Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 12 giugno 2024, n. 5286
Presidente: Volpe - Estensore: Lamberti
FATTO E DIRITTO
1. Nel 1992 l'appellante acquistava in comunione di beni con il coniuge (Antonio F.) un'unità immobiliare all'interno di un fabbricato sito in Nola (NA) alla via Mozzillo n. 34, consistente in alcuni vani al piano terra e alcuni vani al piano primo con annessi spazi cortilizi e tettoia adibita a box auto coperto, quest'ultima collocata in adiacenza ai vani residenziali collocati al piano terra.
1.1. Con la concessione edilizia n. 1/1995 il Comune di Nola autorizzava la ristrutturazione della suddetta unità immobiliare, ivi inclusa la tettoia adibita a box auto. Con il permesso di costruire n. 44/2004 veniva invece autorizzato il mutamento della destinazione d'uso del box auto in "terraneo".
2. Con l'ordinanza n. 6 del 19 settembre 2012 il Comune di Nola ha disposto l'annullamento parziale in autotutela della concessione edilizia n. 1 del 1995, nella parte in cui essa riguarda l'ingombro edilizio tettoia e ne ha ordinato la demolizione.
3. Con l'ordinanza n. 5 del 15 febbraio 2011, di cui l'appellante riferisce di essere venuta a conoscenza solo in seguito a distanza di anni, era già stata ingiunta la demolizione delle opere edilizie, assumendone l'abusività, consistente nella trasformazione dei locali al piano terra in soggiorno e cucina e la tettoia adibita a box auto.
4. L'appellante ha impugnato avanti il T.A.R. per la Campania l'ordinanza n. 5 del 2011.
4.1. Successivamente, con motivi aggiuntivi, ha impugnato anche la determina n. 40 del 23 luglio 2018 avente a oggetto "Acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31, comma III, del d.P.R. 380/2001 di opere edilizie a seguito dell'accertamento dell'inottemperanza alla ordinanza 5/2011".
5. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. adito ha dichiarato il ricorso principale irricevibile e ha accolto i motivi aggiunti, rilevando che il Comune, senza alcuna motivazione, aveva disposto l'acquisizione della unità immobiliare ubicata al piano terra.
6. L'originaria ricorrente ha proposto appello avverso tale sentenza per i motivi di seguito esaminati.
6.1. Con il primo motivo contesta la statuizione di irricevibilità del ricorso introduttivo per tardività.
Sul punto, il T.A.R. ha argomentato nel senso che: "L'ordinanza n. 5/2011, infatti, è stata sicuramente conosciuta dalla ricorrente sin dalla data della sua notifica in data 15 febbraio 2011, come risulta dalla relata in atti, in quanto fu proprio l'odierna ricorrente a ricevere la suddetta notifica in qualità di moglie del destinatario, Antonio F. A nulla vale la circostanza che detto provvedimento non era indirizzato a lei, posto che comunque ella ne è sicuramente venuta a conoscenza sin da quella data. Peraltro, tale ordinanza è stata tempestivamente impugnata dal marito della ricorrente, ma il relativo ricorso è stato successivamente dichiarato perento, come ha riferito il controinteressato e come risulta dal provvedimento di acquisizione in questa sede impugnato con i motivi aggiunti".
L'appellante contesta tali considerazioni, deducendo che:
- l'ordinanza impugnata con il ricorso introduttivo non recava alcun ordine nei confronti della sig.ra V., risultando pertanto per essa del tutto inefficace;
- la sig.ra V. l'avrebbe ritirata non già nella veste di destinataria del provvedimento, ma in quella di soggetto convivente con il destinatario dell'atto;
- la presunzione di conoscenza, che l'ordinamento ricollega alla notifica del provvedimento, è correlata all'identità tra destinatario e ricevente, non potendosi esigere che il convivente, o l'addetto alla casa, che ritiri la posta del coniuge e/o del datore di lavoro, debba anche leggerne il contenuto;
- l'ordinanza n. 5/2011 incide sul diritto di proprietà della sig.ra V., costituzionalmente garantito, il che rende inimmaginabile che tale atto potesse avere efficacia indipendentemente dalla esistenza di un ordine alla stessa espressamente rivolto.
6.2. L'appellante ripropone quindi i motivi del ricorso principale, non esaminati dal T.A.R., con i quali aveva dedotto l'illegittimità dell'ordine di demolizione.
6.3. L'appellante lamenta inoltre l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile:
- il primo dei motivi aggiunti, in cui la ricorrente aveva evidenziato l'illegittimità della ordinanza di acquisizione per non esserle stato notificato preventivamente l'ordine di demolizione;
- le ulteriori censure contenute nei motivi aggiunti, con le quali aveva contestato l'illegittimità derivata, dall'illegittimità dell'ordine di demolizione, della determina di acquisizione.
7. Le censure sono infondate.
L'appellante, all'epoca dei fatti, era comproprietaria dell'immobile, unitamente al marito con la stessa convivente ed in regime di comunione legale dei beni.
