Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 12 giugno 2023, n. 5748

Presidente: Franconiero - Estensore: Morgantini

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 52 del 26 luglio 2012, con la quale l'Amministrazione Comunale di Cardito ha ingiunto la demolizione di opere abusive eseguite nell'unità immobiliare censita al foglio 1, particella n. 736, sub 3, e dell'ordinanza n. 36 del 14 giugno 2012, recante l'ordine di sospensione dei lavori.

La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze.

Trattasi delle opere abusive consistenti nella "realizzazione della tompagnatura dello sporto su Via Bonavolontà, su di una superficie di circa mq. 2,50 e tompagnatura dello sporto su Via Rosano, su di una superficie di circa 5 mq.

La tompagnatura di tali sporti, ha comportato l'ampliamento della superficie dell'appartamento, già esistente al piano rialzato, per un totale di circa mq. 7,50".

Le opere edilizie, interne ed esterne all'appartamento, oggetto dell'ingiunta demolizione, avendo comportato modifiche di volume, sagoma in pianta, prospetti e superficie dell'immobile di proprietà dei ricorrenti sono classificabili alla stregua di attività di ristrutturazione edilizia [art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 380/2001] e come tale soggetti a permesso di costruire, avendo peraltro comportato l'ampliamento della superficie dell'appartamento di proprietà dei ricorrenti per un totale di circa mq. 7,50.

Non può validamente obiettarsi, come fanno i ricorrenti, che l'ampliamento di circa 2,50 mq realizzato mediante tompagnatura dello sporto su via Bonavolontà ed adibito a "wc" sarebbe preesistente all'acquisto dell'immobile da parte dei medesimi, e comunque legittimamente realizzato, in quanto i predetti ricorrenti non hanno provato - come pure era loro onere - che l'intervento in parola sia stato realizzato in forza di un valido titolo edilizio, che in ogni caso non è stato possibile acquisire nemmeno a seguito dell'attività istruttoria pure disposta da codesto T.A.R.; quanto all'asserita preesistenza dell'abuso in questione all'acquisto dell'immobile da parte dei ricorrenti, e dunque alla loro affermata estraneità rispetto alla commissione dell'illecito edilizio, il Tribunale evidenzia in primo luogo come, secondo consolidata giurisprudenza, "l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e l'ordinanza di demolizione ha carattere ripristinatorio, non richiedente l'accertamento del dolo o della colpa grave del soggetto cui si imputa la trasgressione. Pertanto, l'ordine di demolizione di opere abusive è legittimamente notificato al proprietario catastale dell'area, il quale fino a prova contraria è quantomeno corresponsabile dell'abuso" (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 6148 del 15 dicembre 2014).

Nel caso di specie l'ordinanza di demolizione impugnata risulta notificata ai ricorrenti in qualità di proprietari dell'opera abusiva e di soggetti comunque legittimati ed in grado di rimuoverla, in conformità al condivisibile orientamento giurisprudenziale che ritiene che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante dell'immobile (cfr. C.d.S., Ad. plen., sent. n. 9/2017, e Sez. IV, sent. n. 4837/2017).

Il T.A.R. ha evidenziato come non possa fondatamente sostenersi che la tompagnatura dello sporto su Via Rosano, per una superficie di circa 5 mq, realizzata sull'immobile dei ricorrenti, possa effettivamente qualificarsi quale volume tecnico e comunque non determini un effetto di incremento di volumetria dell'edificio; ed invero, in primo luogo occorre sottolineare come i volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, siano esclusivamente i volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'accesso a quegli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort abitativo degli edifici, che non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche e che l'intervento edilizio sanzionato nella fattispecie non sembra presentare tali caratteristiche; in secondo luogo, risultando la struttura realizzata dotata anche solo potenzialmente di autonomia funzionale e risultando di fatto adattabile ad un uso abitativo, sicuramente la stessa non può essere considerata mero vano tecnico o elemento pertinenziale non sviluppante superficie utile o volume; in ogni caso, atteso che la realizzazione della predetta tompagnatura ha comportato modifica del volume, della sagoma e del prospetto dell'edificio, l'intervento medesimo rientra comunque nella nozione della ristrutturazione edilizia come definita dall'art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la cui realizzazione sconta il previo permesso di costruire da parte del Comune, e ciò a prescindere da qualunque considerazione circa la natura pertinenziale o meno del manufatto concretamente realizzato.

Il T.A.R. ha poi richiamato la giurisprudenza amministrativa che afferma che «il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ordine di demolizione e ogni altro provvedimento sanzionatorio) costituisce atto dovuto della p.a., riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall'accertamento dell'abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge; ciò comporta che il provvedimento sanzionatorio non richiede una particolare motivazione, essendo sufficiente la mera descrizione e rappresentazione del carattere illecito dell'opera realizzata, né è necessaria una previa comparazione dell'interesse pubblico alla repressione dell'abuso, che è in re ipsa, con l'interesse del privato proprietario del manufatto; e ciò anche se l'intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell'abuso, ove il medesimo non sia stato oggetto di sanatoria in base agli interventi legislativi succedutisi nel tempo (C.d.S., Ad. plen., n. 9 del 17 ottobre 2017)».

2. Parte appellante espone di avere eseguito talune opere di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione interna dell'appartamento finalizzate a renderne più comoda la fruibilità.

