Consiglio di Stato
Sezione II
Sentenza 25 maggio 2022, n. 4195

Presidente: Luttazi - Estensore: Manzione

FATTO

1. Con appello n.r.g. 2090 del 2022 la signora Costanza Maria Bendinelli, presentatasi come candidato nelle elezioni del 3 e 4 ottobre 2021 del Consiglio del Quartiere San Donato-San Vitale del Comune di Bologna per la lista "Berlusconi per Bologna", impugna la sentenza in epigrafe meglio indicata, con la quale è stato accolto il ricorso proposto dal signor Stefano Cimato, candidato per la lista "Potere al popolo" nelle medesime elezioni, e conseguentemente corretto il verbale delle operazioni dell'Ufficio centrale circoscrizionale, proclamando eletto quest'ultimo. Con la sentenza appellata il T.A.R. per l'Emilia-Romagna ha qualificato quello commesso dall'Ufficio centrale circoscrizionale all'uopo incaricato un errore «macroscopico», nonché «un'evidente svista», che avrebbero comportato la mancata attribuzione alla lista "Potere al popolo" del seggio che le spettava in ragione della maggior cifra elettorale conseguita (1.418 voti), assegnandolo invece alla lista "Berlusconi per Bologna" - e per essa alla candidata Bendinelli - che ne aveva riportati solo 1.235. Alle elezioni dei Consigli di Quartiere, infatti, non si applica la regola prevista dall'art. 73, comma 7, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u.e.l.) che fissa una soglia di sbarramento al 3 per cento dei voti validi nel primo turno per accedere all'assegnazione di seggi. Ciò in assenza di esplicita previsione in tal senso da parte del singolo Comune.

1.1. L'appellante ha in primo luogo eccepito la nullità della sentenza di prime cure, non avendo il ricorrente evocato in giudizio l'Ufficio circoscrizionale elettorale, ovvero l'amministrazione che ha in concreto adottato l'atto, come tale unica titolare di legittimazione passiva in grado di difendere le ragioni dell'asserito "errore", per giunta considerato addirittura "grossolano", commesso. Nel merito, ne ha difeso la scelta ermeneutica, che troverebbe fondamento proprio nell'art. 73, comma 7, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che il Tribunale adito ha ritenuto inapplicabile al caso di specie. Tenuto conto, dunque, che non è consentita l'assegnazione di seggi a «quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3 per cento dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbiano superato tale soglia», la lista "Potere al popolo" non poteva accedere al Consiglio circoscrizionale, avendo riportato sull'intero territorio comunale il 2,29% (a fronte del 3,79% della lista "Berlusconi per Bologna") e nell'ambito del Quartiere San Donato-San Vitale il 2,51% dei voti validi (mentre la lista contrapposta aveva ottenuto il 3,34%). Con un autonomo motivo di gravame ha altresì censurato la condanna alle spese (pari ad euro 3.000 a suo carico) stante la sua estraneità all'eventuale errore commesso dall'Ufficio centrale circoscrizionale.

1.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Bologna con memoria in controdeduzione, chiedendo la riunione del fascicolo n.r.g. 2090 del 2022, ad altro, n.r.g. 1683 del 2022, avente ad oggetto il proprio autonomo gravame avverso la medesima sentenza per ottenerne la riforma limitatamente al capo con il quale anche l'ente territoriale è stato condannato al pagamento delle spese di giustizia (egualmente per euro 3.000).

1.3. In data 22 aprile 2022 la signora Costanza Maria Bendinelli ha riferito talune sopravvenienze fattuali, documentandole mediante produzione di articolo di stampa, che a suo dire farebbero venire meno la legittimazione del ricorrente in primo grado: egli, dunque, in quanto debitore del Comune di Bologna nella sua veste di presidente dell'Associazione culturale "Vecchio Son", versava in una condizione di incandidabilità, prima e oltre che di ineleggibilità, tant'è che all'esito del giudizio di primo grado ha rinunciato al seggio a favore di altra candidata, che gli è subentrata nel Consiglio di Quartiere.

2. Con ricorso n.r.g. 1683 del 2022 il Comune di Bologna ha evidenziato la propria mancata presa di posizione tra le contrapposte interpretazioni dei due candidati, sicché se da un lato esso è stato correttamente individuato quale legittimato passivo nella controversia, in quanto soggetto su cui ricadono gli effetti sostanziali del procedimento elettorale, dall'altro non ne sarebbe corretto il coinvolgimento nelle spese di giudizio.

