Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione I
Sentenza 15 aprile 2024, n. 2475

Presidente ed Estensore: Palliggiano

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso introduttivo, notificato alle amministrazioni resistenti e ad un centro controinteressato, la società ricorrente ha impugnato, contestandone la legittimità e chiedendone l'annullamento, la deliberazione della Giunta regionale della Campania n. 556 del 3 novembre 2022, successivamente conosciuta, pubblicata sul BURC il successivo 7, avente ad oggetto l'attuazione della d.G.r.C. 497 del 10 novembre 2021 riguardo alla determinazione in via definitiva dei limiti di spesa e dei relativi contratti con le case di cura private per regolare i volumi e le tipologie delle prestazioni di assistenza ospedaliera erogate nell'esercizio 2022.

La Regione Campania e l'ASL Napoli 1 Centro si sono costituite in giudizio, contestando l'avverso ricorso ed i relativi motivi aggiunti, chiedendone il rigetto. In via preliminare, la Regione ne ha eccepito l'inammissibilità, per la sussistenza della clausola di salvaguardia nel contratto ex art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992 stipulato dalla struttura ricorrente.

Con ordinanza collegiale n. 4331 del 17 luglio 2023, la Sezione ha formulato avviso alle parti - ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a. - relativamente al profilo di inammissibilità ovvero improcedibilità del ricorso per effetto della sopra menzionata clausola di salvaguardia ed ha chiesto alla Regione ed all'ASL incombenti istruttori.

Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. Il 28 febbraio 2024 è stata riconvocata la camera di consiglio.

2. Preliminarmente dev'essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalle amministrazioni resistenti.

L'eccezione è fondata.

La clausola di salvaguardia è stata introdotta in Regione Campania dal 2014, dal momento che nelle riunioni congiunte di verifica del Piano di rientro - tenutesi il 27 novembre 2013 ed il 10 aprile 2014 - il Tavolo di verifica degli adempimenti regionali ed il Comitato permanente per i livelli essenziali di assistenza hanno prescritto l'inserimento nei contratti con gli erogatori privati di una "clausola di salvaguardia" ai fini della "tutela della programmazione regionale" (DCA n. 129 del 31 ottobre 2014, II Dato atto, terzo capoverso).

In particolare, nel verbale del 27 novembre 2013 della riunione congiunta del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali con il comitato permanente allo scopo di assicurare i livelli essenziali di assistenza, si legge che «Tavolo e Comitato, così come già fatto anche per altre Regioni in Piano di Rientro, chiedono alla struttura commissariale, ai fini della tutela della programmazione regionale, di inserire, nei prossimi contratti con le strutture private accreditate, una clausola di salvaguardia nei termini qui di seguito esplicitati (sulla legittimità dei quali si è espressa l'Avvocatura Generale dello Stato, con parere reso al Ministero della Salute in data 28 ottobre 2013): "1. Con la sottoscrizione del presente accordo la struttura accetta espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, di determinazione delle tariffe e ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto, in quanto atti che determinano il contenuto del contratto. 2. In considerazione dell'accettazione dei provvedimenti indicati sub comma 1 (ossia i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe ed ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto) con la sottoscrizione del presente contratto, la struttura privata rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese avverso i predetti provvedimenti ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili"».

Successivamente, il DCA n. 103 del 2016 ("Definizione per gli esercizi 2016/2017 dei limiti di spesa e dei relativi contratti con gli erogatori privati: integrazioni e modifiche urgenti dei decreti commissariali n. 85 e n. 89 dell'8 agosto 2016") ha modificato il testo della clausola di salvaguardia, previsto negli schemi dei contratti ex art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992 e s.m.i. dai decreti commissariali n. 85 e n. 89 del 8 agosto 2016, stabilendo che lo stesso sostituito dal seguente con effetto immediato: "2. In considerazione dell'accettazione dei provvedimenti indicati sub comma 1 (ossia i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe ed ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto) con la sottoscrizione del presente contratto, la struttura privata rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese avverso i predetti provvedimenti ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili, aventi effetti temporalmente circoscritti alla/alle annualità di erogazione delle prestazioni, regolate con il presente accordo/contratto".

