Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna
Parma
Sentenza 18 gennaio 2024, n. 9

Presidente: Caso - Estensore: Pozzani

FATTO

I ricorrenti con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica del 17 ottobre 2019 hanno chiesto l'annullamento della deliberazione del Consiglio comunale n. 39/2019 della seduta del 24 giugno 2019, avente ad oggetto "Realizzazione di pista ciclabile nell'abitato di Viarolo. Parere favorevole all'acquisizione di un'area ai sensi dell'art. 42-bis del d.P.R. 327/2001".

La difesa attorea evidenzia che con atto notificato a mezzo U.G. in data 4 dicembre 2019, e pervenuto in data 9 dicembre 2019 sia ai diretti interessati che ai loro difensori, il Comune di Parma ha chiesto, ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199/1971, la trasposizione in sede giurisdizionale e che con "Atto di costituzione a seguito di istanza di trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale" i ricorrenti hanno proseguito il giudizio dinanzi a questo Tribunale.

Il Comune di Parma si è costituito in giudizio con atto del 23 gennaio 2020 articolando la propria tesi difensiva nella memoria del 6 dicembre 2023.

I ricorrenti con memoria del 4 dicembre 2023 hanno ribadito le proprie eccezioni ed argomentazioni e con memoria di replica del 20 dicembre 2023 hanno controdedotto alla difesa della parte resistente.

Con atto del 20 dicembre 2023 il Comune di Parma ha replicato alle avversarie doglianze.

All'udienza di discussione del 10 gennaio 2024 dopo ampia discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Le argomentazioni inserite dalle parti negli atti depositati nel fascicolo giudiziale relative all'indennità di espropriazione non formano oggetto né considerazione da parte della presente decisione del Collegio in quanto esulano dalla giurisdizione di questo Tribunale.

Preliminarmente, vanno affrontate in rito tre eccezioni processuali formulate dalle parti che il Collegio ritiene infondate.

La prima attiene al difetto di autorizzazione alla proposizione dell'atto di opposizione, proposta dai ricorrenti in ragione del fatto che tale atto sarebbe viziato in quanto sottoscritto dal Sindaco in assenza di qualsiasi autorizzazione rilasciata dall'organo collegiale competente.

Si sostiene che il Sindaco, quale organo monocratico, non possa unilateralmente vincolare il Comune medesimo alla irretrattabile scelta processuale operata, nel termine decadenziale stabilito per legge, circa il Giudice chiamato a decidere una controversia vertente su un atto del Consiglio comunale quale l'acquisizione sanante dell'art. 42-bis t.u. espropri che è affidato alla competenza del Consiglio comunale ai sensi della lett. l) dell'art. 42, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.

Inoltre, la difesa attorea eccepisce che l'organo competente in materia di contenzioso del Comune di Parma è la Giunta, ai sensi dell'art. 41 del vigente statuto, approvato con deliberazione di Consiglio comunale n. 91 del 6 gennaio 2014, modificato ed integrato con deliberazione di Consiglio comunale n. 109 del 20 dicembre 2016, modificato con successiva deliberazione consiliare n. 88 del 29 novembre 2017, modificato con delibera consiliare n. 125 del 21 dicembre 2018, mentre a norma dell'art. 43, lett. a), del medesimo statuto il Sindaco di Parma sarebbe privo della rappresentanza processuale.

Sul punto l'Amministrazione controdeduce che la delibera di autorizzazione ad agire da parte della Giunta comunale è stata adottata da parte di detto organo collegiale in data 28 novembre 2019 con il n. 392, come da evidenza contenuta nel documento n. 1 depositato dalla difesa comunale nel fascicolo processuale, assunta prima della notifica dell'atto di opposizione essendo la consegna all'ufficiale giudiziario di quest'ultimo avvenuta in data 4 dicembre 2019, come confermato dalla stessa parte ricorrente.

Visto il riscontro documentale, il Collegio ritiene, pertanto, l'eccezione infondata.

La seconda si riferisce alla pretesa tardività dell'opposizione del Comune al ricorso straordinario poiché secondo la prospettazione attorea l'atto proposto ex art. 10 l. n. 1199/1971 avrebbe natura processuale, e come tale sarebbe sottoposto a tutte "le regole relative", trattandosi di atto che rappresenta l'inizio del nuovo processo.

