Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 10 giugno 2024, n. 5175

Presidente: Franconiero - Estensore: Tulumello

FATTO E DIRITTO

1. L'odierna appellante in primo grado ha impugnato la deliberazione di adozione del piano regolatore generale del Comune di Roma, nella parte in cui destina a verde pubblico e a servizi pubblici essenziali alcuni d[e]i lotti di sua proprietà.

Tali lotti erano stati già destinati, nel PRG del 1965 a zona N, M3 ed F1, e come tali erano stati inseriti nel piano particolareggiato approvato con delibera G.r. Lazio n. 2858 dell'11 maggio 1982 (ma non attuato per decadenza dei vincoli).

Secondo l'appellante il P.R.G. successivo, oggetto del gravame, ha reiterato il vincolo, inserendo tutta la proprietà nell'ambito di un Programma Integrato Casal Morena con destinazione a "Servizi Pubblici di interesse locale" della "Città da Ristrutturare".

In sostanza la ricorrente lamenta la reiterazione di vincoli che assume essere sostanzialmente espropriativi.

Il T.A.R. ha respinto il ricorso escludendo tale qualificazione, ritenendo trattarsi di vincoli urbanistici conformativi.

L'indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla ricorrente in primo grado.

Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, Roma Capitale.

Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria dell'8 maggio 2024.

2. Nel primo motivo di appello la ricorrente contesta l'assunto relativo alla qualificazione del vincolo ritenuta dal primo giudice, e nel secondo motivo - sulla base della qualificazione come espropriativi - ne contesta la reiterazione.

Secondo l'appellante il TAR non avrebbe adeguatamente considerato che la natura espropriativa del vincolo del 1965 riviene dall'inserimento delle aree nel piano particolareggiato del 1982 (ancorché non attuato): «è incontestabile che il terreno della ricorrente è stato sottoposto ad un vincolo di inedificabilità preordinato alla sua espropriazione imposto dal piano particolareggiato del 1982 che, come si è visto, ha localizzato gli standard urbanistici di legge e che l'Amministrazione Comunale per realizzarli e metterli a servizio della collettività avrebbe dovuto necessariamente procedere all'esproprio delle aree di proprietà della ricorrente. Ma il TAR, nel riferirsi alla pregressa destinazione urbanistica considerandola "conformativa", fa erroneamente riferimento solo alla previsione del PRG del 1965 omettendo di considerare la previsione attuativo e specifica del P.P. del 1982 che ovviamente non può non essere espropriativa».

Tanto si ricaverebbe anche dalle n.t.a. dell'impugnato P.R.G., le quali prevedono l'acquisizione delle aree inserite nel programma integrato.

Inoltre scopo del programma integrato sarebbe - ex art. 16 l. 179/1992 - quello di svolgere un'opera di "riqualificazione": nozione che l'appellante interpreta come "dotare determinate zone dei necessari servizi pubblici".

3. L'amministrazione - oltre a riproporre le eccezioni in rito già respinte dal T.A.R. - obietta sia che i vincoli in questione sarebbero meramente conformativi (non essendo stata prevista l'espropriazione delle aree), sia che in ogni caso non vi sarebbe alcuna reiterazione, posto che le previsioni dei due piani differiscono proprio in punto di attuazione: "essendo un altro strumento, completamente nuovo, che implica peraltro la partecipazione del privato, non si configura alcuna ripresentazione del P.R.G. previgente, attraverso il vecchio strumento della pianificazione particolareggiata, e conseguentemente non può affermarsi alcuna reiterazione del precedente vincolo conformativo ormai decaduto".

Osserva poi che "la decisione impugnata si inserisce nel solco della più recente giurisprudenza che, proprio in relazione allo strumento di pianificazione, ha avuto modo di ribadire come i vincoli conformativi si collochino al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo e importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, senza comportare necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi sono attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di ablazione del bene (cfr. C.d.S., Sez. IV, 16 ottobre 2023, n. 9001)".

4. In relazione all'eccezione comunale relativa alla mancata notifica alla Regione del ricorso, il T.A.R. ha ritenuto che la natura del P.R.G. come atto complesso consegua solo all'approvazione regionale, sicché l'impugnazione della (sola) adozione non va notificata alla Regione.

