Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 30 maggio 2022, n. 4310
Presidente: Poli - Estensore: De Carlo
FATTO E DIRITTO
1. L'oggetto del presente giudizio è costituito:
a) dalla delibera consiliare n. 38 del 8 novembre 2012 che ha operato la rideterminazione delle voci relative agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione, da ultimo in attuazione della l.r. Puglia n. 1 del 2007 (art. 2) e delle delibere della Giunta regionale applicative (in particolare nn. 2268 del 2008 e 2081 del 2009), dando atto dell'omesso adeguamento, nel tempo, di tali voci e della obbligatorietà del recupero, a mente dell'art. 16, commi 6 e 9, t.u. edilizia;
b) dalla determinazione del Comune di Matino 19 marzo 2012 n. 6867, recante il conguaglio del contributo di costruzione, relativamente ai titoli edilizi nn. 30/2007 e 7/2008 (in variante del precedente) - rilasciati in favore del signor Carmine Tonino P. per la realizzazione di una abitazione rurale ed annesso locale artigianale ad uso autolavaggio, in via Caserta, località "Spalla" - determinato nella misura di euro 10.006,24, in forza della delibera consiliare n. 38 del 8 novembre 2012;
c) dalla successiva determinazione comunale 4 settembre 2013 n. 4479, recante la rideterminazione in riduzione del conguaglio per un importo di euro 8.734,23.
2. Il signor P. ha impugnato i sopra descritti atti con ricorso principale (affidato ad un unico complesso motivo esteso da pagina 4 a pagina 8 del ricorso) e motivi aggiunti (affidati ad una sola censura di invalidità derivata estesa da pagina 3 a pagina 6).
2.1. Il motivo del ricorso principale lamenta l'illegittima rideterminazione retroattiva del costo di costruzione che finisce per addossare al privato, dopo il rilascio del titolo edilizio, spese supplementari derivanti dal meccanismo di legale adeguamento degli oneri concessori, tanto in contrasto con l'art. 16 d.P.R. n. 380 del 2001 e con i principi in tema di autotutela.
3. L'impugnata sentenza - T.A.R. per la Puglia, Lecce, Sez. III, n. 2244 del 19 dicembre 2014 -:
a) ha accolto sia il ricorso principale che i motivi aggiunti annullando gli atti impugnati;
b) ha compensato fra le parti le spese di lite.
4. Il Comune di Matino ha interposto appello sviluppando un unico complesso mezzo di gravame (esteso da pagina 3 a pagina 11 del ricorso) sottolineando innanzitutto che, in sede di rilascio all'appellato di entrambi i titoli concessori, gli oneri erano stati determinati in via provvisoria con possibilità di successivo conguaglio. Nel contestare la decisione impugnata, ha fatto inoltre riferimento alla consolidata giurisprudenza in tema di interpretazione del dettato dell'art. 16 d.P.R. n. 380 del 2001. Ha, poi, aggiunto che analoghe considerazioni potevano farsi in relazione al conguaglio per il costo di costruzione ed ha evidenziato come l'impugnata delibera n. 38 del 2012 avesse illustrato tutti i riferimenti in virtù dei quali si era giunti all'aggiornata quantificazione degli oneri concessori. Da ciò derivava la doverosità del recupero del conguaglio, a suo tempo ipotizzato, così come il recupero in autotutela di quanto non escusso a causa del mancato aggiornamento Istat.
5. Si è costituito l'intimato per resistere in data 7 luglio 2020.
6. Le parti hanno depositato memorie difensive rispettivamente in data 9 giugno 2021 (il Comune) e in data 26 maggio 2021 (l'intimato).
7. All'udienza pubblica del 19 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
8. L'appello è fondato e deve essere accolto.
9. La condotta del Comune - nell'istruire i procedimenti edilizi cui si riferiscono gli oneri la cui quantificazione è contestata, e nell'esercitare la successiva attività, dall'ente qualificata come autotutela - è pienamente rispettosa sul piano procedurale della normativa di riferimento.
9.1. In occasione della concessione dei due permessi di costruire (il primo in data 23 marzo 2007 ed il secondo come variante in data 21 febbraio 2008) il Comune ha sempre precisato che la determinazione degli oneri concessori era provvisoria e suscettibile di conguaglio. Inoltre in occasione del rilascio del permesso in variante ha scontato il regime del contributo di costruzione del permesso di costruire cui accede.
