Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 15 febbraio 2024, n. 1536

Presidente: Lipari - Estensore: Fratamico

FATTO E DIRITTO

1. L'oggetto del presente giudizio è costituito dalla determina dirigenziale n. 46 del 4 novembre 2014 nella quale la Provincia di Terni non ha ritenuto di ravvisare gli estremi per l'annullamento della variante essenziale al permesso di costruire n. 122 del 12 aprile 2006 rilasciata alla 3F s.r.l. Finanziaria dal Comune di Terni.

2. Il sig. Stefano M., in qualità di proprietario confinante con i terreni appartenenti alla società 3F s.r.l. Finanziaria, sui quali le opere autorizzate con la variante sono state realizzate, avendo sollecitato la Provincia di Terni all'esercizio del potere straordinario di annullamento ex art. 39 d.P.R. n. 380/2001 e art. 11 l.r. n. 21/2004 ed avendo visto la sua istanza respinta, ha impugnato tale provvedimento dinanzi al T.A.R. per l'Umbria sulla base dei seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 38 e 39 t.u. edilizia, art. 11 l.r. Umbria n. 21 del 2004), erronea applicazione di legge (non pertinente l'art. 22-nonies della l. n. 241 del 1990), eccesso di potere per travisamento in ordine ai fatti e ai presupposti rilevanti, per omessa considerazione della rilevanza di altri presupposti (la rappresentazione falsata dell'ampiezza del lotto negli elaborati progettuali, l'aumento dell'altezza e del numero dei piani reso possibile con la variante n. 122/2006 dalla rappresentata ampiezza del lotto maggiorata rispetto a quella reale);

b) eccesso di potere per contraddittorietà, incoerenza interna per inappropriatezza dei riferimenti giurisprudenziali assunti come rilevanti e per mancata considerazione di quelli rilevanti, per difetto di istruttoria, per falsità della causa e sviamento.

3. Con la sentenza n. 690 del 31 dicembre 2018 il T.A.R. per l'Umbria ha dichiarato inammissibile il ricorso, compensando tra le parti le spese.

4. L'originario ricorrente ha, quindi, chiesto al Consiglio di Stato di riformare tale pronuncia, affidando il proprio appello a tre motivi così rubricati:

I) parte prima (dell'inammissibilità) errores in iudicando et in procedendo, violazione e falsa applicazione di legge (art. 113, commi 1 e 2, della Costituzione in correlazione al c.p.a. art. 1, comma 1, in combinato all'art. 7, comma 1, del medesimo codice, ed altresì in correlazione all'art. 112 c.p.c.) e dei principi generali di giustizia ed equità, violazione ed errata applicazione dell'art. 1 e dell'art. 35 del c.p.a., motivazione illogica e carente, illogicità del percorso argomentativo di supporto al decisum, travisamento;

II) parte seconda (dell'erroneità e contrarietà a norme delle argomentazioni della Provincia a supporto della negazione della sussistenza di presupposti per l'annullamento in esercizio del potere/funzione di vigilanza ex art. 39 t.u. edilizia), violazione e falsa applicazione di legge (artt. 39 e 38 t.u. edilizia, l.r. Umbria n. 21/2004, art. 11), erronea applicazione di legge (non pertinente art. 22-nonies l. n. 241/1990), eccesso di potere per travisamento in ordine ai fatti ed ai presupposti rilevanti, per omessa considerazione della rilevanza di altri presupposti (la rappresentazione falsata dell'ampiezza del lotto negli elaborati progettuali, l'aumento dell'altezza e del numero dei piani reso possibile, con la variante n. 122/2006, dalla rappresentata ampiezza del lotto maggiorata rispetto alla reale);

III) eccesso di potere per contraddittorietà, incoerenza interna, per inappropriatezza dei riferimenti giurisprudenziali assunti come rilevanti e per mancata considerazione di quelli rilevanti, per difetto di istruttoria, per falsità della causa, e sviamento.

5. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Terni e la controinteressata 3F s.r.l. Finanziaria, eccependo l'inammissibilità e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'appello.

6. Con memorie depositate il 14 novembre 2023 e repliche del 22 e 24 novembre 2023 le parti hanno ulteriormente articolato le loro difese, insistendo nelle rispettive conclusioni.