Ciò precisato, la giurisprudenza ha affermato che, nell'ambito dei poteri di amministrazione e di rappresentanza in giudizio spettante disgiuntamente a ciascun coniuge ex art. 180 del c.c. in riferimento ai beni oggetto di comunione, rientra anche la legittimazione di ciascuno di essi ad essere destinatario, o a ricevere notificazione, di provvedimenti, quali quelli sanzionatori in materia edilizia, con effetti anche nei confronti dell'altro coniuge; conseguentemente, deve ritenersi che, in mancanza di prove contrarie, anche l'altro proprietario ne abbia avuto conoscenza nella stessa data in cui ne ha avuto conoscenza il coniuge convivente (cfr. C.G.A. Sicilia, Sez. riun., n. 1184/2015).
Avuto riguardo alle specifiche censure svolte dall'appellante, la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che "si deve considerare... legittimo e con effetti anche nei confronti della ricorrente, il provvedimento qui avversato, destinato e notificato solamente al... (marito)" (C.G.A. Sicilia, Sez. riun., n. 71/2023).
Alla luce dell'orientamento della giurisprudenza innanzi ricordato e risultando inoltre pacifico che l'appellante, convivente con il marito, ha personalmente ricevuto il plico relativo all'ordinanza 5/2011 impugnata, la prospettazione di parte appellante, volta a disconoscere l'efficacia della notifica nei propri confronti, non può trovare accoglimento, da cui la conferma della statuizione di irricevibilità del ricorso.
7.1. Da un altro punto di vista, deve rilevarsi che il marito dell'appellante aveva già impugnato l'ordinanza di demolizione oggetto del presente giudizio. Tale giudizio è stato dichiarato perento con decreto del T.A.R. n. 406/2018 del 24 gennaio 2018.
Avuto riguardo a tale circostanza, giova ancora richiamare la giurisprudenza espressasi nella peculiare situazione in cui il bene oggetto di ingiunzione si trovi in comunione dei beni, secondo la quale deve ritenersi, in forza del principio desumibile dall'art. 180 c.c., che l'iniziativa giurisdizionale legittimamente intrapresa, in via disgiuntiva, da uno dei coniugi ai fini della tutela di situazioni soggettive riconducibili alla comunione, non possa non consumare il relativo diritto di azione anche in pro e in danno dell'altro coniuge, cui devono, per l'effetto, ritenersi estesi gli effetti del giudicato (cfr. C.d.S., n. 7014/2006).
Ne deriva che l'iniziativa processuale a suo tempo intrapresa da Antonio F., coniuge in comunione legale con l'appellante, a tutela della cosa comune, ha definitivamente precluso a quest'ultima la possibilità di riproporre un'analoga azione (cfr. anche C.d.S., n. 5103/2013: "Le azioni rivolte alla tutela dell'integrità del patrimonio immobiliare, in cui la rappresentanza in giudizio deve considerarsi spettante, a norma dell'art. 180 c.c., ad entrambi i coniugi disgiuntamente, rientrano tra quelle a carattere reale o con effetti reali, dirette alla tutela della proprietà e del godimento comune, con la conseguenza che gli effetti si estendono anche nei riguardi nel coniuge assente, escludendosi il litisconsorzio necessario, sulla base della natura unica ed inscindibile del rapporto dedotto in giudizio e l'incidenza sul rapporto medesimo dell'iniziativa dell'unico coniuge, con effetti sulla comunione in quanto tale").
7.2. Le considerazioni che precedono risultano idonee a superare anche il rilievo avverso l'atto di acquisizione, che secondo l'appellante, sarebbe inficiato dalla mancata notifica dell'ordine di demolizione, dovendosi invece ritenere, stante la peculiarità del regime della comunione legale tra coniugi, che l'ordine di demolizione abbia esplicato i suoi effetti anche nei confronti dell'appellante.
7.3. Il definitivo consolidamento dell'ordine di demolizione si riflette sui motivi aggiunti nella parte in cui contestano vizi riguardanti l'invalidità derivata dell'acquisizione per l'asserita illegittimità dell'ordinanza di demolizione presupposta, da ritenersi inammissibili.
8. Con un diverso ordine di censure l'appellante ripropone i rilievi di cui ai restanti motivi aggiunti, deducendo che:
- l'ordinanza di demolizione, la cui inottemperanza avrebbe determinato l'adozione dell'atto acquisitivo, sarebbe stata superata e caducata dalla adozione della successiva ordinanza n. 6/2012, ed era dunque inesistente alla data di adozione del provvedimento di acquisizione del 23 luglio 2018;
- non sarebbe stato possibile ottemperare all'ordine impartito con l'ordinanza n. 5/2011, posto che il titolo a cui ci si sarebbe dovuto conformare, e cioè la concessione n. 1/1995, è stato poi annullato in parte qua dalla successiva ordinanza di demolizione n. 6/2012.