3. Le cause sono state trattate all'udienza pubblica del 3 maggio 2022, in vista della quale la difesa civica ha chiesto il passaggio in giudicato senza discussione orale, e trattenute in decisione.

DIRITTO

4. In via preliminare il Collegio dispone la riunione degli appelli n.r.g. 2090 del 2022 e n.r.g. 1683 del 2022, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. essendo gli stessi riferiti alla medesima sentenza del T.A.R. per l'Emilia-Romagna, n. 186 del 2022.

5. Sempre in via preliminare, il Collegio respinge entrambe le eccezioni di inammissibilità sollevate dall'appellante, una delle quali sub specie di primo motivo di gravame.

5.1. Ai fini della correttezza della pronuncia di primo grado non rileva, infatti, la mancata evocazione in giudizio dell'Ufficio centrale circoscrizionale. È sicuramente ancora attuale in proposito quanto chiarito dall'Adunanza plenaria n. 7 del 1979, la quale ha affermato che nei giudizi elettorali avanti al giudice amministrativo, l'individuazione della p.a. cui spetta la qualità di parte necessaria va effettuata in base non già al criterio dell'imputazione formale degli atti contestati, bensì in base a quello dell'imputazione sostanziale degli effetti, cioè dei risultati della consultazione elettorale, con la conseguenza che nel caso di elezione degli organi comunali, la parte necessaria è il Comune e non l'amministrazione statale cui appartengono gli organi temporanei preposti ad accertare e dichiarare i risultati della consultazione. Per giurisprudenza consolidata conseguitane, dunque, «la legittimazione passiva è riconducibile, in tal caso, solo all'ente locale interessato, il quale si appropria del risultato elettorale e vede riverberarsi su di sé gli effetti dell'annullamento o della conferma della proclamazione degli eletti» (cfr., tra le tante, C.d.S., Sez. V, 19 giugno 2012, n. 3557; Sez. III, 20 giugno 2017, n. 2995).

5.2. Quanto alla asserita mancanza di legittimazione attiva del ricorrente in primo grado, la situazione di incandidabilità non risulta affatto provata, stante che la presunta situazione debitoria dello stesso nei confronti del Comune di Bologna non può certo desumersi dalla circostanza che egli abbia in un secondo momento inteso rinunciare al seggio, in assenza di qualsivoglia rilievo formale da parte del Comune di Bologna stesso.

6. Nel merito, l'appello n.r.g. 2090 del 2022 è infondato, e va pertanto confermata la sentenza impugnata, seppure con le integrazioni motivazionali che seguono.

7. La questione dedotta in giudizio, dunque, è se debba trovare applicazione alle consultazioni elettorali circoscrizionali, che per quanto qui di interesse sono quelle del 3 e 4 ottobre 2021, la disposizione di cui all'art. 73, comma 7, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, a norma del quale «non sono ammesse all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3% dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia». Essa si palesa tutt'affatto semplice, in particolare alla luce della stratificazione normativa pregressa della materia.

7.1. Va infatti ricordato che analoga disposizione era stata anticipata con l'introduzione nella l. 25 marzo 1993, n. 81, recante «Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale», dell'art. 7-bis (ad opera dell'art. 5 della l. 30 aprile 1999, n. 120), che recava: «Non sono ammesse all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3 per cento dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia». L'art. 10, comma 3, della medesima legge, quanto all'elezione dei consigli circoscrizionali, prevedeva che «fino all'approvazione delle modifiche statutarie conseguenti, ai sensi dell'articolo 33 della presente legge, si applicano le norme per l'elezione dei consigli nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti». Tale affermazione risultava sostanzialmente confermativa, salvo elevazione del limite demografico, della regola, statuita nell'ordinamento degli enti locali vigente ratione temporis, in forza della quale il Consiglio circoscrizionale «è eletto a suffragio diretto secondo le norme stabilite per l'elezione dei consigli comunali con popolazione superiore a 5.000 abitanti» (art. 13, comma 4, della l. 8 giugno 1990, n. 142). Nell'art. 33 della l. n. 81 del 1993, infine, con disposizione generale, si prescriveva che «i comuni e le province adeguano il proprio statuto alle nuove disposizioni entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Decorso tale periodo le norme statutarie in contrasto con la presente legge sono da considerarsi prive di ogni effetto». È evidente dunque che per discostarsi dalle regole sulla elezione dei consigli comunali, ivi compresa quella sulla soglia di sbarramento, si rendeva necessaria una modifica statutaria, in assenza della quale essa avrebbe trovato automatica applicazione.