7. All'udienza straordinaria del 15 dicembre 2023 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

8. Con il primo motivo l'appellante ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il T.A.R. ha ravvisato l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse. L'originario ricorrente ha, infatti, sostenuto di poter vantare una posizione differenziata e qualificata rispetto alla legittimità della gravata determinazione provinciale, tenuto conto della vicinitas tra il fondo di sua proprietà e i terreni edificati dalla società controinteressata. L'odierno appellante ha, inoltre, contestato la sussistenza del rischio, paventato dal T.A.R., in caso di ammissibilità della sua azione, di elusione del "termine decadenziale di 60 giorni dalla conoscenza del permesso di costruire", sottolineando come il suo ricorso fosse volto a stigmatizzare la determinazione della Provincia in ordine al mancato esercizio del potere di annullamento straordinario e non a far valere i vizi afferenti al permesso di costruire rilasciato dall'amministrazione comunale nel 2006.

9. Con il secondo e il terzo motivo parte appellante ha, quindi, riproposto le censure di merito avanzate con il ricorso di primo grado, non esaminate dal giudice di prime cure, da un lato riconducendo il potere di annullamento straordinario regionale ex art. 39 d.P.R. n. 380/2001 e art. 11 l.r. n. 21/2004 alla funzione di vigilanza urbanistica, sì da rendere sufficiente ai fini del suo esercizio l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata, senza che potessero assumere rilievo il tempo trascorso dalla violazione o eventuali affidamenti maturati da soggetti privati, dall'altro, lamentando il vizio di eccesso di potere e contraddittorietà del provvedimento, in quanto l'amministrazione provinciale avrebbe del tutto omesso di prendere in considerazione l'interesse pubblico sotteso all'annullamento della variante al permesso di costruire, ottenuta, come detto, mediante rappresentazioni inveritiere.

10. Per un esatto inquadramento delle questioni oggetto di causa è utile un breve excursus sulla disciplina applicabile e sugli approdi della giurisprudenza amministrativa nel settore urbanistico-edilizio.

10.1. Pur attribuendo la competenza in materia di rilascio dei titoli abilitativi e di esercizio delle funzioni di vigilanza sull'attività edilizia, di norma, ai Comuni, l'ordinamento giuridico consente, in alcune ipotesi, l'intervento sostitutivo della Regione (in questo caso con delega alla Province) in presenza di titoli rilasciati illegittimamente (suscettibili, quindi, di annullamento) ovvero in caso di mancata esecuzione delle sanzioni demolitorie. Le Regioni, nell'esercizio della propria potestà concorrente nel governo del territorio, possono disciplinare, nel rispetto dei principi fissati dalla norma statale, modalità e termini dell'esercizio delle relative funzioni e l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 si inserisce proprio in questo quadro di ripartizione e attribuzioni di competenze, che trova fonte di legittimazione costituzionale negli artt. 114 e 120 della Costituzione, nonché nei principi di sussidiarietà, adeguatezza e leale collaborazione.

10.2. Varie sono le interpretazioni della natura del controllo sostitutivo intersoggettivo previsto dalla suddetta norma che:

- secondo un primo orientamento, sarebbe espressione di un potere di vigilanza-controllo attribuito all'ente sopra ordinato;

- per un altro orientamento, rappresenterebbe un potere di annullamento straordinario, non completamente sovrapponibile all'autotutela, sia sotto il profilo soggettivo e sia sotto quello temporale, poiché l'annullamento del titolo abilitativo non è disposto dallo stesso organo che ha emesso l'atto da ritirare bensì da un ente diverso e il termine massimo per l'esercizio del potere è di dieci anni;

- secondo una terza lettura non sarebbe semplicemente ascrivibile al novero delle attività di controllo, rappresentando, piuttosto, una puntuale espressione del ruolo partecipativo della Regione nella complessiva azione di governo del territorio;

- per una ulteriore tesi costituirebbe comunque un'espressione del potere di annullamento d'ufficio degli atti amministrativi illegittimi, sancito in via generale dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 e soggetto, pertanto, all'applicazione dei principi posti dalla suddetta disposizione, che stabilisce che il provvedimento amministrativo illegittimo possa "essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (...) e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo".