Sostanzialmente, tale specifica clausola si risolve in una dichiarazione con cui la struttura sanitaria, in sede contrattuale, accetta espressamente ed a monte i provvedimenti che determinano tetti di spesa e tariffe, quali parti integranti del contratto e presupposti del medesimo.

D'altronde, la clausola di salvaguardia è contemplata nell'accordo-contratto che la struttura privata accreditata - ai sensi dell'art. 8-quinquies d.lgs. 502/1992 - ha l'obbligo di stipulare con la parte pubblica per potere erogare prestazioni sanitarie per conto ed a carico del servizio sanitario regionale, in un rapporto pubblico-privato che ha tipica natura della concessione ex lege di pubblico servizio.

L'intensità del potere pubblicistico emerge proprio in sede di stipula dell'accordo-contratto, funzionale al raggiungimento di quanto in precedenza stabilito dall'amministrazione negli atti di programmazione sanitaria.

In ambito sanitario, l'interesse pubblico è posto infatti al centro delle valutazioni dell'amministrazione, mentre l'interesse del privato accreditato, di carattere prevalentemente economico, riceve uno spazio del tutto residuale.

La natura concessoria del rapporto di accreditamento comporta che, nello svolgimento della propria attività, i soggetti accreditati siano sottoposti ad uno stringente regime di controlli circa l'appropriatezza e la qualità delle prestazioni erogate. L'amministrazione dispone persino del potere di revoca dell'accreditamento per le ipotesi di mancato riscontro positivo dell'attività svolta e dei risultati raggiunti.

Ed è per questo che il rilievo della volontà dei privati è confinato esclusivamente nella decisione di "accettare" (o non) il contenuto dell'accordo-contratto, senza alcuna possibilità di modificarlo o integrarlo, nemmeno in un momento successivo, laddove si presentino delle sopravvenienze. La posizione di predominio del soggetto pubblico si spiega perché l'accreditamento ha ad oggetto un'attività propria dell'amministrazione che quest'ultima affida in parte al privato. Al riguardo, l'art. 32 Cost., pur non richiedendo che i soggetti erogatori abbiano natura pubblica, impone in capo alla "Repubblica" il dovere di adoperarsi per tutelare la salute.

Nell'accreditamento istituzionale il dovere di garantire il risultato, ossia le prestazioni sanitarie, si trasferisce in capo ai privati, nei limiti e col corrispettivo fissati nell'accordo-contratto. Gli accreditati non sono obbligati ad erogare le prestazioni sanitarie al di fuori dei contratti e, per converso, l'amministrazione non è tenuta a pagare la relativa remunerazione.

Non esiste dunque un obbligo di "assistenza incondizionata" in capo agli accreditati, ma soltanto di assistenza nei limiti delle statuizioni contrattuali. Sul punto è sufficiente richiamare la previsione legislativa che consente alla pubblica amministrazione di sospendere le prestazioni per il fatto di aver esaurito le risorse finanziarie fissate nei contratti, essendo vietata la possibilità di remunerare le prestazioni erogate oltre i limiti contrattuali, con conseguente configurabilità, in caso contrario, di responsabilità per danno erariale (Corte dei conti, Sezione giur. per la Regione Calabria, n. 183 del 2022).

Nella prospettiva del mantenimento dei rigorosi impegni di finanza pubblica e di destinazione delle risorse finanziarie a beneficio del settore sanitario gioca un ruolo determinante proprio la clausola di salvaguardia la cui funzione è per l'appunto di intercettare e prevenire ogni ipotesi di conflitto, già in essere o potenziale, relativo a concrete e definite questioni che possano contrapporre l'amministrazione alla struttura privata operante nell'ambito della sanità pubblica (C.d.S., 11 dicembre 2023, n. 10652, che ha inteso la generica formula "provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa" come di portata indistinta e omnicomprensiva).