In particolare, con il cambiamento di rito, conseguenza dell'opposizione, questa non sarebbe in senso tecnico l'atto introduttivo del giudizio, ossia il ricorso, per il quale non si applicherebbe il dimezzamento del termine, ma atto successivo e come tale dovrebbe sottostare alla regola della dimidiazione ai sensi dell'art. 119 c.p.a. dato che, a seguito della notificazione di tale atto, si verifica il definitivo trasferimento della controversia dinanzi al g.a. anche in considerazione del fatto che il ricorso straordinario ha ormai assunto natura giurisdizionale, sempre più "accentuata" dalle modifiche introdotte dalla l. n. 69/2009 (art. 69).

Nel caso di specie, l'atto di opposizione sarebbe irricevibile per tardività in quanto il ricorso straordinario proposto dai sigg.ri G. è stato ricevuto dal Comune di Parma in data 24 ottobre 2019 e l'atto di opposizione è stato consegnato agli U.G. per la notifica in data 4 dicembre 2019; perciò per l'opposizione il termine di legge, fissato per le materie ordinarie, in 60 gg. dalla notifica, sarebbe dimezzato e dunque l'atto di opposizione avrebbe dovuto essere notificato entro non oltre il 23 novembre 2019.

L'Amministrazione sul punto controdeduce che la normativa in materia di dimidiazione dei termini non è applicabile al caso di specie poiché non viene messa in discussione una procedura espropriativa come sembrerebbe sostenere parte ricorrente, trattandosi di procedura di acquisizione sanante. Adduce la difesa municipale, a sostegno di tale considerazione, che anche l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 5/2020 ha rilevato come l'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 introduca una norma di natura eccezionale che configura un "procedimento ablatorio sui generis... il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata) bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo". Pertanto, non trattandosi di procedura espropriativa ed avendo la normativa sulla dimidiazione dei termini natura eccezionale, la stessa non potrebbe trovare applicazione in via analogica.

Il Collegio ritiene, alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato nonché delle pronunce di prime cure, che l'opposizione costituisca l'ultimo segmento della fase di svolgimento del procedimento di trattazione del ricorso straordinario al quale non si applicano i termini dimidiati previsti in materia espropriativa nei giudizi instaurati avanti il giudice amministrativo.

Infatti, quanto al primo punto, il Consiglio di Stato con decisione, Sez. I, n. 361 del 15 febbraio 2022, chiarisce che l'atto di opposizione appartiene al procedimento relativo al ricorso straordinario affermando "il principio per cui spetta al Consiglio di Stato nella sede della trattazione del ricorso straordinario l'esame e la decisione della questione della tempestività o tardività della notifica dell'opposizione".

Inoltre, quanto alla dimidiazione dei termini, le pronunce di primo grado antecedenti alla riportata decisione, concordano nel ritenere che «Conformemente a quanto affermato dal Consiglio di Stato, con la sentenza Sez. V, 24 luglio 2007, n. 4136, si ritiene che la notifica dell'atto di opposizione non assuma "i connotati tipicamente processuali e giurisdizionali, ma costituisca l'ultimo segmento della fase di svolgimento del procedimento di trattazione del ricorso straordinario. Infatti, una volta intervenuta l'opposizione, potrebbe accadere che l'originario ricorrente ometta di insistere nella propria volontà di impugnazione. In tal caso, l'opposizione determinerebbe la sola conseguenza di rendere improcedibile il ricorso straordinario, senza provocare alcuna pronuncia del giudice amministrativo". Il termine previsto all'art. 10 d.P.R. n. 1199 del 1971 per la notifica dell'atto di opposizione non soggiace pertanto al dimezzamento previsto dall'art. 23-bis l. n. 1034 del 1971, che comincia ad applicarsi dal deposito dell'atto di costituzione presso la segreteria del T.A.R. (e non dalla precedente notifica, essendo questa riconducibile alla categoria dei termini per la proposizione del ricorso)» (v. T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 22 agosto 2013, n. 259). Anche T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24 gennaio 2019, n. 165 si è espresso nel senso che l'atto di opposizione di cui all'art. 10 d.P.R. n. 1199 del 1971 non è qualificabile alla stregua di un atto processuale e che, pertanto, il relativo termine non è soggetto a dimidiazione ai sensi dell'art. 119 c.p.a.