11. Tale ultima tesi è quella accolta più di recente dal Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV, 15 marzo 2022, n. 1824) cui anche questo Consiglio ritiene di aderire per una serie di motivi di ordine sistematico, costituzionale, nonché di coerenza con i più generali principi di matrice comunitaria.

12. Preliminarmente può osservarsi che il menzionato art. 39 - per cui "entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione, possono essere annullati dalla Regione..." - disciplina, analogamente al 21-nonies, un potere di annullamento, attribuito ad un soggetto peculiare (ente diverso da quello che ha adottato il provvedimento) e su di un oggetto più specifico, costituito, appunto, dai provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione. In base alla suddetta norma va esclusa, quindi, in primo luogo, la possibilità di ritirare il titolo già rilasciato per motivi legati all'opportunità o al mutamento della situazione di fatto, sul modello della revoca prevista dall'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990.

12.1. Lo schema delineato dall'art. 39 cit. non può, poi, prescindere, in sede di esercizio del relativo potere, dalla valutazione in concreto dell'interesse pubblico concreto e attuale, oggetto di applicazione delle regole generali poste dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990. Nonostante, infatti, le esposte, importanti differenze, tale potere, per esigenze di coerenza con i principi ordinamentali, deve essere letto alla luce dei canoni costituzionali di cui all'art. 97 Cost. nonché del principio di ragionevolezza, tenendo quale punto di riferimento i presupposti sanciti per l'autotutela ordinaria dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990, quali espressione dei più generali principi di imparzialità e buon andamento.

12.2. Se dunque la condizione necessaria per poter attivare l'intervento sostitutivo regionale è l'illegittimità del titolo edilizio - che si sostanzia nel contrasto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione - tale sola illegittimità, tuttavia, non è sufficiente, dovendosi riscontrare, altresì, la sussistenza di un concreto e attuale interesse pubblico; tale interesse non può coincidere, inoltre, con la mera esigenza di ripristino della legalità violata (id est, nella versione dell'interesse pubblico in re ipsa o nell'altra dell'attività doverosa a prescinderne dalla sussistenza) poiché deve tenere conto, appunto, dell'attualità dell'interesse primario alla rimozione dell'atto (principio di effettività del potere) e compararlo con gli interessi secondari, nonché con le posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari (limite esterno all'esercizio della discrezionalità).

12.3. La comparazione degli interessi legati alla tutela del territorio ed al legittimo affidamento ingeneratosi nei privati deve essere, poi, puntualmente esplicitata nella motivazione del provvedimento, ancor più qualora l'intervento dell'ente sovraordinato avvenga a distanza di molto tempo dal rilascio del titolo abilitativo cosicché l'unico elemento di diversità rispetto al modello generale del potere di autotutela previsto dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 finisce per essere dato dal tempo di esercizio del potere stesso, che, nella fattispecie specifica in esame, è costituito da dieci anni, quale limite temporale massimo, e da diciotto mesi dall'accertamento della violazione (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giur., 26 maggio 2020, n. 325).

12.4. Sul punto, la Sezione non può che richiamarsi all'intervento dell'Adunanza plenaria n. 8 del 2017 che, nell'affrontare la questione relativa alla valenza del presupposto dell'interesse pubblico concreto e attuale nell'esercizio del potere di annullamento, ha enunciato il seguente principio di diritto: "nella vigenza dell'articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 - per come introdotto dalla l. 15 del 2005 - l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio (...) intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole", evidenziando, sempre, al contempo, che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio, che l'onere motivazionale dell'Amministrazione può attenuarsi in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati e che non appare configurabile alcun legittimo affidamento in caso di non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole.

13. In mancanza di una espressa deroga normativa e tenuto conto di quanto statuito dall'art. 39, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, devono trovare applicazione alla fattispecie in esame i principi posti dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, come interpretati nella citata pronuncia della Plenaria, in quanto valevoli per tutte le ipotesi di esercizio del potere di annullamento d'ufficio, ivi incluso quello di competenza di un ente sovraordinato in quanto pur sempre di natura amministrativa e avente ad oggetto il riesame di un provvedimento di primo grado.

14. Pertanto, anche nella fattispecie delineata dall'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001, l'atto di annullamento che, come ogni esercizio del potere di autotutela, è ampiamente discrezionale, deve contenere una espressa motivazione dalla quale risultino le ragioni di interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell'atto, in bilanciamento con la posizione di affidamento dei destinatari dell'atto medesimo e con tutti gli altri interessi emersi nel corso dell'istruttoria.