8. Con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 267 del 2000, la disciplina delle circoscrizioni di decentramento comunale è stata interamente riscritta, demandando in toto l'individuazione delle «forme» di elezione allo statuto e al regolamento (art. 17, comma 4). Solo laddove si prevede la facoltà di ampliare le forme di decentramento e autonomia organizzativa e funzionale, ovvero limitatamente ai comuni con popolazione superiore ai 300.000 abitanti, la norma rinvia espressamente alle disposizioni di cui all'art. 73, commi 1 e 3, ma con riferimento ai principi di parità di accesso delle donne e degli uomini alle cariche elettive. Da qui la correttezza della ricostruzione del primo giudice che, in assenza di una chiara ed esplicita previsione della soglia di sbarramento anche per candidature ai consigli di quartiere, non ha ritenuto applicabile quella oggi prevista espressamente solo per i consigli comunali.

9. Vero è che il combinato disposto degli artt. 273 e 274 del t.u.e.l., nell'abrogare la previsione di cui all'art. 7-bis della l. n. 81 del 1993, trasfusa nell'art. 73, comma 7, proprio con riferimento ai consigli circoscrizionali, ha fatto salve le previsioni dei citati artt. 10, comma 3, e 33, di fatto operando una sorta di rimessione in termini per gli adeguamenti statutari. L'art. 273, in particolare, ha nuovamente previsto che in assenza di modifiche statutarie, da adottare entro un anno dall'entrata in vigore del t.u.e.l. (in passato, entro un anno dall'entrata in vigore della l. n. 81 del 1993), trovino applicazione le regole generali.

Rileva tuttavia il Collegio come tali regole si siano oggi sostanzialmente invertite, nel senso che in assenza di indicazioni ovvero di espliciti richiami al sistema elettorale previsto per i Consigli comunali, non esistendo nel t.u.e.l. una regola analoga a quella un tempo contenuta nell'art. 13 della l. n. 142 del 1990, non sia possibile estendere in via interpretativa restrizioni all'accesso agli organi rappresentativi del territorio che l'autonomia organizzativa del Comune non ha inteso prevedere. In sintesi, in passato la norma, introdotta, come già ricostruito, dalla l. 30 aprile 1999, n. 120, attraverso l'aggiunta di un art. 7-bis dopo l'art. 7 della l. n. 81 del 1993, decorso il termine per l'adeguamento degli statuti, comportava l'applicazione della nuova disciplina relativa all'elezione dei consigli nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti in via suppletiva, soltanto per quelli che nel frattempo non avevano provveduto a dotarsi di propria normativa. L'estensione ai consigli circoscrizionali della soglia di sbarramento derivava dunque dall'automatico rinvio alle regole sulla elezione dei consigli comunali contenuti nella normativa generale. Venuto meno tale rinvio, in assenza di previsione statutaria o regolamentare, ridetto automatismo non è più ipotizzabile.

10. D'altro canto, lo stesso testo unico, con l'art. 274, lett. cc), ha espressamente abrogato la l. n. 81 del 1993 quanto agli articoli trasfusi nel testo unico, tra i quali il citato 7-bis che fissa la soglia di sbarramento al 3% dei voti validi. Si è in tal modo scisso il rapporto formale tra la l. n. 81/1993, ormai abrogata, e «quanto previsto» dai suoi artt. 10, comma 3, e 33, vale a dire tra quella legge e la normativa sostanziale recata dalle disposizioni ora dette. Sicché la norma di adeguamento statutario, di cui all'art. 33, e quella d'introduzione surrogatoria della disciplina relativa all'elezione dei consigli nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, per l'elezione dei consigli circoscrizionali, di cui all'art. 10, comma 3, non possono che essere riferite alla nuova fonte costituita dal testo unico del 2000. Ciò significa anche, essendo il quadro normativo ormai stabilizzato per l'avvenuta adozione di autonoma disciplina da parte dei Comuni o per la loro decadenza dalla facoltà di provvedere al riguardo, che la conferma del contenuto normativo delle suddette disposizioni si risolve, mutato uno dei termini della relazione, nella necessità di rinnovazione esplicita del loro precetto.