Chiarite, pertanto, nei termini sopra indicati, la natura dell'atto di opposizione nonché l'applicabilità dei termini dimidiati solo a seguito dell'instaurazione del giudizio avanti il T.A.R. con il deposito dell'atto di costituzione, il Collegio ritiene infondata l'eccezione attorea sulla tardività dell'atto con cui il Comune di Parma ha chiesto la trasposizione del ricorso straordinario in sede giurisdizionale.

La terza eccezione è formulata dal Comune resistente sulla inammissibilità del ricorso introduttivo per non aver i ricorrenti impugnato la determinazione n. 2681 del 17 ottobre 2019, notificata a tutte le parti, con la quale è stata disposta l'acquisizione delle aree di loro proprietà, ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, a firma del dirigente di settore. La deliberazione di Consiglio comunale n. 39/2019 impugnata dai ricorrenti rappresenterebbe un mero atto di indirizzo con il quale l'Amministrazione comunale ha ribadito l'interesse al mantenimento della già realizzata pista ciclabile che non avrebbe determinato alcun effetto sulla proprietà dei ricorrenti e non avrebbe, di conseguenza, alcun carattere di immediata lesività in quanto solamente con il già citato provvedimento dirigenziale n. 2681 del 2019 si sarebbe provveduto all'effettiva acquisizione ex art. 42-bis dell'area di proprietà dei ricorrenti.

Parte ricorrente controdeduce che il sopravvenuto atto del dirigente, datato 17 ottobre 2019, è atto meramente esecutivo, così definito anche dalla impugnata delibera n. 39 del Consiglio comunale adottata il 24 giugno 2019. La determinazione dirigenziale, in quanto atto meramente esecutivo, sarebbe inevitabilmente travolta per invalidità ad effetto caducante dall'illegittimità dell'atto lesivo costituito dalla citata delibera consiliare.

Il Collegio ritiene infondata l'eccezione formulata dalla resistente in quanto la sussistenza in primis della competenza a disporre un atto acquisitivo di immobile al patrimonio comunale, correlata alla conseguente responsabilità erariale, e della concreta e immediata lesività della delibera consiliare, che dispone l'ablazione della proprietà e demanda all'organo esecutivo i successivi adempimenti, depone per la correttezza dell'impugnazione dell'atto consiliare odiernamente gravato quale provvedimento necessariamente presupposto; inoltre, in materia di espropriazione, si palesa un caso tipico di invalidità caducante dell'atto presupposto, costituito appunto dall'atto adottato dal Consiglio comunale, che travolge automaticamente quello esecutivo o, in ogni caso, conseguente, costituito dalla determina dirigenziale che non necessita, pertanto, di autonoma impugnazione.

Come evidenziato dalla difesa attorea, il rapporto "atto presupposto/atto esecutivo" è ancora più stringente nella fattispecie dell'art. 42-bis, espressamente qualificata dall'Adunanza plenaria n. 2 del 2016 quale procedimento uno actu perficitur, rispetto al rapporto "dichiarazione pubblica utilità/decreto esproprio ordinario"; in ogni caso, in materia espropriativa, alla quale non vi è dubbio che appartenga la c.d. "acquisizione sanante" di cui si tratta, l'orientamento giurisprudenziale in materia attribuisce all'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità carattere caducante e non semplicemente viziante dei successivi atti della procedura espropriativa.

Sul generale criterio esegetico dell'invalidità ad effetto caducante, il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 21 gennaio 2019, n. 510, chiarisce che «La giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di porre in rilievo che la rimozione delle determinazioni che ab origine hanno dato l'abbrivio alla procedura ablatoria produce un effetto "domino", con l'invalidazione dei successivi atti del procedimento espropriativo ivi compreso quello conclusivo, rappresentato dal decreto finale di esproprio che viene anch'esso travolto (cfr., ex multis, C.d.S., IV, 4193 del 2015 e C.d.S., IV, 5189 del 2012). Si invera, in tali casi, un effetto automaticamente caducante e non meramente viziante, derivante dalla invalidità degli atti presupposti, senza che si possa configurare a carico della parte interessata un onere di impugnazione del decreto finale di esproprio (cfr., altresì, C.d.S., IV, 29 gennaio 2008, n. 258; idem, 30 dicembre 2003, n. 9155 e 30 giugno 2003, n. 3896)».