15. "Se... si prescindesse dalla ponderazione degli interessi in gioco mercé l'obnubilazione di ogni valutazione dell'interesse pubblico concreto e attuale per l'esercizio del potere di annullamento di cui si discetta, si consentirebbe in ipotesi-limite all'amministrazione - la quale abbia comunque errato nel rilascio di una sanatoria illegittima - dapprima di restare inerte anche per un lungo lasso di tempo e poi di adottare un provvedimento di ritiro privo di alcuna motivazione, in tal modo restando pienamente de-responsabilizzata nonostante una triplice violazione dei principi di corretta gestione della cosa pubblica" (cfr. Ad. plen., n. 9 del 2018 cit.).

16. Le suddette riflessioni sulla natura del potere esercitato dall'Amministrazione incidono, in primo luogo, sulla valutazione di inammissibilità del ricorso, effettuata dal T.A.R. in ragione della pretesa impossibilità di individuare in capo ad un soggetto privato - cui pure viene riconosciuta una situazione di stabile collegamento giuridico con l'opera contestata - l'interesse a censurare il mancato esercizio del potere discrezionale in questione e della necessità di evitare che attraverso una diversa interpretazione della disposizione normativa in esame, determinazioni ormai inoppugnabili, in quanto non fatte oggetto di ricorso nei termini di legge, possano essere rimesse in discussione.

17. Alla luce di tutti gli elementi del caso, il suddetto giudizio non può, in verità, essere condiviso, avendo il ricorrente rivolto le proprie censure (nel ricorso di primo grado e nell'appello) principalmente non al provvedimento comunale, bensì al diniego espresso dalla Provincia, in cui l'ente sovraordinato avrebbe, a suo dire, ingiustamente dato eccessivo rilievo al tempo trascorso e all'affidamento dei privati, senza valorizzare adeguatamente "l'interesse pubblico considerato prevalente dalla giurisprudenza: quello alla rimozione/annullamento del titolo ottenuto per via di inveritiere rappresentazioni...".

18. Il riconoscimento dell'ammissibilità del ricorso proposto in primo grado e la parziale riforma in tal senso della sentenza appellata non sono però suscettibili di condurre il presente giudizio ad un esito di accoglimento delle censure svolte nel merito dall'appellante, poiché i profili di doglianza dedotti avverso il diniego di annullamento non sono fondati.

19. Lungi dall'aver agito in violazione e falsa applicazione di legge, eccesso di potere, contraddittorietà o sviamento, la Provincia di Terni nella propria determinazione, dopo aver provveduto ad una precisa e completa ricostruzione della vicenda in questione, risulta essersi fatta carico di individuare e descrivere l'interesse pubblico primario della fattispecie e di ponderarlo con gli interessi secondari pubblici e privati, tenuto conto del lungo lasso di tempo intercorso dal rilascio della variante al pdc in modo coerente con il ricordato sistema dei principi dettati dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.

20. Tale ponderazione ha costituito un idoneo apparato motivazionale del diniego impugnato, alla base del quale, tra i numerosi elementi raccolti ed analizzati, vengono evidenziati l'insufficienza della mera illegittimità del provvedimento - caratterizzato da un limitato "sconfinamento" delle opere realizzate nel fondo del ricorrente - per addivenire all'annullamento, la necessità di tutelare l'affidamento degli acquirenti incolpevoli delle abitazioni del condominio edificato, nonché la coerenza della risultante viabilità rispetto alle esigenze rappresentate nel PRG.

21. Apparendo la suddetta valutazione ragionevole e congrua, nonché, come detto, immune dai dedotti vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, il ricorso proposto in primo grado deve essere rigettato, in quanto infondato.

22. In conclusione l'appello deve, perciò, essere solo parzialmente accolto, in relazione al ricordato profilo dell'ammissibilità del ricorso di primo grado che, come detto, in parziale riforma della sentenza impugnata, deve essere però respinto nel merito.

23. Per la complessità e la particolarità delle questioni trattate sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in parziale riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso proposto in primo grado.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Umbria, sent. n. 690/2018.