All'esito dell'intervento, essi hanno "conservato" la tompagnatura dello sporto su via Bonovolontà (che, come emerge dalla planimetria allegata alla licenza edilizia del 1980, era già esistente ed adibita, a suo tempo, a "wc"), limitandosi, sul lato interno del Parco, a preservare taluni impianti tecnologici installati sul balconcino, con una seconda chiusura che ha creato una superficie suppletiva di appena 5 mq.

Parte appellante ritiene che la volumetria asseritamente abusiva creata su via Bonovolontà era già esistente ab origine e che la "chiusura" su via Rosano assolve a funzioni pertinenziali e strumentali men che mai computabili per la definizione dei carichi urbanistici.

Si farebbe fatica a comprendere quale sia la reale entità del presunto illecito edilizio ascritto alla sfera di responsabilità dei ricorrenti.

In tutti gli atti prodotti dal Comune, infatti, mancherebbe una dettagliata analisi delle opere effettivamente eseguite. Fanno riferimento alla "realizzazione della tompagnatura dello sporto su Via Bonavolontà, su di una superficie di circa mq. 2,50 e della tompagnatura dello sporto su Via Rosano, su di una superficie di circa 5 mq", che avrebbe comportato un ampliamento di superficie di circa 7,50 mq.

Nel dettaglio, viene omessa una descrizione minuziosa degli spazi asseritamente creati dai proprietari.

Secondo parte appellante l'Amministrazione comunale avrebbe dovuto, in sede di adozione del provvedimento avversato, adoperarsi in uno sforzo al fine di spiegare in dettaglio quali siano le ragioni per cui ritiene attuale l'interesse all'adozione del provvedimento impugnato, mediandole con l'apprezzamento degli interessi dei destinatari dell'atto.

La "chiusura" dello sporto su via Bonavolontà, sarebbe già presente all'atto d'acquisto da parte degli appellanti che fanno riferimento alla planimetria catastale presentata l'8 settembre 1980 che costituisce l'Allegato "A" all'atto di compravendita del 7 marzo 2012.

Secondo parte appellante se la superficie ed il volume esterno in questione costituiscono degli abusi, essi non sarebbero ascrivibili ai ricorrenti e devono ritenersi così risalenti nel tempo da richiedere un provvedimento di ripristino congruamente motivato.

Parte appellante ritiene poi che la sentenza impugnata sia illegittima anche per ragioni sostanziali e/o di merito, connesse alla funzionalità meramente tecnica del mini vano in questione, le cui modeste dimensioni sono già di per sé sintomatiche di una regolare e "sanabile" destinazione.

3. Tutto ciò premesso, l'appello è infondato.

Infatti, come correttamente argomentato con la sentenza appellata, non giova a parte appellante affermare che l'ampliamento di circa 2,50 mq realizzato mediante tompagnatura dello sporto su via Bonavolontà ed adibito a "wc" sarebbe preesistente all'acquisto dell'immobile da parte dei medesimi, e comunque legittimamente realizzato, in quanto i predetti ricorrenti non hanno provato - come pure era loro onere - che l'intervento in parola sia stato realizzato in forza di un valido titolo edilizio.

Parimenti, con riferimento all'asserita preesistenza dell'abuso in questione all'acquisto dell'immobile da parte dei ricorrenti, e dunque alla loro affermata estraneità rispetto alla commissione dell'illecito edilizio, deve essere richiamata la consolidata giurisprudenza che attribu[i]sce carattere reale delle sanzioni in materia edilizia, nel senso che il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino è non già l'accertamento di responsabilità nella commissione dell'illecito, ma l'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia (ex multis: C.d.S., Sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 8786; 17 ottobre 2022, n. 8784; 5 aprile 2022, n. 2523; 4 gennaio 2021, n. 28).

Nel caso di specie l'ordinanza di demolizione impugnata risulta notificata ai ricorrenti in qualità di proprietari dell'opera abusiva e di soggetti comunque legittimati ed in grado di rimuoverla, in conformità al condivisibile orientamento giurisprudenziale che ritiene che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante dell'immobile (cfr. C.d.S., Ad. plen., sent. n. 9/2017).

È infondata la censura riferita alle caratteristiche di volume tecnico delle opere realizzate.

Il T.A.R. ha infatti correttamente evidenziato che i volumi tecnici, ai fini dell'esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, sono esclusivamente i volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'accesso a quegli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort abitativo degli edifici, che non possano, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti, essere inglobati entro il corpo della costruzione realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche e che l'intervento edilizio sanzionato nella fattispecie non presenta invece tali caratteristiche; in secondo luogo, risultando la struttura realizzata dotata anche solo potenzialmente di autonomia funzionale e risultando di fatto adattabile ad un uso abitativo, sicuramente la stessa non può essere considerata mero vano tecnico o elemento pertinenziale non sviluppante superficie utile o volume.

Ciò precisato, parte appellante non ha dimostrato che l'ampliamento abbia avuto ad oggetto vani tecnici, secondo le caratteristiche ora enunciate.

Né risultano fondate le censure che fanno riferimento al difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati.

Va infatti confermato quanto statuito dal T.A.R. in ordine al carattere vincolato dei provvedimenti di repressione degli abusi edilizi, la cui motivazione si può legittimamente limitare alla sola descrizione di questi e all'indicazione delle norme urbanistico-edilizie con essi violate, al cui rispetto si correla l'interesse pubblico sotteso all'intervento repressivo, secondo i principi stabiliti in materia dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, nella sopra richiamata sentenza del 17 ottobre 2017, n. 9.

L'appello deve pertanto essere respinto.

Nulla per le spese, non essendosi il Comune di Cardito costituito in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.