La pronuncia illustra, inoltre, il perimetro e l'intensità del nesso di necessaria consequenzialità evidenziando che «l'adozione di un decreto di esproprio in pendenza di un giudizio di impugnazione dei suoi atti presupposti, in quel momento efficaci, potrebbe condurre, anche dopo un considerevole intervallo di tempo, al travolgimento del decreto stesso a seguito dell'annullamento degli atti a "monte", per cui tale efficacia caducante, e non meramente viziante, può inverarsi solo in ragione di un rigoroso ed esaustivo accertamento del nesso di presupposizione necessaria che deve sussistere tra gli atti annullati e quelli "travolti" a prescindere da una loro impugnazione, atteso che, viceversa, si avrebbe un'ingiustificata violazione dell'onere di tempestiva impugnazione dei provvedimenti amministrativi nei termini decadenziali, posto a presidio della acquisizione di una sollecita certezza in ordine alle situazioni giuridiche afferenti l'esercizio del potere pubblico».

Infatti, «La presupposizione necessaria cui va ricondotta la figura dell'invalidità derivata con effetto caducante sull'atto a "valle" si ravvisa nelle ipotesi in cui gli atti annullati in sede giurisdizionale costituiscono il presupposto unico ed imprescindibile dei successivi atti che, in quanto tali, sono meramente consequenziali (cfr., in argomento, ex multis, C.d.S., VI, 20 marzo 2018, n. 1777; C.d.S., II, parere del 27 agosto 2014, n. 2957)».

Nel caso deciso dalla sentenza in esame, tale nesso di presupposizione necessaria non è stato riconosciuto in ragione del fatto che «vi è una parziale discontinuità degli atti presupposti, tale da fare venire meno l'elemento essenziale, la presenza di un presupposto unico ed imprescindibile, che dovrebbe collegare in via diretta, immediata ed esclusiva gli atti a "monte", annullati in sede giurisdizionale, e quelli a "valle", sebbene non impugnati o impugnati tardivamente, determinando il travolgimento automatico di questi ultimi in base al c.d. effetto domino».

Il Consiglio di Stato, pertanto, individua un'ipotesi di soluzione di continuità del nesso di presupposizione necessaria solo in ipotesi di evidente frammentazione dell'iter procedimentale tale da non potersi rinvenire una continuità in atti.

Nel caso che occupa la presente controversia, è insita nella natura del procedimento di acquisizione c.d. sanante, quale uno actu perficitur, l'intensità massima del nesso di presupposizione necessaria tra atto che dispone il provvedimento ablatorio e quello esecutivo che, sia temporalmente sia nel concreto atteggiarsi dei contenuti determinativi, è immediatamente successivo e consequenziale: la delibera consiliare ablatoria espressamente demanda al dirigente competente gli adempimenti conseguenti, compresa l'assunzione dell'impegno di spesa, e la determinazione dirigenziale immediatamente successiva riproduce pedissequamente il disposto decisionale provvedendo in executivis.

Pertanto, l'eccezione di inammissibilità per mancata impugnazione della determinazione dirigenziale sollevata dal Comune resistente non può trovare accoglimento.

Quanto ai fatti rilevanti ai fini della formulazione delle doglianze in diritto, i ricorrenti rappresentano che con delibera n. 1342 del 18 novembre 2004 la Giunta comunale di Parma ha approvato il progetto preliminare di un modesto breve tratto di pista ciclabile nell'abitato della piccola frazione di Viarolo, in assenza dell'imposizione di vincolo espropriativo sulla proprietà privata, la quale veniva, dunque, illegittimamente espropriata con provvedimento dirigenziale n. 173807 del 30 novembre 2005, avverso cui è stato proposto gravame di legittimità nonché indennitario.

Con sentenza n. 2652/2014 il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di legittimità, annullando gli atti comunali e, conseguenzialmente, caducato anche il decreto d'esproprio e quindi rimanendo la parte privata ancora proprietaria del bene illegittimamente acquisito, la Corte d'appello, con sentenza n. 2865/2018, ha dichiarato l'improcedibilità dell'opposizione per sopravvenuto difetto d'interesse.

Secondo quanto ancora esposto dai ricorrenti, con delibera 24 giugno 2019, n. 39, il Consiglio comunale di Parma ha deliberato, senza alcun preavviso alla parte privata, di acquisire, ai sensi dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, l'area identificata al catasto fabbricati del Comune di Parma, sezione urbana 5, foglio 8, particella 328 (area urbana, 15 mq), corrispondente al catasto terreni, sezione Golese, foglio 8, particella 328, occupata dalla pista ciclabile di Viarolo, e di demandare al dirigente competente tutti gli adempimenti di gestione conseguenti alla deliberazione. Il medesimo responsabile del procedimento provvedeva con atto datato 5 luglio 2019 a comunicare alle parti l'avvio del procedimento, cui sono seguite le osservazioni dedotte nell'atto datato 5 agosto 2019.