8.1. L'appellante lamenta che il T.A.R., pur avendo riconosciuto che l'ordinanza di demolizione n. 5/2011 e la successiva ordinanza n. 6/2012 fossero riferite "in parte alla stessa porzione immobiliare (locale terraneo originariamente destinato a garage e successivamente abusivamente trasformato in soggiorno)", non ha invece rilevato che, quantomeno relativamente al "locale terraneo originariamente destinato a garage e successivamente abusivamente trasformato in soggiorno", l'ordinanza di demolizione n. 6/2012 avesse di fatto sostituito la precedente ordinanza di demolizione n. 5/2011.
9. Le censure sono infondate.
Con l'ordinanza n. 6/2012, il Comune di Nola, dopo aver dato atto della precedente ordinanza 5/2011, ha disposto l'annullamento in autotutela della concessione n. 1/95 nella parte in cui aveva ad oggetto l'ingombro edilizio tettoia (poi trasformato in garage) e ha ordinato la demolizione del suddetto locale (detto vano era poi stato trasformato in soggiorno, con cambio di destinazione d'uso ritenuto illegittimo dal Comune di Nola con l'ordinanza n. 5/2011).
Sul piano formale è pacifico che l'ordinanza 6/2012 non ha disposto l'annullamento dell'ordinanza 5/2011. Il T.A.R. ha inoltre correttamente evidenziato che la circostanza che il Comune di Nola abbia adottato il provvedimento di acquisizione esclude che possa ritenersi una volontà del Comune di revocare implicitamente l'ordinanza 5/2011, con l'adozione dell'ordinanza 6/2012.
Sul piano sostanziale si osserva che con l'ordinanza n. 6/2012 il Comune ha sanzionato l'abusività della tettoia, ovvero una violazione diversa ed ulteriore rispetto a quelle sanzionate con l'ordinanza 5/2011, ancorché riferita in parte alla stessa porzione immobiliare (locale originariamente destinato a garage e successivamente abusivamente trasformato in soggiorno). Invero, l'ordinanza n. 5/2011 riguarda: il vano terraneo trasformato in soggiorno in violazione della concessione n. 1/95 (che ivi autorizzava un box) e l'ulteriore vano terraneo trasformato in cucina.
I due provvedimenti sono pertanto autonomi tra loro, in quanto riguardano porzioni immobiliari diverse, salvo per uno specifico locale, rispetto al quale sono comunque volti a reprimere differenti condotte abusive.
Seppure l'ordinanza n. 6/2012 abbia un contenuto più radicale, in quanto concernente l'abusività originaria del volume (tettoia, poi trasformata in box e da ultimo in soggiorno), non risulta che questa sia stata eseguita, non potendosi per l'effetto sostenere che questa abbia superato la contestazione di cui all'ordinanza n. 5/2011, che impone il ripristino della destinazione a box di tale volume in luogo del soggiorno poi realizzato.
10. L'appellante, richiamando i motivi aggiunti svolti in primo grado, insiste inoltre nel sostenere che:
- il Comune avrebbe al più potuto irrogare la sanzione pecuniaria di cui all'art. 37 del d.P.R. 380/2011 o in alternativa quella di cui agli artt. 33 e 34 del medesimo decreto, che sanzionano gli interventi di cui all'art. 22 del d.P.R. 380/2001 e/o comunque di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 10 del decreto citato, eseguiti in parziale e/o totale difformità dal titolo;
- il Comune resistente non avrebbe verificato la concreta fattibilità della demolizione e la possibile c.d. "fiscalizzazione" dell'abuso.
11. Le censure sono infondate.
In primo luogo, deve osservarsi come le stesse attengano all'ordine di demolizione che, per le ragioni già esposte, si è consolidato.
La giurisprudenza al riguardo ha precisato che "atteso che il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione è normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa che si limita a formalizzare l'effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l'ingiunzione stessa, la prospettata impossibilità di demolire le opere abusive senza pregiudizio della parte costruita legittimamente può al più impedire l'esecuzione in danno dell'ordine demolitorio, ma non anche l'effetto acquisitivo dell'area di sedime siccome contemplato come automatico dalla normativa in materia" (C.d.S., n. 2799/2018).
Per altro, al fine di paralizzazione l'effetto acquisitivo, l'appellante avrebbe dovuto quantomeno rappresentare tempestivamente la supposta impossibilità di demolire, che non è onere del Comune verificare.
12. L'infondatezza dell'appello per le ragioni innanzi esposte rende irrilevante la questione sottesa all'ultimo motivo di appello con il quale si contesta la mancata ammissione, da parte del T.A.R., della perizia tecnica prodotta, come anche l'ulteriore questione relativa all'eccepita inammissibilità della costituzione dell'appellato signor R. (tra l'altro parte nel giudizio di primo grado).
13. Le spese di lite, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l'appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Campania, sez. II, sent. n. 3658/2020.