Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 17 aprile 2024, n. 3486

Presidente: De Felice - Estensore: La Greca

FATTO E DIRITTO

1. Con ordinanza n. 542/2017, oggetto della domanda di annullamento veicolata con il ricorso di primo grado, il Comune di Vasto ingiungeva all'originario ricorrente la demolizione delle opere ivi descritte con ripristino dello stato dei luoghi. Evidenziava detto provvedimento che:

- le opere sarebbero state eseguite in mancanza di titolo abilitativo e avrebbero determinato un aumento di superficie utile;

- le medesime opere sarebbero state qualificabili come «intervento di nuova costruzione» ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380 del 2001 (testo unico dell'edilizia).

2.1. A sostegno della domanda caducatoria la parte privata deduceva:

- il difetto di motivazione per mancata qualificazione delle opere e correlata sanzione da applicarsi;

- la compressione delle facoltà partecipative;

- parte degli abusi (aumento di superficie e manufatto di mq. 6) sarebbe stata coperta da un titolo in sanatoria e comunque l'Amministrazione non avrebbe potuto, in tesi, dar luogo all'ingiunzione di ripristino prima di pronunciarsi sulla istanza di sanatoria;

- quanto alla recinzione metallica essa non avrebbe imposto il rilascio del titolo edilizio trattandosi, in tesi, di «pertinenza»;

- il parapetto lato ovest non avrebbe costituito abuso poiché preesistente e quello lato nord avrebbe costituito oggetto di mera manutenzione;

- nessun ampliamento della struttura metallica costituita da elementi portanti «HEA 120» sarebbe intervenuto.

2.2. Il Comune di Vasto si opponeva all'accoglimento del ricorso.

2.3. Con sentenza n. 29 del 2020 il T.A.R. per l'Abruzzo, sez. st. di Pescara, rigettava il ricorso evidenziando l'infondatezza dei vizi c.d. procedimentali, la mancata prova del conseguimento di un titolo in sanatoria, la mancata prova della addotta preesistenza delle opere, la necessità del titolo edilizio e paesaggistico per la recinzione metallica stante l'insistenza dell'intervento su area sottoposta a vincolo ex d.lgs. n. 42 del 2004; affermava che la diversa destinazione del manufatto ad installazione di pannelli fotovoltaici anziché ad installazione di pannelli solari avrebbe imposto la previa valutazione di compatibilità paesaggistica.

3. Avverso detta sentenza ha interposto appello la parte privata la quale ne ha chiesto la riforma sulla base di doglianze così articolate:

1) error in iudicando; violazione d.P.R. n. 380 del 2001, difetto di motivazione, di istruttoria e genericità. Sostiene l'appellante che:

- l'ordinanza di demolizione non recherebbe alcuna qualificazione degli asseriti abusi in modo da chiarire la coerenza con la sanzione applicata; l'ordinanza si limiterebbe ad affermare l'applicazione degli artt. 3, comma 1, lett. e), dell'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 senza, tuttavia, evidenziare, elementi in grado di ricondurre le opere in questione alla pertinente violazione;

- l'aumento di volumi e la realizzazione di superfici aggiuntive di cui trattasi non avrebbero integrato i presupposti per l'applicazione dell'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001;

- l'ordinanza di demolizione non avrebbe accertato la data di realizzazione delle opere (con correlata omessa indicazione della disciplina primaria cui fare riferimento);

2) error in iudicando; violazione artt. 3 e 10 l. n. 241 del 1990; difetto di motivazione e di istruttoria, violazione dell'onere della prova. Sostiene l'appellante che:

- il Comune di Vasto non avrebbe preso in considerazione le deduzioni procedimentali (quale quella involgente il pagamento degli oneri concessori), né avrebbe dato conto del mancato accoglimento delle stesse;

- sussisteva una oggettiva impossibilità al deposito del provvedimento di sanatoria nel corso del giudizio di primo grado (poi rinvenuto, e qui oggetto di richiesta formulata dall'appellante di ammissione ex art. 104 c.p.a.);

- la concessione edilizia in sanatoria ricomprenderebbe sia i contestati ampliamenti, sia il manufatto adibito a ricovero attrezzi di mq. 6;

