Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 28 febbraio 2024, n. 1952

Presidente: Franconiero - Estensore: Tulumello

FATTO E DIRITTO

1. L'odierno appellante ha acquistato nel 1991 un'area interessata dalla convenzione di lottizzazione stipulata fra il suo dante causa ed il Comune di Amaroni.

A partire dal 1996, il Comune avanzava nei confronti degli aventi causa, nel frattempo titolari delle relative concessioni edilizie, pretese di carattere patrimoniale relative all'adempimento degli oneri connessi all'esecuzione delle opere di urbanizzazione, relative agli immobili edificati in base alle suddette concessioni, che il Comune stesso aveva dovuto eseguire, previa stipula di un mutuo bancario, nell'inerzia dei ridetti proprietari.

Con sentenza n. 1232/2018 il T.A.R. della Calabria, sede di Catanzaro, all'esito della riassunzione di identico ricorso dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza n. 372 del 2018, ha in parte respinto, e in parte dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'odierno appellante per l'annullamento dell'ingiunzione del 23 settembre 2005, con la quale il Comune di Amaroni ha richiesto il pagamento di 36.836,16 euro per la realizzazione di tali opere di urbanizzazione primaria.

Il ricorrente in primo grado ha impugnato l'indicata sentenza con ricorso in appello.

Il Comune di Amaroni si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.

Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 10 gennaio 2024.

2. Va anzitutto osservato che la sentenza gravata ha respinto le censure di carattere formale avanzate dal ricorrente nel giudizio di primo grado: su tale capo di sentenza non c'è impugnazione, onde lo stesso è passato in autorità di cosa giudicata.

Nei tre motivi di gravame l'appellante contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibili le censure, di merito, relative alla pretesa comunale, sul presupposto della mancata impugnazione delle precedenti ingiunzioni adottate nel 2001 e nel 2003 dal Comune di Amaroni per sollecitare il ricorrente all'esecuzione delle opere di cui si tratta (primo motivo).

Con il secondo ed il terzo motivo di appello deduce invece l'illegittimità del provvedimento comunale impugnato in primo grado per le ragioni non esaminate dal T.A.R., arrestatosi alla declaratoria d'inammissibilità.

3. Il primo motivo di appello è fondato.

Come correttamente dedotto dall'appellante la pretesa oggetto di giudizio, estrinsecantesi attraverso atti paritetici e non autoritativi dell'amministrazione, attiene alla tutela di un diritto soggettivo del proprietario, la cui cognizione è devoluta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 2, lett. f), c.p.a.: tale tutela è dunque soggetta all'ordinario termine di prescrizione, e non soggiace a termini decadenziali (ex multis, C.d.S., Ad. plen., sent. n. 12/2018; Sez. II, sent. n. 3327/2020).

4. Con il secondo motivo l'appellante lamenta anzitutto che la lottizzazione "Scianni", in forza della quale il Comune di Amaroni pretende il pagamento degli oneri di urbanizzazione, sarebbe priva di effetti giuridici perché priva del prescritto nulla-osta regionale; che la scrittura privata sottoscritta dal procuratore del lottizzante (in base a procura della cui validità l'appellante pure dubita) e dall'amministrazione, recante gli obblighi assunti dal primo, sarebbe invalida perché avrebbe dovuto assumere le forme dell'atto pubblico, e perché nulla ex art. 1346 c.c. in quanto "in essa non sono state previste in modo univoco le obbligatorie garanzie fidejussorie che il lottizzante avrebbe dovuto fornire al comune a garanzia del completo adempimento delle obbligazioni a suo carico", e comunque perché non risulta trascritta nei pubblici registri immobiliari (e sottoscritta da soggetto privo di valido mandato).

La convenzione avrebbe poi lasciato in bianco la parte relativa alla determinazione degli oneri.

La vendita frazionata dell'area sarebbe stata dunque consentita al lottizzante, che "non ha mai provveduto a realizzare alcuna urbanizzazione, primaria e secondaria, né mai ha ceduto gratuitamente all'amministrazione le aree interessate dalle suddette", "pur se la stessa fosse priva di alcuna opera di urbanizzazione e senza nemmeno aver richiesto la concessione edilizia perpetrando, così, una vera e propria lottizzazione abusiva".

