Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 23 novembre 2022, n. 10317
Presidente: Montedoro - Estensore: Ravasio
FATTO
1. In data 15 giugno 2006 V. Anna e V. Silvia ottenevano dal Comune di Roma un permesso di costruire relativo ad un villino bifamiliare sul lotto di terreno sito in Via Casale delle Pantanelle, censito al catasto terreni del Comune di Roma alla Sez. D, foglio 341, particella 939.
2. In data 16 marzo 2009 V. Anna e V. Silvia presentavano una DIA per "modeste opere edili in modifica su edificio autorizzato".
3. A seguito di un sopralluogo il dirigente dell'U.O.T. del Comune di Roma accertava la realizzazione di alcune opere difformi rispetto al permesso di costruire, descritte nei seguenti termini: "su di un edificio in corso di costruzione, costituito da due unità immobiliari, per il quale è stato rilasciato permesso di costruire n. 125 dell'8 novembre 2006, protocollo 75762/2006, sono state riscontrate le seguenti difformità: le altezze delle soffitte, di entrambe le abitazioni, che da progetto avevano un'imposta a quota zero rispetto al solaio di calpestio della soffitta stessa ed un'altezza massima all'intradosso di mt. 1,84, sono state aumentate con conseguente aumento di cubatura, precisamente al momento risulta un'altezza utile all'imposta di mt. +0,50 anziché mt. 0,00 ed all'intradosso di mt. 2,30 anziché di mt. 1,84; i locali accessori del piano terra non sono stati realizzati come previsto in progetto, in quanto negli stessi sono state realizzate delle finestre non previste ed attualmente detti locali, non conteggiati nella cubatura assentita, risultano accorpati all'abitazione (soggiorno/pranzo); nel piano interrato dell'abitazione posta a sinistra dell'ingresso, che attualmente, nonostante che i lavori relativi al permesso di costruire siano ancora in corso, risulta abitato ed utilizzato, risultano non realizzate le intercapedini previste o, comunque, alcuni tratti delle stesse hanno determinato l'aumento di superficie utile in quanto inglobate nella superficie dell'interrato. Sempre al piano interrato non risultano realizzate anche le tramezzature previste in progetto, che dividevano lo stesso piano interrato in tre ambienti distinti, destinati a due cantine e lavatoio. Risulta così in essere un unico ambiente intonacato, tinteggiato e provvisto di parquet; per entrambe le abitazioni, non risulta realizzato il muro di contenimento esterno che doveva contenere il terrapieno, avente quota da +11,30 a +12,25, atto a mantenere l'andamento del terreno come previsto in progetto e la cui non esecuzione, insieme alla mancata esecuzione del terrapieno ha reso il piano interrato fuori terra in difformità al permesso sopracitato".
4. Successivamente il Comune, con determinazione dirigenziale n. 1822 (prot. 58162) dell'8 ottobre 2010, ingiungeva la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi.
5. V. Anna e V. Silvia proponevano ricorso dinanzi al T.A.R. del Lazio avverso l'ordinanza di demolizione con separato giudizio, rubricato al n. 400/2011 R.G. e definito con sentenza di respingimento n. 6940/2015, del 13 maggio 2015.
6. In data 13 gennaio 2011 V. Anna e V. Silvia presentavano al Comune di Roma un'istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001 in relazione alle medesime opere oggetto dell'ordinanza di demolizione ed in data 15 novembre 2011 impugnavano il silenzio-rigetto dell'Amministrazione con ricorso straordinario innanzi al Capo dello Stato.
7. Con atto notificato in data 22 dicembre 2011 Roma Capitale proponeva opposizione avverso il ricorso straordinario ai sensi dell'art. 10 d.P.R. n. 1199/1971 chiedendone la trasposizione innanzi al giudice amministrativo.
8. Le ricorrenti si costituivano innanzi al T.A.R. Lazio - sede di Roma con atto notificato in data 20 gennaio 2012.
9. Roma Capitale si costituiva in giudizio insistendo per il rigetto del ricorso.
10. Nelle more del giudizio, in data 29 ottobre 2012, il Comune emanava la determinazione dirigenziale n. 894/2012 prot. 70772 di rigetto della domanda di accertamento di conformità in sanatoria.
