Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 31 marzo 2022, n. 18264
Presidente: Mantovano - Estensore: Minutillo Turtur
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 5 novembre 2021 la Corte di appello di Milano confermava il decreto del Tribunale di Milano con il quale era stata applicata allo stesso la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni due e mesi sei, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e divieto di accesso allo stadio e ai luoghi limitrofi entro il raggio di 2000 metri durante le manifestazioni sportive.
2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso il B. proponendo un unico motivo di ricorso con il quale è stata dedotta violazione di legge in relazione all'art. 8 del d.lgs. n. 159 del 2011; la prescrizione integrativa di non accedere allo stadio San Siro in Milano durante lo svolgimento di qualsiasi manifestazione sportiva, mantenendosi comunque ad almeno 2000 metri di distanza, è in violazione della previsione di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 159 del 2011, atteso che lo stadio, se il divieto deve essere inteso ai sensi del comma 4, non è qualificabile come esercizio pubblico, né come locale di pubblico trattenimento, anche ai sensi dell'art. 80 t.u.l.p.s.; di fatto la formulazione del divieto finisce per irrogare la diversa sanzione del DASPO e, dunque, il divieto di accesso alle manifestazioni sportive regolato dalla l. n. 401 del 1989.
3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga accolto perché fondato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo è infondato, il ricorso deve dunque essere rigettato.
2. Il B. nel proporre il motivo di ricorso non si è confrontato con le ragioni addotte dalla Corte di appello - che ha motivatamente riscontrato, anche richiamando la puntuale valutazione del Tribunale, non solo la ricorrenza degli elementi per l'applicazione della misura [di] prevenzione (evidenziando una serie di elementi univoci, con lettura approfondita e logica), ma anche la piena legittimità delle prescrizioni ulteriori correlate all'ormai definitivo giudizio di pericolosità - manifestando nella sostanza un mero dissenso valutativo, senza realmente allegare elementi indicativi della violazione di legge lamentata.
3. Il ricorrente non si confronta, dunque, con il costante orientamento di questa Corte che ha affermato il principio, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, ove singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. 2, n. 20968 del 6 luglio 2020, Noviello, Rv. 279435-01; Sez. 6, n. 21525 del 18 giugno 2020, Mulè, Rv. 279284-01; Sez. 1, n. 6636 del 7 gennaio 2016, Pandico, Rv. 266365-01; Sez. 6, n. 33705 del 15 giugno 2016, Caliendo, Rv. 270080-01; Sez. un., n. 33451 del 29 maggio 2014, Repaci, Rv. 260246-01).
4. In tal senso occorre considerare come il decreto impugnato abbia specificamente evidenziato, con motivazione congrua, approfondita e logicamente articolata, la definitività del giudizio concernente l'oggettiva ricorrenza di profili di pericolosità sociale del B. per le plurime manifestazioni di condotta illecita, ripetuta nel tempo, direttamente incidenti sul bene sicurezza pubblica, con emersione di un atteggiamento poco incline al rispetto delle disposizioni normative relative al vivere civile. Sono poi state adeguatamente considerate le censure, riproposte in modo sostanzialmente identico in questa sede, quanto alle prescrizioni accessorie irrogate ai sensi dell'art. 8.