3) error in iudicando; violazione di legge (d.P.R. n. 380 del 2001; d.P.R. n. 31 del 2017); eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Sostiene l'appellante che il potere di ripristino sarebbe stato esercitato in carenza dei relativi presupposti, in considerazione che:

- quanto ai parapetti, i quali non necessiterebbero di titolo ai sensi del d.P.R. n. 31 del 2017, all. A, punto a.2., sarebbero preesistenti e non avrebbero alterato il prospetto;

- l'apposizione di una recinzione metallica rientrerebbe nella nozione di attività libera;

- il manufatto adibito ad attrezzi sarebbe coperto dalla sanatoria;

- la struttura di appoggio dei pannelli fotovoltaici sarebbe stata posizionata nel 1987, allorché non sarebbe stato necessario il titolo edilizio.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Vasto il quale - non senza revocare in dubbio l'ammissibilità del primo motivo per violazione del divieto di nova in appello e dell'ultimo motivo per genericità - ha concluso per la complessiva infondatezza del gravame.

5. Le posizioni delle parti sono state ribadite in ulteriori scritti difensivi e il Comune di Vasto ha pure eccepito la tardività della produzione dell'atto di sanatoria da parte dell'appellante.

6. All'udienza pubblica del 14 marzo 2024 l'appello è stato trattenuto in decisione.

7. L'appello, alla stregua di quanto si dirà, non è meritevole di accoglimento. Tale esito esonera il Collegio, per evidenti ragioni di economia processuale, dallo scrutinio di tutte le questioni in rito sollevate dal Comune di Vasto.

8. Ritiene il Collegio di dover muovere dall'esame delle questioni di ordine sostanziale, involgenti l'addotta presenza di una concessione in sanatoria, la compatibilità paesaggistica degli interventi e il complessivo assetto degli stessi sul versante urbanistico-edilizio.

9.1. L'ordinanza impugnata in prime cure ha ingiunto la rimozione delle seguenti opere:

- parapetto in muratura sul lato nord con lunghezza di mt. 7,38;

- parapetto in muratura sul lato ovest con lunghezza di mt. 5,95;

- parapetto metallico a protezione restante parte del piano di copertura;

- manufatto adibito al ricovero di vari attrezzi, di circa mq. 6,00, avente altezza di circa mt. 2,40 chiusa perimetralmente da infissi in alluminio e plexiglass;

- manufatto metallico costituito da elementi portanti del tipo HEA 120 di circa mq. 90,25 (mt 9,45 x 9,55) sormontato da elementi metallici secondari di sezioni diverse, posti ad un'altezza dal piano di calpestio pari a circa mt. 2,84.

9.2. Ora, le doglianze dell'appellante seguono una triplice traiettoria in ragione dei singoli interventi atomisticamente individuati, ossia: a) quanto a un primo profilo, parte delle opere (manufatto di mq 6 e aumento di superficie) sarebbe coperta da un provvedimento di sanatoria; b) quanto a un secondo profilo le opere sarebbero preesistenti sicché (in ragione dell'epoca di realizzazione, non specificata) non sarebbe stato necessario il titolo concessorio (e comunque l'Amministrazione non avrebbe individuato esattamente la data di realizzazione al fine di individuare anche la specifica disciplina applicabile); c) sotto altro profilo, parte delle opere sarebbero sussumibili sotto la nozione (e disciplina) di «attività edilizia libera».

10.1. In primo luogo va detto, quanto al manufatto di mq 6 (punto 4 dell'ordinanza) e all'aumento di superficie utile, che la concessione edilizia ex l. n. 47 del 1985 versata in atti dall'appellante non è idonea a dimostrare che essa abbia ad oggetto dette opere sul rilievo che: I) parte appellante non ha colmato il difetto di prova evidenziato in primo grado [«non dimostra in alcun modo che la pratica di condono a cui si riferisce tale documentazione (prot. n. 921/00) abbia ad oggetto le stesse opere elencate nel provvedimento impugnato»] mediante la produzione dell'istanza di condono e degli allegati progettuali; II) la concessione edilizia versata in atti presenta una descrizione delle opere del tutto diversa da quella contenuta nell'impugnata ordinanza di demolizione; III) detta concessione edilizia riguarda un sito (catasto fabbricati «foglio di mappa n. 40, particella n. 505») che catastalmente non corrisponde a quello indicato nell'ordine di demolizione (catasto fabbricati «foglio di mappa n. 40, part. n. 4313»).