Ciò premesso, il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi dall'orientamento giurisprudenziale che ritiene legittime le clausole di salvaguardia inserite nelle convenzioni di accreditamento in materia sanitaria, con la conseguenza che l'avvenuta sottoscrizione priva la ricorrente della legittimazione ad impugnare gli atti di determinazione dei tetti di spesa, anche successivi alla clausola stessa, avendone la stessa accettato il contenuto e gli effetti o comunque prestato preventiva acquiescenza per ipotesi di modifiche future.

Invero, con sentenza n. 4076 del 2023, il Consiglio di Stato ha affermato che "in ipotesi analoghe a quella in esame viene in rilievo lo schema tipico dell'acquiescenza", giacché l'assenso alla stipulazione del contratto si atteggia quale "comportamento univocamente indicativo della volontà della parte stipulante di accettarne gli effetti, tanto da acquisire i diritti ed assumere gli obblighi, in maniera ugualmente volontaria, che si riconnettono e sono funzionali all'esecuzione della prestazione alle condizioni economiche predeterminate dall'Amministrazione (nell'esercizio del suo potere programmatorio in materia sanitaria)". Da tale angolo visuale, "la c.d. clausola di salvaguardia è, quindi, meramente ricognitiva dell'effetto preclusivo dell'iniziativa impugnatoria che si produce, per generale opinione giurisprudenziale, nel caso in cui il soggetto pregiudicato dal provvedimento ponga in essere atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, che dimostrino la chiara e incondizionata volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l'operatività".

Non rileva, in senso contrario, l'eventuale clausola di riserva della struttura sanitaria, con la quale si precisa di sottoscrivere il contratto al solo fine di non incorrere nella sospensione del rapporto di accreditamento e riservandosi comunque ogni più ampia tutela. Una simile clausola non è contemplata nel modello contrattuale di riferimento, ragion per cui deve intendersi come non apposta, risultando quindi inidonea ad impedire la formazione dell'accordo (cfr. C.d.S., n. 321/2018, n. 6569/2020, n. 8127/2021, n. 8451/2021).

Nello stesso senso, con successiva sentenza n. 6685 del 2023, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimità delle clausole di salvaguardia, precisando che «le due clausole, quella relativa all'accettazione incondizionata dei tetti di spesa e delle tariffe e quella relativa alla rinuncia delle azioni, sono strettamente collegate tra di loro, in quanto dirette a imporre il rispetto di un determinato regolamento contrattuale, i cui contenuti, come stabilito dalla legge, sono in parte determinati autoritativamente mediante provvedimenti amministrativi, che definiscono la misura e le modalità di distribuzione delle risorse disponibili e che si inseriscono all'interno di rapporti contrattuali condizionati dall'esigenza di porre rimedio allo squilibrio finanziario maturato nel corso degli anni, e assolvono alla funzione di evitare che il rispetto dei vincoli finanziari, attuato con la sottoscrizione di accordi compatibili con le risorse disponibili, rimanga esposto ad iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti. Tali clausole "imposte", peraltro, non costituiscono una novità, trovando ampio spazio nel settore commerciale, come dimostra l'esperienza quotidiana, e risultano giustificate dalla ratio che intendono perseguire».

D'altronde, gli operatori privati accreditati non sono semplici fornitori di servizi, in un ambito puramente contrattualistico, sorretto da principi di massimo profitto e di totale deresponsabilizzazione circa il governo del settore, ma sono soggetti di un complesso sistema pubblico-privato qualificato dal raggiungimento di fini di pubblico interesse di particolare rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute, su cui gravano obblighi di partecipazione e cooperazione nella definizione della stessa pianificazione e programmazione della spesa sanitaria (ex multis, T.A.R. Napoli, Sez. I, 10 luglio 2023, n. 4131; C.d.S., Sez. III, 20 giugno 2018, n. 3810; 29 luglio 2011, n. 4529; 14 giugno 2011, n. 3611; 13 aprile 2011, n. 2290; v. anche Corte cost., 28 luglio 1995, n. 416).