Successivamente, con la deliberazione del Consiglio comunale n. 38 del 2012, il Comune ha provveduto ad aggiornare le tabelle parametriche relative alla quota di contributo commisurata all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, in applicazione dell'art. 16 citato, ed ha dato mandato al funzionario competente di procedere nei confronti dei titolari dei permessi di costruire già rilasciati, a partire dal 2007 alla data di esecutività della stessa delibera, per il recupero delle differenze tra quanto effettivamente riscosso per oneri di urbanizzazione, costo di costruzione e monetizzazione per mancata cessione di aree e quanto invece dovuto in applicazione della normativa vigente ratione temporis.
9.2. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso senza tenere conto dell'orientamento giurisprudenziale - invero formatosi dopo il deposito della pronuncia del T.A.R. - cristallizzato a seguito della nota sentenza dell'Adunanza plenaria n. 12 del 2018 che legittima in pieno l'operato del Comune.
9.3. La doverosità del conguaglio riposa anche sugli argomenti da ultimo spesi dalla sentenza n. 64 del 2020 della Corte costituzionale che, chiamata a valutare la legittimità di una norma della Regione Veneto in subiecta materia, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 2, comma 3, della l.r. Veneto n. 4 del 2015, perché, non consentendo la richiesta di conguaglio ai Comuni che avevano liquidato un importo inferiore all'atto del rilascio del titolo, "esclude che la quota del costo di costruzione sia determinata in base ai parametri fissati dall'art. 16, comma 9, del t.u. edilizia in relazione a fattispecie che ne avrebbero prevista la necessaria applicazione".
Il Consiglio di Stato, con la menzionata sentenza n. 12 del 2018 dell'Adunanza plenaria, ha fissato alcuni principi di diritto rilevanti in questa sede: "Gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell'autotutela dettata dall'art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio. La pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l'importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un'azione di mero accertamento".
La stessa sentenza ha sottolineato che la tutela della buona fede deriva dalla predeterminazione e dall'oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione cosicché il privato può conoscere in anticipo l'entità degli oneri cui andrà incontro ivi compresa la possibile correzione che potrà accadere per l'aggiornamento dei parametri di legge non sempre tempestiva da parte dei Comuni; sul punto la citata sentenza dell'Adunanza plenaria ha ulteriormente sancito che: "quanto alle regole privatistiche concretamente applicabili al rapporto obbligatorio di cui si discute, ai sensi dell'art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ritiene che la disciplina dell'errore riconoscibile, di cui all'art. 1431 c.c., non sia applicabile all'atto con il quale la pubblica amministrazione ridetermini l'importo del contributo ben potendosi ipotizzare che l'eventuale errore dell'Amministrazione sia riconoscibile dal privato che invece con l'ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllare l'esattezza delle operazioni di calcolo sin dal primo atto di loro determinazione".
9.4. Da ultimo vi è un recente precedente della sezione (sentenza n. 4134 del 2020), che ribadisce l'orientamento appena illustrato.
Il Comune, nel caso di specie, aveva preannunciato che ci sarebbe potuto essere un conguaglio dovuto all'aggiornamento ex lege di alcuni parametri, e la delibera da cui è scaturito il conguaglio contestato dà atto di come fossero risalenti le precedenti delibere che fissavano i criteri con cui calcolare costo di costruzione e oneri di urbanizzazione, indicando i nuovi parametri. L'atto consiliare si conclude anche con l'affidamento al Responsabile del Settore Servizi alla Città del compito di procedere in autotutela. Il riferimento all'autotutela è improprio, come risulta dalla massima della sentenza 12 del 2018 dell'Adunanza plenaria, ma comunque l'attività di conguaglio del funzionario è pienamente legittima.
9.5. Pertanto, rispetto alle censure espresse in primo grado dall'appellato e condivise almeno in parte dalla sentenza impugnata, è erroneo, con riferimento alla rideterminazione successiva, citare l'istituto dell'autotutela o quello del divieto di retroattività degli atti amministrativi, proprio perché il rapporto obbligatorio fra privato ed Amministrazione avente ad oggetto la corresponsione del contributo ha natura paritetica e non coinvolge l'esercizio di poteri autoritativi; la rideterminazione della misura del contributo può essere operata anche a distanza di tempo dal rilascio del titolo e dall'iniziale quantificazione (purché entro il termine di prescrizione), allorquando l'ente si avveda dell'erroneità dell'iniziale calcolo, ovvero, come nel caso in esame, per l'adeguamento di parametri non aggiornati, con l'ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti del tutto diversi, successivamente introdotti perché non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato.
10. Le spese di giudizio possono essere compensate poiché all'epoca della presentazione del ricorso di primo grado l'indirizzo giurisprudenziale non si era consolidato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate di ambedue i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.