Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Sentenza 17 novembre 2022, n. 33979
Presidente: Manna - Estensore: Tricomi
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d'appello di Catania, con la sentenza n. 876 del 2020, ha rigettato il reclamo proposto da Z. Giuseppe avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Siracusa aveva accolto l'opposizione proposta dal Comune di Augusta avverso l'ordinanza ex lege n. 92 del 2012, così rigettando l'impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore già dipendente del Comune di Augusta.
Premette la Corte d'appello che il 21 aprile 2016, Giuseppe Z. in concorso con altri due dipendenti, avendone la disponibilità per ragioni di servizio, utilizzava il furgone FIAT Ducato bianco, di proprietà del Comune, al fine di commettere il furto consistente nella asportazione dal cantiere dei lavori di costruzione di un complesso residenziale, di una notevole quantità di mattonelle autobloccanti per pavimentazione, caricandole su detto furgone che, a causa del carico eccesivo, veniva danneggiato, e svolgendo tale attività durante le ore lavorative.
2. Il Tribunale in sede di opposizione aveva ritenuto che non fosse configurabile una delle condotte per le quali il CCNL enti locali prevedeva l'irrogazione di una sanzione conservativa.
Si trattava di un comportamento avente un'intensità tale da integrare la giusta causa di licenziamento in ragione di una serie di considerazioni svolte dal giudice: la sussistenza di un concorso di persone denotava un maggiore disvalore; la sanzione conservativa poteva costituire un'efficace risposta punitiva rispetto ai pregiudizi patrimoniali subiti dal Comune, ma non si dimostrava altrettanto valida dinanzi ad una condotta come quella in esame di volontaria sottrazione di beni altrui, al fine di trarne profitto per sé o altri durante l'orario di lavoro e in violazione dell'intesa fiduciaria; sussistevano tutti gli elementi oggettivi per la configurazione del reato di furto, l'ipotesi di concorso morale e materiale nel reato, l'elemento soggettivo della colpevolezza, nella peculiare forma del dolo eventuale.
3. La Corte d'appello ha rigettato l'unico motivo del reclamo relativo ad una prospettata diversa valutazione della gravità del comportamento, in relazione al quale andava applicata una sanzione conservativa.
La Corte d'appello ha premesso che con il reclamo non si contestava la ricostruzione contenuta nella sentenza del Tribunale circa l'accertamento della sussistenza di tutti gli elementi integranti il reato di furto.
Affermava, quindi, che nel caso di specie il comportamento contestato al reclamante non era oggetto di espressa tipizzazione da parte della contrattazione collettiva, le cui previsioni, tuttavia, dovevano essere utilizzate per confermare o meno la valutazione di gravità effettuata dal Tribunale.
Le indicazioni fornite dalla previsione del CCNL (art. 3, primo comma, del CCNL 11 aprile 2008) sul rispetto del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni in relazione alla gravità della mancanza, non portavano a concludere per la sproporzione della sanzione applicata al fatto contestato. Ciò, sia per l'intenzionalità del comportamento, anche sotto forma di dolo eventuale, nonché per il concorso con altri colleghi e della medesima squadra di servizio.
In secondo luogo la sanzione conservativa della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni fino ad un massimo di 6 mesi, era prevista per l'ipotesi di favoreggiamento di reati commessi da altri, che è condotta meno grave della commissione diretta di un reato. Anche i fatti sanzionabili con licenziamento con preavviso, in ragione della previsione del comma 7, non potevano porsi sullo stesso piano di quelli in esame, laddove il comportamento previsto dalla norma contrattuale risultava meno grave di quello contestato al lavoratore (reato commesso in orario di servizio e utilizzando mezzi del Comune, oggetto di danneggiamento) sebbene nel caso in esame non fosse ancora intervenuta sentenza di condanna e tanto meno passata in giudicato.
La sanzione del licenziamento disciplinare senza preavviso è contemplata al comma 8 per comportamenti non più gravi di quello tenuto da Z. Giuseppe, quale la "terza recidiva nel biennio, negli ambienti di lavoro, di vie di fatto contro dipendenti o terzi, anche per motivi non attinenti al servizio" che non necessariamente implicano risvolti di responsabilità penale.