11. Chiarito quanto sopra, occorre ora valutare se lo statuto del Comune di Bologna e il relativo regolamento contengono regole chiare nel senso della previsione della soglia di sbarramento, anche mediante rinvio per relationem alla disciplina prevista in merito per le elezioni dei consigli comunali.

11.1. La risposta si palesa negativa.

Rileva il Collegio come la stessa appellante non individui affatto tale specifica previsione, limitandosi ad una ricostruzione della disciplina del decentramento contenuta nello statuto (in particolare, artt. 33, 35, 36 e 37) e nel regolamento attuativo (Capi IV e V). Anche laddove è previsto un rinvio ai Consigli comunali, esso attiene piuttosto alla posizione del singolo consigliere, ovvero alle cause di incandidabilità e ineleggibilità, non alle forme di elezione dell'organo del quale va a fare parte (v. artt. 44, sull'elettorato attivo e passivo, e 45, sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità, del regolamento, pure espressamente richiamati).

11.2. Di ciò appare consapevole la stessa parte, laddove utilizza a contrariis la rilevata lacuna, ammettendo che né lo statuto, né il regolamento contengono alcuna disposizione derogatoria rispetto alle norme stabilite nel d.lgs. n. 267 del 2000: salvo inferirne la soluzione che a ciò dovrebbe automaticamente conseguire l'applicazione di (tutte) le regole previste per l'elezione del Consiglio comunale, contraddetta dall'attuale quadro normativo, per come sopra ricostruito.

12. Rileva infine il Collegio che la particolare sensibilità della materia elettorale, che attinge ai più alti principi di democrazia partecipativa garantiti dalla Costituzione, non consente di adire ad interpretazioni estensive di disposizioni che finiscono comunque per limitare l'accesso alle cariche pubbliche, laddove ciò non sia espressamente previsto dal legislatore, nazionale o territoriale.

D'altro canto, ove l'Ufficio circoscrizionale avesse assegnato il seggio sulla base di una diversa ricostruzione ermeneutica, e non di un mero refuso (a quel punto in effetti "grossolano"), avrebbe quanto meno dovuto darne atto nel verbale delle operazioni compiute, anziché limitarsi a riportarne gli esiti numerici.

13. Il Collegio può ora affrontare la tematica della condanna alle spese di giudizio, fatta oggetto di impugnativa da entrambe le parti, ovvero proposta quale terzo motivo dell'appello della signora Maria Costanza Bendinelli, n.r.g. 2090 del 2022, e costituente l'unico motivo di appello del Comune di Bologna, n.r.g. 1683 del 2022.

Va premesso che la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è costante nell'affermare che la regola della soccombenza in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le stesse sono state poste, interamente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre in caso contrario la loro regolazione costituisce esercizio di potere discrezionale nel quadro di quanto prescritto dagli artt. 91 ss. c.p.c., non censurabile in sede di impugnazione, se non in presenza di evidenti abnormità (cfr. ex multis C.d.S., Sez. II, 4 maggio 2022, n. 3478; Sez. III, 7 settembre 2020, n. 5374; Sez. IV, 2 agosto 2021, n. 5665; Sez. V, 27 gennaio 2021, n. 817, e 21 agosto 2020, n. 5163). Il che non è ravvisabile nel caso di specie.

13.1. Né può costituire deroga alla stessa la circostanza che la parte soccombente, che ha difeso la propria prospettazione in giudizio, sia estranea alla causazione del vizio che il giudice ha ritenuto inficiasse l'atto impugnato. Per tale ragione, anche il terzo motivo dell'appello n.r.g. 2090 del 2022 deve essere respinto.

14. A diverse conclusioni deve invece giungersi avuto riguardo alla posizione del Comune di Bologna, giusta la già ricordata peculiarità dei ricorsi elettorali sotto il profilo della individuazione della legittimazione processuale passiva. In sintesi, occorre conciliare la regola della soccombenza con la ricordata possibilità - rectius, necessità - di chiamare in giudizio (solo) un soggetto (l'Amministrazione comunale, nel caso di specie) per il sol fatto dell'essere destinatario degli effetti di atti attribuibili ad organi di altre amministrazioni.

