Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 24 novembre 2023, n. 10102
Presidente: Tarantino - Estensore: Lamberti
FATTO E DIRITTO
1. L'appellante ha impugnato avanti il T.A.R. per la Campania la determinazione del Comune di Arzano prot. n. 3043 del 3 febbraio 2010, con la quale è stata respinta l'istanza di condono edilizio presentata il 19 gennaio 2004, ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, per la sanatoria di un manufatto realizzato nel territorio comunale alla Via A. Moro n. 12, in sopraelevazione ad un preesistente fabbricato (di cui costituisce il secondo piano).
2. Il provvedimento impugnato si basa sui seguenti rilievi: 1) "il principio fondante, alla base dell'Avvio del Procedimento per Diniego, è stato il riscontro effettuato mediante il rilevamento aerofotogrammetrico datato 12.05.2003, ex lege 47/85 art. 23, dal quale non risulta il corpo di fabbrica oggetto della sanatoria"; 2) "l'art. 32 della 326/2003 prevede che possono accedere alla sanatoria edilizia le opere ultimate entro il 31 marzo 2003".
3. Il T.A.R. adito, dopo aver acquisito dal Comune di Arzano una relazione esplicativa sullo stato della vicenda contenziosa, corredata dalle copie conformi della documentazione allegata all'istanza di condono, di tutti gli atti e documenti richiamati nella gravata determinazione dirigenziale, incluso il rilevamento aerofotogrammetrico del 12 maggio 2003, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.
4. Avverso tale pronuncia ha proposto appello l'originaria parte ricorrente, deducendo l'erroneità del diniego di condono e l'inattendibilità del rilievo aerofotogrammetrico posto alla base della decisione, in quanto dotato di un alto grado di approssimazione, e precisando che l'assenza, al momento della ripresa aerea, della copertura in lamiera del fabbricato era dovuta a un intervento di manutenzione del tetto. Ad avviso di parte appellante, il T.A.R. avrebbe dovuto disporre un accertamento tecnico circa la data di realizzazione degli abusi, non essendo la documentazione in atti idonea a provare che le opere erano state realizzate in epoca successiva al 31 marzo 2003.
L'inattendibilità dell'aerofotogrammetria prodotta dal Comune sarebbe dimostrata altresì dalla consulenza tecnica depositata in grado d'appello; inoltre, l'anteriorità delle opere rispetto al termine ultimo stabilito dalla l. 326/2003 emergerebbe dalle fotografie munite di data certa depositate in primo grado, dalle quali si vede l'opera già completa di murature perimetrali e di copertura in lamiere.
5. L'appello è infondato.
Ai fini del presente giudizio rileva il concetto di "edificio ultimato" al fine di verificare il rispetto del termine per poter godere del beneficio del condono.
Al riguardo, l'art. 31, comma 3, della l. 47/1985, i cui principi debbono ritenersi valevoli anche per la disciplina dei condoni successivi, per quanto di interesse in questa sede, prevede che: "si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e ultimata la copertura".
Circa il regime dell'onere della prova relativamente all'ultimazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per accedere al condono, la giurisprudenza, alla quale si intende aderire, è orientata nel senso che incombe su chi richiede di beneficiare di un condono edilizio l'onere di provare che l'opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio (cfr. C.d.S., Sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2949; 12 febbraio 2010, n. 772), in quanto, mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista (cfr. C.d.S., Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075).
La giurisprudenza ha ritenuto che anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (C.d.S., Sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548).
5.1. La prospettazione di parte appellante si limita a contestare l'attendibilità degli elementi probatori assunti dall'amministrazione al fine di dimostrare il mancato rispetto del termine utile per fruire del condono, ma non fornisce, nonostante l'onere probatorio che su di essa ricade, alcuna prova oggettiva ed attendibile di tale circostanza, tali non potendosi considerare le foto prodotte in primo grado che raffigurano degli spazi interni e non il fabbricato.
Si è altresì già detto dell'inidoneità probatoria delle dichiarazioni sostitutive allegate all'istanza di condono.
Infine, non risulta idonea la perizia di parte depositata nel presente giudizio di appello, dovendosi al riguardo ricordare che "una perizia di parte, ancorché giurata, non è dotata di efficacia probatoria e pertanto non è qualificabile come mezzo di prova" (cfr. C.d.S., Sez. IV, 19 luglio 2018, n. 5128).
Inoltre, avuto riguardo allo specifico caso di specie, tale perizia si limita ad esprimere una valutazione sull'attendibilità della già citata aerofotogrammetria e sulle conclusioni che ne ha tratto il T.A.R., ma non introduce alcun elemento oggettivo atto a provare l'epoca di ultimazione delle opere (sulla irrilevanza dei documenti prodotti solo nel corso del giudizio, vertenti sulla legittimità del provvedimento di diniego adottato dalla p.a. sull'istanza del privato, vedasi C.d.S., Sez. VI, 28 agosto 2008, n. 4088).
5.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve concludersi che l'appellante non ha provato l'epoca di ultimazione delle opere, dovendosi per l'effetto confermare il provvedimento impugnato ed essendo di conseguenza irrilevanti i tentativi di indebolire l'attendibilità del rilievo aerofotogrammetrico richiamato dal provvedimento.
6. In ogni caso, per scrupolo, deve darsi atto che dalla disamina del rilievo aerofotogrammetrico citato nel provvedimento di diniego pare effettivamente che, alla data del 12 maggio 2003 (e quindi ben oltre il termine ultimo del 31 marzo 2003 per usufruire della sanatoria legislativa), il manufatto oggetto di condono non fosse stato ancora realizzato, o comunque completato.
Invero, indipendentemente dalla correttezza dei termini utilizzati dal Giudice di primo grado (l'appellante sostiene che quelli definiti cornicioni nella sentenza impugnata sarebbero in realtà i muri perimetrali del sanando fabbricato), il fabbricato alla data del predetto rilievo appare comunque privo di copertura, come del resto confermato anche nella perizia di parte nella parte in cui afferma che "le aree che vengono definite come cornicioni del piano primo, possono essere esclusivamente le murature perimetrali in tufo giallo Napoletano, che caratterizzano la struttura portante dell'immobile in oggetto, visibili al piano di lastrico solare dove era posta la lamiera delimitata sui tre lati e pertanto volume esistente a tutti gli effetti, oggetto di rimozione, prima, per intervento di manutenzione ordinaria e di lavori di completamento, dopo, dell'abitazione residenziale posta al piano secondo dello stabile" (cfr. Cass. pen., Sez. III, 12 agosto 1997, n. 9011: "In merito ai nuovi edifici residenziali la nozione di ultimazione deve intendersi riferita ad una costruzione completa nelle sue strutture essenziali che la individuano, sotto il profilo tecnico, edilizio ed urbanistico, ivi compresa la copertura. In particolare, per quanto attiene alla copertura, questa deve considerarsi non ancora perfezionata quando non risultino sistemate le tegole"; C.d.S., Sez. II, 10 giugno 2019, n. 3869: "La nozione di ultimazione delle opere, cui occorre far riferimento ai fini dell'applicabilità della disciplina sul condono edilizio, coincide con l'esecuzione del rustico, da intendersi come muratura priva di rifinitura e da non confondere con lo scheletro, le pareti esterne non potendo considerarsi mere rifiniture, ma comprende anche il necessario completamento della copertura, ovvero la parte riscontrata mancante per una parte del porticato che si intendeva annettere quale nuova unità abitativa all'immobile della parte appellante").
7. Per le ragioni esposte, l'appello va respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune appellato, che si liquidano in euro 4.000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.