Il giudice di secondo grado richiamava, quindi, la previsione di carattere generale e il comma 9, che sanziona con il licenziamento senza preavviso anche le violazioni intenzionali degli obblighi non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, anche nei confronti di terzi, di gravità tale, in relazione ai criteri di cui al comma 1, da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro. Affermava, quindi, che il comportamento tenuto dal reclamante implicava la violazione non solo di obblighi di percezione immediata, perché aventi un innegabile rilievo penalistico riconoscibile da chiunque, ma anche strettamente legati al rapporto di lavoro, quali l'utilizzazione di mezzi di proprietà del datore di lavoro per scopi personali, il compimento di attività estranee all'ambito lavorativo in orari dedicati alla prestazione lavorativa e per la quale si viene retribuiti, in situazioni che facilmente sfuggono al controllo del datore di lavoro.
Pertanto confermava la valutazione di gravità del comportamento affermando che era stato correttamente sanzionato con il licenziamento.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando quattro motivi di ricorso.
5. Resiste il Comune di Augusta con controricorso.
6. Il Procuratore generale ha depositato le conclusioni scritte con cui ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o venga rigettato.
7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Erronea interpretazione ed applicazione delle disposizioni di cui all'art. 3 del CCNL enti locali. Violazione del principio di immutabilità della contestazione a fondamento dei motivi del licenziamento disciplinare.
Si contesta la ricostruzione operata dalla Corte d'appello che, riportandosi alle considerazioni effettuate nella sentenza resa in sede di opposizione, ha ricondotto la fattispecie in esame alle previsioni di cui all'art. 3, comma 8, lett. e), del CCNL enti locali 11 aprile 2008, e non all'art. 3, comma 5, lett. k), o al massimo all'art. 3, comma 6, lett. i), del medesimo CCNL. La condotta del lavoratore si poneva in termini differenti rispetto a quelli fatti propri dal Comune di Augusta e recepiti con la sentenza della Corte d'appello di Catania.
Dopo aver riportato la contestazione, in cui si faceva riferimento alle indagini della P.S. sulla condotta volta a commettere furto, il ricorrente rileva come nelle note e nei provvedimenti del Comune di Augusta non veniva riportata la previsione di cui all'art. 3, comma 8, lett. e), del CCNL enti locali, ma tale norma era stata posta a fondamento dell'atto di licenziamento senza preavviso e veniva considerata dal giudice del reclamo una qualificazione corretta dell'operato del dipendente.
Il licenziamento era infatti fondato sulla violazione dell'art. 55-quater, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 165 del 2001.
Vi era quindi una discrasia tra contestazione e provvedimento di licenziamento che aveva indotto la Corte d'appello a ritenere che trovasse applicazione la sanzione espulsiva e non quella conservativa. Non vi era stata alcuna sentenza di condanna, né tantomeno il passaggio in giudicato della stessa, per cui il ricorrente ancora poteva essere assolto.
Il giudice di appello aveva quindi valutato più grave il comportamento dello Z. rispetto alle ipotesi elencate dal CCNL, applicando il comma 8 senza motivare da quali elementi fosse stata desunta tale gravità e si era pronunciato oltre i casi tassativamente elencati e tipizzati dalla norma contrattuale. Il comportamento del ricorrente rientrava nelle fattispecie per cui le previsioni negoziali prevedevano la sanzione conservativa.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Erronea interpretazione ed applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Erronea interpretazione ed applicazione delle disposizioni di cui all'art. 3 del CCNL comparto enti locali ed all'art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001. Assenza di condotta sussumibile nella fattispecie del licenziamento ex art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001.
La Corte d'appello non aveva motivato sul percorso logico-giuridico in ragione del quale aveva ricondotto la condotta del ricorrente nell'ambito dell'art. 55-quater del t.u.p.i. La condotta non era idonea ad integrare la falsa attestazione in servizio. Erroneamente, era stata ritenuta la proporzionalità della sanzione, senza considerare gli elementi oggettivi e soggettivi che connotano l'intera vicenda, nonché non differenziando le condotte dei diversi soggetti interessati. Andava, altresì, considerato che la tipizzazione ex art. 55-quater non esclude che il giudice possa sindacare la proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato.
