Corte di cassazione
Sezione II civile
Ordinanza 27 gennaio 2023, n. 2533

Presidente: Giusti - Relatore: Grasso

OSSERVA

1. La vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini di cui appresso.

1.1. Thomas F. convenne in giudizio Orlando F. e Gemma F. chiedendo di essere reintegrato nel possesso di un flusso d'acqua, avendo addebitato ai convenuti di avere interrotto una tubazione sotterranea.

1.2. Il Tribunale, all'epilogo della fase sommaria, rigettò la domanda di reintegra. Il giudice del reclamo, in riforma del pronunciamento cautelare, ordinò la reintegrazione. La sentenza, a definizione del giudizio di primo grado, rigettò la domanda, sul rilievo che i convenuti avevano dimostrato che la condotta risultava dismessa dal 2006 e che il nuovo rubinetto, collocato nel 2009 da Thomas F., non avrebbe potuto per tale ragione funzionare.

1.3. La Corte d'appello di Venezia rigettò l'impugnazione proposta da Thomas F.

2. Thomas F. ricorre avverso la sentenza d'appello sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria. Orlando e Gemma F. resistono con controricorso.

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 158 e 161, comma 1, c.p.c., 43-bis ord. giud., nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo.

Con la censura al vaglio viene riproposto il motivo d'appello, rigettato dalla Corte locale, asserendosi la nullità della sentenza di primo grado per essere stata decisa da un giudice onorario, nonostante si vertesse in materia di procedimenti cautelari e possessori.

3.1. Il motivo è infondato.

Il ricorrente si limita a riproporre la tesi giuridica disattesa in appello, senza peritarsi di contrapporre agli argomenti della Corte locale un proprio costrutto avversativo (la sentenza chiarisce che il divieto risulta valevole solo per il giudizio sommario e non già per quello di merito, tanto che per legge il g.o.t. può decidere una domanda cautelare o possessoria innestata in un giudizio ordinario).

L'eccezione risulta essere stata correttamente disattesa dalla Corte locale. Invero, ai sensi dell'art. 43-bis del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, i giudici onorari chiamati ad integrare i collegi nei tribunali ordinari, mentre possono svolgere anche funzioni di appello, non possono, invece, trattare i procedimenti cautelari ante causam e quelli possessori, altrimenti derivandone un vizio di costituzione del giudice e la conseguente nullità, ai sensi degli artt. 158 e 161, primo comma, c.p.c., del provvedimento pronunciato (Sez. 2, n. 18002, 2 agosto 2010, Rv. 614711).

L'art. 43-bis citato dispone che «I giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari.

Nell'assegnazione prevista dal primo comma, è seguito il criterio di non affidare ai giudici onorari:

a) nella materia civile, la trattazione di procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito o del giudizio petitorio;

b) nella materia penale, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preliminare, nonché la trattazione di procedimenti diversi da quelli previsti dall'articolo 550 del codice di procedura penale».

La regola che se ne trae è che ai giudici onorari è preclusa la trattazione dei procedimenti cautelari e possessori ante causam, nel mentre ben possono trattare tali domande ove proposte nel corso della causa di merito o del giudizio possessorio. La norma ha lo scopo d'impedire che provvedimenti sommari, il cui contenuto può anche avere effetti assai rilevanti e, talvolta, non ripristinabili, vengano assunti dal magistrato onorario. Magistrato che, invece, non incontra limiti ove davanti a lui penda il merito della causa in cognizione piena.

Nel caso in esame si trattò proprio di una tale situazione avendo il giudice onorario deciso la causa di merito a cognizione piena.

Questa Corte, inoltre, ha avuto modo di chiarire che quando un giudice onorario, appartenente all'ufficio giudiziario, decida una causa in materia che, secondo la ripartizione tabellare, sia sottratta alla sua potestà decisoria, il provvedimento non è nullo (salvo che si tratti di procedimenti possessori o cautelari ante causam, espressamente esclusi dall'art. 43-bis del r.d. n. 12 del 1941), in quanto la decisione assunta dal g.o.t. in violazione delle tabelle organizzative dell'ufficio non incide sulla composizione dell'ufficio giudiziario, né alcuna norma di legge prevede una siffatta nullità, configurandosi, invece, una semplice irregolarità (Sez. 3, n. 19660, 3 ottobre 2016, Rv. 642599).

4. Con il secondo motivo, che si snoda da pag. 16 a pag. 30 del ricorso, vengono denunciate «insufficiente e/o erronea e contraddittoria motivazione» e «omessa e/o insufficiente valutazione del materiale probatorio». Lungamente il ricorrente indugia nel criticare il vaglio istruttorio, evocando, peraltro, senza il pregio della specificità, l'intiero tema della svolta istruttoria.

4.1. La doglianza non supera lo scrutinio d'ammissibilità.

In primo luogo, deve osservarsi che in presenza di c.d. "doppia conforme", trovando applicazione, ratione temporis, l'art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10 marzo 2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.

Peraltro, la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Sez. 6, n. 13977, 23 maggio 2019, Rv. 654145, ex multis; ma già Sez. un., n. 22232/2016). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell'ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo a priori, che prescinda dall'effettivo e specifico sindacato sul fatto.

Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è, pertanto, denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Sez. un., n. 8053, 7 aprile 2014, Rv. 629830; Sez. un., n. 8054, 7 aprile 2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord. n. 21257, 8 ottobre 2014, Rv. 632914).

È del tutto evidente che non si versa qui in alcuna delle ipotesi residuali di cui sopra: gli argomenti utilizzati dal giudice sono puntualmente ripercorribili e risultano collegati al caso esaminato e alle risultanze di causa. Quel che, in sostanza il ricorrente contesta è la soluzione sposata dalla sentenza.

In sintesi, si tratta di un complesso di critiche rivolto a un improprio riesame del vaglio probatorio, anche attraverso la critica della motivazione, in presenza, peraltro, di doppia conforme e in assenza di radicale inesistenza della motivazione.

5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ad un tempo, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e omessa pronuncia in ordine alle istanze istruttorie, lamentando che la decisione risulta essere stata presa solo sulla base degli elementi raccolti nella fase sommaria, senza che siano state considerate le successive istanze istruttorie.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza investe impropriamente l'apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito (nella specie alle pagg. 11/13 la sentenza spiega compiutamente le ragioni per le quali appariva bastevole l'acquisizione probatoria in atti), in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l'escamotage dell'evocazione dell'art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27 dicembre 2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30 settembre 2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell'art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).

6. Il quarto motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e addebitando alla decisione «contraddittoria motivazione», per non avere la sentenza reso motivazione in ordine all'affermazione in dispositivo della sussistenza del presupposto per il raddoppio del contributo, è palesemente privo di fondamento.

La declaratoria circa la sussistenza per il raddoppio del contributo costituisce incombente di legge e di esso non occorre dare specifica motivazione, trattandosi di effetto automatico ai danni del soccombente. Sotto altro profilo, la denunciata omissione motivazionale non renderebbe comunque illogica la condanna alle spese della parte soccombente, condanna doverosa per legge.

7. Rigettato il ricorso, nel suo complesso, le spese del presente giudizio devono porsi a carico del ricorrente nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte.

8. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 (inserito dall'art. 1, comma 17, l. n. 228/2012) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, comma 17, l. n. 228/2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.