Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
Sezione I
Sentenza 5 giugno 2023, n. 528
Presidente: Prosperi - Estensore: Malanetto
FATTO
Con istanza del 24 luglio 2014 il ricorrente ha avanzato richiesta, ai sensi dell'art. 18 d.l. n. 67/1997, di rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa nel procedimento penale instaurato nei suoi confronti dinanzi al Tribunale militare di Verona, giudizio che lo ha visto imputato per disobbedienza aggravata (artt. 173, comma 1, e 47, n. 2, c.p.m.p.) in relazione a due episodi, contestati rispettivamente ai capi a) e b) di imputazione.
All'istanza di rimborso veniva allegata la parcella del difensore, dell'importo complessivo di 9.000,32 euro.
Quanto ai fatti contestati in sede penale l'episodio di cui al capo a) di imputazione, risalente a dicembre 2007, riguardava l'inottemperanza all'ordine di liberare i locali del Centro ippico militare al quale era stato assegnato; quello di cui al capo b), risalente ad aprile 2008, aveva ad oggetto l'inottemperanza all'ordine di partecipare ad un'esercitazione (c.d. Audax 2008).
Con riferimento al capo b) il ricorrente è stato assolto perché il fatto non sussiste, essendo stata riconosciuta la sua impossibilità di partecipare all'esercitazione per forza maggiore.
Quanto invece al capo a) il ricorrente è stato assolto in primo grado ma, a seguito di appello proposto dalla Procura, la Corte d'appello lo ha condannato alla pena di un anno e giorni venti di reclusione, oltre alla refusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La sentenza è stata confermata dalla Corte di cassazione.
Il diniego di rimborso delle spese legali è stato impugnato sulla base di plurime censure.
Lamenta parte ricorrente che il provvedimento sarebbe viziato da eccesso di potere nella parte in cui l'amministrazione non ha ritenuto di scindere i due capi d'imputazione; questi ultimi, nonostante la riunione disposta dal Tribunale militare di Verona, attenevano infatti a due procedimenti in origine diversi e scaturivano da episodi diversi, sicché avrebbero dovuto essere considerati separatamente.
Con il secondo motivo si censura la violazione dell'art. 18 del d.l. 67/1997, nonché degli artt. 3, 10 e 10-bis della l. n. 241/1990, in quanto l'amministrazione non avrebbe tenuto conto delle osservazioni presentate dal ricorrente nel corso del procedimento, essendosi basata solo su quelle formulate dall'Avvocatura.
Si duole, inoltre, della circostanza che l'Avvocatura si sia espressa sulla fondatezza della richiesta di rimborso (ritenendo carenti i presupposti previsti dall'art. 18 per la sua erogazione), atteso che l'oggetto della valutazione dell'organo consultivo atterrebbe, non già all'an, bensì solo alla congruità dell'importo e quindi al quantum dello stesso.
Con il terzo e ultimo motivo il ricorrente si duole della violazione del principio di affidamento, nonché della violazione del decreto del Ministero della giustizia 10 marzo 2014, n. 55, e del d.m. 140/2012 in quanto l'Avvocatura - nell'ipotesi in cui l'amministrazione avesse ritenuto di accogliere l'istanza - ha avallato la sola somma di euro 3.500,00, in luogo di quella richiesta pari ad euro 9.000,32 euro.
Ha quindi chiesto annullarsi i provvedimenti impugnati.
Si è costituita l'amministrazione resistente, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.
All'udienza del 24 maggio 2023, la causa è stata discussa e decisa nel merito.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come convertito nella l. n. 135 del 1997 che disciplina il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente, così recita: "Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità".
Per accedere al rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente l'amministrazione deve dunque verificare se ne sussistano in concreto i presupposti e se l'importo reclamato sia congruo; la valutazione avviene con l'ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (C.d.S., Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).
I presupposti indefettibili per l'applicazione dell'art. 18, sui quali si è formata una univoca e convergente giurisprudenza amministrativa, sono due:
a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;
b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l'espletamento del servizio e l'assolvimento degli obblighi istituzionali.
Nel caso di specie difettano entrambi i presupposti.
Quanto alla pronuncia penale definitiva vi è stata assoluzione con connesso accertamento di assenza di responsabilità solo per uno dei due capi di imputazione, il capo b). Quanto al capo a), infatti, il ricorrente è stato condannato in via definitiva.