10.2. A ciò va aggiunto che:

- l'appellante non ha prodotto la copia del provvedimento dell'autorità paesaggistica, ove rilasciato: aspetto, questo, che, in ogni caso, in ragione del rapporto tra titolo paesaggistico e titolo edilizio, farebbe pure dubitare dell'efficacia di quest'ultimo;

- l'affermazione secondo cui in ipotesi di mancata definizione del procedimento di condono l'Amministrazione non avrebbe potuto ingiungere il ripristino, dà conto del carattere perplesso - nella stessa formulazione dell'appellante - della doglianza involgente proprio l'intervenuto rilascio del titolo;

- nessuna preclusione al rispristino sussisteva in ragione dell'addotta pendenza del procedimento di condono, considerata la mancata prova della presentazione dell'istanza di condono inerente alle opere oggetto di demolizione.

11. Ora, va premesso che non è predicabile una valutazione atomistica delle singole opere realizzate in assenza di titolo qualora le stesse denotino (come accaduto nella specie e nella valutazione del Comune) una configurazione plurima ma pur sempre unitaria e valutabile nella sua globalità, volta ad arrecare una rilevante compromissione dello stato dei luoghi (id est: «trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio», art. 10, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).

12.1. Ciò precisato, in relazione alla data di realizzazione delle opere, e segnatamente in relazione ai parapetti (punti 1 e 2 dell'ordinanza), nessuna attività di indagine il comune avrebbe dovuto svolgere o specifica motivazione rendere, rimanendo a carico della parte privata l'assolvimento della relativa prova.

La giurisprudenza della sezione (cfr., da ultimo, sent. n. 2187 del 2024 e pronunce ivi citate), alla quale il Collegio intende dare continuità, è nel senso che «grava sul privato l'onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo, in quanto solo l'interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto (cfr., per tutte, C.d.S., Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; 5 marzo 2018, n. 1391). Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, essendo nella sfera del privato la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto, relativamente ad un immobile realizzato in assenza di titoli edilizi, solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere di sanabilità di un'opera edilizia, in ragione dell'eventuale preesistenza rispetto all'epoca dell'introduzione di un determinato regime normativo dello ius aedificandi, dovendosi, dunque fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (C.d.S., Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304).

Peraltro, proprio il criterio della vicinanza della prova conduce ad un temperamento del rigoroso onere probatorio "secondo ragionevolezza" nei casi in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell'intervento prima di una certa data elementi rilevanti (ad esempio, aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti o circostanze rilevanti) e, dall'altro, la pubblica amministrazione non analizzi debitamente tali elementi o vi siano elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio. In tal caso, non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti o troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici erano scarsi (C.G.A.R.S., Sez. giur., n. 219 del 2023 e giurisprudenza ivi citata).

In sostanza, solo la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all'epoca dell'abuso trasferisce l'onere della prova contraria in capo all'amministrazione (ex aliis, C.d.S., Sez. VI, n. 24 del 2024).

Il Consiglio di Stato, ancora da ultimo, ha ribadito che l'onere di provare la data di realizzazione e l'originaria consistenza di un immobile di cui l'Amministrazione contesti l'abusività spetta a colui che ha commesso il contestato illecito edilizio, cosicché solo la deduzione, da parte di quest'ultimo, di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all'Amministrazione (cfr. C.d.S., VI, n. 24 del 2024, cit.).

In definitiva, come nel processo civile, anche il processo amministrativo si fonda sul generale principio desumibile dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e, al contempo, chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda, sicché la parte che contesta la legittimità di un provvedimento amministrativo deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento».

12.2. Tale onere nel caso di specie non è stato assolto con la conseguenza che legittimamente l'Amministrazione ha applicato le disposizioni in punto di ripristino dettate dall'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 in una situazione nella quale la presenza del vincolo paesaggistico (e la mancata prova di conseguimento del correlato nulla-osta) non poteva, a tacer d'altro, che condurre a siffatta decisione (cfr. C.d.S., Ad. plen., n. 16 del 2023).

