene di sfruttare al fine di dare priorità «alle unità da assumersi per ottemperare alle previsioni della L.R. n. 21/2024».
Può dunque affermarsi che le disposizioni impugnate si sottraggono alle censure del ricorrente, perché l'intervento tracciato dalla legge regionale, nel suo complesso, si muove entro la cornice economico-finanziaria delineata appositamente dal piano di rientro (in senso analogo, sentenza n. 197 del 2024).
9.- Il secondo insieme di censure avanzate dal Presidente del Consiglio dei ministri si appunta, specificamente, sull'art. 4, comma 2, della legge reg. Puglia n. 21 del 2024.
Tale disposizione, a giudizio del ricorrente, consentirebbe alla ASL di Brindisi - in forza della particella disgiuntiva «o» utilizzata dal legislatore regionale - «di acquisire ulteriori unità di personale» in spregio della regola del pubblico concorso, presidiata dall'art. 97, quarto comma, Cost., nonché in violazione dei principi fondamentali dettati nella materia «tutela della salute» dai d.P.R. n. 483 del 1997 e n. 220 del 2001 (emanati in attuazione degli artt. 15 e 18 del d.lgs. n. 502 del 1992), che imporrebbero selezioni «mediante specifici "esami"» per l'assunzione di personale - rispettivamente, dirigenziale e non - del Servizio sanitario nazionale, con conseguente lesione anche dell'art. 117, terzo comma, Cost.
10.- La questione promossa in riferimento all'art. 97, quarto comma, Cost. è fondata, limitatamente alle parole «o con procedure di selezione per soli titoli, dove compatibili con il profilo professionale».
10.1.- La prima parte della disposizione impugnata non contrasta, invero, con i parametri evocati, poiché richiama l'art. 1, comma 268, lettera c), della legge n. 234 del 2021, che non consente una stabilizzazione senza concorso: come chiarito dalla sentenza n. 99 del 2023 di questa Corte, le relative procedure devono essere avviate «nel rispetto dei principi posti in materia di pubblico concorso» (punto 6 del Considerato in diritto).
Tale modalità di reclutamento, quindi, potrà essere legittimamente applicata dalla Regione, ovviamente solo ove sussistano tutti i presupposti contemplati dalla norma: 1) la coerenza con il piano triennale dei fabbisogni del personale; 2) un limite soggettivo (quanto all'espletamento di mansioni sanitarie e socio-sanitarie); 3) un limite temporale (l'aver garantito assistenza ai pazienti «in tutto il periodo compreso tra il 31 gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021 e con almeno tre anni di servizio»).
Tale è il senso da attribuire all'inciso «e comunque nel rispetto della normativa vigente», evidentemente riferito alla prima parte della disposizione impugnata, che rende quest'ultima immune dai vizi di legittimità costituzionale prospettati.
10.2.- Anche l'inciso finale «valorizzando l'esperienza lavorativa svolta per la stessa tipologia di servizio» - che l'espressione introduttiva «e comunque» consente di riferire a qualsiasi proposizione contenuta nel comma 2 dell'art. 4 in esame - può ritenersi esente dalle censure avanzate: tale valorizzazione, infatti, potrà avvenire solo in sede di valutazione dei candidati nell'ambito di pubbliche procedure concorsuali, ivi incluse quelle previste dalla prima parte della disposizione qui scrutinata.
10.3.- Il residuo segmento normativo, invece, nell'introdurre un'alternativa alle procedure ex lege n. 234 del 2021, contempla, all'evidenza, la possibilità di un'assunzione interamente riservata al personale già in servizio alle dipendenze della Fondazione alla data di entrata in vigore della legge regionale e, dunque, senza concorso pubblico.
La giurisprudenza costituzionale, però, ha riconosciuto in quest'ultimo la «forma generale e ordinaria di reclutamento» per le amministrazioni pubbliche (tra le ultime, sentenza n. 110 del 2023).
Il pubblico concorso reclama una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e, per quanto qui nello specifico rileva, aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti, e questa Corte ha chiarito che i richiamati principi trovano applicazione anche con riferimento all'accesso ai pubblici impieghi presso le regioni (sentenza n. 133 del 2023).
Né possono considerarsi sussistenti le condizioni, pure rivendicate dalla Regione resistente, affinché possano essere introdotte eccezioni alla regola: infatti, tale facoltà legislativa (pur contemplata dal parametro costituzionale evocato) «deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 5 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 110 del 2023 e n. 166 del 2020).
In un caso analogo, in cui pure veniva in rilievo un generale transito del personale di un ente di diritto privato nell'organico di un soggetto pubblico regionale, questa Corte ha ritenuto (sentenza n. 227 del 2021) che tale passaggio non potesse essere realizzato «senza il previo espletamento di una procedura selettiva non riservata, ma aperta al pubblico, in quanto, altrimenti, si avrebbe una palese ed ingiustificata deroga al principio del concorso pubblico», che si risolverebbe, in ultima analisi, in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari.
D'altronde, già la sentenza n. 110 del 2017 - sempre relativa a una legge regionale pugliese - ha rilevato che, in presenza di «servizi assistenziali stabili, che l'amministrazione ha l'obbligo di fornire, ma che non devono essere necessariamente svolti dai destinatari delle norme impugnate», la Regione deve «seguire le ordinarie procedure di assunzione», nelle quali, al più, «è consentito entro certi limiti valorizzare la specifica esperienza pregressa».
Si è, infine, precisato che non giustificano eventuali deroghe alla regola del pubblico concorso né l'esigenza di tutelare il «legittimo [...] affidamento» dei lavoratori - trattandosi di finalità «che non è di per sé sola funzionale al buon andamento della pubblica amministrazione e non sottende straordinarie esigenze di interesse pubblico» (sentenza n. 133 del 2020; in senso analogo, sentenza n. 110 del 2017) - né «l'interesse alla difesa dell'occupazione» (sentenza n. 248 del 2016).
11.- Nei limiti così definititi, in conclusione, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, della legge reg. Puglia n. 21 del 2024, per violazione dell'art. 97, quarto comma, Cost., restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, della legge della Regione Puglia 30 maggio 2024, n. 21, recante «Istituzione del Centro regionale di riabilitazione pubblica ospedaliera di Ceglie Messapica (CRRiPOCeM)», limitatamente alle parole «o con procedure di selezione per soli titoli, dove compatibili con il profilo professionale»;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge reg. Puglia n. 21 del 2024, promosse, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.