Non a caso, la citata sentenza n. 4076 del 2023 ha evidenziato che "gli operatori privati - in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l'essenziale interesse pubblico alla corretta ed appropriata fornitura del primario servizio della salute - non possono considerarsi estranei ai vincoli oggettivi e agli stati di necessità conseguenti al piano di rientro, al cui rispetto la Regione è obbligata", tant'è che "chi intende operare nell'ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto alla salute" (cfr. C.d.S., Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8879).

"Se è vero, dunque, che la stipulazione degli accordi ex art. 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1997 è condizione imprescindibile per l'erogazione di prestazioni sanitarie con oneri a carico del S.S.R., non può non valere anche il reciproco, ovvero che una volta siglato lo stesso, peraltro senza alcuna riserva, le prestazioni erogabili a carico del pubblico erario sono quelle e solo quelle ivi ritenute compatibili con gli atti di programmazione generale vigenti in relazione all'attuale stato della spesa pubblica, colpito da stringenti restrizioni finanziarie" (C.d.S. n. 6685/2023).

In questa direzione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la clausola di salvaguardia non può ritenersi in contrasto con il diritto di difesa (artt. 24 e 113 Cost.) e ciò per le seguenti argomentazioni:

- la Corte costituzionale, con sentenza n. 238 del 2014, ha affermato che il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale può essere limitato purché vi sia un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente sul principio consacrato dall'art. 24 della Costituzione;

- nella materia oggetto del presente contenzioso, tale interesse pubblico preminente risiede nel principio costituzionale dell'equilibrio di bilancio (artt. 81 e 97 Cost.) e, precipuamente, nell'esigenza di contenimento della spesa nel settore della sanità pubblica, al quale gli stessi soggetti accreditati - a fronte dei vantaggi economici che comunque ricevono nel fornire prestazioni sanitarie per conto ed a carico del servizio sanitario regionale - non possono ritenersi estranei;

- la contestata clausola è stata, infatti, prevista quale presidio essenziale per il controllo della spesa sanitaria e per preservare il complessivo equilibrio finanziario del sistema sanitario (cfr. Corte cost., n. 161 del 2022, secondo cui i vincoli in materia di contenimento della spesa pubblica sanitaria costituiscono espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica; ex plurimis, sentenze n. 36 del 2021, n. 130 e n. 62 del 2020, e n. 197 del 2019). L'adesione volontaria all'accordo - e con esso alla clausola di salvaguardia - suggella, dunque, la posizione prioritaria che riveste l'obiettivo di contenimento della spesa pubblica, obiettivo che non è fine a sé stesso ma è del tutto funzionale a garantire continuità, anche per il futuro, all'erogazione di prestazioni sanitarie.

In altri termini, l'adesione alla clausola di salvaguardia preclude al soggetto accreditato di esperire quei rimedi processuali il cui intento sostanziale è di ribaltare gli atti generali di programmazione economica nel settore sanitario.

Del resto, in presenza di una inevitabile limitatezza delle risorse, "non è pensabile di poter spendere senza limite...", poiché è "viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto conto ovviamente delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute" (Corte cost., 23 luglio 1992, n. 356).

Più in generale, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che "tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri". Nel relativo bilanciamento assume particolare importanza il principio di proporzionalità, quale criterio per definire, unitamente alla ragionevolezza, il punto di equilibrio nel rapporto di integrazione reciproca tra i diritti fondamentali tutelati in Costituzione (Corte cost., n. 85 del 2013).