L'appellante deduce poi che «l'amministrazione comunale, allorquando ha autorizzato le varie costruzioni nella località "Scianni", ha omesso di imporre ai richiedenti delle concessioni edilizie l'obbligo di provvedere alle opere di urbanizzazione, relative ai rispettivi manufatti»; e che «la P.A. non ha mai inteso fare ricadere, almeno in parte, i relativi oneri sul proprietario terriero, bensì quello di addossarli tutti ai malcapitati acquirenti dei vari "appezzamenti" di terreno i quali, tra l'altro, hanno versato la rispettiva quota-parte di urbanizzazione, al momento del rilascio delle relative concessioni edilizie».

5. Con il terzo motivo l'appellante lamenta che la richiesta comunale di eseguire le opere di urbanizzazione sarebbe stata avanzata «allorquando (anno 1996) la convenzione era già divenuta inefficace sia per decorso del termine quinquennale, ex articolo 2 della "convenzione", sia di quello decennale ex art. 20 L. n. 1150/1942», e che "Tale ingiunzione e le successive diffide sindacali non sono state trascritte presso il competente Ufficio dei Registri Immobiliari per come imposto dal comma 3 del richiamato art. 20 legge n. 1150".

6. Va preliminarmente osservato che per pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (si veda in tal senso, ex multis, la sentenza n. 199/2019), «l'obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è di natura propter rem (cfr. Cass. civ., Sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10947; nonché Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 1988, n. 6382); d) la natura reale dell'obbligazione comporta dunque che all'adempimento della stessa saranno tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano l'edificazione ed i loro aventi causa (cfr. Cass. civ., 15 maggio 2007, n. 11196; Cass. civ., Sez. II, 27 agosto 2002, n. 12571); e) in senso conforme è la giurisprudenza amministrativa, secondo la quale l'assunzione, all'atto della stipulazione di una convenzione di lottizzazione, dell'impegno - per sé, per i propri eredi e per gli altri aventi causa - di realizzare una serie di opere di urbanizzazione del territorio e di costituire su una parte di quelle aree una servitù di uso pubblico, dà luogo ad una obbligazione propter rem, che grava quindi sia sul proprietario del terreno che abbia stipulato la convenzione di lottizzazione, sia su coloro che abbiano richiesto il rilascio della concessione edilizia nell'ambito della lottizzazione, sia infine sui successivi proprietari della medesima res (T.a.r. Trento, Sez. I, 6 novembre 2014, n. 394; in senso conforme, T.a.r. Campania, Napoli, Sez. II, 9 gennaio 2017, n. 187; T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VIII, 16 aprile 2014, n. 2170; T.a.r. Lombardia, Brescia, 1° giugno 2007, n. 467; T.a.r. Sicilia, Catania, Sez. I, 29 ottobre 2004, n. 3011), per cui l'avente causa del lottizzante assume tutti gli oneri a carico di quest'ultimo in sede di convenzione di lottizzazione, compresi quelli di urbanizzazione ancora dovuti (T.a.r. Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 12 settembre 2013, n. 747), risultando inopponibile all'Amministrazione qualsiasi previsione contrattuale dal contenuto opposto e qualsiasi vicenda di natura civilistica riguardanti i beni in questione; f) invero, il meccanismo dell'ambulatorietà passiva dell'obbligazione, proprio della natura propter rem, non trasforma ex se gli aventi causa dei lottizzanti in "parti" a pieno titolo del rapporto convenzionale, ma li rende semplicemente corresponsabili nell'esecuzione degli impegni presi (T.a.r. Brescia, Sez. I, 23 giugno 2017, n. 843)».