La difesa attorea evidenzia che, a seguito delle osservazioni, ha fatto seguito la sola comunicazione comunale del 6 agosto 2019 con la quale si ostende la delibera 24 giugno 2019 odiernamente impugnata.

Il Comune di Parma, in punto di fatto sulla sequenza procedimentale, aggiunge che in data 18 novembre 2004, con DGC n. 1342 l'Amministrazione comunale ha approvato il progetto preliminare per la realizzazione di una pista ciclabile in località Viarolo e che, successivamente, in data 27 giugno 2005 con DCG n. 860 ha approvato il progetto definitivo ed ha avviato la procedura espropriativa ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, procedura poi annullata dalla Consiglio di Stato. Il progetto prevedeva la realizzazione di una pista ciclabile che, seguendo il lato est di via Cremonese, consentisse di mettere in comunicazione il centro abitato di Parma con la località di Viarolo, al fine di garantire una migliore viabilità cittadina, con evidente riduzione delle emissioni ambientali legate al traffico automobilistico.

La difesa erariale sottolinea che l'abitazione dei sigg.ri G. si affaccia su tale pista ciclabile che prosegue in direzione sud di circa 110 metri ed in direzione nord di circa 275 metri. Tuttavia, vista la rilevanza dell'opera già realizzata, volta a migliorare la viabilità pubblica, con DCC n. 39 del 24 giugno 2019 il Consiglio comunale avrebbe espresso parere favorevole all'acquisizione dell'area dei ricorrenti ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, "valutata l'attualità dell'interesse pubblico dell'opera realizzata, che tuttora insiste sull'area in parola" cui sono seguite la comunicazione di avvio del procedimento prot. gen. n. 132333 del 5 luglio 2019 e, successivamente, la notifica del provvedimento di acquisizione sanante adottato con DD n. 2681 del 17 ottobre 2019, che la difesa municipale sottolinea non essere stato impugnato.

Con il primo motivo - "Illegittimità per violazione di legge per violazione della l. n. 241/1990 e s.m.i. Eccesso di potere per sviamento" - parte ricorrente lamenta l'intempestività della comunicazione di avvio del procedimento, datata 5 luglio 2019 e, dunque, successiva al momento in cui il Consiglio comunale già aveva deliberato l'acquisizione con la delibera impugnata, adottata il 24 giugno 2019.

Sul punto l'Amministrazione controdeduce che la comunicazione di avvio del procedimento esiste ed è stata correttamente notificata dopo l'approvazione da parte del Consiglio comunale della delibera con la quale il competente organo deliberativo dell'ente ha riconosciuto la sussistenza dell'interesse pubblico all'acquisizione dell'area di che trattasi affermando che l'invio della comunicazione non avrebbe dovuto essere effettuato prima della delibera in parola in quanto "il Consiglio comunale ben avrebbe potuto non approvare la delibera stessa per mancanza dell'interesse pubblico o per ben altre molteplici motivazioni".

Il secondo e terzo motivo possono essere illustrati congiuntamente stante la comunanza dei profili in fatto e la consequenzialità delle considerazioni in diritto.

Con il secondo motivo - "Illegittimità per violazione di legge per violazione dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione. Illegittimità per violazione di legge per violazione dell'art. 3 l. n. 241/1990" - si censura la mancanza della dovuta motivazione rafforzata necessaria nei procedimenti di acquisizione c.d. sanante.

I ricorrenti sottolineano che la delibera impugnata si limita ad affermare che la pista de qua corrisponderebbe genericamente all'"interesse pubblico" leggendosi testualmente nella motivazione "Valutata l'attualità dell'interesse pubblico dell'opera realizzata, che tuttora insiste sull'area in parola".

Si censura, quindi, in particolare che la invocata presenza di un mero interesse pubblico non basta ad acquisire ex art. 42-bis t.u. espropri il bene privato, poiché trattasi di atto acquisitivo autonomo, volto a soddisfare attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione delle opere già realizzate sine titulo; la Corte costituzionale, con la sentenza n. 71 del 30 aprile 2015, nel respingere la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42-bis t.u. ha chiarito, infatti, che tale norma impone uno specifico obbligo motivazionale "rafforzato" in capo alla P.A.