5. La Corte di appello ha specificato, con particolare riferimento alla prescrizione di non accedere allo stadio e di mantenersi a distanza dallo stesso durante le manifestazioni sportive, che erano stati oggettivamente riscontrati una serie di elementi, a valenza assolutamente rilevante in ordine al pericolo per la pubblica sicurezza, derivanti dalle condotte tenute dal B. che, anche durante il periodo di emergenza sanitaria nell'anno 2020, aveva partecipato a manifestazioni non preannunciate e caratterizzate da particolare agitazione e aggressività, realizzando assembramenti non consentiti e direttamente connessi all'attività della tifoseria organizzata alla quale appartiene il B. È stata inoltre considerata la costanza dell'attività illecita dallo stesso posta in essere nonostante fosse stato da poco scarcerato, essendo stato il B. fermato e controllato con esito positivo. Difatti, ad esito del controllo predetto, il ricorrente era stato trovato in possesso di una vettura rubata, all'interno della quale si trovavano, nella sua evidente disponibilità, una pistola priva di matricola, alcune cartucce, uno storditore elettrico, un coltello di grosse dimensioni, due manette e una pettorina con la scritta Guardia di Finanza, tutti elementi significativi non solo della possibilità di commettere reati contro la persona, ma anche suscettibili di avere ripercussioni sull'azione delle tifoserie di cui è parte in funzione antagonista nei confronti della tifoseria avversaria. In sostanza, la Corte di appello ha ricostruito la particolare pervicacia e indifferenza del ricorrente rispetto alle regole di condotta del vivere civile, correlate puntualmente, nel determinare le prescrizioni accessorie, ai diversi rilievi e precedenti riferibili al B.: soggetto condannato per gravi reati nei confronti della persona; fortemente legato a personaggi di spicco della delinquenza organizzata di stampo mafioso; con ruolo centrale nella tifoseria di riferimento mediante azioni aggressive e in violazione anche delle norme previste durante lo stato di emergenza da Covid-19; caratterizzato da evidente incapacità di mutare condotta, nonostante i lunghi periodi di detenzione subita. Né si può ritenere che, eventualmente, solo i comportamenti verificati giudizialmente possano rilevare ed essere presi in considerazione a supporto del giudizio di pericolosità al fine di legittimare la proposta ed applicazione della misura di prevenzione. Questa Corte ha, difatti, costantemente affermato che il giudice della prevenzione non è vincolato all'esistenza di un giudizio penale ed è invece legittimato, in applicazione del principio di autonomia del giudizio di prevenzione, ribadito in occasione dell'introduzione del codice antimafia (artt. 28 e 29 del d.lgs. n. 159 del 2011), a ricostruire autonomamente, anche in assenza di un procedimento penale correlato, gli episodi concreti significativi della pericolosità del proposto (Sez. 6, n. 32903 del 22 giugno 2021, Marcucci, Rv. 281842-01; Sez. 1, n. 36080 dell'11 settembre 2020, Cavazza, Rv. 280207-01). In tal senso si deve ricordare che secondo gli orientamenti più recenti di questa Corte solo ed esclusivamente in presenza di una sentenza definitiva di assoluzione, con formula piena, è impedito al giudice della prevenzione di prendere in considerazione come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità un fatto escluso irrevocabilmente in sede penale (Sez. 5, n. 182 del 30 novembre 2020, Zangrillo, Rv. 280145-01; Sez. 2, n. 33533 del 25 giugno 2021, Avorio, Rv. 281862-01), mentre il giudice, attesa l'autonomia tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, può valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un'affermazione di pericolosità, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti - nel merito o per preclusioni processuali - per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità. I principi appena richiamati evidenziano, a maggior ragione, come un giudizio di pericolosità, ove correttamente motivato e chiarito nella sua portata dal giudice della prevenzione, può prescindere dall'esito della vicenda in sede penale quando non sia esclusa irrevocabilmente e con assoluta certezza, con sentenza passata in giudicato, la responsabilità penale del proposto (Sez. 2, n. 31549 del 6 giugno 2019, Simply soc. coop., Rv. 277225-05), sicché anche l'eventuale assoluzione, attesa la diversità dei presupposti del procedimento di prevenzione, non ostacola l'applicazione della misura di prevenzione, sempre che il fatto considerato dalle due situazioni processuali non sia stato escluso nella sua ontologica sussistenza da parte del giudice penale (Sez. 5, n. 48090 dell'8 ottobre 2019, Rv. 277908-01; Sez. 2, n. 11846 del 19 gennaio 2018, Carnovale, Rv. 272496-01).
Le conclusioni della giurisprudenza di legittimità su questo tema hanno trovato autorevole avallo nella sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale che ha precisato che il requisito della pericolosità per la sicurezza pubblica del destinatario delle misure di prevenzione personali accomuna le stesse alle misure di sicurezza disciplinate dal codice penale, dalle quali tuttavia le prime si differenziano in quanto non presuppongono l'instaurarsi di un processo penale nei confronti del soggetto proposto. È, dunque, sufficiente che l'attività oggetto di considerazione in sede di prevenzione risulti da evidenze che la legge indica ora come elementi di fatto e più spesso come indizi, da vagliare da parte del Tribunale nell'ambito di un procedimento retto da regole probatorie e di giudizio diverse da quelle proprie dei procedimenti penali.
Nel caso concreto, la Corte di appello, con motivazione approfondita, articolata, del tutto priva di aporie e illogicità, ha evidenziato una pluralità di elementi univoci e consistenti a carico del B., che giustificano la compiuta sottoposizione dello stesso al regime di prevenzione. In particolare sono state considerate plurime decisioni giurisdizionali, alcune delle quali definitive, indicative della dedizione del ricorrente ad attività illecite, oltre ai comportamenti, decisamente rilevanti, tenuti dallo stesso in epoca recente. Con tale motivazione ampia, accurata e del tutto logica nella sua articolazione, il ricorrente non si è confrontato.