In memoria conclusionale la ricorrente precisa che nelle more il P.R.G. è stato approvato dalla Regione senza modifiche per la parte che interessa, e che l'eventuale accoglimento del ricorso avrebbe effetto caducante, onde non è necessaria l'impugnazione dell'approvazione.

5. Nel merito, nella memoria di replica del Comune si osserva che "nella relazione in atti (pagg. 1-2) si evince chiaramente come la destinazione urbanistica previgente sia diversa da quella attuale anche in ragione del mutato sviluppo edificatorio del compendio interessato, circostanza confermata anche da controparte".

La diversità sarebbe poi non solo nei contenuti, ma anche nell'esplicarsi delle previsioni vincolistiche: "in disparte la diversa destinazione, è la tipologia di intervento pianificatorio ad essere oggetto di modifica nel nuovo PRG: si deve necessariamente prendere atto di quanto già esposto dalla scrivente difesa, ovvero che il PRINT è uno strumento attuativo del tutto distinto dal piano particolareggiato, che, come noto, prevede ai sensi dell'art. 77 e art. 49 NTA del NPRG anche la partecipazione dei privati, come puntualmente contro dedotto in sede di osservazioni".

La stessa appellante in memoria riconosce che i vincoli espropriativi "incidono su beni determinati, non in base ad una generale destinazione di un'intera zona, ma della localizzazione di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata".

6. Alla luce delle richiamate risultanze ritiene il Collegio che il primo motivo di appello sia infondato.

Nel caso di specie le previsioni di piano contestate non sono analitiche al punto da poter classificare il relativo vincolo come espropriativo: esse imprimono una destinazione funzionale, ma non localizzano una specifica e particolare opera pubblica.

Il Comune, in memoria di replica, ha poi precisato che "controparte, sulla medesima proprietà, ha prestato osservazioni al NPRG, n. 2541 prot. n. QF 15529 del 3 novembre 2003, con le quali chiedeva che l'area venisse considerata lotto di completamento, e si dichiarava disponibile a cederne gratuitamente al Comune una porzione per la realizzazione dei servizi pubblici. Non è invece intervenuta alcuna domanda, prima della intervenuta adozione del PRG, di richiesta di titoli edilizi. Tale circostanza evidenzia l'assoluta mancanza di interesse da parte del privato diversa rispetto alla pianificazione pregressa (cfr. relazione in atti pag. 2) come attestato nella decisione di prime cure".

È dunque smentito per tabulas che l'attuazione della disciplina di piano censurata implicasse perdita (totale) della proprietà delle aree interessate.

7. Sulla natura conformativa dei vincoli a verde pubblico deve essere richiamato l'indirizzo giurisprudenziale che riconosce ad essi «natura conformativa, con la conseguenza dell'inapplicabilità in tale evenienza dell'istituto della decadenza di cui all'art. 2 della l. n. 1187 del 1968 e, ora, dell'art. 9 del t.u. 327 del 2001, alle destinazioni a "parco urbano", "verde pubblico", "verde urbano" o "verde attrezzato", posto che, usualmente, tale destinazione non impedisce ogni possibilità di utilizzazione dei terreni da parte del proprietario» (C.d.S., Sez. IV, 1172/2023, negli stessi termini: Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 476; 28 febbraio 2022, n. 1367; Sez. IV, 17 luglio 2023, n. 6946).

L'applicazione dei superiori princìpi alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, come sopra descritta, importa la qualificazione dei vincoli in questione come meramente conformativi: non solo per l'obiettivo dato strutturale, ma anche per tutte le esaminate ragioni che connotano e qualificano la peculiare fattispecie.

Dal che discende anche l'infondatezza del secondo motivo, proposto sul presupposto della qualificazione di tali vincoli come espropriativi.

8. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. C.d.S., Ad. plen., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e, per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti difensivi non accolti e ciononostante non espressamente richiamati - in ossequio al principio di sinteticità di cui all'art. 3, comma 2, c.p.a. - sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, in ragione dell'economia della stessa, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Dalle considerazioni che precedono discende che l'appello è infondato e che va pertanto respinto, con conferma della sentenza di primo grado qui gravata.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del giudizio in favore di Roma Capitale, liquidate in complessivi euro tremila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II, sent. n. 12894/2019.