11. Le ricorrenti impugnavano la suddetta determinazione dirigenziale con motivi aggiunti.
12. Con sentenza n. 6991/2015 del 13 maggio 2015 il T.A.R. Lazio - Sez. II-bis dichiarava improcedibile il ricorso avverso il silenzio-rigetto e respingeva il ricorso proposto tramite motivi aggiunti avverso il rigetto dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria.
13. V. Anna impugnava la suddetta pronuncia innanzi al Consiglio di Stato.
14. Roma Capitale si costituiva in giudizio per resistere al gravame.
15. La causa veniva chiamata per la discussione in occasione dell'udienza pubblica del 6 ottobre 2022, a seguito della quale veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
16. Con il primo motivo d'appello si denuncia l'erroneità della sentenza di primo grado per violazione dell'art. 36 d.P.R. 380/2001 nonché per non aver tenuto conto della deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 7 del 14 febbraio 2011.
16.1. Il T.A.R. ha ritenuto che il rigetto dell'istanza ex art. 36 d.P.R. 380/2001 fosse legittimo e sufficientemente motivato alla luce del contrasto delle opere con l'art. 6, comma 1, punto 6), del piano particolareggiato di zona O n. 66 Casale Selce "in quanto dall'esame dei grafici risulta che il volume è stato calcolato erroneamente con l'altezza reale di ml 3.00 e non con quella virtuale di ml 3.20 come previsto dall'art. 3 del sopracitato piano particolareggiato".
16.2. L'appellante sostiene che le difformità rispetto al permesso di costruire siano meramente formali e non abbiano determinato alcuna violazione degli strumenti urbanistici. Le opere, in particolare, non supererebbero la volumetria massima assentibile (363,01 mc).
16.2.1. In primo luogo, infatti, l'altezza del sottotetto sarebbe di mt. 2,20 e non 2,30, come risulta dalla verificazione disposta nel giudizio per l'annullamento dell'ordinanza di demolizione. In secondo luogo la domanda di sanatoria era corredata da un progetto che rendeva l'edificio conforme a quanto assentito ed allo strumento urbanistico vigente mediante le seguenti modifiche:
"- Punto A
Preso atto che il ripristino della quota interna della soffitta è praticamente impossibile se non demolendo e ricostruendo i solai, con enormi difficoltà sia esecutive che statiche, si propone di utilizzare la soffitta per l'alloggiamento dei serbatoi di accumulo dell'acqua calda sanitaria, proveniente dai pannelli solari termici, le pompe di ricircolo e il quadro elettrico e il serbatoio dell'acqua utilizzata a caduta per gli scarichi dei bagni, proveniente dal serbatoio di recupero delle acque di pioggia, interrato, come indicato nella presente relazione e nell'elaborato grafico allegato.
- Punto B
I locali "accessori" vengono trasferiti complessivamente all'int. B in modo da far rientrare la cubatura attuale nella cubatura assentita, come evidenziato nell'elaborato grafico allegato.
- Punto C
Si evidenzia che all'interrato è stato modificato con DIA prot. 14496 del 19 giugno 2009 il muro di contenimento e che nel rispetto della normativa vigente (art. 4 delle N.T.A. del P.R.G.) le superfici delle cantine per essere escluse dal computo della S.U.L. debbono rimanere al disotto della sagoma dell'edificio, date le loro funzioni accessorie, in quanto asservite alle unità edilizie sovrastanti. Per quanto esposto, si procede al ripristino delle cantine sotto la sagoma dell'edificio, come da progetto assentito.
- Punto D
Premesso che con atto di divisione del notaio Rizzuti n. 1925/1423 del 6 giugno 2007 si realizzava una servitù di passaggio in comune di mt. 3,5 per giungere alla parte restante del terreno, si propone una modifica ai sensi dell'art. 22, della parte esterna, spostando lateralmente le scale frontali ed eliminando l'intercapedine esterna e tramite un muretto di contenimento ripristinare l'andamento del terreno ed al contempo interrare, come da progetto, il piano cantine e ciò permette anche di adeguare l'edificio alla L. 13/89 rendendo la fruibilità dello stesso più facile.
Consistenza SUL Superficie utile lorda, complessiva (cantine, garage, residenziale, soffitte) mq. 378".