6. Ciò posto, si deve rilevare come la Corte di appello abbia fatto buon governo dei principi esplicitati dalle Sez. un., n. 46595 del 28 marzo 2019, Acquaviva, Rv. 277007-01. Le Sezioni unite, infatti, dopo aver precisato il campo di azione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni (tema neanche considerato in ricorso, atteso che il ricorso si è concentrato sul concetto di esercizio pubblico e locale di pubblico trattenimento, decisamente eccentrico rispetto al caso esaminato dalla Corte di appello di Milano), hanno evidenziato che effettivamente tale prescrizione non riguarda gli stadi, atteso che gli stessi debbono essere intesi come luoghi aperti al pubblico, ma ha anche molto chiaramente precisato che, ove ricorra una effettiva e puntuale motivazione, a prescindere dalla disciplina applicabile a casi particolari di cui alla l. 401 del 1989, comunque permane la possibilità per il giudice di prevenzione di imporre tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale ai sensi dell'art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011. In tal senso si è chiarito che tale previsione "deve essere valorizzata in quanto permette al giudice della prevenzione di dettare prescrizioni specifiche con una motivazione adeguata che le giustifichi alla luce della pericolosità del soggetto e dei conseguenti pericoli per la società", sicché "quando ciò sia giustificato la prescrizione aggiuntiva potrebbe riguardare anche la partecipazione a riunioni che non sono pubbliche riunioni nel significato ristretto che in questa sede è stato attribuito all'espressione". In tal senso, si è evidenziato come "il ricorso alle prescrizioni facoltative di cui all'art. 8, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011 ha il vantaggio di configurare la misura di prevenzione in maniera personalizzata sul soggetto, tenendo conto dei motivi che la giustificano; inoltre permette un contradditorio pieno già in sede di applicazione della misura, con le impugnazioni previste". Ed è esattamente quello che è accaduto nel caso in esame, dove la Corte di appello, tenuto conto di plurimi elementi, che non possono essere identificati con i presupposti di applicazione del c.d. DASPO ai sensi della l. n. 401 del 1989, ha puntualmente configurato la misura di prevenzione a carico del B., rendendola personalizzata in considerazione delle caratteristiche e degli elementi oggettivi acquisiti a carico del ricorrente. Il giudice della prevenzione ha, dunque, la possibilità di determinare concreti elementi di fatto che concorrono a delineare la misura di prevenzione imposta, mediante le prescrizioni specifiche di cui l'art. 8 consente l'indicazione, proprio al fine di garantire l'effettività della tutela preventiva, onde scongiurare la commissione di futuri reati. Da ciò consegue che la prescrizione deve essere sostanzialmente funzionale alla misura, impedendo che ne sia vanificata la forza con un sostanziale annullamento di fatto della stessa. In tal senso permane l'attualità delle indicazioni fornite dalla Corte cost. con la sentenza n. 27 del 1959 secondo la quale occorre calibrare sulla pericolosità del soggetto le singole prescrizioni, realizzando così un sottosistema finalizzato alla tutela della pubblica sicurezza calibrato ad personam.
7. Non coglie conseguentemente nel segno il richiamo contenuto nell'ambito del motivo di ricorso alla disciplina di cui alla l. n. 401 del 1989, atteso che la prescrizione accessoria imposta si basa su una serie di elementi estremamente significativi, ad ampio spettro, quanto alla pericolosità del B., tra l'altro ampiamente riscontrati dai recenti accertamenti e dalla disponibilità di armi, per cui appare evidente come la limitazione sia funzionale rispetto ad una più articolata, complessa e completa, prospettiva di sicurezza correlata alle caratteristiche di vita del B. e non solo in considerazione della qualità di soggetto dedito alla commissione di reati in occasione o a causa dello svolgimento della manifestazione sportiva, come invece previsto dalla l. n. 401 del 1989. Si tratta all'evidenza di ambiti applicativi del tutto distinti (rappresentando il DASPO una misura amministrativa di polizia con rigida tassatività delle ipotesi previste nell'ambito dell'art. 6), come specificamente evidenziato dalla Corte di appello con la sua motivazione ampia, chiara, logicamente articolata e del tutto priva di aporie.
8. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 6 maggio 2022.