Analogamente, la sentenza n. 6894/2020 ha chiarito che «Relativamente agli obblighi assunti con le convenzioni urbanistiche, il dato normativo di riferimento, univocamente individuato dalla giurisprudenza, per postulare la sussistenza di tale tipologia di obbligazione, è l'art. 28, comma 7, della L. 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall'art. 8 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 1988, n. 6382; Cass. civ., Sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10947). Secondo la norma in questione "Il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relativa ai lotti stessi". La sua interpretazione, nel senso di costituire la fonte di un'obbligazione propter rem, è il frutto di un consolidato orientamento giurisprudenziale (può nuovamente citarsi, Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 1988, n. 6382, ripresa dalle successive pronunce), il quale si è anche premurato di individuare quali sono i possibili successori nell'obbligo, in ragione della presupposta ambulatorietà dell'obbligazione. Invero è stato affermato che tale obbligazione ob rem "va adempiuta non solo da colui che tale convenzione ha stipulato, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia (vedi Cass. civ., Sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10947; nonché Cass. civ., Sez. II, 26 novembre 1988, n. 6382, citata dallo stesso ricorrente); ovvero nel senso che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario, ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione (vedi Cass. civ., Sez. III, 17 giugno 1996, n. 5541). La natura reale dell'obbligazione in esame riguarda dunque i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione, e quelli che realizzano l'edificazione, ed i loro aventi causa; non anche i soggetti che utilizzano le opere di urbanizzazione da altri realizzate per una loro diversa edificazione, senza avere con i primi alcun rapporto, e che, per ottenere la loro diversa concessione edilizia, devono pagare al Comune concedente, per loro conto, i relativi oneri di urbanizzazione" (Cass. civ., Sez. II, 27 agosto 2002, n. 12571; cfr. anche Cass. civ., Sez. III, 15 maggio 2007, n. 11196). Principi analoghi sono stati sanciti anche questo Consiglio, che ha ribadito come, dovendosi qualificare come obbligazione propter rem quella scaturente dalla convenzione di lottizzazione, "legittimati passivi dell'obbligazione di realizzazione delle opere di urbanizzazione debbono ritenersi non solo i lottizzanti che hanno concluso la convenzione, ma anche coloro che risultano attuali proprietari delle aree incluse nel comparto lottizzato e che utilizzano le stesse, quali aventi causa degli originali lottizzanti o successivi aventi causa, e comunque in ogni caso di acquisto a titolo originario o a titolo derivativo" (C.d.S., Sez. IV, 9 gennaio 2019, n. 199). 19. Non è superfluo rilevare che secondo un recente precedente di questo Consiglio, che il Collegio condivide e intende ribadire, l'orientamento relativo alla natura reale delle obbligazioni derivanti dalle convenzioni urbanistiche può essere riferito anche ad obblighi diversi da quelli strettamente attinenti alla realizzazione delle opere di urbanizzazione (C.d.S., Sez. II, 23 settembre 2019, n. 6282: nel caso deciso da questa pronuncia si trattava della cessione gratuita delle aree prevista nella convenzione), in ragione della specifica natura di tali convenzioni, finalizzate non solo alla realizzazione di interessi privati, ma soprattutto all'interesse pubblico al corretto assetto del territorio».

7. L'applicazione dei surrichiamati princìpi alla fattispecie dedotta nel presente giudizio conduce al rigetto, perché infondati, dei due motivi di appello in esame.

Le vicende addotte dall'appellante non supportano validamente il tentativo di paralizzare la pretesa creditoria dell'amministrazione.

Quelle di natura civilistica sono infatti inopponibili, per le ragioni anzidette; mentre quelle di natura pubblicistica lo sono in ragione del principio - paritetico - di affidamento: l'acquirente ha acquistato un terreno la cui vendita frazionata è stata consentita sulla base di una lottizzazione che oggi egli assume essere invalida quanto alla pretesa di esigere la quota parte dei relativi oneri.

In ogni caso, egli ha realizzato l'edificazione del proprio fabbricato sulla base proprio di quella lottizzazione convenzionata, di cui oggi assume l'invalidità ma solo quoad pecuniam: il che configura quasi un abuso del diritto e del processo.

8. L'infondatezza delle pretese legate alla validità della lottizzazione travolge l'ultima parte del terzo motivo, con cui si deduce un asserito difetto di legittimazione, posto che il Comune aveva pieno titolo rispetto alla realizzazione delle opere in questione.

9. Nel ricorso e poi in memoria di replica si contesta il quantum della pretesa comunale, nei termini seguenti: "in via del tutto subordinata, si insiste nel denunciare l'erronea ed ingiusta quantificazione della somma ingiunta in euro 36.836,16: circostanza che l'amministrazione Comunale non osa contestare! Come risulta inequivocabilmente dagli atti di causa, in particolare, dalla nota comunale n. 1094 del 10.05.2001, la somma suddetta è parte dei 300 milioni delle vecchie lire che il Comune ha speso anche per l'urbanizzazione delle altre dodici lottizzazioni indicate nella delibera giuntale n. 132 del 23.11.1998".

Osserva il Collegio che si tratta di argomenti estremamente generici e dunque privi di rilievo e fondatezza (ferma restando l'estraneità di tale profilo al decisum).

10. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. C.d.S., Ad. plen., 5 gennaio 2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Dalle considerazioni che precedono discende che l'appello è solo parzialmente fondato e che nel complesso va respinto, con conferma, con diversa motivazione, della sentenza di primo grado qui gravata.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante alla rifusione nei confronti del Comune appellato delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro quattromila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Calabria, sez. II, sent. n. 1232/2018.