Il giudizio penale si è legittimamente svolto in modo unitario ed è evidente come la condanna, anche solo per uno dei capi di imputazione cumulativamente formulati, faccia di per sé venire meno il presupposto di esclusione definitiva di responsabilità penale.
Con riferimento esplicito a un caso di assoluzione per uno solo d[e]i capi di imputazione formulati si legge infatti in C.d.S., Sez. VI, n. 5367/2004: "... si ritiene che, in caso di sentenza contenente più capi di imputazione, il rimborso parziale delle spese legali, riferite al solo reato per il quale vi è una assoluzione con formula piena, non sia possibile in quanto, seppur si dovesse ravvisare che le spese, per loro natura, si collegano necessariamente all'esecuzione dell'incarico conferito, nel senso che rappresentano il rischio inerente all'esecuzione dell'incarico, l'amministratore sarebbe, comunque, in una posizione di conflitto di interesse con l'Ente per gli altri capi di imputazione per i quali è accertata la sua responsabilità".
Ne consegue che non è possibile una valutazione frazionata per capi di imputazione.
Ove poi anche la si volesse ammettere, rispetto al solo capo b), per il quale il ricorrente è stato assolto, e così come per altro argomentato dalla difesa erariale, questo Collegio ritiene che l'amministrazione, e prima ancora l'Avvocatura nel parere reso, correttamente abbiano dato atto della mancanza del secondo presupposto richiesto dall'art. 18, ossia la necessaria connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l'assolvimento degli obblighi istituzionali.
L'art. 18 trova infatti applicazione solo in favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell'interesse, dell'amministrazione; occorre quindi che per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile un nesso di immedesimazione organica e che la stessa, resa nell'espletamento di compiti istituzionali, risulti espressiva della volontà dell'amministrazione. Sul punto, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all'Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l'imputazione dei relativi effetti (C.d.S., Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427; 5 aprile 2017, n. 1568; 26 febbraio 2013, n. 1190).
Restano per contro escluse le condotte poste in essere "in occasione" dell'attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2; C.d.S., Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154; Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; 14 aprile 2000, n. 2242).
Nella fattispecie che ci occupa risulta evidente l'assenza di connessione dei fatti addebitati all'odierno ricorrente con l'azione istituzionale dell'amministrazione. La mancata esecuzione dell'ordine di partecipare all'esercitazione non genera infatti effetti esterni imputabili all'amministrazione, trattandosi, come osservato dalla difesa erariale, piuttosto di una problematica afferente il rapporto individuale di servizio nei suoi risvolti interni tra dipendente e amministrazione.
Ne consegue l'infondatezza del primo motivo di ricorso.
Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso.
Con riferimento alla presunta mancata valutazione delle osservazioni del ricorrente, nelle proprie memorie egli si è limitato a prospettare una lettura della normativa applicabile non conforme al suo dettato letterale ed alla sua costante interpretazione giurisprudenziale; il provvedimento chiarisce per quali ragioni giuridiche il rimborso non può essere accordato e, così facendo, evidentemente ricusa argomentazioni alle stesse opposte.
Del pari priva di pregio è la contestazione relativa all'asserita insindacabilità da parte dell'Avvocatura di Stato dell'an dell'istanza di rimborso.
Sul punto, questo Collegio ritiene di condividere i rilievi dell'Avvocatura stessa, conformi alla giurisprudenza; la normativa, nel demandare all'Avvocatura dello Stato una valutazione di "congruità delle spese", fa riferimento tanto all'entità delle spese che alle condizioni integranti gli elementi costitutivi del diritto, il tutto in linea con la funzione che istituzionalmente le compete di organo di consulenza legale delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti ad esse equiparati, ai sensi dell'art. 13 del r.d. n. 1611/1933 (C.d.S., Sez. IV, n. 1720/2016); trattasi per altro di parere obbligatorio e vincolante per l'amministrazione caratterizzato da elevata discrezionalità tecnica.
Ciò posto, ritenendosi insussistenti i presupposti necessari per concedere il beneficio, risulta assorbita l'ultima censura relativa al quantum del rimborso formulata dal ricorrente.
Vanno pertanto respinte tutte le censure formulate da parte ricorrente, restando confermata la legittimità del provvedimento impugnato.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare interamente tra le parti spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.