12.3. Di qui l'infondatezza della doglianza circa la mancanza dei correlati presupposti.

12.4. La decisione, del resto, non sarebbe mutata in ragione di una (ipotetica) effettiva anteriore realizzazione delle opere, costituendo l'ordine di ripristino disciplinato dall'art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 istituto sostanzialmente riproduttivo di quello già disciplinato, nei medesimi termini, dalla omologa l. n. 47 del 1985.

12.5. Parimenti infondata è l'affermazione circa l'applicabilità del d.P.R. n. 31 del 2017, all. A, punto a.2. ai parapetti con esclusione dell'obbligo dell'autorizzazione paesaggistica. La mancata dimostrazione della preesistenza dei parapetti induce ad affermare che essi non siano riconducibili ad alcuna delle categorie esentate ma, al contrario, che siano ricompresi tra gli interventi per i quali è prevista l'autorizzazione paesaggistica a conclusione - nella invocata disciplina ex d.P.R. n. 31 del 2017 - di un procedimento semplificato.

13.1. Parimenti infondata è l'affermazione secondo cui alcune opere e, segnatamente, la recinzione metallica, potevano ritenersi estranee all'obbligo concessorio, e ciò in ragione, come esattamente evidenziato dal T.A.R., dell'impatto da esse prodotto in zona gravata da vincolo paesaggistico.

13.2. Né esse potevano ritenersi sussumibili sotto la disciplina della c.d. «attività edilizia libera» di cui all'art. 6 d.P.R. n. 380 del 2001, in mancanza di parere paesaggistico: detta disciplina infatti sconta il «rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, [...] delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42». Dal tenore letterale del testo di tale disposizione si è, infatti, desunto che deve ritenersi richiesto il rispetto di tutta la normativa di settore, con la conseguenza che devono essere esclusi dall'applicazione di tale particolare regime di favore tutti gli interventi eseguiti in contrasto con le disposizioni precettive degli strumenti urbanistici comunali ed in violazione delle altre disposizioni menzionate. Deve dunque escludersi che l'intervento di specie possa comunque rientrare nell'ambito dell'attività edilizia libera anche perché eseguito senza il rispetto della normativa di settore (in tal senso, Cass. pen., Sez. III, n. 29396 del 2016).

14. In relazione, da ultimo, alle strutture di appoggio dei pannelli fotovoltaici, esse correttamente non sono state considerate dall'Amministrazione esenti da titolo concessorio in ragione della addotta - da parte appellante - qualità di elementi di arredo, trattandosi di strutture, anch'esse, idonee, anche all'epoca dell'asserita realizzazione, a determinare una trasformazione del territorio e per le quali si rivelava necessario anche il nulla osta paesaggistico.

15. Tale complessivo assetto esclude, in omaggio al principio sostanzialistico (Corte cost., n. 51 del 2014), la fondatezza delle doglianze c.d. procedimentali avanzate dall'appellante sul rilievo che:

- il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso (C.d.S., Ad. plen., nn. 8 e 9 del 2017);

- l'omessa considerazione delle deduzioni procedimentali non determina l'invalidità del provvedimento finale allorché sia palese, come nel caso di specie, che il suo contenuto dispositivo, vincolato, non avrebbe potuto avere un contenuto favorevole all'appellante;

- la qualificazione degli interventi in una delle categorie definitorie dell'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 è adeguatamente motivata con il richiamo agli elementi essenziali dell'intervento, gravando a carico del privato l'onere di dimostrare, anche sul piano tecnico, la non riconducibilità dell'intervento medesimo alla categoria individuata dall'Amministrazione (e, nel caso di specie, gli interventi, complessivamente e globalmente considerati, correttamente sono stati considerati idonei a determinare una trasformazione del territorio con conseguente ingiunzione di ripristino prevista dalla legge). D'altronde, ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) la nozione di «nuova costruzione», per la quale è obbligatorio il permesso di costruire, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi.

16. Conclusivamente, l'appello, poiché infondato, va rigettato con conseguente conferma dell'impugnata sentenza.

17. Gli specifici profili della presente fase contenziosa consentono la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo rigetta.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Abruzzo, Pescara, sent. n. 29/2020.