Con il terzo motivo - "Eccesso di potere sotto il profilo del difetto d'istruttoria" - parte attrice lamenta la mancata valutazione di soluzioni alternative nell'allocazione del percorso ciclabile.

Sul secondo e terzo motivo l'Amministrazione ha precisato che la DCC n. 39/2019 appare sufficientemente motivata perché con l'espressione "valutata l'attualità dell'interesse pubblico dell'opera realizzata, che tuttora insiste sull'area in parola" il Consiglio comunale ha espresso parere favorevole all'acquisizione dell'area dei ricorrenti ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 posto che il tratto di pista ciclabile davanti all'immobile di proprietà dei ricorrenti, che è di soli 20 metri, rappresenta un breve segmento di una pista ben più lunga, che prosegue in direzione sud di circa 110 metri ed in direzione nord di circa 275 metri; pertanto, lo spostamento della pista dall'altro lato della strada come sembrerebbe suggerito dai ricorrenti è assolutamente antieconomico, illogico e pericoloso posto che imporrebbe un doppio attraversamento della strada in un tratto di soli 20 mt.

I ricorrenti controdeducono che non solo la resistente inserisce inammissibilmente una motivazione postuma al provvedimento impugnato, avendo precisato solo in giudizio le proprie considerazioni in ordine alla antieconomicità di soluzioni alternative a quella adottata, ma anche che, visti lo stato di cattiva manutenzione e l'esiguità funzionale della "pista", l'Amministrazione non ha adeguatamente motivato nella delibera impugnata le ragioni eccezionali di interesse pubblico che sorreggerebbero l'apprensione coattiva che, come previsto dall'ordinamento, si pone come extrema ratio laddove non siano ragionevolmente praticabili soluzioni alternative.

La pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 2 del 2016 ha, infatti, chiarito i caratteri necessari della eccezionale procedura ablatoria in esame stabilendo che "l'art. 42-bis, invece, configura un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur), complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente illecito perpetrato dall'Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell'infrastruttura realizzata sine titulo".

Diretta conseguenza dell'assunto è evidenziata dall'Adunanza plenaria nel punto c) nel quale si definisce l'iter procedimentale posto a presidio della legittimità dell'apprensione coattiva eccezionalmente prevista dalla norma in esame stabilendo che «un tale obbiettivo istituzionale, inoltre, deve emergere necessariamente da un percorso motivazionale - rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipative rigorose - basato sull'emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro che l'apprensione coattiva si pone come extrema ratio (perché non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative e che tale assenza di alternative non può mai consistere nella generica "... eccessiva difficoltà ed onerosità dell'alternativa a disposizione dell'amministrazione..."), per la tutela di siffatte imperiose esigenze pubbliche».

Ne discende, chiaramente, che le garanzie partecipative assurgono a elemento necessario ai fini dell'adozione del provvedimento finale dalle quali non è consentito prescindere.

Nel caso che ci occupa, l'impugnata delibera consiliare del 24 giugno 2019 non esprime un mero parere ma, come emerge chiaramente dalla piana lettura del deliberato, assume la decisione di espropriare il terreno ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 senza il previo necessario contraddittorio partecipativo; tale imprescindibile garanzia procedimentale risulta, in concreto, inutiliter data in quanto non può certamente essere ex post colmata dall'intervenuta comunicazione di avvio del procedimento da parte del dirigente di settore, se avvenuta quando il trasferimento della proprietà era ormai stato già deliberato e giuridicamente già avvenuto anche se sospensivamente condizionato al pagamento di quanto dovuto a titolo di indennizzo, nelle sue varie voci.

Il Collegio, pertanto, stante la riscontrata assenza del necessario contraddittorio endoprocedimentale, ritiene il primo motivo fondato e assorbente delle altre censure, in considerazione del contenuto altamente discrezionale del provvedimento ablatorio, ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, il quale, se l'Amministrazione lo riterrà necessario, dovrà essere nuovamente editato, in base al disposto normativo così come dalla giurisprudenza citata interpretato e chiarito, ed assistito dalle necessarie garanzie partecipative.

Il Collegio condanna l'Amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla l'atto impugnato.

Condanna il Comune di Parma al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite liquidate complessivamente in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, nonché alla refusione del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.