2.1. I motivi primo e secondo devono essere trattati insieme in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.
2.2. Occorre premettere che nell'art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, che disciplina le forme ed i termini del procedimento disciplinare e nell'art. 55-ter dello stesso decreto, che regola i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, non si rinviene alcuna disposizione che impone alla Pubblica Amministrazione di procedere ad autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare. Venuta meno la regola assoluta della pregiudizialità del processo penale rispetto al procedimento disciplinare e disciplinato per legge il possibile conflitto fra gli esiti dei procedimenti (art. 55-ter, ultimo comma, artt. 653 e 654 c.p.p.) nulla impedisce alla P.A. di avvalersi, per dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare, degli atti del procedimento penale (Cass. n. 5284 del 2017, n. 19183 del 2016).
Va, quindi, ribadito il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la Amministrazione datrice di lavoro è libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente (Cass. n. 21260 del 2018, n. 8410 del 2018, n. 5284 del 2017, n. 19183 del 2016, n. 758 del 2006).
2.3. La ratio decidendi della sentenza di appello è diversa da quella prospettata dal ricorrente e pertanto non è adeguatamente censurata.
Il giudice di appello, nell'effettuare il giudizio di sussunzione della condotta disciplinare nelle fattispecie di illecito disciplinare, ha affermato, con accertamento di fatto, che la condotta disciplinare che veniva in rilievo non era tipizzata ma rientrava in quella di carattere generale di cui all'art. 3, comma 9, del CCNL, ha quindi effettuato, in ragione dei principi enunciati in materia da questa Corte, il giudizio di proporzionalità, ed ha affermato la intervenuta lesione del vincolo fiduciario.
3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Mancata considerazione degli elementi suscettibili di riqualificare la condotta del lavoratore. Assenza di indicazione puntuale e specifica delle ragioni su cui si fonda la decisione.
Assume il ricorrente che il proprio operato non evidenziava i presupposti del furto e dunque non era riconducibile all'art. 8, lett. e), del CCNL enti locali, come fatto dal giudice di appello senza aspettare la decisione in sede penale. La sentenza di appello si era soffermata sul concorso tra più lavoratori di cui all'art. 3, lett. f), del CCNL, e non aveva preso in considerazione gli altri criteri generali di cui alle lett. a), b), c), d), e), e in particolare assenza di intenzionalità, mancanza di volontà di approfittamento, assenza di insubordinazione, assenza di danno all'immagine e di disservizio per la collettività, particolare tenuità del danno, ravvedimento operoso, assenza di danni a terzi, assenza di procedimenti disciplinari.
3.1. La censura è inammissibile giacché con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, il vizio di motivazione attiene ad un vizio specifico, denunciabile per cassazione solo ove relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, e quindi ad una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, ad un dato materiale la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), da denunciare nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate, come nella specie, ove si contesta la valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice del merito, chiedendone, nella sostanza, un riesame, inammissibile in sede di legittimità.
4. Con il quarto motivo di ricorso è prospettata ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro. Erronea interpretazione ed applicazione delle disposizioni di cui all'art. 55-ter del d.lgs. 165 del 2001.
La sentenza di appello si era limitata ad affermare che l'Amministrazione aveva la facoltà e non l'obbligo di sospendere il procedimento disciplinare in attesa della definizione di quello penale.
Dopo aver richiamato il contenuto della norma invocata, si deduce che nella specie la Corte d'appello non aveva valutato la diversità della condotta del ricorrente rispetto a quella di altro lavoratore responsabile delle azioni delittuose, il principio di non colpevolezza, e la mancanza degli elementi integranti reato. Il lavoratore, quindi, richiama la giurisprudenza del giudice amministrativo sulla sospensione cautelare del dipendente e di legittimità sul rapporto tra procedimento disciplinare e penale e sulle ricadute dell'assoluzione in sede penale sullo stesso già concluso. Ribadisce la riconducibilità della fattispecie all'art. 3, comma 6, lett. i), all'art. 3, comma 5, lett. k), del CCNL, e non all'art. 3, comma 8, lett. e), del medesimo CCNL.
4.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte non fondato.
Va rilevato, da un lato, che la censura si incentra su questione non esaminata dalla sentenza di appello (sospensione del disciplinare in pendenza di quello penale, posizione di altri lavoratori) e relativamente alla stessa non sono trascritti i motivi di appello, con la conseguente inammissibilità della stessa.
Dall'altro, che la utilizzabilità di atti del procedimento penale ai fini della formazione ex art. 116 c.p.c. del libero convincimento del giudice è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo la quale, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti e della loro idoneità a costituire giusta causa di licenziamento, il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, giacché la parte può sempre contestare, nell'ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale (Cass. 5317 del 2017).
5. Il ricorso va rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.