14.1. La giurisprudenza ha già avuto modo di affrontare anche tale questione, addivenendo ad affermare principi dai quali il Collegio non ha ragione di discostarsi, secondo i quali «nelle controversie concernenti l'elezione di propri organi l'Amministrazione comunale è chiamata in giudizio solo in quanto destinataria del risultato delle votazioni mentre è estranea all'attività che ha determinato la controversia e neutrale rispetto alla consultazione, con la conseguenza che nel caso di accoglimento di un ricorso si può procedere alla condanna alle spese dell'Amministrazione comunale solo se la stessa si sia costituita in giudizio prendendo posizione contro la tesi del ricorrente, in quanto in tal caso la soccombenza e la conseguente condanna alle spese possano trovare ragione nel comportamento processuale» (C.d.S., Sez. V, 24 agosto 2010, n. 5933).

14.2. Né può ritenersi che ciò comporti un'indebita irresponsabilità patrimoniale dell'ente. È dirimente al riguardo osservare, il linea con quanto già fatto dalla Corte di cassazione, che la condanna alle spese, pur non avendo una natura sanzionatoria né costituendo un risarcimento del danno, è nondimeno applicazione del principio di causalità (v. Cass. civ., Sez. II, 9 gennaio 2017, n. 189): in altre parole, l'onere delle spese grava su chi ha provocato la necessità del processo, rifiutando o chiedendo indebitamente un'utilità invece (rispettivamente) spettante o esclusa alla luce della legge e dei principi vigenti. Il principio di causalità richiede cioè, con specifico riguardo alle liti in cui è parte un'amministrazione, che quest'ultima abbia posto il ricorrente nella condizione di dover agire, emanando e mantenendo in vigore un atto illegittimo ovvero serbando un comportamento illecito, o comunque difendendolo in giudizio. Ove la medesima nulla di ciò abbia fatto, o abbia il potere di fare, poiché l'ordinamento la configura quale mera destinataria degli effetti dell'attività compiuta da organi amministrativi terzi, con esclusione di poteri di approvazione o ratifica, la detta "causalità" è da escludere per oggettiva impossibilità.

14.3. Come pure precisato da questo Consiglio di Stato (v. ancora C.d.S., Sez. III, n. 2995 del 2017, cit. supra), nei giudizi elettorali, alle argomentazioni di cui sopra possono aggiungersene di ulteriori. Il Comune, seppur costituito da organi rispondenti ai principi di rappresentanza democratica, è ente esponenziale dell'intera collettività locale che, per tale ragione, non ha ordinariamente interesse a difendere posizioni individuali dei consiglieri eletti, le quali non possono che rimanere confinate nella dimensione privata e personale dei medesimi, senza distinzione tra appartenenti alla maggioranza o alla minoranza. La neutralità rispetto alla contesa fra liste o candidati è cioè sintomatica della prevalenza del profilo istituzionale su quello politico di maggioranza, e vale ad escludere latenti conflitti di interesse. Se così è, allora, in tali casi, «la sola avvenuta individuazione del soggetto pubblico quale litisconsorte necessario ai fini della regolare instaurazione del giudizio è fattispecie che sfugge all'applicabilità del principio di soccombenza, salvo che il medesimo soggetto decida in corso di causa di resistere infondatamente, integrando ex post il più generale e presupposto principio di causalità».

15. Da quanto sopra discende l'accoglimento dell'appello del Comune di Bologna n.r.g. 1683 del 2022 e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, dispone la compensazione delle spese del giudizio di primo grado per la parte già posta a carico del Comune di Bologna.

16. Il Collegio ritiene tuttavia equo, con riferimento alla odierna fase di giudizio, dare rilievo alla ritenuta novità della questione trattata ed all'assenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati sul punto, disponendo la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione, accoglie il n.r.g. 1683/2022 e, per l'effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per l'Emilia-Romagna n. 186 del 2022, compensa le spese del primo grado di giudizio per la parte posta a carico del Comune di Bologna; respinge il n.r.g. 2090/2022.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.