16.2.2. Tali modifiche consentirebbero di escludere le cantine dal computo della S.U.L. e della cubatura e delle altezze complessive, rendendo le opere compatibili con gli strumenti urbanistici quanto alla volumetria massima assentibile.
16.2.3. Quanto alla variazione dell'altezza delle soffitte, il progetto consentirebbe di considerare tali volumi come volumi tecnici ai sensi della deliberazione dell'Amministrazione capitolina n. 7/2011 che ha introdotto un'apposita regolamentazione in materia di risparmio energetico e fonti rinnovabili, da applicare nelle more dell'approvazione del nuovo regolamento edilizio. In particolare l'art. 48-ter introdotto dalla suddetta deliberazione prevede che siano esclusi dal calcolo della volumetria "il vano collocato sul tetto captante o nel sottotetto in quanto considerato volume tecnico perché destinato ad accogliere gli impianti, i serbatoi e le masse di accumulo per l'acqua calda ed il calore prodotto dai collettori solari. In tale volume devono essere ospitati i componenti del circuito primario dell'impianto solare termico ed i dispositivi di condizionamento della potenza dell'impianto fotovoltaico e di connessione alla rete (quadro elettrico e dispositivi di interfaccia con la rete)". In tal modo la volumetria complessiva dell'immobile sarebbe di mc. 361,00 e dunque inferiore alla cubatura massima consentita ai sensi delle N.T.A. del vigente P.R.G. di mc. 363,0. Il giudice di primo grado avrebbe ignorato tali aspetti, limitandosi ad aderire alle motivazioni espresse dall'Amministrazione nel provvedimento di rigetto.
16.2.4. Con il medesimo motivo d'appello l'appellante denuncia la contraddittorietà dell'agire amministrativo in quanto il calcolo della volumetria eseguito dal Comune in occasione dell'esame della domanda di sanatoria è basato su parametri diversi (altezza virtuale) da quelli assentiti con il permesso di costruire rilasciato nel 2006. La sanzione della demolizione, infine, sarebbe sproporzionata rispetto alla portata degli abusi.
16.3. Il motivo non è fondato.
16.3.1. Dalla documentazione in atti emerge chiaramente che la realizzazione di opere difformi rispetto a quelle previste dal permesso di costruire ha comportato un aumento di volumetria incompatibile con lo strumento urbanistico. Infatti, relativamente ai locali accessori del piano terra e del piano interrato dell'abitazione, occorre osservare che il loro computo all'interno della S.U.L. si impone in quanto dalla relazione redatta a seguito di sopralluogo emerge che tali aree sono state destinate ad abitazione ed accorpate, fisicamente, all'abitazione principale.
16.3.2. Per quanto riguarda la variazione dell'altezza del sottotetto, non risulta che tali aree siano al momento destinate ad accogliere gli impianti, i serbatoi e le masse d'accumulo per l'acqua calda ed il calore prodotto dai collettori solari, e ciò esclude che possano essere considerate come volumi tecnici.
16.3.3. A questo punto occorre rammentare che:
- "L'istituto della c.d. 'sanatoria giurisprudenziale' deve considerarsi normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento dell'abusiva trasformazione del territorio, essendo il permesso in sanatoria ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall'art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto sia della presentazione della domanda" (C.d.S., Sez. VI, 11 maggio 2022, n. 3704; cfr. anche Sez. VI, 9 settembre 2019, n. 6107);
- discende da quanto precede che il titolo in sanatoria non può contenere alcuna prescrizione, in particolare sub specie di previsione di interventi modificativi dello stato di fatto rilevato al momento dell'accertamento degli abusi, poiché un simile titolo "condizionato" postulerebbe, in contrasto con l'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, non già la "doppia conformità" delle opere abusive, ma una sorta di conformità ex post, condizionata all'esecuzione delle prescrizioni e, quindi, non esistente né al momento della realizzazione delle opere, né al tempo della presentazione della domanda di sanatoria, bensì eventualmente solo alla data futura e incerta in cui il ricorrente abbia ottemperato a tali prescrizioni.