A tal proposito, pare opportuno evidenziare che, nonostante con d.P.C.m. del 5 dicembre 2019 sia cessato il mandato commissariale, la Regione Campania è ancora sottoposta alla disciplina dei Piani di rientro, che proseguono attraverso i Programmi operativi, sicché permangono le esigenze sottese all'introduzione della suddetta clausola, che equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto e accettazione dei vincoli di spesa essenziali in un regime di Piano di rientro.

La clausola di salvaguardia persegue per l'appunto la finalità di garantire il necessario contenimento della spesa sanitaria nelle Regioni che presentano un deficit economico-finanziario, come la Regione Campania, evitando al contempo che il rispetto dei vincoli finanziari possa essere esposto ad iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti.

In assenza di analoghe condizioni e di consimili presupposti di necessità, tali da giustificare (ratione temporis) la compressione del diritto di difesa, nulla esclude che il descritto bilanciamento - che non può dirsi fisso e immutabile - possa trovare in futuro un nuovo punto di equilibrio, anche attraverso una valutazione di opportunità da parte dell'Amministrazione circa il mantenimento di siffatta clausola (cfr. C.d.S. n. 1908/2020, secondo cui la richiamata giurisprudenza che reputa legittima la clausola di "rinuncia al contenzioso" non è suscettibile di estensione incondizionata in altri ambiti di materia).

Allo stato attuale, per gli operatori privati si pone unicamente l'alternativa se accettare le condizioni derivanti da esigenze programmatorie e finanziarie pubbliche (e dunque il budget assegnato alla propria struttura), restando nel campo della sanità pubblica, oppure se collocarsi esclusivamente nel mercato della sanità privata. In altri termini, qualora ritenga insufficiente il budget assegnatogli, il ricorrente è comunque libero di operare in regime di libera concorrenza, accettando il rischio d'impresa connesso alle normali dinamiche competitive del mercato (C.d.S. n. 6685/2023).

D'altronde, come precisato dalla giurisprudenza in rassegna, lo svolgimento di un'attività economica privata, a fini di lucro, in regime protetto di riserva e sostenuta da un finanziamento pubblico costituisce una fattispecie del tutto speciale.

Sotto altro profilo ermeneutico, l'ipotetica nullità della clausola di salvaguardia per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c. (violazione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.) potrebbe comportare la caducazione dell'intero contratto in base alla disciplina di cui all'art. 1419 c.c. (cfr. T.A.R. Campobasso, Sez. I, 16 ottobre 2023, n. 265), il che rappresenterebbe un esito interpretativo distonico rispetto agli interessi delle parti in causa ed alla tutela invocata dal ricorrente.

La disposizione da ultimo citata prevede, infatti, che la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte che è colpita dalla nullità.

Nella prospettiva della parte pubblica, in difetto di una valida e incondizionata accettazione della clausola di salvaguardia da parte dell'altro contraente, verrebbe meno il suo interesse alla conclusione dell'accordo, non potendo essa programmare efficacemente la spesa sanitaria, stante il rischio del permanere di contestazioni giudiziali sui tetti di spesa (C.d.S., Sez. II, 28 dicembre 2021, n. 8676; Sez. III, 11 gennaio 2018, n. 137; da ultimo, Sez. III, 20 aprile 2023, n. 3997, e 7 luglio 2023, n. 6685).

Ad ogni modo, in linea di continuità con la giurisprudenza consolidatasi in materia e avallata dalle pronunce di questa sezione, il Collegio non ravvisa ragionevoli motivi per discostarsi dall'orientamento che ritiene legittime le clausole di salvaguardia inserite nei contratti stipulati con le strutture private accreditate, la cui sottoscrizione priva il soggetto aderente della legittimazione a impugnare gli atti di determinazione dei tetti di spesa che lo riguardano, con l'ulteriore conseguenza di rendere inammissibili le censure formulate.

3. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Compensa le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.