16.3.4. Nel caso di specie l'eventuale compatibilità delle opere con la normativa sopravvenuta (art. 48-ter introdotto con la deliberazione dell'Amministrazione capitolina n. 7/2011) non sarebbe sufficiente a consentire la sanabilità delle opere, posto che la necessità di ripristinare l'originaria destinazione dei locali situati ai piani terreno e interrato del fabbricato costituiva ragione da sola sufficiente e giustificare il diniego di sanatoria.
17. Il secondo ed il terzo motivo d'appello possono essere esaminati congiuntamente.
17.1. Con il secondo motivo d'appello si contesta la statuizione con cui il T.A.R. ha ritenuto che la sanzione della demolizione fosse corretta e che non comportasse pregiudizi per l'edificio: l'appellante sostiene l'illegittimità della sanzione della demolizione in quanto le opere non sarebbero state eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire, consistendo in semplici variazioni minimali rispetto al titolo edilizio; sostiene, inoltre, che la demolizione del sottotetto comporterebbe un grave pregiudizio alla statica della parte dell'edificio eseguita in conformità al permesso di costruire, con conseguente violazione di quanto disposto dal comma 2 dell'art. 34 del d.P.R. 380/2001.
17.2. Con il terzo motivo d'appello si denuncia la violazione dell'art. 31, commi 2 e 3, d.P.R. 380/2001 nonché l'omesso esame del terzo motivo di ricorso di primo grado, a mezzo del quale le signore V. prospettavano l'eccesso di potere ed il difetto di istruttoria per non aver l'Amministrazione considerato che le stesse erano state assolte in sede penale sul presupposto che le opere abusive non necessitassero del permesso di costruire, ma solo della DIA: tale circostanza confermerebbe l'erroneità dell'applicazione della sanzione demolitoria nonché la sanabilità delle opere ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/2001. Le appellanti sostengono, inoltre, che relativamente alle difformità del sottotetto, rispetto al permesso di costruire, il giudice penale ha ritenuto tali abusi non ascrivibili alla volontà delle imputate, discendendo da ciò l'illegittimità dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime in difetto di ottemperanza all'ordinanza di demolizione, in quanto tale sanzione (a differenza di quella demolitoria) sarebbe irrogabile solo nei confronti del responsabile dell'abuso.
17.3. Le censure dianzi riportate denunciano vizi propri del solo ordine di demolizione e non rifluiscono neppure in via indiretta sul diniego di sanatoria, che costituisce l'unico provvedimento impugnato nel presente giudizio: tale constatazione conduce ad affermare che il perimetro dell'odierno giudizio - non intaccato da preclusioni processuali o procedimentali - riguarda solo il diniego di sanatoria.
17.4. Per quanto riguarda l'ordine di demolizione, che risale al 2009, si deve poi ricordare che esso è stato impugnato in separato giudizio, definito - come già precisato - con la sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 6940/2015, del 13 maggio 2015, passata in giudicato per mancata impugnazione, che ha respinto il ricorso. Consegue da ciò che l'ordine di demolizione costituisce, ormai, un provvedimento consolidato, la cui legittimità non può più essere messa in discussione in sede giurisdizionale, dal momento che - anche a prescindere dalla tardività con cui le censure di che trattasi sono state sollevate, rispetto al momento dell'adozione dell'ordine di demolizione - il passaggio in giudicato della sentenza del T.A.R. del Lazio n. 6940/2015 ha determinato la consumazione dei mezzi di impugnazione esperibili avverso tale provvedimento.
17.5. Segue da quanto sopra che le censure in esame debbono ritenersi inammissibili, atteso che nessun effetto utile potrebbe conseguire l'appellante da una eventuale statuizione sulle medesime, statuizione che, per quanto dianzi precisato, non sarebbe idonea a produrre effetti conformativi.
17.6. Una simile statuizione costituirebbe, allora, un mero obiter dictum utile solo a sollecitare l'esercizio di poteri di autotutela, ma sarebbe allora pronunciata in violazione dell'art. 34, comma 2, c.p.a., che vieta al Giudice amministrativo di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati (nel prosieguo dell'azione amministrativa potranno apprezzarsi i profili relativi al pregiudizio alla statica dell'edificio derivanti dall'esecuzione della demolizione).
18. L'appello, conclusivamente, deve essere respinto, in parte perché infondato, in parte perché inammissibile.
19. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna le appellanti al pagamento, in favore di Roma Capitale, delle spese relative al presente giudizio, che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.